La novità evangelica degli obiettori
Il pensiero di Mons. Cocchi, presidente della Caritas Italiana, sull'obiezione di coscienza e sul volontariato
(da “settimana” 17-5-1998/n. 199

Con una serie articolata di celebrazioni è stato ricordato, nel recente 1° maggio, il 25° del Gavci (Gruppo autonomo di volontariato civile in Italia) sorto a Modena ad opera di padre Angelo Cavagna e successivamente ramificatosi a Bologna (ora sede centrale), a Napoli e a Padova e che prevede in convenzione 53 obiettori in servizio, più quelli in preparazione o in congedo che continuano a viverci e a lavorarci. Continuate a "pensare mondiale" e sollecitateci sempre ad alzare lo sguardo, tentati, come siamo, di rinchiuderci in noi stessi, nella illusione (un po' sciocca e un po' suicida) di poterci salvare da soli.
La giornata ha visto la presenza dei vescovi A. Superbo, assistente ecclesiastico generale dell'Azione cattolica, e di B. Cocchi, arcivescovo di Modena e presidente della Caritas italiana.
Tra gli intervenuti vanno ricordati anche Giuseppe Gozzini, primo obiettore cattolico. Michele Moffa, Luca Rondini e Maurizio Montipò che in questi anni hanno subito processi per le lotte nonviolente contro l'amministrazione militare, Claudio Del Bianco, che ha tracciato le linee di formazione degli obiettori Gavci, Agnese Gozzi, che ha portato la sua testimonianza di donna impegnata nel volontariato e nella costruzione della pace.
In questo servizio vogliamo soprattutto raccogliere l'insegnamento di mons. Cocchi nei due momenti in cui è intervenuto, vale a dire nell'omelia e nella lettera scritta appositamente per il 25° dei Gavci.

Superare le posizioni acquisite
Commentando le letture del giorno, il vescovo di Modena ha incentrato la sua attenzione sugli interrogativi che la gente di Nazareth si pone dopo aver ascoltato Gesù nella sinagoga, notando come questi interrogativi siano amari, “perché oscillano tra la sorpresa, il sarcasmo, la supponenza”. Oltre a interrogarsi, la gente si scandalizza pure del Figlio di Dio. A motivare lo scandalo, secondo il vescovo, è “l'incapacità di alzare gli occhi; la pigrizia mentale che impediva di guardare oltre l'immediato; prendere come punto di partenza e di riferimento i dati di fatto; un realismo greve”.
“La pigrizia mentale umana, l'adozione di criteri prevalentemente sensibili, "realistici" — secondo il vescovo — portano alla difficoltà di accettare la sorpresa, la novità che Dio immette nella vita... La "gente" è tentata di fissare ruoli, qualità, condizioni”. Non così la parola di Dio; essa infatti “colloca un lievito che fa saltare continuamente le posizioni conquistate, le sicurezze acquisite... fa esplodere ogni costrizione e ogni costruzione soltanto umana. Fa essere realmente creativi”.
Riportiamo le parole con le quali il vescovo Cocchi ha applicato tale insegnamento alla celebrazione del 25° del Gavci: “Nella sua intuizione ormai consolidata nella lunga e generosa esperienza di servizio nelle situazioni di disagio e nel suo impegno, con gli obiettori di coscienza, a favore della pace, contro ogni uso omicida della forza, il Gavci — ha affermato il presule — ha contribuito a incrinare una tradizionale e rassegnata adesione ai dati di fatto, dove ognuno pensava a se stesso, dove la guerra era normale strumento ad uso degli stati. Credo che tutti noi di età avanzata (ma penso che anche oggi non sia molto diverso!) abbiamo studiato la storia come storia delle guerre, perché erano le guerre a dare la vera svolta alle vicende umane.
Probabilmente, se non in modo esplicito, davanti alle vostre prime esperienze di volontariato e alle prime sofferte e pagate testimonianze di obiezione alla violenza, sono sorte nelle persone tante domande: ma chi credono di essere? Non si è sempre fatto così? Cosa ci sta sotto queste pretese?
E, ancora una volta, è la parola di Dio a sollecitare e a sostenere una novità così feconda e ricca, così rispettosa della vera dignità della persona.
Sia chiaro: non abbiamo la pretesa che l'obiezione alla guerra abbia come unica matrice il Vangelo. Sappiamo quanta testimonianza proviene da fratelli e sorelle che hanno alimentato la loro scelta di pace ad altre fonti. E da loro possiamo e dobbiamo certamente imparare. Ma il cristiano, sollecitato anche da queste testimonianze, scopre nella rivelazione una sorgente purissima, che lo porta a essere un vero figlio del Dio della pace.
Chi percorre questa strada, come voi del Gavci, sperimenta la fatica e, talvolta, l'umiliazione di fare una proposta che appare incomprensibile a chi è ancora imprigionato dalle logiche e dai dati di fatto, che hanno dominato la storia. Era anche la fatica di Gesù a farsi accogliere dai suoi concittadini. Identica fatica la troviamo nella Bibbia, dove non mancano certamente le guerre, la violenza, la vendetta. Sorgono però i profeti ad annunciare tempi nuovi, diversi. Assicurano che verranno giorni nei quali. Dio donerà la sua pace e gli uomini “non si eserciteranno più nell'arte della guerra”. Annunciano che il "Servo di JHWH" non solo non seguirà la logica umana della violenza verso gli altri, ma accetterà su di sé ogni ingiustizia, fino alla morte, per la salvezza di tutti.
Nella storia è così immesso un criterio totalmente diverso: non più la violenza inferta ad altri provocherà la pace; essa sarà meritata dal Servo che offre se stesso. Nel Vangelo poi appare con solare evidenza la logica di Dio, che è amore; e che pone come legge distintiva non solo quella di amare tutti, ma soprattutto quella di amare i nemici.
Per il mondo del lavoro le intuizioni hanno modificato la storia quando, diventate convinzioni, hanno dato origine a un movimento di persone. Anche per l'obiezione di coscienza le idee debbono essere incarnate da persone, da gruppi per esprimersi anche in testimonianza, in proposte, in conquiste. Il Gavci questo l'ha fatto e continua a farlo.
L'augurio e la preghiera, oggi, è che gli interrogativi della gente da sospettosi divengano rispettosi; da sarcastici si trasformino in occasione di sorpresa”.

Impegno sul territorio e pensare mondiale
Rilevante anche la lettera con la quale il vescovo si è rivolto al Gavci esortando i suoi membri a "impegnarsi nel territorio" e a "pensare mondiale".
“Voi celebrate — ha esordito l'arcivescovo di Modena — il 25° della vostra esistenza e attività. Un quarto di secolo non è un periodo tanto lungo da richiedere grandi sintesi storiche; è, tuttavia, sufficientemente ampio e intenso per fare sì che da esperienze, episodi, avvenimenti, possano emergere, provate dai fatti, le motivazioni profonde. Non sta certamente a me individuarle. Mi piace, però, dirvi quanto, superficialmente e dall'esterno, mi sembra di poter cogliere”.
“Sono convinto che oggi un obiettore di coscienza, nella misura in cui qualifica e motiva il proprio impegno partendo dal Vangelo o lo vive con coerenza, può essere considerato portatore di un dono dello Spirito”
 
“Il primo impatto con il Gavci — prosegue — fa cogliere la scelta di un servizio concreto, legato al territorio, determinato dalle situazioni delle persone (anziani, giovani, malati, famiglie con qualche disagio ecc.). E' un aspetto immediato che, se da un lato suscita l'apprezzamento della gente, dall'altro vi obbliga a un confronto continuo con una realtà, talvolta pesante e faticosa, ma sempre istruttiva. Emerge quella che dovrebbe essere una caratteristica anche di ogni esperienza cristiana: non esistono i "casi", ma le persone concrete.
Lo spirito, poi, del servizio, espresso dagli obiettori di coscienza, è orientato alla pace, alla nonviolenza, ma anche alla difesa attiva dei diritti e all'impegno deciso per il perseguimento della giustizia. Tutto questo aiuta la gente a superare sia l'atteggiamento rassegnato di chi rischia di convincersi che non c'è speranza per chi è debole, sia l'atteggiamento di rancore interiore, come ribellione contro l'ingiustizia sperimentata quotidianamente”.
“A conoscervi più profondamente, si apprezza la vostra ampiezza di orizzonti, che vi fa attenti ai problemi della pace, della giustizia, della salvaguardia del creato, in tutto il mondo. È molto bello e importante questo.
Continuate a "pensare mondiale" e sollecitateci sempre ad alzare lo sguardo, tentati, come siamo, di rinchiuderci in noi stessi, nella illusione (un po' sciocca e un po' suicida) di poterci salvare da soli.
Poiché prevale la pigra tentazione di essere in questo mondo più turisti che protagonisti, più cosmopoliti che cattolici, abbiamo bisogno di chi, con semplicità e coerenza, come voi, coniuga un interesse vero per il creato con l'impegno concreto sul proprio territorio.
Risalta poi, come elemento qualificante, attraverso l'obiezione di coscienza, il vostro impegno, oltre che per il servizio civile, anche nei confronti della pace, con la diffusione dell'attenzione e della conoscenza della difesa nonviolenta.
Siamo consapevoli che, storicamente, un tale impegno trae origine anche da concezioni e ideali non necessariamente biblici. Ma proprio questa constatazione ancor più motiva l'impegno degli obiettori di coscienza cristiani a qualificare come espressione evangelica il loro orientamento alla pace. Non sono mancate, né mancheranno ancora, le incomprensioni, persino da parte dei fratelli di fede; in questo, del resto, in modo non dissimile da quanto è accaduto ad altri "profeti" e portatori di "carismi".
Sono, tuttavia, convinto che oggi un obiettore di coscienza, nella misura in cui qualifica e motiva il proprio impegno partendo dal Vangelo o lo vive con coerenza, può essere considerato portatore di un dono dello Spirito, come ricorda la lettera ai Galati: “II frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace. pazienza, benevolenza... ” (Gal 5,22).
“Trovo poi — aggiunge il vescovo Cocchi — che la costanza unita al realismo, con cui perseguite i vostri ideali, sta dimostrandosi una valida proposta formativa rispetto a sempre più larghe fasce di giovani e dell'opinione pubblica. Il vostro atteggiamento, che ricerca e propone soluzioni che, nella doverosa e intransigente fedeltà ai principi evangelici, tengano conto del faticoso cammino della storia e delle concrete situazioni, sono di grande aiuto alla maturazione della opinione pubblica, anche ecclesiale”.

a cura di A. Cavagna

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