L’attualità del significato  
dell’obiezione  
 da un articolo di don Antonio Cecconi (vicedirettore Caritas) pubblicato su “Settimana” n. 27 del 7 luglio ’96  
 
 

 
(...) Innanzitutto ricordiamo che la legge (n. 772 del 1972) fu introdotta in Italia per rispondere a una richiesta dal basso; richiesta nonviolenta portata alle estreme conseguenze da giovani che facevano anni di carcere militare per il rifiuto di indossare la divisa e imbracciare le armi. Accanto al filone di radicalismo laico a cui si richiamavano molti “pacifisti storici”, non possiamo dimenticare che padre Balducci e don Lorenzo Milani finivano in tribunale per apologia di reato, essendosi schierati dalla parte degli obiettori; il Concilio Vaticano II riteneva di ravvisare nel servizio civile di chi rifiutava la difesa armata una misura “conforme ad equità” (GS, 79).
I primi obiettori erano veramente “duri e puri”: in gran parte ragazzi con forte impegno pacifista e nonviolento pagato sulla propria pelle, testimoniato con scelte di vita. In genere accettavano il servizio civile di buon grado ma precisando sempre di essere prima di tutto degli obiettori, vagliando criticamente le mansioni da svolgere perché non venisse meno la spinta critica e profetica contro la violenza di ogni potere. Tra loro non mancavano autentici leaders a vari livelli, comprese le associazioni cattoliche.
Gli obiettori di oggi sono figli di questo tempo, nati in una stagione assai diversa sotto il profilo civile, culturale ed ecclesiale. L’obiettore “medio”, almeno nell’esperienza della Caritas, è un giovane che ritiene di maggiore utilità sociale e di miglior appagamento personale il servizio civile rispetto al militare. I dodici mesi di impegno possono però diventare occasione di crescita, inclusa la comprensione dell’ideale nonviolento, che dovrebbe essere fin dall’inizio nei cromosomi dell’obiettore.
Bisogna inoltre dire che molti obiettori, attraverso il servizio reso, scoprono per la prima volta l’esistenza di povertà ed emarginazione sul proprio territorio, si applicano per la prima volta ad un “lavoro” continuativo. Fragilità e problemi non tardano a venir fuori, il lavoro formativo deve essere intenso se si punta a un positivo sviluppo dell’esperienza. Il responsabile di un centro di servizi raccontava recentemente di un obiettore che, il primo giorno di servizio, si è presentato accompagnato dalla mamma!
Passando dallo scenario umano a quello politico-istituzionale, bisogna ricordare che, dopo la fine della contrapposizione tra i blocchi e la caduta dei muri, il concetto di difesa armata ha bisogno di essere ridefinito e giustificato. Non bastano le guerre del Golfo e dell’ex- Jugoslavia a giustificare gli attuali eserciti così come sono, né tanto meno operazioni “umanitarie” come quella in Somalia.
Pur dovendo fare i conti con il fisiologico istinto di sopravvivenza di ogni istituzione, è davvero tempo di pensare al superamento degli eserciti nazionali attraverso un corpo di polizia internazionale, effettivamente al di sopra delle parti. Chi taccia di “utopismo” la ricerca di nuove vie per la pace, ipotizza “nuovi modelli di difesa” cui vengono subito assegnati compiti di tutela di interessi strategici e politico-economici dei paesi più forti. Per rendere la cosa efficiente, si auspica il passaggio dalla leva generalizzata all’esercito professionale.
 

A quando la nuova legge?
 
In Italia il servizio militare è obbligatorio (Costituzione, art. 5) e una sentenza della Corte costituzionale ha stabilito che al “sacro dovere di servire la Patria” si ottempera anche attraverso un servizio civile sostitutivo. La Caritas Italiana è convinta che un impegno verso lo stato in termini di dovere di “solidarietà sociale” e di contributo al “progresso materiale e spirituale della società” (Costituzione, artt. 2 e 4) siano valori preziosi da difendere e pertanto, di fronte ad un minor fabbisogno della leva militare, non solo gli obiettori ma tutti i giovani in esubero possono trovare opportuna collocazione in servizi alla collettività, protezione civile, tutela del patrimonio ambientale e artistico, servizi culturali, servizi alle persone con particolare attenzione ai poveri e agli emarginati. Con il supporto della Fondazione Zancan, la Caritas Italiana ha elaborato una dettagliata proposta di “Servizio civile per tutti”, aperta opzionalmente anche alle donne (non dimentichiamo che annualmente un centinaio di ragazze effettuano presso varie diocesi un anno di volontariato sociale a tempo pieno). La proposta è stata presentata ad autorevoli membri del parlamento e del governo nel corso di una conferenza stampa il 19 giugno scorso.
Tale proposta, che qualcuno dei presenti ha colto come “provocazione” nel senso nobile del termine, riguarda scenari futuri e va tenuta presente quando si penserà al “nuovo modello di difesa”. ma per adesso, con questa difesa e questa organizzazione della leva, ciò che urge è la riforma della legge 772. Il parlamento aveva già provveduto con un testo assai migliorativo, inopinatamente rimandato alle camere (a camere già sciolte!) dal presidente Cossiga nel 1992. È urgente la ripresa dell’iniziativa parlamentare a partire dal testo approvato al senato durante la passata legislatura e i politici sono chiamati a un gesto di responsabilità nei confronti di decine di migliaia di giovani e la società civile è chiamata ad esercitare un’adeguata pressione. In particolare le forze dell’Ulivo possono cominciare a concretizzare un esplicito impegno assunto in campagna elettorale.
 

Risvolti sociali ed ecclesiali
 
Questa panoramica sull’argomento non sarebbe completa senza soffermarci sui risvolti ecclesiali, soprattutto in termini educativi. Anche lo spirito con cui la Caritas Italiana si sta in questi giorni muovendo nei confronti del Ministero della difesa per una più razionale gestione degli obiettori e più complessivamente verso il parlamento e il governo per la riforma della legge sull’obiezione e (in un secondo tempo) per l’estensione del servizio civile non sarebbe comprensibile al di fuori di un’attenzione pastorale verso i giovani, i poveri e il paese nel suo insieme.
Intanto si deve riconoscere agli obiettori un grande merito: quello di aver contribuito a far crescere la sensibilità verso la pace nella comunità ecclesiale. Se il tema della pace è ricorrente nelle assemblee liturgiche, nella catechesi, nei progetti pastorali, nella stessa teologia lo si deve anche alla continuità e all’entusiasmo con cui gli obiettori credenti lo hanno costantemente richiamato all’attenzione del popolo di Dio. Appuntamenti di preghiera e iniziative per la pace sono divenuti tradizione di moltissime chiese locali, polarizzano specie in certi momenti dell’anno (giornata e mese della pace) l’attività di parrocchie e associazioni cattoliche.
È chiaro che non si tratta di un tema di moda o di un’applicazione estrinseca al messaggio cristiano: il “Vangelo della pace”, la salvezza di “Cristo nostra pace” toccano il cuore della gente soprattutto dei piccoli e dei poveri; pensiamo alle moltissime iniziative di preghiera sbocciate spontaneamente durante la guerra del Golfo, alla mobilitazione di Mir Sada per l’ex-Jugoslavia.
Il tema della pace è poi stato per molti giovani un veicolo di apertura al sociale e di impegno in politica; magari a partire da un corteo o una manifestazione per la pace, non sono pochi gli obiettori che hanno continuato a camminare su percorsi di nonviolenza e di servizio, ad allargare e approfondire la propria testimonianza di cittadini e di cristiani. Una ricerca di cinque anni fa mise in evidenza come dopo il servizio civile in Caritas molti giovani hanno sviluppato ulteriori impegni di servizio sociale ed ecclesiale; troviamo sindaci ed assessori, dirigenti di cooperative di solidarietà e responsabili di gruppi di volontariato, famiglie aperte all’accoglienza di minori in difficoltà.
Una stima in base ai dati in possesso, ci dice che circa 400 obiettori hanno percorso la via della vocazione sacerdotale o religiosa. Questo non vuole certamente essere il bollettino della vittoria, ma semplicemente attestare come un paziente e faticoso, talvolta anche incompreso lavoro di semina non manca di portare i suoi frutti. E che i giovani, in tempi e modi diversi, crescono.
Soprattutto quando si parla con loro il linguaggio della concretezza, quando dietro alle proposte c’è un progetto, quando il mondo non è visto come il nemico da cui difendersi, ma il campo aperto in cui imparare a crescere.

Antonio Cecconi

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