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è in libreria IL GIGANTE DEL NILO di Marco Zatterin Mondadori, lire 32.000 |
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Riscoperte/Una vita avventurosa, da Padova all’Egitto. Una biografia di Marco Zatterin sul ”Gigante del Nilo” Belzoni, il saltimbanco-archeologo che svelò i segreti dei faraoni di MARCO FABIO APOLLONI (da IL MESSAGGERO, 13 giugno 2000) ALL’INTERNO della piramide di Chefren, il viaggiatore appassionato di cose egiziane antiche può ancora leggere la scritta: “scoperta da G. Belzoni, 2 marzo 1818". Fu un italiano infatti a trovare l’entrata, ignota da secoli, della seconda piramide di Giza, la seconda per altezza, dopo quella di Cheope. Il nome di Belzoni si trova anche graffito su alcune delle più famose sculture egiziane del British Museum, come il busto colossale di Ramses II, o sul sarcofago d’alabastro del faraone Sethi I, anch’esso conservato a Londra, nel pittoresco museo dell’architetto Sir John Soane. A cercarlo bene lo si troverebbe anche nella Valle dei Re, nel tempio di Abu Simbel, e in molti altri luoghi, confuso tra quelli apposti poi da centinaia di altri viaggiatori europei, venuti in seguito a banalizzare l’eroismo dei primi pionieri che rivelarono l’Antico Egitto all’Occidente. Tra questi ultimi Giovanni Battista Belzoni, nato a Padova nel 1778 e morto di dissenteria in Nigeria nel 1823, mentre cercava di raggiungere la favoleggiata città di Timbuctu, attendeva ancora una biografia in italiano che ne rivalutasse la statura: Il Gigante del Nilo di Marco Zatterin (Mondadori, 32.000 lire), è un appassionato ritratto di questo colosso dell’egittologia primitiva. La parola non è usata a caso, Belzoni era alto più di due metri e grande in proporzione. I contemporanei ne descrissero la corporatura paragonandola a quella di una statua classica maggiore del vero, quando, in calzamaglia rosa, si esibiva nei teatri e nelle fiere d’Inghilterra come “Sansone Patagonico". Il suo numero più famoso era la “piramide umana", in cui egli arrivava a sostenere anche dodici persone arrampicate sul suo gran corpo, passeggiando tranquillamente sul palcoscenico. Era uno dei tanti saltimbanchi girovaghi italiani che percorrevano l’Europa, finito in Inghilterra per sfuggire alla coscrizione napoleonica che l’avrebbe certo arruolato di forza in qualche corpo scelto. Il suo vero nome Bolzon modificato in Belzoni per assonanza circense, egli si dichiarava romano anche se la sua romanità era immaginaria quanto la sua cittadinanza patagonica. Sarebbe vissuto e morto oscuramente, e solo un disegno del caricaturista Cruikshank l’avrebbe ricordato ai posteri confuso tra i tanti “fenomeni" da baraccone dell’epoca. Il bello fu che il suo spirito girovago divenne amore per l’avventura, e la sua forza, il suo senso dello spettacolo e il suo istinto per la pubblicità furono messi al servizio dell’archeologia. Sposato con una Sarah che fu sua degna compagna ben oltre la morte di lui, le sue nozioni di meccanica e di idraulica, usate finora per trucchi scenografici e fantasmagorie teatrali, lo portarono quasi per caso in Egitto. Regnava allora Mehmet Alì, un ex-mercenario albanese che era riuscito a fondare un regno strappandolo via dall’impero ottomano. Voleva anche che il suo regno progredisse grazie alle diavolerie moderne degli occidentali, e tra i tanti avventurieri e non piovuti in terra d’Egitto, Belzoni tentò di spacciarsi esperto di idraulica. Fu un disastro per l’idraulica, ma una gran fortuna per l’egittologia. Finanziato dal diplomatico inglese Henri Salt, accettò di trasportare il colossale busto di Ramses II — conosciuto allora come “il giovane Memnone" — da Tebe fino al Cairo: imbarcare sul Nilo dodici tonnellate di granito con mezzi di fortuna fu un’impresa quasi miracolosa. “The great Belzoni" iniziava così la carriera che lo rese famoso nel mondo, ma non certo ricco in proporzione. In meno di quattro anni percorse l’Egitto e la Nubia in lungo e in largo: risalì il Nilo fino oltre Assuan, scoprendo il tempio sepolto dalle sabbie di Abu Simbel. Riscoprì Berenice, esplorò la Valle dei Re a Tebe trovando la tomba del faraone Sethi I adorna di pitture che fece copiare per essere esposte in fac-simile a Londra nella Egyptian Hall di Piccadilly. L’obelisco ora misconosciuto nella campagna inglese di Kingston Lacy fu pure avventurosamente trasportato da File da Belzoni e divenne una delle chiavi per la decifrazione dei geroglifici a cui arrivò Champollion nel 1822. Belzoni non leggeva gli ierogrammi egizi, e a stento scriveva in italiano e in inglese. Sfondò l’entrata della tomba di Sethi I con un tronco di palma usato a mo’ d’ariete, ma proprio questo lo rende più simpatico di altri scopritori che pure hanno maggior fama di lui. Come il console Drovetti, la cui collezione costituisce il nocciolo del museo di Torino, ma che cercò in tutti i modi di ostacolare il colossale rivale arrivando a fargli sparare addosso. Gli incerti del mestiere, le avventurose difficoltà delle imprese di Belzoni, costituiscono il maggior fascino di questa ricostruzione biografica compiuta grazie a ricerche altrettanto avventurose e suggestive. Come il colosso di Memnone dalle sabbie d’Egitto, “the great Belzoni" è stato finalmente riportato alla luce che meritava. |
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Ma che gigante d'Egitto! Dai circhi alle piramidi, un libro ricostruisce la storia dell'Indiana Jones italiano. Un grande, in tutti i sensi. di GIORGIO IERANÒ Panorama 16/6/2000 Chi si addentri nella piramide di Chefren, insinuandosi in cunicoli e strettoie, troverà infine, sui muri della camera mortuaria, un graffito: «Scoperta da G. Belzoni. 2 marzo 1818». Il ricordo di un evento epocale: il giorno in cui un italiano autodidatta, che per anni aveva tirato a campare facendo il saltimbanco nei circhi, smentì Erodoto, il padre della storiografia. Il quale aveva sostenuto che la piramide di Chefren non conteneva nulla. Mentre Giovan Battista Belzoni, figlio di un barbiere, riuscì a trovare l'accesso alle stanze segrete della piramide. Ma questa fu solo una delle imprese di Belzoni, nato a Padova nel 1778 e morto di febbri misteriose nel 1823, mentre cercava la via per Timbuctù. Belzoni, con le sue avventurose spedizioni, ha scoperto statue e monumenti celeberrimi: la testa colossale di Ramses II, che oggi è un vanto del British Museum, il tempio di Abu Simbel, la tomba del faraone Seti I nella Valle dei Re. Insomma: Belzoni è, a tutti gli effetti, un padre dell'egittologia. Però un padre scomodo. Perché non era un erudito. Ma un uomo che il mondo aveva imparato a conoscere come il Gigante Patagonico quando, dall'alto della sua inconsueta statura, dava spettacolo nei circhi di Londra. Ma Heinrich Schliemann, lo scopritore di Troia, mercante di tappeti e cianfrusaglie, era forse uno studioso? Quasi tutte le grandi scoperte archeologiche sono state opera di dilettanti. Dilettanti consumati dal fuoco di una strana passione, dove si combinavano l'avidità di denaro e il desiderio di gloria, il fascino delle rovine e il gusto dell'avventura. Da questa miscela nasce anche la vita di Belzoni, a cui ora il giornalista Marco Zatterin dedica una bella e documentata biografia: Il gigante del Nilo (Mondadori). Sottotitolo: Storia e avventure del Grande Belzoni, l'uomo che svelò i misteri dell'Egitto dei Faraoni. «Grande» Belzoni lo fu innanzitutto nel fisico. Era un gigante dai capelli rossi alto 2 metri e dieci. Lasciò presto l'Italia per cercare fortuna in giro per il mondo. A Londra, nel teatrino che lo presentava come il Gigante Patagonico, con la sola forza dei muscoli poteva sollevare un grappolo di uomini: la chiamavano la Piramide umana, quasi ironico presagio per un uomo che alle piramidi vere dedicherà la vita. I suoi vagabondaggi lo condussero infine, nel 1815, alla corte di Mehmet Alì, un albanese che, partendo dal nulla, era diventato vicerè d'Egitto. A Mehmet Alì Belzoni si presentò come ingegnere: ma i risultati del suo lavoro delusero il sovrano che presto lo licenziò. Fu così che si riciclò come cacciatore di antichità. L'Egitto pullulava di occidentali che, sull'onda dell'egittomania provocata dalla spedizione napoleonica, andavano in cerca di reperti da vendere ai collezionisti. Personaggi romanzeschi quanto Belzoni. Come Bernardino Drovetti, console francese al Cairo: un piemontese che aveva iniziato a servire la Francia come soldato di Napoleone. Nella caccia alle antichità, Drovetti tentò in ogni modo di ostacolare Belzoni. Il quale però non si arrese. Infilò un'impresa dopo l'altra. Fu lui a scoprire la leggendaria città carovaniera di Berenice, nell'estremo Sud dell'Egitto. E, nell'estremo Ovest, fu sempre lui il primo europeo a raggiungere l'oasi di Siwa, dove sorgeva il leggendario oracolo di Zeus Ammone. Alla fine ce n'era abbastanza per più di una vita. Ma Belzoni non si accontentò. Voleva aprire la via per Timbuctù, un luogo verso cui molti esploratori erano partiti ma nessuno era tornato. Morì nel cuore dell'Africa, quando era ancora lontano dalla meta. Dopo la sua morte, lamenta Zatterin, Belzoni è passato spesso come un semplice trafficante di antichità. Ma bisogna rassegnarsi: la nobile e austera scienza dell'egittologia non potrà mai cancellare dal suo album di famiglia il Gigante Patagonico. |
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(NOTIZIARIO LIBRI) (ANSA) - ROMA,14 GIU MARCO ZATTERIN - «IL GIGANTE DEL NILO» (MONDADORI, PP. 316 l. 32.000). Era il febbraio del 1818, un uomo alto due metri, massiccio, con una folta barba rossa, osservava sulla piana di Giza la piramide di Chefren: il suo obiettivo era trovarne l'entrata. Il nome dell'uomo, poi passato alla storia ma spesso dimenticato, è Giovanni Battista Belzoni, nato a Padova nel 1778, figlio di un barbiere del quale seguì il mestiere, per poi studiare idraulica, lavorare in teatro a Londra (famosa era la sua piramide umana: esercizio in cui caricava in spalla una dozzina di persone) ed in giro per l'Europa, fino ad arrivare in Egitto nel 1815. Belzoni girò per giorni intorno a quella montagna di sabbia e pietra a Giza, fece confronti, rilievi, studi, cercò indizi e somiglianze con la vicina piramide di Cheope, aperta da secoli. Cominciò, infine, a scavare e la grande scritta «Scoperta da G.Belzoni.2.mar.1818» che ancora oggi è sulla parete della camera del Faraone nella piramide di Chefren, ci dice come questo archeologo dilettante dalla vita avventurosa, volle sottolineare la paternità della scoperta. Belzoni, venuto dal nulla, trasformò l'egittologia da un'iniziativa di viaggiatori coraggiosi e spesso cruduloni, in una scienza. Fu l'ultimo dei cercatori per caso, il primo ad applicare formule scientifiche agli scavi archeologici.(SEGUE). BGG 16-GIU-00 00:20 NNN (NOTIZIARIO LIBRI) (ANSA) - ROMA, 16 GIU - Giovan Battista Belzoni fu il più grande archeologo italiano in Egitto, forse il più grande in assoluto tra il '700 e l'800 (periodo della spedizione napoleonica e delle scoperte di Champollion). Per la prima volta una biografia italiana:«Il gigante del Nilo» di Marco Zatterin, ne rivaluta la grandezza umana e scientifica e colma un vuoto facendo emergere un personaggio fondamentale nella storia dell'egittologia primitiva. Zatterin, in base a documenti inediti è riuscito a ricostruire la vita rocambolesca e le straordinarie scoperte di Belzoni ma anche le rivalità di altri ricercatori e le invidie per i suoi successi che hanno portato per molto tempo a far calare il silenzio sul 'gigante del Nilò italiano. Fu merito di Belzoni il recupero della testa del colosso di Ramses II (ora al British Museum), il dissabbiamento del tempio di Abu Simbel, la scoperta della tomba di Sethi I, nella valle dei re. Fu sul punto di passare alla storia anche per altri eccezionali ritrovamenti: nel corso di un viaggio nell'Oasi di Bahariya per poco non scoprì la straordinaria Valle delle Mummia, venuta poi alla luce nel 1996. Dalle esibizioni teatrali, all'incontro con il pascià d'Egitto (al quale tentò di vendere una delle sue macchine idrauliche) fino ai suoi straordinari scavi: così si alternò la vita di Belzoni fino ad interrompersi nel 1823, mentre tentava di raggiungere la favoleggiata città di Timbuctu.(ANSA). BGG 16-GIU-00 00:21 NN |
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Spirito da esploratore Intervista con Marco Zatterin (www.rainews24.it, 16 giugno 2000) Oltre che la storia di personaggio, il mio libro è un invito al viaggio, una sorta di guida per una crociera emozionante sul Nilo Come ha scovato questo personaggio, Giovanni Battista Belzoni, che è al centro del suo libro Il gigante del Nilo? Anni fa, all’estero, ho visto un documentario della Bbc su alcuni viaggiatori, tra cui Belzoni. La sua vicenda mi è sembrata incredibile e mi sono detto che mi sarebbe piaciuto leggere qualcosa su di lui. Poi ho scoperto che non esisteva nulla, e allora...la curiosità ha ucciso il gatto, ho raccolto materiali e alla fine il libro l’ho scritto io. Che tipo di ricerche ha svolto per costruire il suo libro? Prima di tutto ho rintracciato (e non è stato facile!) il testo di Belzoni. In Italia non esce dal 1831. Poi ho letto una biografia che risale agli anni ‘50 e un’altra più recente pubblicata a Padova. In seguito ho fatto il giro delle biblioteche europee cercando sue tracce in testi di altri viaggiatori ottocenteschi. L’ultima fase della ricerca si è svolta negli archivi dei musei europei: ho trovato molte lettere inedite, un suo taccuino di viaggio e il diario della moglie che nessuno aveva mai consultato prima. Cosa pensa del rinnovato interesse per l'Egitto, mi riferisco ai romanzi di Christian Jacq e alla serie tv Stargate? E’ come un morbo nel quale si ricade periodicamente: all’epoca dei Romani, alla fine del ‘700, ai tempi della spedizione napoleonica, negli anni ‘20, al cinema negli anni ‘50 con il film Sinhue l’egiziano. E’ un richiamo a un certo tipo di arte, di conoscenza, di stile nel quale probabilmente ci si ritrova. Io comunque non sono un egittologo e nemmeno un egittomane. Mi piace il viaggio per l’esplorazione e la conquista della frontiera; l’Egitto non è l’aspetto più importante ma solo lo scenario. Quello che conta è lo spirito dell’esploratore. Ha utilizzato Internet per le ricerche? L’ho usato moltissimo, mi ha permesso di entrare in contatto con persone dall’altra parte del mondo in tempi assolutamente ridicoli. Grazie a Internet ho anche trovato gli eredi sudamericani di Belzoni. Quali sono i siti che frequenta di più? Yahoo come motore perché è diviso in categorie, e-bay e bibliofind dove si trovano libri rari a prezzi più bassi che in Italia. Sta lavorando ad una nuova avventura? Non mi sono ancora rimesso dalla fatica, perché in tutto questo non ho lavorato un’ora di meno al giornale. Ho un paio di idee, ma non ho ancora deciso se proseguirò nel filone viaggi o se cambierò genere. Uno dei progetti è su un viaggiatore italiano d’inizio ‘800, che nessuno conosce, ma che ha fatto cose straordinarie. Da lui nacque la chiesa dei Mormoni. |
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VISSE CON ROMANTICO FURORE Nuovo contributo alla conoscenza del personaggio: "Il Gigante del Nilo, storia e avventure del Grande Belzoni, l’uomo che svelò i misteri dell’Egitto dei Faraoni" di Marco Zatterin di ADRIANO FAVARO Il Gazzettino, sabato 24 Giugno 2000 Uno del Portello, il quartiere di Padova, figlio di un barbiere che fece il mestiere del padre per sopravvivere nella sua città. Uno che per guadagnarsi un pezzo di pane a Roma, dove era fuggito a 17 anni, mentre l'Italia era percorsa da quelli che facevano il "gran tour", preromantici e giù di lì si travestì - o forse fece sul serio - da frate. Uno che lavorò come "buffone" nei circhi di Londra e poichè era alto due metri e dieci, (riusciva a tenere sulle spalle e sulle braccia una una dozzina di uomini) gli attaccarono subito l'etichetta artistica del «gigante Patagone». Restò attivo sul palcoscenico quasi quindici anni. Uno che aveva studiato poco ma voleva capire tutto; uno che quando arrivò in Egitto sapeva nulla o quasi della cultura millenaria di quella terra. Uno così fece tutto d'un tratto crollare una specie di barriera che gli uomini, per 4.500 anni avevano creduto inviolabile: la piramide di Chefren, il figlio di Cheope, aveva un ingresso e non era tutto un inutile blocco come ormai quasi si pensava. Bisognava provarci. Lui, bestione barbuto ma affascinante e proporzionato ci provò nel 1818, tre anni dopo essere arrivato in Egitto. Aveva, al momento della scoperta 48 anni, una storia tumultuosa alle spalle, conosceva il console francese Bernard Drovetti ed era amico del legato inglese Henry Salt.Finirà con essere etichettato come «al servizio degli inglesi». Era invece soltanto un uomo di risorse morali e fisiche straordinarie, capace di spremere energie da tutti. Così lo descrive Marco Zatterin («Ho origini venete», precisa), giornalista economico della "Stampa" che ha pubblicato in questi giorni un denso volume sulla vita e la figura di Giovanni Belzoni: "Il Gigante del Nilo, storia e avventure del Grande Belzoni, l'uomo che svelò i misteri dell'Egitto dei faraoni" (Mondadori, lire 32mila). Prima di Zatterin la storia di questo padovano era stata raccontata da altri. Negli anni Cinquanta tre biografie pubblicate in Inghilterra, negli anni Ottanta tre volumi, uno di Luigi Montobbio (già giornalista del Gazzettino), un secondo di Gianluigi Peretti e un altro di Gabriele Rossi Osmida che aveva guidato una spedizione tutta padovana sulle orme dell'esploratore archeologo. Un percorso dall'Egitto al Sudan che aveva riportato alla luce molti lati sconosciuti dei viaggi ottocenteschi del padovano. Adesso Zatterin è accompagnato - a distanza - da altri lavori, uno francese, "Le geant de les sables" - il "Gigante delle sabbie"; e un documentario del British Museum, dove sono conservati, nella sezione egizia, moltissimi reperti scoperti e inviati in Inghilterra proprio da Belzoni. Zatterin descrive con occhi moderni e spregiudicati Belzoni: non più raccontato come «saccheggiatore» (del resto altri all'epoca fecero come e peggio di lui), bensì persona che affronta una vita piena di fatiche, di entusiasmi; sorta di furore romantico che approda anche alla poesia. Ed è questa la scoperta più interessante che ci offre il libro. L'archeologo-esploratore scrive in un italiano - come l'inglese e il francese del resto - incerto e impreciso, ma pieno di sentimenti. Belzoni è uomo che sa amare: le ultime pagine del volume parlano di un segreto nascosto nelle pietre e in un'iscrizione tra lui e la moglie londinese Sarah; sono un pezzo di struggente sensibilità. E adesso, soltanto adesso, l'archeologia ufficiale sa rendere conto del capolavoro di abilità e intuizione di questo autodidatta: la Valle delle Mummie, scoperta per caso alcuni anni fa, era già stata individuata dal Belzoni. Ma, allora, gli inglesi non gli credettero. Soltanto in quella circostanza, però; perchè è il suo lavoro ad aver indotto alla passione per l'egittologia un'intera nazione. È la sua abilità a battere sul tempo i francesi di Drovetti - che allo stesso modo degli inglesi cercano pezzi di valore per mandarli in patria - a circondarlo di un'aura quasi leggendaria. Descritto coi canoni della modernità - e il libro è davvero un romanzo con basi scientifiche e storiche - Giovanni Belzoni fa impallidire Indiana Jones. È lui che fa togliere tonnellate di sabbia dall'ingresso del tempio di Abu Simbel, è lui che riesce a portare via dall'Egitto, per darlo agli inglesi, il colosso del Giovane Mnemmone: una statua di 20 metri che trasporterà su una chiatta fatta costruire apposta sulle acque del Nilo - ora si trova al British Museum. Di questo eroe non restano molte memorie fisiche. La più evidente la scopre chi va in Egitto. All'interno della tomba di Chefren, nella stanza del sarcofago del faraone, Belzoni mette, a lettere enormi, la sua firma: "Scoperta da G. Belzoni il 2 marzo 1818". Aveva lavorato un mese: si credeva che quell'enorme piramide non avesse apertura. Quando entrò, trovò che era già stata depredata. E non resistette (ma allora era di moda) a comportarsi come i writer di adesso. |
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