GIUSEPPE
PICCHIANTI
Un (altro) veneto mitico e misterioso
I colossi di Memnone a Tebe disegnati da H.Warren, in una incisione di W.R.Smith, pubblicata intorno al 1845.

Il nome di Giuseppe Picchianti è noto quasi esclusivamente per il contributo dato alla cospicua sezione egizia del Museo di Storia Antica di Napoli. Avventuriero di scarsa cultura, egli non ha lasciato alcun resoconto dei suoi viaggi nella terra dei faraoni. Fu forse uno dei tanti "cercatori di tesori", pronto a mettere insieme oggetti antichi per formare collezioni da vendere al miglior offerente (alcuni oggetti della raccolta furono da lui stesso venduti al British Museum di Londra).
Di origine veneta, Picchianti approdò in Egitto attratto dalla risonanza delle sensazionali scoperte archeologiche che vi avevano avuto luogo ad opera di celebri avventurierie viaggiatori, primo fra tutti il padovano Giovanni Battista Belzoni, e dalla prospettiva di consistenti guadagni, derivanti dal commercio di oggetti antichi.
Intorno al 1819 egli intraprese un viaggio durato circa sei anni, durante il quale risalì la Valle del Nilo, spingendosi molto oltre i confini naturali e politici del paese. Estrema tappa di questo lungo itinerario fu Dongola, nell'omonimo distretto della Nubia sudanese, tra la III e la IV cateratta del corso del Nilo, una zona resa accessibile agli Europei da una spedizione militare egiziana proprio negli anni del suo soggiorno.
Nel corso del viaggio, Picchianti toccò alcune delle località archeologiche di maggior richiamo per gli avidi collezionisti: Giza, Saqqara, Tebe e fu probabilmente uno dei primi Europei a visitare siti dell'Alta Nubia.
Da questi luoghi egli riportò una consistente raccolta, formata da materiali di varie epoche, in prevalenza da contesti tombali, che potevano soddisfare la curiosità romantica per l'esotico e il macabro, propria di una certa cultura ottocentesca. La sua collezione comprende, pertanto, soprattutto mummie, sarcofagi, canopi e altri elementi a carattere prevalentemente funerario. Non vi mancano oggetti di uso quotidiano, parte del corredo del defunto, quali vasi per alimenti e cosmetici, specchi, sandali.
Tornato in Italia, Picchianti ebbe modo di far esaminare la sua collezione dallo Champollion, al fine di ottenere una stima degli oggetti, resa più autorevole dalla fama scientifica dello studioso francese. Quindi tentò di vendere la collezione al re di Sassonia, ma senza successo. Sua moglie, la contessa Angelica Droso, la offrì poi al Museo di Napoli che ne acquistò una parte, dopo lunghe trattative, nel 1828.
Se la collezione Borgia riflette una serie di atteggiamenti e tendenze di gusto tutte riconducibili alla cultura antiquaria tardo-settecentesca, quella del Picchianti, per l'epoca e i modi della sua formazione, si colloca nella tradizione dell'antiquaria egittologica del primo Ottocento.
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