TECNICHE DELLA PITTURA VENETA
Mirella Simonetti
in La pittura nel Veneto. Il quattrocento,tomo I Electa, Milano 1989

L’approccio veneto alla tecnica del colore. Approccio che pone maggior enfasi sulla percezione visiva diretta piuttosto che sulla costruzione dei corpi: l’esperienza dello spettatore doveva soprattutto essere emotiva, causata dal colore, più che di logica strutturale. Da qui invece la differenza coi toscani, che letteralmente copiavano senza cambiare, usando la minuziosa - ma sottile stratigraficamente - tecnica dell’ accostamento dei mezzi toni, mentre a Venezia ci si poteva permettere di cambiare in corso d’opera, coprendo quindi e avendo una stratigrafia maggiore , con effetti di sfumato più profondi e quindi più luminosi e morbidi. Insomma, la luce viene considerata qualità strutturale interna all’impasto, che non gli viene da fuori, di cui si può misurare incidenza e ombra.
Netta la differenza nell’incarnato: i toscani partivano dal verdaccio, i veneti da una base chiara, di ocra e bianco, data a strato, aumentando per le zone di maggior chiarezza, scurita per velature per l’ombra. Lo stesso Cennino, che scrisse il suo trattato probabilmente a Padova, era conscio delle varie possibilità che si offrivano all’artista per eseguire una tavola.
Bella esemplificazione completa delle tecniche cenniniane, forse migliore del Maltese.

La biacca. La biacca venne introdotta all’inizio del XV per la preparazione: può essere usata solo con legante oleoso, quindi non poroso, non assorbente (al contrario della colla e gesso, che obbligano ad una particolare attenzione nella stesura, quindi lenta e minuziosa). Una base interessante, quindi, per i colori non coprenti, che ne guadagnano in luminosità e trasparenza. (Bartolomeo Vivarini, Polittico dei Tagliapietra, 1477, Accademia, PRT S. Luigi di Francia).

Il verderame. Usato con la biacca come preparazione è il verderame, un pigmento già di suo oleo-resinoso, che prende il colore proprio con il legante: lo si riconosce dal tono intenso e scuro che dà al verde chiaro in velatura. Il verderame lo si conosce già da Plinio e verrà usato in velatura fino alla fine del XVI. Cennino ne parla diffusamente, come anche Leonardo.

Olio. Significato sacramentale attribuito all’olio di lino nella tradizione ebraica ; medicinal-framacologica in quella araba (Avicenna) ; quelle fisico-chimiche come fissativo per tessuti colorati (Arnaldo da Villanova, Opera Omnia, Basilea 1585, ma trattato della fine del trecento. Si deve allo stesso Arnaldo l’introduzione dalla tradizione araba della trementina e dello spirito di vino) ; come sostanza saponificante e ritardante della carbonatazione degli affreschi e dell’encausto (Plinio e Vitruvio) ; come impermeabilizzazione delle superfici dipinte a calce, mescolato con l’intonaco oppure negli stucchi con mastice e cera (Alberti, de re aedificatoria ): come alleggerimento, in opposizione al "lardo" nei calcestruzzi (F. di Giorgio Martini Trattati, 1439) .
Olio di lino privilegiato perché era trasparente. Ma Lotto (Libro dei conti) utilizza quello di noci, che però polimerizza meno rendendo molto difficile il restauro.
Più il pigmento ha peso specifico, più legante assorbe: la biacca ne ha bisogno al 12%, la terra di Siena al 50%. Così più le velature vogliono essere trasparenti, più legante ci vuole
La questione del 1475 (Antonello) termine spartiacque tra tempera e olio è stupida. Plesters (1978) ha analizzato 4 Giambellini (la Preghiera nell’orto, il Sangue del Redentore, la Madonna del prato alla National e san Girolamo di Birmingham): Nella Madonna dell’uovo c’è l’olio essiccativo, nelle altre l’uovo. Ma va considerata nella giusta misura la casualità dei carotaggi e la relazione ammette l’alto numero dei leganti diversi, specifici dei colori.

La lacca. Alcuni restauratori poi sbagliano portando ad olio ciò che andrebbe a tempera o guazzo, soprattutto la lacca. Lacca che va dal rosso al violaceo: la si ottiene da un’essenza lignea ("verzino" per Cennino) che cedeva il suo umore, poi legato ad albume potassico, se posto in infusione. La lacca veniva stesa o su biacca o sul cinabro , un bellissimo rosso naturale, forte, da tempera, che se usato in olio s’incupiva. E non veniva a mai verniciato.

Il lapislazzulo. Lapislazzulo o blu d’oltremare (che veniva dall’oriente) materiale semi prezioso, quindi per le vesti sacre. Veicolato di solito in olio e colla. Compagno dell’oro, dato a corpo (a missione o a conchiglia)

La tecnica in Gentile. Gentile rivoluziona la tecnica veneziana inventandosi un modo di dare il pennello a piccoli tocchi, pointilliste, capace di dare sensazione di morbidezza di grana, come un tessuto: facile ritrovarlo nel seguace Jacopo Bellini (e in Michele Giambono). Michele applicò poi questa tecnica all’oro a missione. Lo ritroveremo in Giovanni, nella Crocefissione Correr (angioletti).

L’uso dell’olio in Giovanni. Contemporaneamente con l’apparire dei grandi polittici (più tempo), appare l’olio. L’effetto si poteva raggiungere con una sola stesura più o meno spessa, al limite lavorando di velatura per un ombra. Rimanendo fluido per giorni, lo si poteva correggere o cambiare di tono mescolandovi dell’altro colore (impossibile con la tempera).
Giovanni poi elabora a sistema la rifinitura dei mezzi toni delle ombre con le dita, a partire all’incirca dalla Pala di Pesaro, che è peraltro principalmente ad olio. Così Cima nella Madonna dell’Arancio dell’Accademia.

La Pala di Pesaro. Enormi innovazioni tecniche : nelle pennellate, nell’uso dello smaltino (tra i primi in Italia: sbriciolio di vetro al cobalto con legante oleoso, dal colore che va dal grigiastro all’azzurro, dona profondità alle tinte chiare. Diverrà molto comune nel Cinquecento, teorizzato da G.B. Armenini : cfr.) per di più su una preparazione colorata.
Curiosamente uno dei pochi che usò poco l’olio a Venezia fu Antonello: nella Pietà Correr ricava li scuri velando il gesso, i chiari coi lumetti, cielo con due azzurri sovrapposti, con tracce di impronte (sulla dx, sopra la chiesa). In più usa l’olio di noce, quindi fragile.

BIBLIOGRAFIA

  1. Merrifield Original Treatises dating from the XIIth to XVIIIth cent. In the art of Painting London 1849 (raccoglie ricette)
  2. Lotto Libro di spese diverse edito da p. Zampetti, Ve-Rm 1969 (in filigrana)
  3. Eastlake C.L. Notizie e pensieri sopra la pittura ad olio trad. di G.A. Bezzi, Livorno-Londra 1849
  4. M. Barash Light and color in the italian renassaince theory of art New York 1978 pp. 90-134
  5. P. Hills The light of the early italian paintings New Haven & London 1987 (ultimi due sull’aspetto generale dei dipinti veneti)
  6. Plesters in National Gallery Technical Bulletin, 2, 1978
  7. La pala ricostruita, catalogo della mostra di Pesaro, Venezia 1988
  8. Relazioni di restauro in Lorenzo Lotto a Treviso, catalogo, Treviso 1980, pp. 119-123