Capitolo 37: Infine a
Ten-Lah
Erano passati alcuni minuti da quando li avevano buttati in mare, ma tanto ci volle a Kalos e Kuon per riemergere, e lì trovarono Sairon inginocchiato dinanzi ad una figura incappucciata.
“Questi due idioti?”, domandò la voce spaventosa sotto il cappuccio, “Due dei suoi servitori che lei ha dato a me, mio sommo signore”, rispose prontamente il Domatore di Serpenti di Mare, “Che spreco di tempo il mio, utilizzare pedine così incapaci, quasi mi deludo di me stesso, anziché di voi altri, ma, siccome il piano del Sommo è ancora attuabile, non ci sono problemi per ciò che è appena accaduto, già sento i nostri nemici allontanarsi, ma questo non è grave”, spiegò l’essere, voltandosi verso i meandri della foresta.
“Sommo Padrone, noi vorremmo scusarci”, balbettò Sairon, senza alzare il capo. L’essere si voltò di scatto ed aprì una pallida mano sull’ex sommo Sacerdote, “Scusarvi? Come osi anche solo aspirare a tanto? La tua unica fortuna è che il compito che vi avevo affidato non è ancora concluso”, ringhiò la figura incappucciata, mentre delle spire d’erba circondavano il corpo del Domatore di Serpenti Marini, gettandolo al suolo dolorante.
“Mio signore”, s’intromise allora Chiron, ripresosi ed inginocchiatosi, “come possiamo procurarvi i tre Tesori adesso? Oltre i guardiani ed i sette provenienti da Aven, vi sono anche gli altri naviganti, se si coalizzassero, o se, sconfitti i mostri del luogo, non fossero poi così indeboliti da essere facili prede per noi?”, domandò il Centauro, con voce titubante.
L’essere incappucciato sollevò per i capelli il volto di Chiron, “Da questi, che un tempo furono uomini ignari, mi aspettavo tanta titubanza, ma da uno dei servitori del grande esercito di Centauri, avrei creduto di trovare della saggezza e della determinazione maggiori”, ringhiò, gettando al suolo l’interlocutore.
La figura si portò al centro, fra i sette naviganti al servizio della Lutibia e, una volta ripresosi tutti, li scrutò, uno per uno, senza mostrare nemmeno un lineamento del suo corpo.
“Sembra che voi sette non siate a conoscenza nemmeno di quelli che sono i vostri doveri, oltre che di ciò che vi supera per importanza”, esordì l’essere, “non vi è mai stata data la possibilità di decidere, né la vostra fedeltà ad altri regni o uomini è di mio interesse, quello che adesso veramente importa è solo un particolare, che mi vedo costretto a sottolinearvi”, spiegò l’individuo, mentre il terreno intorno ai sette si apriva, mostrando nere fiamme ed agapi pungenti.
“Voi non siete tornati sulla terra per un mio momento d’insensata benevolenza, bensì per servire chi mi comanda, perciò non vi è concesso farvi domande, o avere dei piani, a voi è dato solo di eseguire gli ordini ed il mio ordine è piuttosto semplice. Andate alla sponda orientale dell’Isola, l’unica su cui non troverete altri naviganti e lì troverete chi vi condurrà a fare il volere del mio padrone, un mio confratello Idra, un’altra delle Nove Teste”, tuonò la creatura incappucciata.
“Mio signore”, balbettò allora Sairon, “Ed il Custode della Costa Orientale? Dobbiamo ucciderlo?”, domandò preoccupato il Domatore di Serpenti marini, “Non è un problema vostro, come scoprirete quando sarete arrivati”, concluse l’essere, scomparendo nel terreno.
Passarono alcuni minuti in cui le agapi tormentarono i corpi dei sette, poi, alla fine, li lasciarono, gettandoli al suolo feriti.
“State tutti bene?”, domandò allora Palion, rialzandosi a fatica, ma nessuno degli altri gli rispose, anzi, Sairon, sorpassò la sua voce con un ordine perentorio: “Avete sentito il Padrone? Bene, allora muoviamoci, la costa Orientale ci attende”, sentenziò l’ex sommo sacerdote, mentre i suoi serpenti di mare già apparivano sulla superficie acquatica.
“No”, esordì allora Palion, “Che cosa?”, tuonò in tutta risposta Kuon, voltandosi verso il giovane figlio di Priaso, che non si muoveva dalla sua posizione, “Non verrò con voi, poiché questo non è fatto per il bene di mio padre e del mio popolo, ma per aiutare qualcuno di diverso”, spiegò il ragazzo vegetale.
“Palion, amico mio”, esordì allora Sairon, “non ricordi chi fu la prima persona che vedesti appena ritornato alla vita?”, domandò, “Si, mio fratello Axides”, rispose l’altro con voce titubante, “E cosa ti consigliò?”, incalzò l’ex sommo sacerdote di Possidos, “Di seguirti, perché al tuo servizio ero disposto come membro della famiglia reale della Lutibia. Che colui che ci aveva riportato alla vita era alleato del nostro regno e suo personale amico”, ricordò il giovane figlio di Priaso, “Esatto, quindi per quale motivo, adesso, a pochi passi dalla meta agognata, sia da noi, sia dal tuo popolo, ti dimostri contrario a seguire quelle parole? Pensi forse che tuo fratello fosse così stupido da farsi ingannare?”, lo ammonì con tono curioso il Domatore di Serpenti Marini, “No, non lo penso affatto”, concluse il ragazzo, “Allora partiamo”, ordinò con voce elegante l’altro, tornando al proprio destriero marino, subito seguito dal giovane uomo vegetale.
Il mattino stava ormai diventando pomeriggio sul mare, la nave degli Arvenauti già era prossima alla meta del suo viaggio, il luogo che tanto avevano anelato di vedere i sette, l’Isola che solo le divinità potevano chiamare Ten-Lah.
Odisseus osservava l’orizzonte dal ponte, accanto a lui, Argos ed Atanos, il primo intento a studiare delle carte, mentre il secondo governava la nave, finché anche Eracles non salì in coperta.
“Come sta Pandora?”, domandò il Navigatore, voltandosi verso il figlio di Urros, “Sembra che si stia riprendendo, parlava di un essere malefico, qualcosa che aveva scatenato il suo sciame, una tortura incontrollabile. Le ho dato dell’altra acqua e per ora sta dormendo, almeno è tranquilla”, spiegò con voce cupa il giovane, “volete che vada a dare il cambio ad Iason ed Acteon? Forse se remassi io arriveremmo prima alla riva”, propose il ragazzo.
“Non preoccuparti, non c’è fretta di arrivare, soprattutto se uno di noi sette non ha la forza per combattere i pericoli che lì troveremo, inoltre penso che non avresti la concentrazione necessaria per compiere a pieno il tuo lavoro di rematore, non è così?”, domandò ironico il Navigatore, appoggiando una mano sulla spalla al ragazzo.
Eracles rimase in silenzio, accennando un sorriso titubante, “Torna pure da lei”, lo spronò Odisseus, spingendolo verso la porta che portava alle stanze dei sette.
“Argos”, esordì pochi minuti dopo il Navigatore, “Cosa vedi nei dintorni?”, domandò.
Il Guardiano alzò il capo e sembrò osservare deciso dinanzi a se, “Già vedo la nostra meta, un’Isola piuttosto piccola, costituita una spiaggia, che circonda da tutti e quattro i lati una piccola zona che è…”, iniziò a spiegare Argos, prima di fermarsi stupito.
“Cosa succede?”, domandò Atanos, “L’Isola non ha una selva, ma sembra costituita da una grande grotta, o almeno una collina vuota all’interno, come se fosse un castello mimetizzato nella collina”, spiegò sorpreso il Guardiano, “Probabilmente gli dei Supremi vollero creare quest’inganno per i meno preparati a raggiungere questo luogo. Ci sarà però un’entrata”, suppose Odisseus.
“Si, c’è una cosa simile ad una torre sulla cima della collina, direi che, giudicando la forma romboide dell’Isola, dovrebbe essere al centro, ad eguale distanza da tutte le coste”, spiegò Argos, “probabilmente ad immettersi dalle grotte stesse ci si perderà facilmente”, concluse il Guardiano.
“Noi, tanto, non rischieremo nemmeno. Comunque ho bisogno di altre informazioni, amico mio”, continuò Odisseus, “Chiedimi pure”, replicò l’altro, “Prima di tutto, ci sono quattro esseri disposti alla guardia delle diverse spiagge?”, domandò il Navigatore, “Si, di alcuni riesco solo ad intravedere la figura, ma uno è proprio qui, dinanzi a me, in linea d’aria, una figura azzurra, armata di una strana arma molto affilata”, rispose prontamente il Guardiano.
“Un’ultima cosa, la più importante, vedi altre navi avvicinarsi?”, aggiunse alcuni attimi dopo Odisseus, “Si, da Nord vedo arrivare la nave di Tyrion”, rispose dopo essersi voltato Argos, “e da Sud ne arriva un’altra, con i simboli del dio Rikka, quattro esseri, non del tutto umani, vi sono a bordo”, concluse.
“Quindi è tutto come temevamo. Ci sono i Custodi delle Coste, gli altri naviganti ed in più, almeno che quell’essere oscuro non ce li abbia tolti di torno, ci saranno anche i sette che abbiamo già incontrato”, concluse Odisseus, andandosi a sedere.
“Parlando proprio di quell’essere oscuro? Siamo sicuri di poterlo affrontare se ce lo troviamo davanti?”, domandò Atanos, rivolgendosi ai due, “Troppo poco ancora sappiamo dell’Idra Nera per preparare un piano con cui difenderci dai loro attacchi”, rifletté Odisseus, voltandosi verso l’Immortale.
“La Regina delle Axelie ci disse che erano in Nove e che uno di loro li aveva riportati alla vita, verosimilmente lo stesso che ha risvegliato i sette naviganti nostri nemici. Un essere la cui presenza produce terrore, per la rabbia che trasmette”, ricordò Argos.
“Sappiamo però di non essere i loro unici nemici, poiché le parole di Tyrion ci hanno rivelato che almeno un essere dal potere demoniaco gli è avverso, oltre all’esercito di Rikka. Di certo questi dell’Idra Nera vogliono per se i Tre Tesori, per questo cercano di fermarci tutti quanti, indebolendoci o rallentandoci. Non saranno alleati né dei Tulakei, né degli dei dell’Asjar”, suppose Odisseus.
“Si, anche Tsun Ta, a Midian, mi avvisò che delle entità terribilmente malvagie si erano risvegliate in quest’era, le stesse che avevano convinto Zion a non abbandonare mai i suoi possedimenti per conquistare altre terre”, continuò Atanos, “Ma abbiamo poi scoperto che lo stesso signore di Midian non era altro che un mero pupazzo nelle mani di queste forze oscure”, continuò il Navigatore.
“Ma se l’Idra Nera vuole i Tre Tesori, allora perché manda solo quei sette? Per di più servendosi del regno di Lutibia per celarsi a tutti?”, domandò allora Atanos, “Di certo non vogliono esporsi in prima persona, d’altronde nessuno di noi né ha mai visto uno di questi fantomatici Nove esseri, non sappiamo nemmeno che aspetto abbiano”, rispose prontamente Argos.
“Sicuro che non ci sia alcuna terribile forza oscura sull’Isola?”, incalzò allora Odisseus, “No, sento una forza potente e violenta, ma ha in se qualcosa di troppo soave, è una fonte di luce accecante, quasi che voglia rubare la luminosità al resto del mondo per brillare, ma immagino sia uno dei tre Tesori, oppure uno dei loro guardiani”, rispose l’ex semidio.
“Allora, probabilmente, non dovremmo avere problemi con queste Teste dell’Idra, seppur non mi sento di scartare questo tipo di pericolo, ad ogni modo, domattina all’alba dovremmo essere lì e lo scopriremo solo allora”, concluse Odisseus.
Il resto del giorno passò tranquillo sulla nave degli Arvenauti, Atanos andò ad aiutare Iason ed Acteon nell’operazione di remare, mentre Odisseus prendeva il suo posto alla guida, ascoltando, intanto le spiegazioni di Argos su ciò che riusciva a vedere avvicinandosi sempre di più all’Isola.
Solo Eracles passò l’intera giornata senza alcuna fatica per il corpo, rimase sveglio fino a notte fonda su una sedia, nella stanza di Pandora, a vegliare sulla giovane maledetta da Urros, finché, quando ormai la luna era alta in cielo, anche il figlio del dio Supremo fu assalito da sonno, addormentandosi su quella sedia da cui aveva osservato la degenza di quella che per lui era più di un’alleata.
“Svegliati, Eracles”. Furono queste le parole con cui il giovane figlio di Urros si riprese dal sonno in cui era caduto, un sonno profondo che non gli aveva permesso di comprendere lo scorrere del tempo.
Quando aprì gli occhi, il ragazzo, vide Pandora, sorridente, sporgersi verso di lui. Balbettò qualcosa il giovane, cercando di rialzarsi, era caduto a terra durante la notte, come comprese, vedendo la sedia al suolo, vicino ai suoi piedi; “Mi hai vegliata ieri, vero?”, domandò la Signora del Nero Sciame, fermando le parole di lui con un gesto, “Si”, balbettò semplicemente lui, “Ti ringrazio, mai nessuno, da quando sono diventata ciò che sono, aveva mai fatto tanto per me, tutti temevano questo nero sciame che mi rode la mente ed il corpo”, spiegò lei con voce triste.
“Ora come stai?”, chiese lui, con voce timida, “Tutto bene, grazie”, rispose gentilmente Pandora, sorridendo al ragazzo, che chinò il volto, per evitare lo sguardo di lei, “Prego, lo avrei fatto per chiunque, specialmente per te”, sussurrò Eracles, quasi a voler mozzare quelle parole prima che uscissero dalla sua bocca.
“Perché è colpa di mio padre se…”, cercò di spiegare il figlio di Urros, probabilmente per togliersi da quella situazione imbarazzante, ma fu subito fermato da un altro gesto di Pandora, “Non serve che il figlio di Urros, signore dei Cieli, dagli immensi poteri, si prenda responsabilità non sue. Non devi rivolgere a me tante attenzioni solo per una compassione portata dal tuo retaggio”, spiegò la giovane, “No, non è per quello”, rispose l’altro.
Pandora accarezzò il volto di Eracles, “Sei giovane ed innocente, non conosci odio e violenza, forse è per questo che quando sono vicina a te sento una profonda nostalgia del mio lontano passato ed anche di questo ti ringrazio, di essere qui, perché con te posso sorridere”, tagliò corto la Signora del Nero Sciame, sorridendo di nuovo al giovane.
“Terra!”, urlò in quel momento una voce dalla coperta della nave, riportando i due alla realtà in cui erano.
“Penso sia meglio salire”, propose la giovane maledetta da Urros, “Si”, rispose il figlio della divinità suprema, “Però, forse, prima dovresti andare a dare una sistemata, una nottata sul pavimento non ti ha fatto bene all’aspetto”, gli suggerì Pandora, prima di fare qualcosa di inaspettato. Si avvicinò infatti la giovane maledetta al volto di Eracles e lo baciò sulla guancia, “Grazie ancora”, gli disse, prima di allontanare, lasciando il ragazzo lì, fermo, in mezzo alla stanza.
Pochi attimi dopo, però, un rumore di battere di mani fece riprendere Eracles, “Bravo, ragazzino, per fortuna né Atanos, né Iason hanno voluto scommettere, altrimenti avrei perso, non ti facevo così intraprendente da dormire in questa stanza, seppur, sul pavimento”, concluse con tono deluso Acteon, prima di scoppiare in una risata.
Eracles non si curò di quelle parole ironiche, andando subito nella sua stanza, per cambiarsi e prepararsi allo sbarco più importante, quello su Ten-Lah.
Quando tutti e sette furono sulla coperta dell’imbarcazione, poterono osservare l’Isola che tanto avevano atteso di raggiungere. Era effettivamente romboidale nella forma, nemmeno tanto grande doveva essere, giacché, con facilità tutti riuscivano a vedere sia la punta settentrionale sia quella meridionale, una grande collina, però, impediva di vedere la costa opposta a quella dove loro stavano sbarcando.
“Bene, Arvenauti, siamo giunti infine alla meta del nostro viaggio, il luogo che tanto abbiamo sperato di raggiungere, dove forse troveremo tutti ciò che cercavamo, cure, forze, speranze ed i Tesori da consegnare a Ruganpos”, esordì Odisseus, “non sarà però una passeggiata, già si pone dinanzi a noi il primo pericolo, il Custode della Costa, uno dei quattro guardiani posti di comune scelta dagli dei Supremi. Oltre lui, vi sono le creature a difesa dei Tesori ed in più gli altri naviganti, di cui di certo avrete notato le navi sulle altre coste”, continuò il Navigatore, indicando due imbarcazioni che come loro si stavano avvicinando alle coste.
“Malgrado tutto questo, però, vi assicuro che noi ce la faremo, non perché gli dei ci saranno favorevoli, ed agli altri saranno avversi, né per un fortuito volere del destino, bensì perché noi abbiamo dalla nostra una forza senza pari, quella di sette Naviganti del Mito, siamo uniti da un’amicizia ed una fiducia reciproca che si è sviluppata nel tempo, abbiamo furbizia, vista, udito, forza, velocità, resistenza e potenza, siamo completi di ogni dote necessaria per compiere un’impresa del genere, quindi dovremo riuscire”, concluse Odisseus, mentre i suoi sei compagni emettevano urlano, capaci di lasciar intuire la loro determinazione.
Sulla nave proveniente da Asjar, anche Tyrion aveva fatto un discorso ai suoi tre seguaci, ricordando loro i doveri che li univano al popolo che attendeva l’avvento dei Tre Tesori e la liberazione di Tirand, i doveri di tutti e tre verso Odath e verso le genti mortali e spronandoli quindi a dare il meglio, non solo per se stessi, ma anche per chi li aveva scelti.
Sulla nave proveniente dal Rihad, invece, Seala aveva avvisato Oslo e Kaar di non far agitare troppo il loro comandante Sokar, combattendo al meglio possibile per la riuscita dell’impresa e per non rischiare loro stessi la vita, in caso di uno scatto d’ira di chi li guidava, tutto questo mentre lo stesso Guidatore della nave sacra a Rikka osservava la spiaggia dinanzi a loro.
Così, dette tutte queste parole, i tre gruppi ammainarono le vele e calarono le ancora, per poi scendere sulle diverse rive di Ten-Lah, pronti a sfidare il destino e la volontà degli dei, contro i nemici, che subito si pararono dinanzi a loro.