Capitolo 42: Divisi

 

Iason si riprese pochi secondi dopo la caduta, era solo, in una grande selva, una zona piuttosto ampia, ricca di vegetazione, si guardò intorno e sopra di se aveva solo pietre. Probabilmente si trovava in una caverna, una zona sotterranea alla collina, dove si sarebbero dovuti trovare le tre bestie custodi dei Tesori.

Era vivo ed illeso, ma intorno a se vedeva solo quell’ampia selva, non distingueva alcuna via, né quella da cui vi era arrivato, durante il crollo della sala causato dalla Regina dell’Isola, né una per uscire da quel luogo. “Meglio muoversi da qui”, si disse il Guerriero, alzandosi in piedi ed iniziando ad avanzare nella strada che si apriva dinanzi a se, finché non vide un’ombra al suolo e, avvicinatosi con circospezione, trovò Brulde al suolo, svenuta.

Alla mente del Guerriero di Aven tornarono le immagini dello scontro avvenuto mentre lui era incapace di muoversi, aveva visto le tre guerriere affrontare Gyst, per poi essere soccorse da Atanos e da quel guerriero del Rihad, l’essere che dominava la sabbia.

“Guerriera del Nord”, esordì l’Arvenauta, scotendola con ambo le mani, “sei ancora viva?”, domandò diverse volte, cercando di risvegliare l’Hellekia, che appariva stordita e ferita.

“Si, certo che sono viva, ora però smettila di scuotermi”, replicò infastidita Brulde, dopo alcuni minuti, riprendendosi lentamente.

“Cos’è successo?”, domandò la guerriera dell’Asjar, “Dopo che sei stata atterrata dalla Regina dell’Isola, Atanos e quell’altro tizio vestito di nero del Sud sono giunti in soccorso di Pandora e di quella Gatta, poi però quella Regina ha scatenato un urlo, distruggendo l’intero suolo ed ora ci troviamo qui, in questa specie di fossa verdeggiante e non so come uscirne”, spiegò l’Arvenauta, “Capito”, replicò l’Hellekia, “allora è meglio muoverci”, sentenziò Brulde, iniziando a camminare lungo quella stessa strada, finché un rumore di zoccoli non la fermò, “Hai sentito?”, domandò la guerriera.

“Si, forse c’è qualcun altro dentro questa grotta, ma temo che non sia un alleato, anzi il rumore di questi zoccoli mi ricorda un nemico passato, che temo di rivedere”, osservò Iason, guardandosi intorno, mentre il rumore diventava sempre più acuto.

 

Fu Eracles il secondo a riprendersi, era anche lui in una grotta, o in quella che gli sembrava una grotta, ma piuttosto ricordava una voragine senza fine. Era una sottile striscia di roccia che si apriva come un ponte intorno al vuoto, ad un lembo di oscurità, dove l’occhio del figlio di Urros si perdeva, incapace di distinguerne la fine.

“Dove mi trovo?”, si chiese l’Arvenauta, memore di ciò che era accaduto sulla superficie interna della collina, infuriato per non essere stato di alcun aiuto a Pandora ed all’Immortale, e preoccupato per il destino dei suoi compagni in quel luogo dove la potente Idra Nera che ammaliava era ancora capace di mietere vittime.

Corse a perdi fiato il figlio di Urros lungo quella stretta via, finché non notò una mano, appoggiata alla superficie e sentì una voce, “Chiunque tu sia, se sei fedele al dio Tyrion, o al sacro Odath, dammi una mano”, esordì la voce, prima che Eracles gli si avvicinasse: era Roan.

“Guerriero del Nord, prendi la mia mano”, esordì il giovane Arvenauta, “Ti ringrazio, guerriero dell’Oleampos”, replicò l’invulnerabile.

“Tu sei Eracles, il figlio del divino Urros, esatto? Ti ringrazio di avermi aiutato”, esordì poco dopo Roan, di nuovo in piedi sull’esile strada, “Prego, amico, ma non servono tutte queste lodi con me, sono un semplice Arvenauta, un navigatore dell’esercito dell’Oleampos, figlio di Urros e pronto a tutti per conoscere mio padre e salvare i miei compagni, che temo in pericolo, al momento”, spiegò il giovane, guardando la strada intorno a se.

“Sì, anch’io temo per il bene di Brulde e del divino Tyrion, ho visto di cosa è capace quella donna, una nemica che paralizza i corpi degli uomini e degli dei, con offensive maggiori di qualsiasi guerriera le si possa porre dinanzi”, concordò con tono altrettanto preoccupato Roan, proponendo con un gesto al suo salvatore di seguirlo, “proseguiamo su questa via, spero sia quella giusta”, affermò il guerriero Invulnerabile, prima di avanzare lungo il corridoio.

Una risata, però, fermò i due, “Ho già sentito questa voce”, affermò Eracles, “Appartiene ad un alleato?”, domandò incuriosito Roan, “Non esattamente, ma ad un parente lontano”, balbettò il figlio di Urros, guardando la sagoma dinanzi a lui in quel corridoio di pietra.

 

Anche Argos si riprese. Il semidio era in un gigantesco labirinto, i suoi occhi vedevano un gigantesco numero di muri e vie che si incrociavano, combinando diverse strade intorno al punto in cui si trovava il Guardiano. “Non vedo nessuno qui intorno”, pensò fra se Argos, incapace di trovare gli altri Arvenauti, o uno dei guerrieri degli eserciti dell’Asjar o del Rihad. Qualcosa però si mosse alle sue spalle, Argos vide un fulmine muoversi in orizzontale attraverso i muri, frantumandoli uno dopo l’altro, fino a raggiungerlo. Il Guardiano chinò rapidamente il capo, vedendo avvicinarsi quell’oggetto, che lo evitò, quasi non fosse lui il suo bersaglio, frantumando anche il muro dinanzi ad Argos. Pochi attimi dopo, però, il fulmine si fermò, provocando un tuono, a quel punto il Guardiano si decise ad avanzare e si diresse verso il luogo in cui l’oggetto si era bloccato e qui vide una figura che si stagliava suprema, sostenendo la propria arma fra le mani.

“Divino Tyrion”, esordì l’ex semidio, che solo vedendo il figlio di Odath aveva compreso che l’oggetto volante, simile ad un fulmine, da lui evitato, era in realtà il martello della divinità, “sta bene?”, domandò Argos.

“Si, Guardiano di Urros, tutto bene, e tu?”, replicò la divinità dell’Asjar, guardandosi intorno, “Tutto bene, un po’ scosso e privo dei miei compagni di viaggio, ma illeso, mi chiedo solo dove siano gli altri”, affermò Argos.

“Cosa vedi?”, domandò allora Tyrion, “Sopra di noi c’è la grande sala in cui quella donna, la Testa di Idra dall’aspetto incantevole, ci aveva bloccato. Ormai la sala è vuota, non c’è né quella donna, né alcuno dei nostri compagni di viaggio. Intorno a noi, attraverso questi muri, ci sono di quando in quando delle impronte, ma, a parte quelle, niente, né figure sdraiate al suolo, né esseri che…”, iniziò a rispondere l’Arvenauta, prima di fermarsi. “Che succede?”, domandò allora Tyrion, “Qualcuno si sta avvicinando, di corsa, frantumando tutto ciò che si trova lungo la sua strada e non è di certo uno dei nostri alleati, anzi, tutt’altro, un mio vecchio nemico e colpa”, spiegò il Guardiano, indicando la via da cui si avvicinava la figura maestosa.

 

Sulla Costa Orientale dell’Isola, Byak’O osservava il mare, in attesa di sapere cosa fosse successo. Anche lui aveva sentito le urla portentose di Gyst, sapeva bene che erano segno di una portentosa battaglia scatenatasi all’interno dell’Isola. Un brivido scosse il corpo del guerriero nel ricordare la potenza delle Teste d’Idra che diversi anni prima avevano invaso Ten-Lah, distruggendo le Bestie a custodia dei Tre Tesori e prendendo i Quattro Custodi come prigionieri.

“Ricordi passate avventure, mio ultimo Custode?”, domandò a quel punto una leggiadra voce femminile alle spalle di Byak’O, “In qualche modo sapevo che saresti venuto a cercarmi. Dimmi che vuoi, Gyst, ammaliatrice maledetta, che ha portato alla morte dei miei compagni di prigionia”, esordì il Custode, senza voltarsi.

“Sai bene che basta la mia voce per controllarti, quindi, ora che uno degli sgherri di mio fratello si è lanciato contro uno dei tre invasori, tu ti occuperai di un altro di loro ed a me lascerete il terzo”, ridacchiò la malefica e bellissima creatura.

“Sei impazzita?”, tuonò la voce di Byak’O, “Se mi muovessi di qui, l’Isola crollerebbe in circa un’ora!”, ringhiò il guerriero, voltandosi con mani brillanti d’oro, per poi spegnerle, quando la bellissima Gyst si pose ferma dinanzi a lui.

“Cosa vuoi fare, mio bel Custode? Vorresti affondare i feroci artigli nelle mie tenere carni? Vuoi strappare via la vita che alita il mio tenero respiro, come si fa con una bellissima rosa in un giardino?”, domandò la Regina, accarezzando con le delicate mani il volto di Byak’O, a cui si avvicinava sempre di più, mentre il guerriero lentamente si chinava in ginocchio.

“Lo vorrei, ad essere sincero, ma il mio corpo non può minimamente muoversi in un modo contrario al tuo volere”, sentenziò l’uomo dai tatuaggi di Tigre, “Se ti può dare più soddisfazione delle mie carezze, la tua determinazione è immensa, sei colui su cui meno ha effetto la voce tenera che ti propongo fra gli uomini con anima di quest’Isola, ti darei grazia della vita, se non mi servisse per il compito datoci dal nostro Signore”, si congratulò Gyst, dando poi un soffice bacio sulle labbra del Custode, il cui corpo si irrigidì e le iridi si spensero, mentre le labbra di lei sfioravano le sue.

“Ora vai”, ordinò l’Idra, allontanando il proprio capo da quello del servitore, “Uccidi in mio nome”, concluse. “Si, mia Regina”, replicò la gelida ed apatica di Byak’O, che ora sembrava un mero pupazzo, guidato dal volere della propria marionettista.

 

Pandora vagava silenziosa nel lungo corridoio che aveva trovato dinanzi a se, un lungo e sottile tratto di roccia, circondato da immensi e neri abissi, in cui la Signora del Nero Sciame non distingueva alcun limite. Avanzava silenziosa l’Arvenauta, nessuno sembrava essere nelle vicinanze, almeno nessun alleato, giacché dei passi rumorosi si dirigevano verso di lei, nella direzione opposta, passi, che ben presto presero forma, quella dell’immenso uomo scorpione.

“Tu?”, ringhiò proprio Kaar, vedendo la giovane maledetta da Urros, prima di tentare di colpirla con la possente coda appuntita. Pandora, però, fu più veloce e, divisasi nel nero sciame, circondò il nemico, bloccandolo, “Ti consiglio di stare calmo, gigantesco scorpione, se non vuoi che lo sciame oscuro ti torturi, costringendoti ad affogare nell’abisso sotto di noi”, avvisò la voce della giovane, dal nero ronzare, prima di ricomporsi dinanzi al nemico.

“Tu sei al servizio di quella donna Gatto e di quell’altro essere”, esordì pochi attimi dopo Pandora, “immagino tu abbia visto la nostra alleanza momentanea, quindi, se non vuoi rischiare la vita, in questo piccolo baratro, combattendomi, lasciami passare e continua lungo la tua strada, se vuoi”, minacciò prontamente la giovane, mentre il nemico la osservava silenziosa.

Kaar si guardò intorno, pensando a ciò che aveva visto mentre era paralizzato, fiutò poi l’aria il gigantesco uomo scorpione, poi, con un gesto della mano invitò la guerriera a passare, “Avanza pure lungo la tua via, hai aiutato Seala e lord Sokar, non meriti di morire per mano mia, anzi forse potrei anche considerarti un’alleata, per ora”, sentenziò il guerriero del Rihad.

Lo sciame nero si scompose, passando intorno a Kaar, per poi ricomporsi alle sue spalle, “Ti ringrazio, guerriero del Sud, ma permettimi una domanda”, esordì poco dopo Pandora, guardando le zampe maestose del mezzo uomo, “Come fai a camminare su questo sottile corridoio di pietre? A malapena i miei piedi vi entrano”, osservò la Signora del Nero Sciame, “C’è una strana ragnatela intorno a questi sassi, non te ne eri ancora accorta? Ci posso tranquillamente appoggiare i piedi”, spiegò Kaar, guardando sotto di se.

Pandora guardò il suolo e finalmente notò anche lei quella tela intorno al corridoio, “Guerriero del Sud, se non desideri essere messo in mezzo in uno scontro fra nemici per metà insetti, allontanati, perché temo che fra poco arriverà un essere a me avverso e probabilmente anche a te”, esclamò la Signora del Nero Sciame, guardandosi intorno in quell’oscuro terreno dove anche Eracles si trovava, insieme a Roan.

 

Acteon si svegliò pochi attimi dopo la caduta, era in una piccola selva, un territorio completamente verdeggiante. Quando si alzò, il Cacciatore, iniziò a fiutare l’aria intorno a se, c’era un misto di diversi odori, metallo, odori umani, di animali e di altro, creature che non potevano essere definite in alcun modo preciso.

“Chissà dove sono gli altri? Qui sento a malapena l’odore del Guerriero di Aven, ma di Atanos e gli altri non c’è il minimo sentore. Mi chiedo dove siano finiti”, pensò fra se il Cacciatore, iniziando a camminare lungo il terreno verdeggiante.

Acteon, però, si fermò poco dopo, “So che sei qui, ti ho visto prima combattere e ho percepito il tuo odore, mi sei venuto così vicino che non penso di potermi sbagliare, poi ci sono fin troppe tracce di te per nasconderti. La puzza di sangue che si confonde con l’arido odore di sabbia, la stessa che si è ormai sparsa intorno a me qui sul terreno”, osservò il Cacciatore, guardando intorno a se, “non ricordo il tuo nome, ma mi pare che la Gatta ti chiamasse Lord, quindi devi essere qualcuno di importante, ma uccidermi non ti darà alcuna soddisfazione, soprattutto, perché oltre me nessuno può farti uscire di qui”, concluse l’uomo maledetto da Ritmed, prima di scappare con un agile salto dalla morsa della sabbia, appoggiando tutte le zampe sul terreno, mentre già l’arido terreno sommergeva quello verdeggiante, ritornando all’assalto.

“Non mi hai capito allora? Senza di me da qui non scappi”, esclamò Acteon, mentre la figura di Sokar già appariva dalla selva, “Non mi interessa”, esordì il Demone del Sud, “ti ucciderò perché mi va, ho il diritto di eliminare chi desidero”, ringhiò il guerriero del Rihad il cui viso sembrava trascendere un’immane follia.

“Avevo immaginato che fossi un po’ pazzo”, esclamò il Cacciatore, evitando un altro assalto della sabbia, “ma ti propongo di attendere Atanos, che sembra essere più adatto a combatterti”, ridacchiò il Cacciatore, prima di fiutare un altro odore noto. “Hai detto di uccidere chi ti va, giusto? Bene, allora preparati perché oltre me qui c’è un nemico che potresti trovare altrettanto divertente uccidere”, esordì Acteon, prima che la sabbia si fermasse, “Chi? Il tuo compagno che regge il mio potere?”, domandò Sokar, guardandosi intorno, “No, ma quelle edere che si allungano tuttora preannunciano la presenza di un altro nemico”, avvisò l’Arvenauta, indicando una lunga rampicante sul terreno.

 

Atanos, anche dopo la caduta, era rimasto illeso, si guardava intorno l’Immortale, rendendosi conto di essere finito in uno strano labirinto, quando sentì un lamentarsi, una figura che si avvicinava decisa.

“Stai calmo, guerriero, ho visto di cosa sei capace e di certo non sarò così pazza da attaccarti”, esordì allora la figura rivelandosi come Seala, la Donna Gatta del Rihad, “piuttosto potrei esserti utile per trovare l’uscita da questo labirinto, in cui ho sentito diversi odori, alcuni appartenenti ai tuoi compagni, altri ad esseri del Nord ed altri a me ignoti”, avvisò la giovane guerriera del Sud, alzando le mani in segno di resa.

“Non preoccuparti, non sono solito attaccar battaglia per il gusto di farlo, solo se percepisco il rischio della morte, o se mi risulta necessario combatto”, avvisò Atanos, voltandosi verso il muro dinanzi a se.

L’Immortale iniziò ad avanzare verso quel muro, per poi svoltarlo, “Aspetta, come ti ho già detto ho un ottimo fiuto, potrei indicare l’uscita”, esclamò Seala, raggiungendo l’Arvenauta con un agile salto. Atanos, però non si era mosso oltre, un suono sottile e dolce si era fatto avanti al suo orecchio in quel labirinto, “Che succede?”, domandò allora la Donna Gatta, ricevendo un gesto di silenzio dall’Immortale.

In quel momento entrambi sentirono la voce iniziare un dolce e melodioso richiamo, “Taos”, iniziò ad esclamare la voce, “Taos”, continuava a ripetere.

“Che succede?”, incalzò Seala, prima che un’ombra apparisse dietro un angolo, era una donna, “Taos”, ripeté la figura, “Chi è?”, continuò a ripetere la guerriera del Rihad, “Un nemico, malgrado il suo aspetto”, sentenziò semplicemente Atanos, indietreggiando di qualche passo.

 

I tre guerrieri fermatisi sulle diverse coste erano fermi, osservavano il mare dinanzi a loro. Tutti avevano percepito in parte che qualcosa era effettivamente successo sull’Isola, l’urlo, i diversi movimenti sull’acqua e le ombre che rapide erano entrate nella collina. Tutti sospettavano qualcosa, ma nessuno immaginava l’effettivo pericolo, nemmeno dopo che il terreno iniziò a scuotersi, a causa di Byak’O, che già si era allontanato dalla sua posizione, la stessa che aveva ricoperto per decine di anni, con un gesto che segnava la fine dell’Isola di Ten-Lah e forse di tutti gli esseri che erano lì in quel momento.