Capitolo 44: Bontà,
eroismo e solitudine
Eracles e Roan osservavano il nemico che li attendeva sul lungo e sottile ponte. “Kuon, fratello”, esordì subito il figlio di Urros, cercando di dialogare con l’essere che era stato risorto per combattere in nome della Lutibia, “Taci, idiota”, fu, però, la replica che il giovane Arvenauta ricevette, replica che gli impedì ogni affermazione.
“Il grande Roan, guerriero che vanta l’Invulnerabilità, è un piacere conoscerti e lo sarà ancora di più ucciderti”, esclamò subito dopo Kuon, estraendo due spade da delle impugnature sulle gambe, “Ne servono mille, di esseri come te, per battermi, uno solo non sarà di certo sufficiente”, replicò allora il guerriero dell’Asjar, estraendo la propria arma, ma Eracles si pose fra i due, sbalordendoli entrambi. “Sei ritornato alla vita per combattere me, fratello, e per quanto preferirei poter condividere momenti di gioia, più che di reciproco odio e dolore, non posso lasciare che sia costui a combattere per me la battaglia”, affermò l’Arvenauta, lanciandosi all’assalto.
Kuon sorrise al fratellastro, “Povero stolto”, lo ammonì prima di conficcare le spade nel terreno roccioso ed usarle come perno per dare un calcio sul volto all’avversario, che barcollò indietro, senza però cadere dalla stretta via.
“Hai buon equilibrio, questo te lo concedo, ma rispetto al mio vero fratello e me, sei niente. Ricordati che noi abbiamo vinto decine di gare!”, esclamò Kuon prima di scattare in avanti con un agile salto, che terminò in una ruota antioraria, con cui colpì al volto Eracles, facendolo cadere al suolo.
“Stupido ragazzino, come può nostro padre avere maggiore rispetto di te che di me, o degli altri, mi sembra strano, a dir poco stupido”, ridacchiò fra se il guerriero nemico, osservando il fratellastro steso al suolo. “Dimmi, grande Roan, anche tu vuoi fare la sua fine? Steso al terreno sotto la forza dei miei colpi, pronto a precipitare nel vuoto che regna sotto questo ponte?”, tuonò Kuon, tirando un calcio contro il fratellastro, per farlo cadere nell’abisso sotto di loro.
Eracles, però, bloccò la gamba del fratellastro, lanciandolo in aria. Il figlio di Urros riuscì comunque a salvarsi dal volo, stringendo con ambo le mani un margine del ponte e roteando su se stesso, per poi appoggiarsi al terreno e riuscire, con un’abile capriola a rimettersi in piedi, dinanzi ad Eracles.
“Bravo, ragazzino, un po’ di mordente sembri averlo anche tu, complimenti”, concluse Kuon, guardando l’avversario, “ora, però ti sistemo del tutto”, concluse, lanciandosi all’attacco.
Una veloce serie di calci e pugni cercò di raggiungere Eracles, ma il giovane figlio di Urros riuscì con facilità a parare i colpi nemici, fino a bloccare con un deciso movimento la gola di Kuon, sollevandolo con facilità da terra.
“Mi dispiace, fratello, non volevo arrivare a combatterti”, esordì il giovane Arvenauta, “ma deve passare il tempo in cui fuggivo le battaglie, già due volte la mia indecisione ha messo in pericolo i compagni di viaggio che apprezzo e le persone che amo veramente”, affermò deciso il ragazzo, sollevando con ambo le mani il fratellastro.
“Belle parole, ragazzino, ma non per un giovane che è stato da tutti bersagliato come di nascita impura e che neppure il proprio padre ha curato di qualche attenzione”, tuonò infuriato Kuon, appoggiando i palmi sui polsi del fratellastro per farvi leva. Con grande sorpresa Roan vide il giovane nemico roteare intorno alle braccia di Eracles per poi colpirlo al volto con un possente calcio, facendolo barcollare indietro.
“Giovane figlio di Urros!”, urlò allora il guerriero del Nord, notando l’alleato cadere giù dal ponte. “Addio, idiota”, aggiunse a quel punto l’altro figlio di Urros, “Non ti sembra troppo presto?”, domandò allora Eracles, rialzandosi a stento, mentre ancora si sosteneva dal bordo del ponte.
“Aspetta, fratellastro, ti do una mano, a cadere di sotto”, esordì ironico Kuon, avvicinandosi al bordo, “No, tu non farai niente del genere”, esclamò allora Roan, facendosi avanti verso il nemico, con la propria spada in mano.
“Un nemico come si deve”, esclamò il figlio di Urros, guardando il guerriero del Nord che si avvicinava e raggiungendo con un balzo le proprie spade, ancora conficcate nel terreno.
Argos e Tyrion camminavano ancora lungo il vasto labirinto, “Dov’è il nostro nemico, seguace di Urros?”, domandò il figlio di Odath, “Avanza verso di noi con passo deciso”, spiegò allora il Guardiano, svoltando un angolo.
“Piuttosto, divino Tyrion, permettimi una domanda”, esordì pochi minuti dopo l’Arvenauta, “Dimmi pure”, replicò l’altro, “Ti vedo preoccupato, forse per la giovane Hellekia?”, domandò perplesso Argos, “Temo per la salute di tutti i miei compagni, se veramente vi sono dei nemici guidati dall’Idra Nera e se le loro Teste riescono a fermare persino un dio, i loro soldati potranno dar dei problemi ai miei seguaci”, spiegò il figlio di Odath.
“Non ho conosciuto molti dei che si preoccupavano dei propri seguaci, anzi fra i figli di Urros nessuno ha questa dote, se non quando ha necessità di essere servito dagli uomini”, ricordò con voce triste Argos, “No, per me tutti i miei compagni di viaggio non sono devoti servitori, ma fedeli alleati ed amici, che siano mortali, o divinità”, replicò Tyrion, voltando l’angolo e continuando ad avanzare con il Guardiano.
Anche Iason e Brulde avanzavano lungo il terreno che per la loro degenza era stato scelto, i due guerrieri erano silenziosi nella loro camminata. Da una parte vi era il combattente di Aven, preoccupato non tanto per se, quanto per Odisseus, che aveva lasciato sulla spiaggia ferito, e per gli altri compagni, di cui non sapeva il destino, mentre dall’altra, Brulde, aveva piena fiducia nelle doti del suo divino comandante, Tyrion e nella forza del prode Roan, ma non sapeva cosa fosse successo all’altro compagno di viaggio, Garulf, che aveva lasciato ferito sulla spiaggia, con questi dubbi nella mente i due combattenti dell’Ovest e del Nord avanzavano, diretti verso l’uscita, ma anche verso il loro avversario.
Chi invece avanzava velocemente, poiché nessun nemico sembrava volergli più sbarrare la strada, era Atanos, che, guidato da Seala, continuava a correre lungo il labirinto. “Muovi il passo, Immortale, l’aria si fa sempre più pulita, direi che siamo ormai prossimi all’uscita”, esordì la Donna Gatta, “Ne sei sicura?”, incalzò l’Arvenauta, “Si, forse non usciremo in pochi minuti, ma di certo prima dell’ora necessaria ad evitare il crollo della grotta, ce la faremo”, lo rassicurò la giovane, svoltando un altro angolo.
Roan era in piedi, con l’arma puntata verso Kuon, “Ragazzo, mi è stato detto che voi sette siete già morti una volta, quindi posso suggerirti di ritirarti anziché cercare battaglia, se non desideri scomparire di nuovo dal mondo dei vivi”, suggerì allora il guerriero del Nord, ma una risata ironica fu la risposta che ricevette.
“Non prendermi per uno sprovveduto, Invincibile eroe del Nord, primo guerriero di Hinder, orgoglioso stupido, o in qualunque altro modo ti abbiano mai chiamato”, ridacchiò divertito Kuon, sollevando ambo le spade, “ti schiaccerò senza problemi, perché sono stato informato riguardo il tuo punto debole”, concluse pronto ad iniziare la lotta.
“Tu vaneggi, ragazzo”, replicò dopo alcuni secondi il prode guerriero del Nord, “Davvero? Eppure chi ci ha risvegliato ci ha assicurato che Tyrion senza il proprio martello è molto più debole, che l’Hellekia è una semplice mortale, fin troppo piena di se, e che il Kreeb ha delle doti portentose, ma momentanee, per di più capaci di risvegliarsi solo in caso di pericolo. Infine, ci è stato detto che tu, grande Roan, vanto dell’Asjar, non sei del tutto invulnerabile, poiché il giorno in cui ti bagnasti nel sangue di drago, lo stesso che hai ucciso, portavi una copertura per l’inguine, che arrivava a coprire persino l’ombellico e parte dello stomaco, rendendoli quindi vulnerabili”, concluse Kuon, indicando la cinta del nemico, “ma possiamo subito vedere se è vero”, esclamò, lanciandosi in rapido attacco.
Con il piatto della mano, però, Roan deviò l’assalto della lama, senza cambiare minimamente il proprio sguardo deciso, “Chi ti ha detto tutto questo?”, domandò allora il guerriero Invulnerabile, “Un alleato del mio padrone che si nasconde nelle file sacre ad Odath, per ciò che ho potuto capire, ma non era questo che mi importava sapere”, rispose il figlio di Urros.
“Dunque una serpe cova in se il sommo Odath? Dovrò avvisare il mio signore Tyrion una volta usciti da questa caverna”, rifletté fra se Roan, preparandosi all’attacco, “Se può confortarti, sappiamo anche le debolezze dei naviganti del Rihad, poiché anche fra le schiere di Rikka c’è un traditore”, lo avvisò Kuon, lanciandosi di nuovo all’assalto per primo.
Con un veloce movimento Roan deviò la spada destra con la propria, evitando poi, con una veloce rotazione dell’anca, che la sinistra si conficcasse nel suo stomaco. Con un deciso movimento fu poi il guerriero del Nord ad attaccare, colpendo con una gomitata al volto il figlio di Urros, che dovette indietreggiare dolorante, ma subito pronto a ripartire all’assalto.
La carica di Kuon, stavolta, fu più agile, il guerriero, infatti, saltò Roan con una capriola, spostandosi alle sue spalle e tentò di colpirlo con un duplice affondo allo stomaco, ma il combattente del Nord calò le braccia a difesa, così da scheggiare le punte delle spade nemiche, per poi colpire con una testata il giovane avversario, che barcollò ancora una volta indietro.
“Ti ho già detto di arrenderti, giovane non morto. Di certo mi sei superiore per agilità e velocità, ma non hai altrettanta esperienza in battaglia, non sapresti, anzi, colpire un nemico se questi non fosse come Eracles, cioè rallentato da troppi buoni sentimenti, poiché sono questi ad indebolire il cuore del tuo fratellastro, che dovrebbe odiarti come un nemico, ma invece prova per te compassione e rispetto”, lo avvisò Roan, “ma non sperare in altrettanta grazia da parte mia. Io sono Roan, combattente dell’Asjar, primo fra i guerrieri di Nakna, la città sacra di Odath, non combatto per orgoglio o gloria, bensì per il bene del mio regno e della Giustizia che esso mi ha insegnato a rispettare”, concluse il guerriero del Nord, sollevando la propria spada.
“Compassione e Giustizia, che belle parole”, esordì allora Kuon, rialzandosi, “ma dimmi, che compassione ha un dio che, dopo aver fatto dei figli con donne mortali, li lascia fra la gente che non li accetterà mai, facendo della sua stessa prole degli oggetti di scherno e derisione da parte di tutti? E che giustizia è quella che, dopo averti dato un fratello, un gemello, una parte di te, te la strappa, lasciandoti solo e disperso fra esseri che ti disprezzano, forse per gelosia, forse per mera ignoranza? Questi sentimenti non valgono più per me da ormai molti anni, ora vivo per onorare il padrone che mi ha riportato in questo mondo per il solo fine di mostrare la mia grandezza a chi prima mi ignorava, Urros, il padre che nessun uomo vorrebbe avere. Per questo stesso motivo ucciderò prima te, Roan, e poi il mio fratellastro, gettando i vostri corpi moribondi in questo abisso profondo più di sessanta metri, in cui viveva il gigante di metallo custode del Tesoro di Urros, l’oggetto che mio padre aveva lasciato al mondo perché fosse venerato, non deriso come i suoi figli”, ringhiò il giovane figlio del Signore Celeste, lanciandosi all’attacco del guerriero del Nord.
Fu facile per il guerriero Invincibile evitare l’assalto nemico, con un veloce movimento laterale, per poi colpirlo con un calcio alla cinta, che costrinse Kuon a compiere una capriola, per non cadere nel fossato sotto di lui.
“Posso solo immaginare il dolore e la solitudine che ti hanno torturato per tanto tempo, giovane figlio di Urros, ma come ti ho già detto, combattere per la Giustizia del Nord è vitale per me, non posso fermarmi solo per compassione verso di te, quindi, mi dispiace, ma dobbiamo concludere questa battaglia”, concluse Roan, lanciandosi all’assalto del nemico.
Grande fu però lo stupore del guerriero del Nord quando la sua spada trapassò l’aria, affondando nel vuoto, quella che aveva raggiunto non era altro che un’immagine residua di Kuon, “Che cosa?”, ebbe appena il tempo di balbettare prima che una spada penetrasse la sua schiena all’altezza dell’ombellico, trapassandolo da parte a parte, prima di essere ritratta. “Hai ragione, guerriero del Nord, era tempo di concludere la battaglia”, osservò allora il figlio di Urros, mentre il suo avversario cadeva al suolo, grondante sangue.
Sulla costa settentrionale, intanto, Garulf aveva deciso: doveva muoversi, vedere cosa stesse succedendo nella collina. Aveva avuto come una terribile sensazione il Kreeb, non poteva più restare fermo con le mani in mano, quindi si alzò dal luogo in cui era seduto a riposare ed iniziò ad avanzare verso la selva. “Fermo, stupido”, gli ordinò una voce, “se ti allontani potresti segnare definitivamente la scomparsa di quest’Isola”, lo avvisò una figura celata nell’ombra del bosco. “Tu chi sei?”, domandò il guerriero del Nord, cercando un’arma, “Un nemico”, replicò la voce, prima che un bagliore accecante gettasse il Kreeb in acqua, investendolo ad una velocità inimmaginabile.
Anche Odisseus ebbe una terribile sensazione, non era però legata a qualcosa che accadeva solo nella collina, bensì riguardava l’intera Ten-Lah. Qualcosa si muoveva sull’isola ed intorno ad essa, qualcosa di oscuro, che, l’intuizione gli diceva, era legata all’Idra Nera.
Una risata rubò il Navigatore dai suoi pensieri, riportandolo alla realtà, qualcuno si stava avvicinando, ma l’Arvenauta non sapeva da dove, o almeno non lo aveva capito finché non si voltò verso il mare, “Rivelati, nemico, poiché so bene che sei celato nell’acqua del Mare”, tuonò allora Odisseus, guardando lo strato d’acqua dinanzi a se.
Subito qualcosa proruppe, simile ad una colonna d’acqua, e la sua apparizione sposto persino la nave, creando una gigantesca onda, che celò ad Odisseus l’arrivo del nemico, gettandolo al suolo, seppur senza impedirgli di prepararsi alla lotta.
Solo Oslo era ancora seduto, niente sembrava infatti turbare la calma del Mukur, o forse era la creatura che non voleva essere turbata, perché niente lo spingesse ad abbandonare la nave che gli era stata data da custodire, però, qualcosa lo costrinse a distogliere l’attenzione dall’imbarcazione: una risata.
Non maligna come risata, ma anzi dolce e femminile, qualcosa che riusciva a far palpitare persino l’animo trapassato del Mukur, “Chi sei, donna, rivelati?”, domandò allora il guerriero del Sud, guardando un bagliore candido apparire sopra di lui, prendendo le bellissime forme di Gyst.
“Rallegrati, servitore di Rikka, sono la Regina dell’Isola”, esclamò la magnifica e malefica creatura, “Cosa desideri da me?”, tuonò il Mukur, ponendosi in posizione di guardia, “La tua esistenza ed i doveri di Custode, per meglio distruggere Ten-Lah”, concluse con un maligno sorriso la bellissima Testa dell’Idra, pronta alla battaglia.
Nella grotta all’interno della collina, Kuon era ormai pronto a gettare di sotto il moribondo nemico del Nord, ma un rumore glielo impedì, “Che c’è ancora?”, si domandò il figlio di Urros, voltandosi, “Ci sono io, fratello”, tuonò allora Eracles, di nuovo in piedi, che subito colpì il fratellastro con un possente gancio allo stomaco, lanciandolo in aria, fino a scomparire alla sua vista.
“Roan, come stai?”, domandò subito il figlio più giovane di Urros, avvicinandosi all’alleato, “Sono ancora vivo, ma la ferita ha danneggiato qualcosa in più che semplice carne, però non è tempo di preoccuparti di me, devi stare attento al tuo nemico, non far fermare la tua mano dalla compassione, poiché la sua solitudine lo ha venduto al male, egli non avrà pietà alcuna di te”, avvisò il guerriero del Nord, prima che una risata anticipasse il ritorno di Kuon, che atterrò malamente al suolo.
“Davvero bel pugno, fratellastro, sapevo che ti era stata donata la forza, ma non pensava che fosse tanta. Hai frantumato la corazza sottile che mi copriva, riuscendo persino a ferirmi, non gravemente, ma sensibilmente”, ridacchiò il figlio maggiore di Urros.
“So bene di cosa sono capace, seppur odio usare la potenza di cui sono dotato, specialmente contro un mio fratello, qualcuno in cui scorre il mio stesso sangue”, osservò allora il giovane Eracles, “Quale sangue? Io sono solo al mondo, non ho più nessuno da quando il mio vero fratello mi fu strappato, lo stesso vale per te, chi pensi di avere accanto? La solitudine è l’unica cosa che accomuna i figli di Urros!”, tuonò allora Kuon, lanciandosi all’assalto con ambo le spade.
Con un possente pugno Eracles spezzò la prima, senza però riuscire a fermare la seconda, che si conficcò nel quadricipite destro, gettandolo al suolo. “Soli nella vita, fratellastro, ma vicini nella morte che io stesso ti darò”, tuonò allora il figlio di Urros, guardando il giovane Arvenauta, prima di calare contro di lui la lama di spada rimastagli.
Qualcuno intervenne a fermare quell’esecuzione: Roan, che con un agile balzo si gettò contro il nemico, frantumando la sua spada contro la propria spalla invulnerabile, ma, nell’impatto con Kuon, i due persero l’equilibrio, cadendo dal ponte.
Solo un veloce movimento di Eracles impedì che Roan cadesse, poiché il giovane figlio di Urros prese per il braccio l’alleato, sostenendolo nel vuoto. “Ora ti salverò, non preoccuparti, guerriero del Nord”, lo rassicurò il ragazzo, “No, non farlo, lasciami subito cadere, prima che colui che si è tenuto dalla mia gamba riesca a balzare di nuovo sul ponte, con i suoi agili movimenti”, avvisò subito Roan, guardando Kuon, che pendeva dal suo piede. “Non posso lasciarti morire così”, balbettò allora Eracles, “Tu non mi lasci morire, amico mio, sono io che mi sacrifico, poiché sento che è un atto giusto morire per far vivere un uomo buono come te e poiché spero che per la mia decisione gli dei abbiano pietà di questo nostro nemico, il cui cuore è stato annerito solo dalla solitudine”, spiegò con un gentile sorriso l’eroe del Nord, lasciando la presa dell’Arvenauta e sparendo nel vuoto, insieme a Kuon, che ancora si sosteneva dalla sua gamba.
Niente più sentì Eracles, se non le proprie lacrime ed i suoi pugni, che sbattevano disperati sulla roccia del ponte su cui stava soffrendo solitario.
Dall’altra parte del lungo ponte, intanto, Pandora e Kaar avanzavano decisi lungo il corridoio di pietra circondato dall’oscuro abisso. “Sei sicura della via presa, guerriera di Aven?”, domandò dopo alcuni minuti l’uomo Scorpione, “Si che lo sono. Ho mandato i miei insetti a cercare un’uscita in ambo le direzioni del ponte e sembra che questa sia la strada più breve, dato che solo uno dei due ha già trovato uno sbocco per uscire di qui, ma temo che lungo la via troveremo anche il nostro nemico”, rispose seccamente la Signora del Nero Sciame, che, attraverso uno dei propri insetti aveva percepito la voce di Eracles, nella direzione opposta alla propria, e sperava di trovarlo sano e salvo.
Anche Acteon e Sokar correvano veloci lungo la selva che li vedeva avanzare, il primo mosso da preoccupazione, per tutto ciò che lo circondava, che fosse vegetale, o no, che appartenesse a nemici celati, o all’essere che con lui stava camminando, qualcuno di cui sapeva di non potersi fidare del tutto il Cacciatore. Sokar, invece, camminava sereno, apparentemente spazientito dalle parole del suo compagno di viaggio, l’Arvenauta che gli aveva assicurato un nemico.
La corsa dei due, però, fu interrotta da un artiglio di Sokar, che spuntò dal suo corpo, ponendosi dinanzi ad Acteon, “Dimmi dov’è il nostro nemico, se non vuoi che uccida te per primo”, ringhiò allora il Demone del Sud, “Se proprio lo vuoi sapere, mio isterico compagno di viaggio, ci segue già da un po’, volevo stancarlo, come fa ogni bravo predatore, se vuole lasciare alla preda il piacere di sentirsi a caccia, ma tu non hai voglia di aspettare, quindi ti presento il tuo avversario”, concluse il Cacciatore, indicando un cespuglio di rovi alla sua destra, “Ti prendi gioco di me?”, replicò allora Sokar, avanzando con i propri artigli.
“Prova a colpirlo”, fu l’unica risposta di Acteon, che osservò la zampa nemica gettarsi contro il cespuglio, che subito si ritrasse, cambiando aspetto.
“Bravo, cane, hai saputo riconoscere il mio odore e costringermi a rivelare la mia presenza”, si complimentò il nemico, “Ti ringrazio”, replicò il Cacciatore, prima che un altro artiglio gli bloccasse la via. “Ora puoi andartene, guerriero dell’Ovest, lascia che sfoghi la mia furia contro quest’essere insulso”, ordinò allora Sokar, facendosi avanti verso il nuovo nemico.