Capitolo 45: Il Terrore di Sokar

 

Sulla spiaggia Meridionale dell’Isola di Ten-Lah, Oslo osservava con fredda attenzione la figura discesa dinanzi a lui, la bellissima e candida immagine di Gyst, da cui traspariva un immenso fascino, ma capace anche di incutere timore, data l’estrema malvagità che sembrava covare negli stupendi occhi.

“Non so cosa tu voglia, Regina dell’Isola, ma di certo non potrai prenderlo con tanta facilità, poiché non è per seguire il volere di dei superiori che sono qui, bensì per seguire quello del mio comandante, Lord Sokar”, spiegò con voce decisa il Mukur, mentre già le sue bende si muovevano sinuose. “Non alzare la mano contro di me, guerriero del Sud, anzi, fatti eliminare senza opporre resistenza alcuna”, sussurrò con voce gentile la Testa dell’Idra, per poi vedersi lanciare contro una delle bende nemiche, però, non le si legò al braccio.

“Non puoi certo sperare di fermarmi con parole di supplica, il mio cuore è stato spento diverso tempo fa, solo la fedeltà a Rikka e la paura di Sokar mi spingono a continuare a lottare”, replicò con tono ironico Oslo, “Poco male, speravo di non dovermi far notare oltremodo”, osservò allora Gyst, prima che un malefico e bellissimo ghigno si disegnasse sul suo volto, antecedente ad un portentoso acuto, che spezzò la bende e tutte quelle ad essa collegate sul braccio sinistro del Mukur, che improvvisamente si ritrovò monco.

“Com’è possibile?”, riuscì appena a balbettare il non morto del Rihad, mentre Gyst elegantemente avanzava, appoggiando i leggiadri piedi nella sabbia, “Si vede che non conoscevi la potenza di un’Idra Nera, quale sono io, una potenza temuta fin dai tempi più antichi, la stessa che il nostro Signore distribuì quasi equamente fra i propri soldati, facendo di loro delle temibili belve, capaci di sbranare qualsiasi nemico, metaforicamente, nella maggioranza dei casi”, concluse con una risatina ironica.

“Tutto questo dovrebbe preoccuparmi? Io sono già morto, te lo ho detto, mi muovo solo per dovere verso chi mi comanda e per terrore verso chi mi guida in questo viaggio”, esclamò Oslo, lanciando un’altra benda contro la nemica, che, però, con estrema facilità lo gettò al suolo, con un semplice acuto.

“Mi chiedo, ad essere sincera, perché non temi me, una delle Nove Teste dell’Idra, una creatura dalla potenza inimmaginabile, e hai invece paura di questo tuo comandante, Sokar, il Demone del Sud. Che la mia bellezza ti porti ad erronee conclusioni sul tuo destino?”, domandò incuriosita Gyst, guardando il nemico rialzarsi a stento. “Puoi colpirmi quante volte vuoi, puoi anche uccidermi, ma ho visto di cosa è capace il Demone del Sud, niente mi terrorizzerà mai più di quello che ho visto”, concluse Oslo, tentando di rialzarsi, per finire di nuovo al suolo, colpito da un altro acuto.

“Non vivrai abbastanza per scoprire la tua ignoranza”, fu la minaccia di Gyst.

 

Nella piccola selva all’interno della collina, intanto, Acteon e Sokar osservavano il nemico che si era posto dinanzi a loro.

“Forse non capisci, guerriero del Rihad, quest’essere che vedi dinanzi a te, non è un semplice uomo, ma una creatura risorta a nuova vita come uomo pianta”, spiegò il Cacciatore al momentaneo alleato.

“Esatto, tutto ciò che ha detto è vero, sono Palion, figlio di Priaso, il Re di Lutibia, a me fu dato il potere di combinarsi con la vegetazione che mi circonda, o di impiantarla nel terreno, se necessario”, spiegò il nemico.

“Interessanti davvero le vostre parole, ma inutili come avvertimenti”, replicò allora Sokar, “poiché contro la furia del Deserto che so risvegliare e contro ciò che contengo, sono doti inutili le sue”, concluse, osservando con viso malefico il giovane principe defunto.

“Vedremo quanto ancora sarai sicuro di te fra poco”, ringhiò allora Palion, sentendosi offeso e subito delle lunghe radici acuminate partirono dalle sue braccia, perforando il corpo di Sokar da parte a parte.

“Maledetto!”, urlò allora Acteon, mentre con gli artigli si lanciava contro le radici, venendo però sbalzato indietro dalla sabbia fuoriuscita da una spalliera di Sokar, “Ti ho già detto che non mi serve aiuto alcuno”, ripeté il Demone del Sud, mentre le estremità che lo avevano raggiunto si ritrovavano circondate da dei piccoli ammassi di sabbia, che riuscì persino a spezzarle, prima di ricomporre i fori sul corpo del guerriero del Rihad. “Com’è possibile?”, si domandò Palion, osservando stupefatto le radici che ritornavano a lui, danneggiate e grondanti clorofilla, “Questo è solo un assaggio del Terrore che ora ti farò provare, lo stesso Terrore che mi rende vivo, giorno dopo giorno, battaglia dopo battaglia”, replicò con voce divertita Sokar, prima di scoppiare in una malefica risata.

La mano del Demone del Sud si aprì e da essa fuoriuscì una corrente di sabbia che lentamente prese la forma del gigantesco artiglio, che già altre volte era fuoriuscito dal corpo di quel guerriero, dirigendosi verso il suo nemico con fare deciso, ma Palion non rimase ad attendere, anzi alzò un alto muro di edere a sua difesa. Una difesa che si rivelò inutile, poiché non fermò l’avanzata del sinistro arto, che devastante con una sciagura travolgeva tutto ciò che gli si poneva davanti, finché, alla fine, raggiunse la sua preda, il giovane principe defunto.

Grande fu lo stupore di Acteon quando vide l’artiglio conficcarsi nella spalla sinistra, strappandovi di netto diversi strati di pelle, per poi ritirarsi, lasciando il nemico ferito al suolo. “Avresti potuto ucciderlo con quell’unico colpo, che diavolo ti è passato per la testa? Perché hai mancato degli organi vitali?”, tuonò allora l’Arvenauta, osservando il volto del Demone, che lentamente stava cambiando espressione, diventando sempre più ilare e malefico nello sguardo.

“Silenzio, perché se non potrò divertimenti nelle sue sofferenze, lo farò nel veder morire te, dopo”, ringhiò con voce oscura il guerriero del Rihad, prima che altri due artigli fuoriuscissero, stavolta dalla schiena del Demone, per lanciarsi di nuovo contro Palion, così da raggiungerlo, indisturbati, ai fianchi e strapparli altri lembi di pelle.

“Ti stai divertendo, vero?”, domandò allora il figlio di Priaso, rialzandosi a stento, mentre la clorofilla colava dal suo corpo ferito, “ma non sarà ancora per molto, poiché ora proverai anche tu il terrore di un colpo nemico”, tuonò, prima che un gigantesco ed affilato virgulto verde uscisse dal suolo sotto Sokar, penetrando il corpo del Demone e tagliandolo a metà all’altezza della spalla destra, che fu mozzata di netto insieme al braccio.

 

Eracles era ancora fermo sul lungo ponte, chino al suolo piangeva la caduta di Roan, che per lui si era sacrificato, la disperazione stava lentamente prendendo il sopravvento sul cuore del giovane figlio di Urros, quando, però, qualcosa avvenne, un intervento provvidenziale, che si presentò al ragazzo sotto forma di un ronzio, un rumore che lo costrinse ad alzare il capo, osservando il nero insetto che girava intorno.

“Uno degli insetti di Pandora”, balbettò l’Arvenauta, riconoscendo la piccola creatura, “ma perché è qui?”, si chiese, avvicinando la mano all’animale, che subito vi si appoggiò, producendo una scossa impetuosa nella mente del figlio di Urros, che subito dovette abbandonare la presa.

“Che cos’era?”, balbettò fra se il giovane, che aveva percepito una profonda sensazione di dolore, ma, insieme a questa, un calore inatteso, lo stesso che aveva provato poche ore prima quel giorno, quando Pandora lo aveva ringraziato di aver vegliato su di lei. I pensieri del giovane, però, furono distratti dai movimenti innaturali dell’insetto, che, dapprima si allontanava, per poi tornare a ronzare intorno a lui, “Vuoi che ti segua?”, domandò perplesso Eracles, prima di alzarsi, “Si, lo farò, perché ci sono altri guerrieri che hanno fiducia in me, oltre a Roan che per me ha dato la vita e poi devo fare in modo che il suo dio lo onori con i dovuti ricordi”, concluse fra se il giovane figlio di Urros, andando dietro al nero insetto.

 

Pandora camminava silenziosa sul lungo ponte, seguita ancora da Kaar, finché non si fermò. “Che succede, guerriera dell’Ovest?”, domandò l’Uomo Scorpione, “Niente di preoccupante”, rispose la Signora degli Insetti, sorridendo quietamente, “comunque è meglio muovere il passo, dato che anche altri nostri compagni si stanno dirigendo verso le uscite, almeno per uno di loro sono sicura”, spiegò l’Arvenauta, avanzando vicino alle ragnatele, continuavano ad aumentare di numero.

 

Odisseus si riprese dalla possente ondata che lo aveva travolto, la mano gli faceva ancora male, dopo averla usata contro Senru, ma adesso si guardava intorno, deciso a combattere, ma non vide nessuno dinanzi a se, solo il mare e la loro nave, che, però, appariva danneggiata, priva di uno degli alberi, quello maestro, che non dominava più alto fra gli altri. “So che sei qui, mio nemico, mostrati, forza!”, tuonò il Navigatore, guardandosi intorno, ma nessuno sembrava volergli rispondere.

 

“Mi fai davvero pietà, non morto”, esordì, intanto, Gyst, la Regina dell’Isola, osservando il Mukur, a cui aveva appena reciso anche l’altro braccio, “continui a ripetere quella storia del terrore, ma non dimostri niente di più di un’inutile fissazione e dello stupido servilismo”, aggiunse divertita la Testa dell’Idra.

“Si, deridimi, Regina, ora vedrai la potenza del più grande dei Mukur”, ringhiò Oslo, mentre il suo corpo si espandeva enormemente, diventando incredibilmente maestoso. “Pensi di battermi solo con questo trucco?”, osservò infastidita Gyst, prima che i suoi capelli iniziassero a scuotersi, come mossi da un forte vento, vento che però era inesistente sulla spiaggia in quel momento.

Un potente acuto proruppe dalle labbra della bellissima Regina dell’Isola, investendo in pieno il guerriero del Rihad e dilaniando la gamba sinistra e parte del corpo maestoso, senza che questi fosse stato capace nemmeno di sfiorarla.

Oslo, travolto da quella potenza incontrollabile, volò in aria, cadendo subito al suolo, di nuovo con le sue dimensioni originali, privo anche di una gamba e capace solo di strisciare sulla spiaggia.

“Trovi ancora più terribile questo tuo comandante? Il terrore del Deserto, per Rikka e tutti gli dei del Rihad, giusto?”, domandò con tono ironico Gyst, “Bé, stupido, sappi che in confronto alle attuali quattro Teste dell’Idra, questo Demone sembra un cucciolo incapace, perché uno qualsiasi dei miei confratelli potrebbe abbatterlo senza problemi”, lo derise la bellissima creatura del male, “ma tu non avrai modo di scoprirlo, poiché morirai adesso”, tagliò corto infine, emettendo un ultimo, potentissimo, acuto, che travolse Oslo, polverizzandolo, e riducendo a niente anche la nave alle sue spalle.

Subito dopo, quando la sabbia finì di volare a mezz’aria, i bagliori di luce delle catene dei Custodi abbandonarono i resti di Oslo, dispersi intorno ai legni della nave Tulakea, per agganciarsi a Gyst, che, vedendoli brillare, scoppiò in una malefica risata, “Tutto come ordinato”, osservò la bellissima Regina, guardandosi intorno nella solitudine dell’Isola, dove ormai da quasi trenta minuti le scosse di terremoto continuavano a svilupparsi, aumentando d’intensità.

 

Acteon aveva osservato il duello fra Sokar e Palion e non era riuscito in alcun modo ad impedire la sua evoluzione. Avrebbe voluto il Cacciatore, ma sapeva che intromettersi sarebbe stato eguale ad avere contro due nemici, di cui uno orgoglioso e l’altro pazzo, quindi aveva preferito lasciare che le due bestie si torturassero fra loro, al fine di scegliere dopo se combattere con il vincitore, o meno.

Vedendo Sokar cadere al suolo, però, il Cacciatore non ebbe più indecisioni, si lanciò contro il figlio di Priaso, al fine di salvare il riluttante alleato e se stesso, completando ciò che il Demone del Sud aveva cominciato.

Con velocità l’Arvenauta mosse gli artigli, “Tutto è inutile, Cacciatore, dovresti sapere di non essere nemico degno di me”, lo ammonì Palion, sollevando una barriera di spine dinanzi a se, ma con facilità il mezzo uomo la evitò, con un agile salto, spostandosi alle spalle del nemico e ferendolo con un’artigliata decisa.

“Sei tu che non sai niente, giovane figlio di Priaso, non eri stato scelto per tornare in vita come punta di diamante dei Sette Naviganti di Lutibia, bensì per rendere il piano dell’Idra Nera più velato, per nascondere dinanzi a quest’alleanza i piani di chi ha mosso i fili di tutto a tuo padre ed alla famiglia che tanto ami. I tuoi poteri sono grandi, si deve ammettere, sai controllare le piante e crei delle barriere che ai più potrebbero sembrare invalicabili, ma oltre questo che sai fare, dimmelo? Sai mimetizzare il tuo odore nella vegetazione, ma non ti riesce tanto bene, dato che ti avevo individuato da subito. Sei stato una pedina, figlio di Re, una pedina utile solo a superare la mia unica dote, il fiuto”, spiegò Acteon, lanciandosi nuovamente all’attacco, per essere stavolta fermato dal nemico.

“Sarò anche una semplice pedina, ma non posso rifiutare i miei doveri verso i compagni di viaggio, un gruppo di pazzi pieni d’odio verso tutto eccetto se stessi, ma fra cui mi ergevo a modello perché figlio del grande Priaso. Per tutti questi motivi, Cacciatore, potrai anche aver superato i miei poteri, ma non potrai battermi così facilmente, morirò come è degno per il figlio di un Re, combattendo deciso”, avvisò allora Palion, sollevando delle lunghe radici affilate dal terreno.

“Fermi!”, tuonò allora una voce, prima che le acuminate spine fossero recise, volando da tutte le parti, travolte da una colonna di sabbia, che divise i due combattenti, era Sokar.

I due nemici si voltarono verso il guerriero del Rihad, era ancora al suolo, il braccio reciso era vicino a lui, circondato da del sangue, o almeno così parve in un primo momento ai due; fu sbalorditivo per Acteon notare che non c’era sangue a terra, ma sabbia.

“Lascia a me questo nemico, sei ferito, seppur sanguini sabbia”, rifletté titubante l’Arvenauta.

“Non farmi ridere”, fu l’unica risposta del Demone del Sud, “e spostati”, concluse poi, mentre accadeva qualcosa che il Cacciatore aveva visto fare solo ad Atanos, ma in modo diverso: il braccio si stava ricongiungendo al resto del corpo, ma mentre l’Immortale ricomponeva all’istante un taglio o una ferita qualsiasi, pochi attimi dopo che la pelle era stata recisa, il Demone del Rihad sembrava non avere pelle, bensì sabbia. Fu infatti la sabbia a disperdersi fra il braccio ed il tronco, congiungendoli di nuovo, così da far ritornare illeso l’essere del Sud, che subito si rialzò in piedi, con il braccio illeso, ma non più coperto dalla lunga manica.

“Tu cosa sei?”, balbettò Palion, “Suppongo sia un essere maledetto come me e te”, rispose Acteon, che già si stava allontanando dal campo di battaglia.

Sokar dapprima non rispose, sollevò semplicemente il braccio ricongiunto, puntando l’uomo vegetale e dal braccio iniziò a fuoriuscire della sabbia, che lentamente prese la forma di diversi artigli, come quelli con cui già il Demone aveva attaccato, artigli che si conficcarono rapidi nello stomaco del defunto principe, sollevandolo da terra.

“Non sono un essere che è stato maledetto dopo la nascita, come voi. Io sono uno dei soldati eletti del Rihad, uno dei seguaci delle divinità che vengono scelti ancora prima della nascita ed a cui viene donato un potere antico e divino. Anche i miei due compagni di viaggio, Seala e Kaar sono come me, ma, mentre a loro sono stati dotati i poteri del Gatto e dello Scorpione, la potenza è più antica e terribile. Fu il più potente dei servitori di Rikka, un dio dal grande potere, a scegliere cosa donare al suo nuovo vassallo, il potere del Demone Sokar, una creatura antica e terribile, che, proprio per la sua potenza, non aveva mai avuto un corpo, ma solo un’anima, l’anima che è stata impiantata in questo corpo, facendone il proprio contenitore e riempiendolo dei propri immensi poteri. Per questo tutti mi temono, perché ho dei poteri spaventosi che nemmeno io voglio scatenare del tutto. Ma, principe, ti farò l’onore di provare il famoso Terrore di Sokar, la più grande calamità che si può provare in tutto il regno del Rihad”, concluse il Demone del Sud, con una voce spaventosamente soddisfatta.

Dalla spalla scoperta di Sokar fuoriuscì una mano artigliata che subito si lanciò contro lo stomaco di Palion, perforandolo ed iniziando a scavare in questo.

“Che cosa gli stai facendo?”, domandò allora Acteon, “I miei artigli penetrano corpo ed anima dei nemici, non sta solo soffrendo, ma sta tremando poiché nella sua mente rivive le passati morti che ho causato nel mondo”, rispose con una risata sorda Sokar, schiantando contro il muro il figlio di Priaso, che lentamente smise di agitarsi, chinando lentamente il capo verso terra.

Passarono alcuni minuti di follia prima che Sokar si decidesse a gettare a terra il corpo ormai senza vita di Palion, che si aprì sul terreno, come un fiore appassito che cade in inverno.

“Ora, Cacciatore, cosa vuoi fare? Condividere il suo destino, o fuggire?”, domandò allora il Demone spostandosi verso Acteon, che rispose deciso allo sguardo dell’essere.

 

Iason e Brulde camminavano quieti nella selva, ancora in silenzio i due guerrieri correvano, titubanti per la sorte degli amici più che per la loro. “Credi che riusciremo ad uscire da qui prima che l’isola ci crolli in testa?”, domandò ad un tratto il Guerriero di Aven, “Certamente, anche perché il divino Tyrion ed i miei compagni, Roan e Garulf non mi lasceranno certo marcire qui insieme ad un essere insulso come te”, replicò con fare deciso la combattente del Nord, mentre i due continuavano la loro rapida corsa.

 

Garulf uscì dall’acqua. L’attacco subito non lo aveva travolto direttamente, come invece temeva. Gli era anzi sembrato che all’ultimo quel bagliore avesse cambiato direzione, investendo il terreno e lanciandolo in acqua, anziché colpirlo direttamente e frontalmente con una potenza di certo letale. “Chiunque sia il mio nemico”, pensò fra se il Kreeb, ancora pienamente cosciente, “o vuole sfidarmi nella mia forma umana, oppure è titubante nell’attaccare”, suppose, mentre la figura si mostrava a lui, decisa e fredda nel camminare.

“Chi sei, guerriero?”, tuonò il Kreeb, “Mi chiamo Byak’O”, esclamò in tutta risposta l’altro, “ed attendo il nemico da combattere”, concluse, arrivando rapidissimo sotto Garulf e colpendolo con una decisa serie di calci e pugni che lo lanciò di nuovo al suolo.

“Garulf distrugge”, sentì tuonare l’ultimo dei Custodi prigionieri della Regina, “Bene, si è svegliato il mio nemico, forse, conclusa questa battaglia, riuscirò a liberarmi della donna che ci ha uccisi tutti, in un modo o in un altro”, pensò fra se Byak’O, pronto alla battaglia.

 

Nel labirinto, intanto, anche Argos e Tyrion camminavano rapidi. “Nobile figlio di Odath”, esordì dopo alcuni minuti di silenzio l’Arvenauta, “perché da poco il vostro sguardo è più cupo?”, domandò con voce preoccupata il Guardiano. “Ho avuto come una sensazione, un senso di perdita, come se la vita di un figlio dell’Asjar si fosse spenta in questo luogo e mi è parso che fosse proprio Roan, il più prode dei miei seguaci, l’Invincibile eroe del Nord, fedele a mio fratello Hinder”, sussurrò con voce triste il figlio di Odath, “tu non puoi vedere se nelle vicinanze si trova il suo corpo, ormai privo della nobile vita?”, incalzò allora la divinità.

“No, purtroppo in questo luogo la mia vista non ha poteri così ampi, posso però dirvi una cosa”, affermò all’improvviso, fermando i passi del divino alleato, “il nostro nemico è dietro l’angolo”, avvisò, prima che un potente pugno buttasse a terra il muro fra i due, lasciando che il dio ed il Guardiano vedessero l’avversario che ora si ergeva minaccioso dinanzi a loro, pronto alla lotta.