Capitolo 47: Fino allo stremo

 

Una grande tela cadde dal cielo, subito dopo il nemico, nel lungo corridoio nascosto all’interno della collina, su Ten-Lah. “Attento, Scorpione, evitalo”, ordinò subito Pandora, prima che il nero sciame si spostasse, evitando che la rete la intrappolasse, bloccandole i movimenti, subito, seguita da Kaar, che come lei saltò via dal punto in cui stava per cadere la trappola. “Che cos’è successo?”, domandò subito il guerriero del Rihad, “Avete appena fatto la conoscenza della prima delle tante reti che vi lancerò contro, misere prede”, avvisò allora una figura femminile, mostrandosi nella sua strana natura, per metà di donna e per metà di ragno.

“Costei è Daja, maledetta da una dea della mia regione a divenire un ragno e rinata sotto la forma di una donna ragno”, spiegò Pandora, indicando, al momentaneo alleato, la comune nemica. “Un ragno, uno scorpione ed uno sciame di mosche, sarà uno scontro quanto meno singolare”, ridacchiò Kaar, osservando le due creature dinanzi a se.

“Più che scontro, sarà un massacro a vostro danno”, avvisò subito Daja, sorridendo beffarda al mezzo Scorpione, che subito le si lanciò contro, pronto a colpirla con l’acuminato pungiglione.

Con un agile salto la Donna Ragno evitò l’assalto, emettendo la sua sottile tela, con cui si sospese a mezz’aria, galleggiando sopra il capo dei due nemici, “Troppo poco, guerriero del Sud”, avvisò la creatura maledetta, prima che un forte ronzio superasse la sua voce: era il nero sciame di Pandora.

Gli insetti oscuri stavano infatti volando con fare feroce verso la nemica, pronti a colpirla, “Sembra che tu non ricordi la mia naturale predisposizione a vincerti, ragazzina”, avvisò allora Daja, sputando una sottile tela contro il nero sciame, che subito si divise, liberandosi in parte dalla presa nemica e permettendole di disporsi a mezz’aria, dietro di lei.

“Non puoi certo ingannarmi sempre con lo stesso trucco”, la ammonì subito l’Arvenauta, “No, ma te ne mostrerò uno nuovo adesso”, replicò con voce decisa la Donna per metà ragno, mentre una nuova e pericolosa tela si gettava contro Pandora, partendo dal pungiglione che si trovava alla base della vita.

La Signora del Nero Sciame si ritrovò intrappolata nella rete, cadendo, fortunatamente, sul ponte, dove rimase attaccata.

“Mi hai sottovalutato ancora una volta, proprio come quella maledetta divinità dell’Oleampos, Iutenia, una povera stolta, che si credeva una grande divinità”, ringhiò con voce infastidita Daja, prima di lanciarsi contro l’Arvenauta.

Mentre era ancora a mezz’aria, la Donna Ragno vide arrivare una delle possenti chele del guerriero del Rihad e con un abile colpo di reni si distanziò, evitando il colpo ed agganciandosi nuovamente al muro sopra di loro, per atterrare alle spalle dell’altro nemico, l’Uomo Scorpione.

“Spiegami, mostro del Sud, per quale stupido motivo ti sei messo in mezzo nel nostro duello? Ti avrei ucciso comunque, ma se non ti fossi intromessi, avresti potuto godere di qualche altro minuto di vita, prima di cadere di sotto, come quella povera sciocca”, avvisò subito Daja, osservando con fare furioso il guerriero del Rihad.

“Mi sono messo in mezzo perché solo gli insetti di questa donna sanno la via per uscire di qui, inoltre, in due contro di te sembriamo avere più possibilità e non sono certo uno stupido, che combatte senza calcolare le diverse possibilità di vittoria, o sconfitta. Se poi non tornassi indietro vivo, Sokar sarebbe anche capace di venirmi a cercare, per mutilarmi”, concluse con ironia Kaar, osservando la Navigante della Lutibia.

Daja scoppiò in una risata divertita, “Siete nella tela del ragno, stupido, questo è il mio territorio di caccia, qui agisco e prendo le prede che preferisco, nelle zone che mi sembrano più appropriate per finirle e di certo voi due non sarete da meno a questa dura legge, la mia legge”, spiegò la creatura maledetta da Iutenia.

“Il ragno sarà anche un cacciatore nel suo territorio, ma nessun animale è un predatore migliore dello scorpione, che non può essere fermato da alcun nemico della sua stessa stazza”, replicò con decisione l’essere al servizio di Rikka, sollevando furioso la lunga coda, “e come ho già detto, in due abbiamo più possibilità”, concluse, mentre con un fendente dell’estremità acuminata recideva la tela in cui era rinchiusa Pandora, liberandola.

“Il nero sciame di morte ti è alleato in questa battaglia, uomo scorpione”, avvisò subito la giovane maledetta da Urros, mentre già i suoi oscuri insetti si agitavano frementi intorno a lei.

 

“Le scosse di terremoto continuano ad aumentare d’intensità, non dovrei pensare a lui, ma piuttosto dovrei cercare gli altri”, pensava intanto Odisseus, osservando il nemico, Sairon, che lo sormontava, sopra la propria maestosa cavalcatura marina.

“Questo sarà il nostro ultimo scontro, Generale, non avrai altre possibilità di fuga contro di me, né potrai sperare di battermi adesso, con quella mano così mal ridotta”, osservò prontamente l’ex sommo sacerdote, mentre con un gesto richiamava a se altri due serpenti di mare, “Sei pronto a morire?”, domandò poi con fare severo, prima di lanciare le bestie dalla pelle pallida contro il nemico.

Odisseus evitò con un agile salto la prima delle due creature, lasciando che il corpo di questa affondasse nella sabbia, quindi, correndo sulla schiena della bestia acquatica, evitò che anche la seconda lo prendesse, riuscendo a farle scontrare fra loro.

La prima delle due bestie si ritirò nell’acqua dopo l’impatto, mentre l’altra, il cui corpo era quasi del tutto fuori del mare, si erse in tutta la sua maestosa grandezza, lanciandosi contro il Navigatore con decisione e furia, tentando di ingoiarlo per intero.

L’arvenauta fu però più rapido e, vedendo le potenti mascelle del mostro arrivargli incontro lo colpì in piena faccia con la mano sinistra, l’unica ancora funzionante, da cui prorompevano dei neri bagliori, gli stessi che tante volte avevano portato Odisseus alla vittoria, contro ogni sorta di nemico, mortale, o mitico che fosse.

“Sei stato battuto con l’ingegno, Generale, come ho sempre sperato”, esordì allora Sairon, che aveva osservato in silenzio lo scontro. Quelle parole giunsero mentre il serpente marino cadeva al suolo, privo di ogni vitalità, ma, nello stesso tempo, un sussulto del terreno scosse Odisseus, mentre dalla sabbia, attraverso un foro sotterraneo, l’altra bestia dalla pelle pallida fuoriusciva, assalendolo ed inghiottendolo al proprio interno, per immergersi di nuovo subito dopo.

“La mano destra inutilizzabile è stata il mezzo della mia vittoria”, esultò Sairon, mentre il serpente riappariva accanto a lui, in pieno mare, “grazie a quella ferita ti ho preso nel momento stesso in cui eri disattento, catturandoti e lasciando che la mia bestia ti conservi il tempo necessario perché chi mi comanda ti possa vedere e decidere se lasciarti a me, o a qualche altro tuo nemico”, ridacchiò l’ex sommo sacerdote.

“Non preoccuparti, comunque. Non sarai solo nel tuo ultimo viaggio. La Regina dell’Isola, una delle Teste dell’Idra, ha fatto in modo che i tuoi compagni fossero divisi e lasciati in mercé dei Navigatori che guido. Il desiderio di vendetta di Mihok e Kuon, la brama di vivere di Kalos e Daja ed i doveri che hanno Palion e Chiron verso i rispettivi eserciti, mi assicurano che tutti loro daranno il meglio in questa battaglia, una battaglia che non durerà ancora a lungo, dato che l’Isola ha ormai i minuti contati, poco meno di venti, da ciò che ho potuto calcolare”, spiegò con una soddisfatta risata il Domatore di Serpenti di Mare.

“Però, siccome già una volta vi abbiamo sottovalutato, Generale, vedrò di non commettere di nuovo lo stesso errore, purificherò questo terreno dalla presenza tua e del gruppetto che ti porti dietro, costringendovi ad affondare con l’Isola e con la vostra nave”, concluse, prima di saltare sulla bestia acquatica in cui era imprigionato Odisseus stesso.

Con un gesto della mano, Sairon ordinò all’altro serpente di mare rimastogli, ordine che scatenò la furia della bestia contro la nave costruita da Argos.

Il Navigante proveniente dalla Lutibia osservava con soddisfazione la bestia mentre recideva un altro dei tre alberi, con la relativa vela, il timone, parte dello scafo e, per finire, perforava da parte a parte lo scafo stesso all’altezza dei remi, buttandone fuori alcuni e lasciando solo una forma deformata e quasi del tutto distrutta di quella che era stata la nave che aveva portato la salvezza su Lembia e su Midian ed ora era giunta fino a Ten-Lah.

“Così non potrete comunque scappare”, fu l’unica osservazione di Sairon, mentre osservava soddisfatto ciò che aveva causato.

 

Il divino Tyrion osservava preoccupato Argos, che sembrava privo di vita, “Svegliati, servitore di Urros, te ne prego”, esordì il figlio di Odath, invitando il Guardiano a riprendersi.

Passarono alcuni lunghi attimi di silenzio, in cui solo le crepe aperte dalle continue scosse sembravano animare il lugubre labirinto, poi, però, l’arvenauta si riprese.

“Divino Tyrion”, furono le prime parole dell’ex semidio, nel riconoscere il suo momentaneo compagno di viaggio, “cos’è successo?”, domandò poi. “Non hai fronteggiato l’assalto del Minotauro e sei stato atterrato, ho preferito finirlo prima che lui eliminasse te”, spiegò allora il figlio di Odath, aiutando l’Arvenauta a rialzarsi.

“Non avrebbe dovuto farlo”, disse semplicemente Argos, con il capo chino verso il suolo, “dovevo pagare per il dolore inferto a quel giovane, un dolore causato dalle mie passate azioni”, concluse con voce cupa, prima che la divinità gli appoggiasse una mano sulla spalla.

“Quando vi ho visto la prima volta, ho potuto intuire i vostri sentimenti e, fra tutti, tu, il Guerriero di Aven ed il giovane figlio di Urros mi siete apparsi come i più buoni, poiché in voi non vedevo alcun desiderio di rivalsa i risentimento alcuno per i vostri destini, ma solo devozione, innocenza e sensi di colpa. Ti posso dire che per quanto tu ti credi l’unico colpevole delle azioni che gli dei hanno compiuto mentre eri loro guardiano, hai torto. Nessuno può sancire quali sono i limiti di azioni di un dio, né fare in modo che il suo agire sia sempre il più giusto, tu, come guardiano, potevi solo vigilare ed osservare, come un servo silenzioso e devoto e questo lo hai fatto bene, quindi Lera e Urros, anziché punirti, dovevano premiarti per ciò che hai compiuto al loro seguito”, spiegò con voce serena la divinità, che apparve sorridente all’ex semidio.

“Se anche l’esercito del Tirand si fosse arreso dopo ardue lotte, ora che nessuno può soccorrerlo, io non criticherei nessuno di quei valorosi, perché so di quanto sono capaci e sarei certo che avranno dato tutta la loro anima prima di cedere, lo stesso vale per i compagni che ho in questo viaggio. Non criticherei Brulde se dinanzi ad un nemico si arrendesse, o Garulf, la cui vita sento debole, se avesse ceduto e fosse fuggito dinanzi ad un terribile avversario, né avrei criticato Roan, la cui nobile vita è andata persa, avrei solo cercato di capirli, tutti, indistintamente”, concluse Tyrion, invitando poi il compagno a muoversi.

Argos raccolse i propri abiti, poi chinò il capo in segno di rispetto, “Vi ringrazio, divino figlio di Odath. Mi avevano parlato della bontà dei signori dell’Asjar, ma non avrei mai pensato che a tanto arrivasse il grande cuori degli uomini, e degli dei, dei Ghiacci, un cuore pieno di generosità e pronto al perdono, doti che, purtroppo, non ho mai visto nelle divinità che da sempre seguo con fedeltà inscindibile”, affermò l’arvenauta, prima di riprendere la corsa lungo l’ampio labirinto, diretto verso l’uscita.

 

Nel lungo corridoio, intanto, i tre avversari si osservavano con fare minaccioso, l’uno puntava all’altro in quella che sarebbe stata l’ultima calma, prima della fragorosa tempesta.

I tre partirono subito all’assalto, senza nemmeno rivolgersi la parola. Subito Daja tentò di bloccare i due nemici con una raffica di ragnatele, Pandora, vedendo l’assalto, si divise nel nero sciame, disperdendosi intorno al lungo ponte, così da evitare la tela, almeno quella frontale, poiché la Donna Ragno stava già tessendo un’altra ragnatela, alle sue spalle, attraverso cui niente sembrava poter passare, almeno finché anche Kaar non entrò nel vivo della battaglia, dilaniando le tele dinanzi a se con le possenti chele ed investendo con una spalla Daja, che volò contro la sua stessa ragnatela, aprendola a metà ed oltrepassandola.

Quando ancora la navigante della Lutibia era al suolo, Pandora si ricompose dietro di lei e la attaccò con il suo nero sciame, ma grande fu lo stupore negli occhi della giovane Maledetta da Urros quando si vide le braccia bloccate da qualcosa che era disposto intorno al corpo della Donna Ragno, una sottile e trasparente tela a difesa del suo corpo.

“Sei proprio stupida se pensavi che non avessi pensato ad un tuo attacco, questa è la mia difesa, per te impenetrabile”, ridacchiò Daja, prima che una nuova tela fuoriuscisse dalle sue fauci, intrappolandovi all’interno Pandora, i cui movimenti furono paralizzati e prima che lei cadesse sul duro e solido ponte, incapace ad ogni movimento.

“Sei da sempre stata sopravvalutata, malgrado quei tuoi fortuiti poteri, dati da una fortuita maledizione”, la ammonì la Navigante al servizio dell’Idra Nera, guardandola con soddisfazione.

“Lei forse sarà sopravvalutata, ma non dimenticarti di me, uno dei più potenti e degni servitori di Rikka”, esclamò allora Kaar, avanzando con furia e cercando di colpire la nemica con la possente coda, riuscendo solo a farla saltare lontano da Pandora.

“Mi chiedo come saranno gli altri guerrieri del Rihad se tu sei fra i più forti? Ti hanno forse scelto dopo averti maledetto, solo basandosi sul tuo aspetto?”, domandò incuriosita Daja.

“Non sono stato maledetto, sono nato così, per volontà del divino Leone Bicefalo, uno dei servitori di Rikka”, spiegò l’uomo Scorpione, cercando di colpire nuovamente l’avversaria con le ampie chele e riuscendo solo ad evitare la presa della tela nemica.

“Sei nato così? Che intendi dire? Non si può nascere così immondi”, incalzò la Donna Ragno, “Nel regno del Rihad, gli dei al servizio di Rikka possono scegliere una donna fertile, pronta a partorire e fare del loro figlio un grande guerriero, combinando il DNA del nascituro con quello di un qualche antico spirito, o di qualche divinità minore, del Rihad. Il mio signore, Liddam, scelse lo spirito del semidio Scorpione per combinarlo con il mio corpo e darmi questi poteri, per cui gli sono grato, poteri che mi hanno concesso il diritto di seguire il potente Sokar in questa missione”, spiegò con voce orgogliosa Kaar, pronto a continuare la battaglia.

Daja sputò al suolo, una piccola tela si dispose fra i due, “Mi fai schifo”, ringhiò la creatura per metà ragno, “come puoi amare una forma così immonda, né uomo, né bestia, sei solo un oggetto al servizio degli dei che ti hanno così tramutato, sei peggio di quella stupida. Pandora, almeno, odia la sua natura, non capendo di aver ricevuto un destino migliore del mio, potendo lei sembrare normale, ma tu, essere immondo, ami la tua forma dannata, sei il più corrotto di tutti”, tuonò la Navigante, sputando un’altra rete, che bloccò del tutto i movimenti di Kaar, prima che lei gli si lanciasse addosso.

Fu uno scontro furioso: l’uomo Scorpione recise con un gesto deciso la rete, quasi subito, affondando poi una chela nella difesa di Daja, mentre questa, ferita, ma per nulla fermata, sollevò il capo e morse con decisione il collo di Kaar, che subito fu costretto a barcollare, lasciando la presa sulla donna Ragno.

“Che cosa mi hai fatto?”, tuonò il guerriero del Rihad, sputando al suolo della seta, la stessa emessa dalla nemica, “Ho immesso la ragnatela nella arteria aorta, fra poco morirai, quando al cervello non passerà più il sangue, una degna fine per un essere senza ritegno come te”, spiegò Daja, osservando decisa lo sguardo sofferente del nemico.

Kaar barcollò indietro, fermandosi poco lontano da Pandora, “Sono riuscito solo ad aprire una piccola ferita nel suo corpo, mi dispiace”, sussurrò con il poco di fiato rimastogli, prima di cadere quasi sopra la momentanea alleata, che cadde dal ponte, ancora intrappolata nella ragnatela.

“Due in un colpo solo”, sentenziò ironica Daja, guardando il corpo confondersi nell’oscurità.

 

Sairon osservava soddisfatto la distruzione causata. Della nave nemica era ormai rimasto ben poco, solo lo scafo, qualche ramo e la prua, degli alberi e del timone. Adesso, il Sacerdote, doveva solo attendere, giacché sapeva di essere l’unico che sarebbe sopravvissuto a quella battaglia.

“Ho già percepito morire Kalos, Kuon, Palion e Mihok, di certo Daja e Chiron, anche se sopravvivranno alle loro battaglie, non potranno sopravvivere all’inabissamento dell’Isola. Dei tanti naviganti delle varie coste, non ce ne sono molti capaci di sopravvivere, anzi, solo Tyrion, dio del Nord, ed i due nemici peggiori, Atanos e Sokar, potrebbero sopravvivere, ma questo non mi preoccupa, perché i loro poteri non gli permetteranno di ritrovarmi subito. Il mio padrone si prenderà cura di me, proprio come mi ha assicurato”, rifletté il Domatore di Serpenti Marini.

“Le Nove Teste dell’Idra saranno riunite, dopo Gyst, anche la Devastatrice di Tirand, le cinque teste nascoste ed i due più potenti sono pronti, si dovranno solo muovere per diventare di nuovo un unico grande esercito”, pensò Sairon, “io sarò il primo dei loro soldati”, concluse.

“Tanta è la tua pazzia? Mi devo forse sentire in colpa per la cecità dei tuoi atti?”, domandò allora una voce, proveniente dall’interno del serpente marino su cui si trovava. Un bagliore sbalordì poi l’ex sommo sacerdote, una luce rossa che aprì il ventre della bestia di mare, da cui fuoriuscì il corpo, quasi del tutto illeso, di Odisseus.

“Che cosa?”, balbettò Sairon, “Non dovevi sottovalutarmi, Sacerdote, sono pur sempre sopravvissuto per secoli, combattendo nemici persino più pericolosi di te, guerrieri la cui furia era senza pari, persino agli dei sono sopravvissuto ed al loro odio nei miei confronti”, avvisò il Navigatore, la cui mano brillava di nera luce.

“Pensi che l’incapacità di usare la destra mi sia di estremo danno? Ebbene ti sbagli, ti mostrerò qualcosa che da diversi anni non rivelavo a nessuno, una dote senza pari nelle terre dell’Oleampos”, spiegò Odisseus, prima che, rapido, l’unico serpente di Mare ancora vivo si lanciasse contro di lui.

L’arvenauta saltò con agilità, evitando con una capriola il primo assalto della bestia, poi, appoggiando la mano sulla pelle squamosa dell’animale, vi fece leva, evitando un suo colpo di coda, ma in quel momento accadde qualcosa di sorprendente, il Navigatore ruotò sul proprio asse, lanciandosi con i piedi contro il Serpente di Mare, arti che brillavano di una luce rossa accecante, luce che circondava le gambe, permettendogli così di perforare, da parte a parte, il corpo della bestia, che cadde senza vita al suolo.

“Anche con le gambe? Sorprendente, ma come pensi di potermi battere? Sei stanco ed io, invece, sono illeso, grazie alle mie bestie”, concluse Sairon, in piedi sull’acqua, prima che con un fischio richiamasse intorno a se altri quattro serpenti di mare.

“Ti ucciderò adesso, perché la vendetta è molto più importante del mio dovere, in fondo loro non vi volevano vivi, non so perché ma vi temono, desiderano che tutti voi moriate, per questo hanno previsto tutto per rallentarvi, affinché non possiate scoprire qualcosa di cui non so. Qualcosa di cui ormai non ti interessa niente, data la tua prossima dipartita”, concluse l’ex sommo sacerdote, lanciando all’assalto le quattro bestie, che subito si gettarono contro il Navigatore.

“Dunque ci temono? Bene, avranno motivi in più per farlo dopo che sopravvivremo a quest’Isola!”, tuonò in tutta risposta l’Arvenauta, lanciandosi in una folle corsa, che si concluse con un agile salto, diretto contro Sairon.

 

Daja era soddisfatta, camminava silenziosa nel lungo corridoio, “Ormai è tempo che me ne vada da qui, prima che l’Isola crolli, potrò avere finalmente la mia vendetta contro gli dei dell’Oleampos, seguendo queste Nove Teste dell’Idra”, esultò fra se la donna Ragno, passando sopra al cadavere di Kaar, ormai privo di ogni vitalità. “Pensavo fossero nemici più terribili, invece in due non sono riusciti nemmeno a ferirmi seriamente”, concluse, osservando il foro nel proprio corpo.

Un ronzio, però, distrasse la donna Ragno, che non riuscì nemmeno a distinguere il nero sciame mentre appariva dall’oscurità, dirigendosi verso di lei e trapassandola nella ferita infertale da Kaar.

“Cosa?”, balbettò Daja, “Sono io, donna Ragno, sono qui dentro di te per concludere ciò che in due avevamo iniziato, per finire la battaglia che tanto avrebbe voluto finire lo Scorpione e per darti un ultimo insegnamento”, affermò la voce di Pandora, nella testa della nemica.

“Quale?”, tuonò la Navigante della Lutibia, “Che non è la maledizione in se la condanna, ma ciò che essa ti toglie. A te fu tolta la possibilità di mostrarti superba al mondo, la capacità di far vanto delle tue doti e conoscenze, dei doni fatti dagli dei che avresti dovuto usare per il bene del prossimo, non per farti bella con gli esseri tuoi pari, a me, invece, fu data questa punizione terribile, perché avevo perso la mia Innocenza, avevo disubbidito ad un ordine divino, andando contro alla mia stessa natura, quella natura che persino un dio come Urros quasi mi invidiava e per cui si sentiva al sicuro nell’affidarmi un oggetto così pericoloso come il Vaso che ho stupidamente aperto, quindi, Daja, cerca di capire, nei pochi attimi che ti restano di vita, l’errore di valutazione che hai fatto, a causa della tua superbia”, concluse Pandora.

“No, aspetta”, urlò la Donna Ragno, “voglio sapere un’ultima cosa: come hai fatto? Come ti sei liberata dalla mia tela?”, domandò urlando nel vuoto, “Grazie allo Scorpione, lui, cadendomi contro, ha reciso dei fili con le chele e mi ha augurato buona fortuna, la fortuna necessaria a spazzarti via, maledetta, tu che disprezzi chi ha donato la propria vita alle proprie divinità, anziché vantarsi di essergli superiore”, rispose l’arvenauta, prima che il corpo della donna Ragno avesse dei sussulti e dagli occhi, non coperti dalle tele, fuoriuscissero poi gli oscuri insetti, che si ricomposero subito dopo.

Pandora guardò per alcuni secondi i corpi senza vita di Kaar e Daja, “Spero che entrambi troviate la vostra pace personale oltre la vita”, furono le sue uniche parole, prima di avanzare verso l’uscita.

 

Odisseus aveva compiuto un salto senza pari, attraversando i quattro mostri marini e fermandosi dinanzi a Sairon, colpendolo con il pugno sinistro.

“Com’è possibile?”, domandò allora l’ex sommo sacerdote, mentre già un dolore lancinante apriva le sue viscere, “Come hai potuto? Hai superato le mie bestie”, osservò stupito l’essere risorto.

“Non è stato facile, Sairon. Ho dovuto usare tutti gli arti funzionanti e rischiare la mia stessa vita, gettandomi fra i tuoi serpenti, per tessere questi fili di essenza, fili che hanno ora perforato il tuo stomaco, fili che seguono i miei ordini e con cui, finalmente, potrò mettere una conclusione alla nostra stupida diatriba”, affermò con voce decisa il Navigante, mentre un colore grigio si canalizzava fra le sue dita. “Quando moristi la prima volta, fu per volontà di un dio che adoravi, nel corso di una guerra, un avvenimento che implica delle morti, ma ora è diverso, adesso tu sei un non morto che segue delle creature infernali per prendersi delle rivincite assurde, rivincite che di certo non ti ridaranno tutto ciò che hai perso, come non lo ridarebbero a me, che da quella guerra in poi ho continuato, senza fine, a perdere sempre ciò che aveva valore. Questa volta, però, sarà diverso, farò tutto il possibile perché Iason e gli altri si salvino, anche dare la mia vita, se sarà necessario, ma non contro di te”, concluse l’Arvenauta, allontanando lievemente il braccio sinistro, per poi colpirlo con un diretto allo stomaco. Quel pugno esplose di una luce argentea, luce che sollevò dall’acqua Sairon, lanciandolo lontano, seguito dai propri serpenti che, rapidi ed incapaci di muoversi, investirono il loro padrone, spezzandogli gli arti ed amputando lembi di carne con il loro peso.

“La nostra battaglia è conclusa, Sommo Sacerdote di Possidos”, affermò allora Odisseus, appoggiandosi allo scafo danneggiato della nave ed appisolandosi, stremato.

 

Anche nella selva della collina, l’unica zona ancora non segnata da battaglie, la situazione si era complicata, poiché già un nuovo nemico era apparso, fermando i passi di Brulde ed Iason.

“Che cos’è?”, domandò prontamente l’Hellekia, osservando la strana creatura, “Un nemico, giovane guerriera, un essere risorto dagli Inferi solo per sconfiggere noi Arvenauti”, rispose prontamente il Guerriero di Aven, “Non solo per voi, ma anche per chiunque vi sta vicino”, avvisò allora l’avversario, indicando Brulde, pronta alla lotta con il nuovo giunto.