Capitolo 50: Dispersi
in mare
Tyrion osservava l’Isola Ten-Lah affondare sotto le potenti acque del mare, la sua nave, quella con cui alcuni mesi prima era partito dal regno del Nord, l’Asjar, era già lontana da quel luogo e non aveva ricevuto alcun danno da quelle onde. “Prego che siate sopravvissuti, nobili guerrieri dell’Oleampos”, sussurrò fra se il dio del Nord, prima di voltarsi verso l’interno del suo veliero ed osservare i due seguaci a terra. Aveva curato le loro ferite Tyrion, aveva tentato persino di portarli di sotto, ma sembravano troppo stanchi per ogni movimento, quindi li aveva lasciati lì, sul ponte della nave, a riposare, mentre lui avrebbe condotto tutti al sicuro nelle bianche e gelide terre di suo padre Odath, dove avrebbe fatto curare i loro corpi dal saggio Hem’La ed avrebbe elevato canti di gloria in memoria del prode Roan, per poi parlare al consiglio dell’Asjar, dinanzi a tutti gli dei maggiori del pericolo incontrato su Ten-Lah, di Gyst e delle misteriose Teste dell’Idra Nera.
La nave con le alte bandiere della Lutibia si era salvata per una fortuita coincidenza dall’immensa onda provocata dall’inabissamento di Ten-Lah, ora Sokar e Seala osservavano ciò che era rimasto dell’Isola, i pochi detriti che galleggiavano a mezz’aria, probabilmente in cerca dei resti della nave degli Arvenauti, o anche solo dei loro sette corpi.
“Sarà sopravvissuto di certo l’Immortale, nessuna divinità avrà il coraggio di togliermi un nemico così potente, un essere che desidero ardentemente sconfiggere”, esclamò con voce quieta il Demone del Sud, prima di voltarsi verso la Donna Gatto, “vado a riposare nella parte inferiore di questa nave, tu conducimi fino al regno del nostro signore Rikka”, ordinò l’essere, prima di voltarsi ed andarsene senza aggiungere altro.
“Si, comandante Sokar, ci condurrò fino al regno di Sabbia del nostro divino padrone”, affermò fra se Seala, dopo che il Demone del Sud si era ritirato, “perché anch’io sono certa che rincontreremo Atanos, ma non perché gli dei concedano a te di combatterci, bensì perché qualche divinità benevola vorrà regalarmi la gioia di rivederlo”, concluse fra se la Donna Gatto, accarezzandosi la mano che pochi minuti prima l’Immortale gli aveva toccato, per poi dirigere la nave verso il caldo regno del Rihad.
Nel grande Regno di Lutibia un’altra giornata di battaglie furenti stava passando, nella normalità di quel periodo, “La normale follia”, come spesso la definiva il principe Aristos, primogenito di Priaso, questo finché un urlo non esplose nella stanza dove riposava Cassandra.
“Che succede?”, urlò in quel momento Anhur, primo fra i guardiani della Principessa di Lutibia, “Non lo so, mio sire, da stamattina sembrava piuttosto agitata ma adesso le sue urla sono diventate sempre più furenti, chiede di suo padre con insistenza”, spiegò allora Anfitride, che era rimasta dinanzi all’uscio della nobile figlia di Priaso.
“Manda subito Zefiro ad avvisare il re ed i suoi figli, io cercherò di calmare la nostra principessa”, ordinò prontamente il capo delle cinque guardie, entrando poi nella bella prigione di Cassandra.
“Mia signora”, sussurrò subito il Guardiano, inchinandosi dinanzi alla figlia di Priaso, “cosa vi succede?”, domandò con tono gentile.
Cassandra appariva triste, gli occhi erano scavati da lacrime e profonde occhiaie, i capelli, lisci e bellissimi, erano spettinati, segno di un dolore che aveva portato alla follia, le mani, legate da sottili catene, erano incapaci di ferire la giovane, o di permetterle solo di toccarsi, mentre in ginocchio scriveva diverse parole sul muro.
“Anhur, sei tu?”, domandò con voce triste la principessa, voltandosi, “Si, mia signora”, balbettò con tono quasi piangente il Guardiano, “Il mio eroe, il mio primo cavaliere, l’unico che ancora mi ascolta senza giudicarmi, vero?”, incalzò balbettante Cassandra, le cui lacrime segnavano le candide guance.
“Devi avvisare mio padre”, affermò subito dopo, mentre il suo tono di voce diventava agitato, “Palion è morto di nuovo, tutti i sette che tramavano nell’ombra sono tornati alle ombre. Degli altri viaggiatori pochi sono salvi. Una gatta ed un mostro del Sud, un dio e due mortali al Nord e poi loro, i Sette, ma qualcosa li spinge lontano dal salvarci”, queste parole vaneggiava Cassandra, mentre tristi lacrime di dolore scendevano dal volto di Anhur, che rimembrava la bellezza di quella principessa, una bellezza che lui aveva sempre ammirato nell’ombra, fra i tanti valorosi guerrieri della Lutibia.
Ricordava, il giovane Guardiano, i tempi in cui si era addestrato presso le palestre del Regno, servendo fedelmente tutti i diversi comandanti, fino a diventare uno dei più fedeli soldati al servizio del valido principe Aristos, tutto solo per avere la fortuna di osservare da vicino la bellezza che da sempre aveva desiderato vedere, Cassandra, la più bella fra le donne della Lutibia, colei che anche gli dei invidiavano ai mortali.
“Anhur, devi dire a mio padre di pregare Porian, il dio del Sole deve intercedere verso colui che impedisce ai Sette di raggiungerci, solo loro possono rivelare la serpe che si cova in seno al nostro regno”, esclamò ad un tratto la principessa, cercando di stringere le mani del Guardiano, “Ho fatto chiamare vostro padre, mia principessa”, rispose semplicemente il giovane, baciandogli la mano destra, prima di allontanarsi.
Un altro dei cinque guardiani di Cassandra, intanto, si trovava dinanzi ai due principi di Lutibia, “Dunque questo ripete nostra sorella?”, gli domandò Aristos, primogenito del Regno, “Si, mio principe, queste sono le sue parole, che richiedono, a dire del mio diretto superiore, l’attenzione del vostro eccelso padre”, replicò con capo basso l’interlocutore dai lunghi capelli azzurri come il mare, il cui abito, grigio, lasciava intravedere i possenti muscoli di guerriero, mentre gli occhi azzurri osservavano chini il suolo dinanzi a lui.
“Il tuo diretto superiore troppo spesso utilizza il suo libero arbitrio nel valutare ciò che serve per nostra sorella”, avvisò allora Axides, i cui lunghi abiti bianchi coprivano del tutto il corpo, lasciando osservabile solo la testa, “devi avvisarlo di non avvalersi troppo delle poche grazie concessegli”, concluse il giovane Principe.
“Lasciali stare, fratello, in fondo è vera la loro lealtà verso nostro padre e l’interesse che ha Anhur per la salute di nostra sorella”, replicò allora con tono gentile Aristos, prima di rivolgersi al guardiano. “Zefiro, giovane guardiano di nostra sorella, ti siamo grati della notizia portataci, saremo noi stessi ad avvisare nostro padre”, concluse il primogenito di Lutibia, concedendo al seguace di andare.
Quando rimasero soli, i due principi, si guardarono fra loro, “Mi occuperò io di avvisare nostro padre, va bene?”, domandò Aristos, “Si, non c’è problema”, tagliò corto l’altro, prima che il fratello fermasse i suoi movimenti con una mano. “Axides, tu sei principe di Lutibia, come me, e se io cadessi in battaglia, toccherebbe a te regnare sul regno, dopo la morte di nostro padre, quindi devi capire che i sudditi, specialmente quelli dimostratisi degni di fiducia e rispetto, non possono essere tratti come fai tu. Altrimenti non diventerai mai un re amato dal tuo popolo”, spiegò il primogenito, “Non penso che diventerò mai re di Lutibia, fratello mio”, rispose seccamente l’altro, allontanandosi con un veloce strattone, senza nemmeno utilizzare le mani per liberarsi dalla presa fraterna.
Camminò per il lungo corridoio il principe più giovane della Lutibia, fino a raggiungere quasi le sue stanze e dinanzi alle ampie porte, trovò Pirros ad attenderlo. “Ho sentito ciò che vi ha riferito quel servo, sembra che la garanzia dataci dai nostri alleati sia saltata, che avete intenzione di fare?”, domandò direttamente il generale dai capelli rossi come il fuoco, “Tu che vorresti fare? Pensi per caso di poterli tradire da solo, senza l’aiuto di nessun altro a parte quei quattro soldati che ti ritrovi?”, replicò con voce fredda Axides, “No, ma ciò che state diventando potrebbe darci qualche possibilità”, affermò con un soffio di voce l’altro.
Sentite quelle parole, il giovane principe ebbe come un attimo di riflessione poi, con un movimento fulmineo, prese al collo il suo interlocutore, sbattendone il corpo corazzato contro il muro, come fosse un leggero fuscello, “Non osare più dire una cosa del genere, non devono essere questi i discorsi su cui riflettere, né tuoi, né del Musico, capito?”, tuonò Axides, lasciando la presa, mentre Pirros lentamente riprendeva a respirare, togliendosi dei sottili fili da sopra il collo, fili simili a seta.
“Mi scusi, ma senza i sette non abbiamo speranza che i Tre Tesori arrivino a noi, probabilmente li avranno già presi i nostri nemici”, spiegò con voce preoccupata il Generale, “Non è di questo che devi interessarti, ho la sicurezza che non sono loro ad averli, come sono sicuro che tu non sarai tanto pazzo da tentare alcun colpo di testa, cosa che non si può sapere sul tuo pari”, replicò con voce tranquilla il principe, prima di entrare nelle proprie stanze.
Nella sala del trono, intanto, Aristos attendeva l’arrivo di suo padre, la cui salute era sempre più cagionevole. “Mio principe”, esordì ad un tratto una voce, entrando nella sala reale, era Orpheus, di ritorno dai campi di battaglia, “Cos’è successo, mio signore? Come mai non abbiamo avuto la possibilità di vedervi fra noi sul campo di battaglia?”, domandò prontamente il Musico, inginocchiandosi, “Non sono sceso a combattere per questioni famigliari”, spiegò seccamente il primogenito di Lutibia.
“Spero non sia successo niente di grave ai vostri cari”, affermò con sincera preoccupazione l’eburneo guerriero, “No, non preoccuparti di ciò, mia sorella ha avuto un’altra visione, da ciò che mi è stato riferito, afferma che i sette esseri che ci sono stati dati come fedeli soldati hanno fallito, ma cosa si poteva attendere da dei morti viventi?”, affermò con voce secca Aristos, prima di rendersi conto di chi fosse il suo interlocutore, “Scusami”, continuò prontamente, “non volevo mettere in discussione la validità dei tuoi soldati”, concluse.
“No, mio principe, non scusatevi, so bene quanto poco apprezziate i soldati che guidiamo io e Pirros e proprio per questo vi sono grato per l’onore che ci fate di considerarci vostro pari”, esordì il Musico, inginocchiatosi, “ma se è vero ciò che ha visto la vostra sfortunata sorella, dovete preoccuparvi di mettere al riparo i vostri famigliari, vostro padre, la bella sposa ed il giovane figlio, poiché se il nemico della Lutibia sarà dotato di armi potenti potrebbe anche spazzar via l’intero regno, con tutti i suoi abitanti”, concluse.
“Non penso che gli uomini di Aven siano così folli, almeno la fama di Ruganpos è di uomo giusto e generoso, perché abbia ucciso i nostri messaggeri di pace nel periodo antecedente la guerra, non lo ho mai potuto sapere, bruciarne le carni in quel modo è stato un gesto davvero vile, inadatto alla sua nobile fama”, osservò con voce triste Aristos, “Questo è vero, mio sire, ma proprio perché il nemico del Regno è stato capace di tanto, sarebbe meglio portare al sicuro le persone a voi care, poiché, credetemi, non c’è niente di più terribile di veder morire qualcuno a cui si tiene. Ho provato ciò di cui parlo e non lo augurerei a nessuno, nemmeno ai miei peggiori nemici”, spiegò con voce soffocata Orpheus, “Si, so della tua triste storia, Orpheus, Musico di Porian, un tempo. Seppur non capisco perché tu ti sia voluto unire a noi ed abbia fatto del dolce suono della tua arpa un’arma di distruzione, ma ti sono grato per la fedeltà che concedi al nostro regno”, affermò con estrema gentilezza Aristos, appoggiando una mano sulla spalla del nobile guerriero, prima che un araldo annunciasse l’arrivo del Re, “Adesso lasciaci, te ne prego, devo parlare con mio padre”, affermò il figlio di Priaso, congedando il Generale.
In un punto imprecisato, vicino a dove un tempo sorgeva la sacra Isola di Ten-Lah, la nave dei sette Arvenauti vagava, spinta dai venti, con diversi danni profondi, che ne avevano danneggiato vistosamente lo scafo, lasciando solo un mero ricordo della bellissima creazione di Argos.
Un’onda improvvisa, che sconvolse il delicato fluire delle acque, svegliò il giovane Eracles, rimasto svenuto dopo la potente caduta di Ten-Lah.
“Ti sei ripreso, ragazzo”, esordì ad un tratto una voce, che subito il figlio di Urros riconobbe essere di Atanos, come poi constatò, voltandosi.
“Sei il terzo che si riprende, dopo di me”, affermò l’Immortale, porgendo la mano al ragazzo e sostenendolo per rialzarsi, “E gli altri?”, incalzò Eracles, “Acteon ed Iason sono ancora svenuti, mentre gli altri stanno cercando di capire dove siamo”, rispose prontamente Atanos, “Che vuoi dire?”, continuò il figlio di Urros, “Vuole dire che dopo il crollo dell’Isola, quando tutti eravamo svenuti, le maree ed il vento ci hanno condotto verso una rotta che non era la nostra, spingendoci in mare aperto, senza una meta chiara”, esordì Pandora, apparendo dalla coperta.
“Sei salva quindi?”, domandò prontamente il giovane, avvicinandosi alla compagnia di viaggio, “Certo, fra i tanti, io sono una dei pochi che non può essere uccisa facilmente”, replicò la fanciulla maledetta da Urros, “piuttosto tu, stai sanguinando”, osservò dopo lei, notando la ferita sulla gamba destra di Eracles, “Un lascito della mia battaglia contro Kuon”, spiegò con voce triste il ragazzo.
“Sotto Argos sta curando le ferite, è meglio se gli fai vedere la tua”, suggerì Pandora, invitando il compagno di viaggio a seguirlo con un gentile gesto della mano.
Mentre i due scendevano, Odisseus risalì sul ponte della nave, dove solo Atanos era rimasto, vicino ai corpi svenuti di Acteon ed Iason.
“Che ne dici, vogliamo svegliarli?”, esordì il Navigatore, “Non so quanto potrebbe essere rischioso, io stesso non vi ho chiamato per un intero giorno proprio per non arrecarvi danni”, replicò l’Immortale. “Un intero giorno senza sapere dove ci dirigevamo, per quanto, data la completa assenza di remi, la falla che si è aperta nella zona dove si dovrebbero trovare e la presenza di un solo albero, dalla vela danneggiata, e da tanti altri problemi che ha ormai la nostra nave, che noi dormissimo o meno non fa molta differenza, ma avremmo potuto capire prima dove ci dirigevamo, senza il cupo rischio di avanzare alla cieca”, osservò con tono triste l’antico Viaggiatore.
“Ti posso dire che non ho riconosciuto alcuna costellazione delle regioni dell’Oleampos, né il Montone, né l’Anies divino, né altro del genere, però mi è parso di vedere quella che dovrebbe essere la costellazione del Kumura, se le mie memorie del periodo passato nell’emisfero Orientale non mi tradivano”, affermò con freddezza l’Immortale.
“Kumura? Non è un buon segno, saremmo parecchio lontani da casa se ciò che dici è vero”, osservò con tono sorpreso Odisseus, prima di avvicinarsi ai due ancora svenuti, “penso sia tempo di svegliarli, dobbiamo organizzarci ed agire prima che il nostro viaggio si risolva nel modo peggiore”, suggerì il Navigatore, scotendo il corpo di Iason, mentre Atanos, con un piede appoggiato sulla spalla, faceva risvegliare Acteon.
“Hai dei metodi davvero delicati”, esordì dopo alcuni secondi il Cacciatore, senza ricevere risposta alcuna, se non la mano per alzarsi, “Come stai?”, domandò poi l’Immortale, “Abbastanza bene, non ho ricevuto ferite gravi su quell’Isola, anche grazie a quel pazzo di Sokar, che ha voluto combattere da solo”, replicò semplicemente l’altro.
“Odisseus”, esordì nello stesso tempo Iason, riprendendosi, “Salve, ragazzo, come va?”, replicò il Navigatore, “Bene, ma dove siamo?”, domandò il Guerriero, “Non lo sappiamo, ma di questo dovremo parlare tutti insieme”, rispose l’altro, “E la tua mano?”, concluse il giovane, notando una ricca fasciatura ed una benda che legava l’arto ferito al corpo, “Non si muove”, tagliò corto l’altro, prima di rivolgersi ad Atanos, “Se Acteon non ha gravi ferite, chiama gli altri, dobbiamo fare il punto della situazione”, ordinò prontamente l’Arvenauta.
I Sette Arvenauti si ritrovarono sul ponte della nave, era tutti vivi, alcuni feriti, altri no, si guardavano vicendevolmente, in attesa che qualcuno prendesse la parola.
“Siamo stati ingannati, sembrerebbe”, esordì Odisseus, “da ciò che Argos mi ha raccontato, i Tre Tesori non erano più sull’Isola da tempo, ma questo nemmeno i sette della Lutibia lo sapevano, né i guerrieri dell’Asjar e del Rihad, solo questa misteriosa Regina ed i quattro Custodi ne erano consapevoli”, osservò il Navigatore.
“I Custodi erano però delle vittime, come Senru ti ha spiegato”, lo interruppe Argos, “intrappolati dal soave canto della Regina dell’Isola”, concluse, “Si, questo è vero, se questo canto era potente come voi dite, loro sono semplici vittime di una delle Teste dell’Idra, che finalmente si è rivelata a noi”, concordò Odisseus.
“Già, una testa dell’Idra si è rivelata, mostrandoci quanto siano effettivamente potenti e quanto poco si fidino dei propri seguaci”, osservò allora Pandora, “Si, è vero anche questo, dato che nemmeno i sette naviganti sapevano dell’assenza dei Tesori, o almeno così mi è parso di intuire dalle parole di Sairon”, rifletté Odisseus.
“La Regina, comunque, non era l’essere che vi ha fermato sia su Lembia sia sull’Isola precedente alla nostra falsa meta?”, domandò a quel punto Iason, “No, giovane guerriero, non vi era traccia alcuna in lei dell’odio e del terrore che quell’ombra sapeva incutere, come già dissi appena arrivato sull’Isola, sembrava più una luce che voleva lasciare il resto del mondo nell’oscurità, piuttosto che un essere affamato di odio”, rispose prontamente Argos.
“Questo è vero, non era di certo lei una delle due creature che ci raggiunsero su Lembia, ma ho sentito la presenza dell’altro, vicino a lei, prima che scomparissero entrambi”, si intromise Atanos.
“Dove?”, incalzò subito Acteon, “Sulla costa Meridionale, poco prima che tu e Sokar usciste dalla collina, avevo percepito una presenza, la stessa che avevo sentito a Lembia, poi, però, la vostra apparizione mi ha distratto e quell’essere è scomparso, insieme alla creatura di nome Gyst”, concluse Atanos.
“Come mai hai sentito solo tu quella presenza?”, domandò perplesso Eracles, “Non lo so, pensavo che almeno Pandora ed Argos se ne fossero accorti, ma nessuno ne aveva accennato prima. Sapevo che Acteon era troppo attento ai movimenti del suo infido compagno di viaggio nella grotta, ma credevo che voi ve ne foste accorti”, osservò l’Immortale.
“No, non ho percepito nulla, ma in fondo io non sento odori, o vedo nemici, riesco solo a percepire la presenza della morte e quell’essere che dici aver raggiunto l’Isola non ne trasmetteva la presenza come l’altro”, spiegò la Signora del Nero Sciame, “La mia vista, invece, era bloccata dalla presenza di quell’immensa collina protetta da poteri divini”, aggiunse il Guardiano.
“Dunque abbiamo scoperto che ce ne erano due di queste Teste dell’Idra su quell’Isola, che un’altra è quella che terrorizza le terre del Nord e che ben cinque ancora non sono rinate nel nostro tempo, sono tutte notizie importanti, ma non tanto quanto le due più spiacevoli”, esordì pochi attimi dopo il Navigatore, “poiché sappiamo che il nostro nemico è pericoloso, giacché ha tutti i Tesori degli Dei, scaltro, poiché lo ha tenuto nascosto, potente, come ci ha dimostrato la Regina, e probabilmente sta sfruttando il regno della Lutibia”, concluse Odisseus.
“Cosa proponi di fare a riguardo?”, domandò allora Argos, “Niente di più di occuparci di riparare la nave per ora, mentre tu, amico mio, cerca di scoprire in che parte del mondo siamo arrivati, perché si possa tornare indietro, sapendo questa notizia”, rispose prontamente il Navigatore, prima di sciogliere la piccola assemblea.