Capitolo 51: Il peso delle maledizioni

 

I Sette Arvenauti erano ora dispersi sulla nave, ognuno di loro si occupava di una riparazione distinta. Ad Acteon ed Atanos la riparazione dei remi, a Pandora ed Eracles toccarono gli alberi della nave, mentre Iason ed Odisseus si occupavano della navigazione ed Argos, osservando il pallido cielo mattutino cercava di intuire dove si trovassero.

 

“Ti volevo chiedere una cosa, Atanos”, esordì in quel lasso di tempo il Cacciatore, mentre i due legavano con dei cavi metallici ciò che restava dei remi, “Dimmi pure”, replicò freddamente l’Immortale.

“Perché hai voluto aiutare quei due guerrieri del Rihad? Sokar era un pazzo assassino, gli ho visto uccidere, dopo atroci torture psichiche e fisiche, Palion, mi è persino dispiaciuto per quell’essere che un tempo era un principe della Lutibia”, affermò con voce perplessa Acteon, legando altri due remi.

“Non ho aiutato Sokar, ma la sua compagnia d’armi, Seala”, replicò con voce gelida l’altro, “Che intendi dire? La tua mente priva di anima è stata affascinata dalla Gatta Egizia?”, domandò con tono ironico il Cacciatore, mentre Atanos si fermava, voltandosi verso di lui.

“Tu hai incontrato quell’essere, il figlio di Priaso, ma io nella collina ho rivisto quel dannato mutaforma, Kalos, che mi è apparso di nuovo sotto una forma a me nota, quella di Doka”, spiegò prontamente l’Immortale, “Di chi?”, domandò in tutta risposta il Cacciatore. L’Arvenauta senz’anima guardò il suo compagno di viaggio e poi chinò il capo. “La voce che hai sentito sull’altra Isola, quella che chiamava Taos, era la voce di Doka, la donna per cui sfidai le leggi della logica, cercando di riportarla alla vita, trecento anni fa. Sotto le sue sembianze mi ha sfidato, bloccando la mia mente, che non desiderava perdere gli ultimi ricordi della sua passata umanità, ricordi che, però, sarebbero costati la vita alla Donna Gatto, incapace di battere qualsiasi altro aspetto di Kalos. Probabilmente fu proprio per la sua debolezza che mi ha spinto a combattere, ma le sue parole mi hanno dato quasi una certezza”, spiegò con un tono meno gelido del solito Atanos.

“Certezza? Di cosa?”, domandò Acteon, “Che uccidere quell’immagine non mi avrebbe portato via il ricordo di Doka e che in qualche modo, la mia anima non è l’unica fonte della mia umanità, che c’è altro di ciò che ero e che forse, alla fine di questa missione potrei tornare ad essere”, concluse l’Immortale, notando che il suo interlocutore sorrideva soddisfatto.

“Non ti avevo mai sentito parlare in questo modo, di norma i tuoi dialoghi vagano tra la disperazione ed il gelido vuoto, ma questa volta sento un anelito di speranza farsi avanti attraverso tanti cupi pensieri e devo dire che sono lieto di questo, per te, amico mio, forse, quando tutto sarà finito, invece che partecipare ai tuoi funerali, potrai tu venire a caccia con me”, gli propose sorridente Acteon, mentre il compagno di viaggio legava altri remi fra loro.

“In ogni caso, ti capisco, anch’io, l’altro giorno, nella collina, ho avuto come una sensazione innaturale, una cosa che non provavo da tempo, la pietà. Sono stato avvolto da questa sensazione, che mi ha sopraffatto nel vedere ciò che stava facendo Sokar a quel povero principe, il dolore che procurava alle sue carni ed alla sua mente mi ha fatto ritrovare il coraggio, sotto la semplice baldanza e mi ha fatto sentire un po’ meno animalesco nel mio essere”, concluse con un sorriso Acteon, legando anch’egli dei remi fra loro.

 

Pandora ed Eracles, si stavano intanto occupando di riparare gli altri due alberi della nave: il giovane figlio di Urros li sosteneva con una mano, piantando delle assi di legno sulle crepe con l’altra, mentre Pandora cercava di ricongiungervi le vele.

Il primo dei due alberi fu riparato con non poca fatica dai due Arvenauti, ma completata la lavorazione, Eracles volle riposarsi alcuni minuti.

“Ti vedo triste, ragazzo, eppure fra noi dovresti essere quello più sereno dato che non avevi bisogno dei Tre Tesori per raggiungere la tua aspirazione”, osservò con voce cupa Pandora, “Sono triste, è vero, per tanti motivi. La vostra impossibilità di guarire e la mia incapacità di salvare Roan, il guerriero del Nord, sono stato inutile in quella grotta”, spiegò con tono disperato il giovane figlio di Urros con il capo chino.

“Ho visto la tristezza che ti aveva provocato perdere quel nobile compagno di battaglia, come è stato triste per me, seppur in modo diverso, veder cadere quell’Uomo Scorpione, che mi è stato d’aiuto durante lo scontro con la comune nemica, Daja”, spiegò con voce calma Pandora, sedendosi vicino al giovane figlio di Urros, che si era appoggiato al suolo, “ma ho preso forza dal suo desiderio di vittoria, non mi sono fatta schiacciare dai sensi di colpa, al contrario di te”, concluse lei.

“So bene di questo mio difetto”, concordò con voce triste Eracles, “No, ragazzo, non è affatto un difetto avere un cuore puro come il tuo”, replicò subito la Signora del Nero Sciame, appoggiando le gelide mani su quelle del figlio di Urros, “non è debolezza l’incapacità di uccidere, o il tenere alle persone care, forse è un freno, nel momento della battaglia, ma non debolezza, poiché chi è puro di cuore ha un destino più quieto e gioioso di coloro che uccidono e massacrano. Mai dovrai sentirti in colpa per coloro a cui hai dovuto togliere la vita, né dovrai soffrire per gesti inconsulti e sconsiderati, poiché il tuo animo, puro e chiaro come l’acqua del mare, saprà sempre ben pesare le azioni da compiere, di questo ti invidio e di questa tua grande dote anche Roan si era di certo accorto e per questo ha dato la vita, affinché tu potessi mantenere la tua”, concluse con gentilezza la fanciulla dai capelli corvini.

“Grazie di queste parole, dette per riscaldarmi l’animo, Pandora”, esordì con un sorriso accennato il giovane figlio di Urros, “Come tu mi sei stato vicino, mentre stavo male, dopo la partenza dall’Isola antecedente la nostra meta, ora sono io a volerti star vicino mentre ne hai bisogno, anche per l’affetto che sento di provare verso di te”, rispose prontamente la Signora del Nero Sciame, con un gentilissimo sorriso, “un affetto che non sentivo ormai da secoli, tanto il tormento mi nascondeva qualsiasi altra sensazione”, concluse, prima di invitare Eracles a riprendere le riparazioni della nave.

 

Odisseus ed Iason, invece, erano sulla parte più alta del ponte, intenti a governare ciò che restava del timone ed a calcolare, secondo i movimenti delle onde e la forza dei venti, quale direzione sarebbe stata data al loro viaggio, lungo delle terre poco note.

“Sembra che dirigiamo sempre più verso Est”, osservò dopo alcuni minuti di calcoli il Navigatore, mentre con la mano sinistra segnava dei numeri su un plico vicino a se, “Non è bene questo?”, domandò Iason, “No, perché le terre di Re Ruganpos, o anche solo il campo di battaglia della Lutibia, la striscia di Tryo, sono ben lontane da queste coste, diverse miglia marittime ormai ci distanziano dalla nostra meta, almeno che le onde non ci abbiano ridiretto verso Midian, ed ora stiamo semplicemente ritornando dove un tempo vi era l’Isola dei Tre Tesori”, rifletté Odisseus, la cui mano illesa si agitava convulsamente.

“Tutto bene, saggio Odisseus? Mi sembri preoccupato, o al più nervoso”, domandò titubante il giovane Guerriero di Aven, “Preoccupato? Forse, perché gli Oggetti che cercavamo abbiamo scoperto essere in mano a chi li può usare solo per il male. Nervoso? Non penso, seppur il dolore alla mano destra è particolarmente acuto”, rispose con gentilezza il Navigatore, prima di guardare le fasciature mediche sulle spalle di Iason.

“Sei riuscito ad utilizzare il potere dell’Essenza, vero? Ho sentito scaturire una grande potenza mentre ero semi svenuto, dopo lo scontro con Sairon, inoltre quando sei tornato alla nave, malgrado quelle spalle, mi hai sollevato ed aiutato a salire a bordo, eri sotto l’inebriante sensazione del primo stadio dell’Essenza, ne sono certo”, esordì pochi attimi dopo Odisseus, cambiando volutamente discorso.

“Inebriante sensazione del primo stadio? Si, ero inebriato, questo è vero”, rifletté Iason, in tutta risposta, “la battaglia non stava andando a nostro favore, ma quando la giovane Brulde mi ha salvato, rischiando la propria vita, mi sono concentrato il più possibile per ricordare le lezioni ricevute lungo il viaggio ed alla fine ho sentito tutto il mio corpo palpitare, come in preda ad una forza senza confronto, una forza tale da riuscire non solo a fermare la percezione del dolore, ma anche di colpire, senza stanchezza, o bisogno di rallentare, il corpo del centauro. È stato come scatenare una potenza che per troppo tempo era rimasta rinchiusa, mi sono ritrovato a colpire senza freno in un interminabile ed unico attimo, solo la voce di Brulde mi ha poi fatto riprendere conoscenza, bloccando quello sfogo e concludendo lo scontro, per poi fuggire insieme a lei da quel luogo, ancora carico della potenza di quei miei assalti”, raccontò con grande gioia il Guerriero.

“Quello che tu descrivi è l’inebriante primo stadio, una specie di completa possessione a livello puramente fisico del potere dell’Essenza, accade spesso a chi ancora non è riuscito ad andare oltre una conoscenza basilare di quel potere ed è efficace contro nemici dai bassi poteri offensivi, se però ti fossi trovato dinanzi a Tsun Ta, o anche solo al suo secondo Qui Han, non avresti potuto aspirare ad una completa vittoria in quel modo”, lo avvisò Odisseus, “proprio per questo voglio iniziarti fin da subito al secondo stadio, quello che ti permetterà di controllare la forza fisica scaturita dall’Essenza con la mente, una forza molto superiore e più profonda, una forza che distrugge senza far perdere il controllo di se stessi”, concluse il Navigatore, “Sono pronto a qualsiasi addestramento”, replicò subito il giovane combattente di Aven.

“Non sarà un addestramento per il corpo questo, ma per la mente, dovrai temprarla e fare in modo che da questa scaturisca tutta la forza che vi è racchiusa, una forza capace di controllare ogni movimento senza nemmeno pensarvi”, avvisò il Navigatore, invitando il giovane allievo a sedersi al suolo, “concentrati, ragazzo, pensa al tuo respiro, al battito del tuo cuore e segui i loro movimenti con la mente, finché ogni cellula del tuo corpo non ti sarà perfettamente presente, sarò intanto io a guidar la nave”, concluse poi, avvicinandosi al timone.

“Odisseus, ti devo parlare”, esordì pochi attimi dopo Argos, apparendo sul ponte con alcune carte nautiche in mano, “Non ora, amico mio, Iason è intento nella meditazione, non ho intenzione di disturbarlo con le nostre parole, potrai dirmi della nostra rotta dopo”, affermò con un tono di voce falsamente quieto il Navigatore, sorridendo gentile all’ex semidio.

 

Quando la notte calò sulla nave, quasi tutti i suoi componenti andarono a riposarsi, dopo la lunga giornata passata cercando di riparare i danni allo scafo ed agli alberi del mezzo di navigazione, ma Argos rimase sveglio per parlare con Odisseus.

“Navigatore, ti devo dire quale rotta stiamo compiendo, devi essere il primo a saperlo”, avvisò subito il Guardiano, mentre il suo compagno Arvenauta osservava il cielo stellato, “Temo di sapere già la risposta”, replicò seccamente l’altro, “ho visto il Kumura e la Grande Spira, quindi immagino di sapere già ciò che mi vuoi dire”, concluse con voce cupa l’uomo maledetto da Possidos.

“Si, ci stiamo dirigendo verso il regno di Tenkia, protetto dai grandi dei che già hai avuto la fortuna di conoscere”, rispose prontamente Argos, “Lo hai chiamato con il suo nome originale, nella lingua del popolo di queste terre. Per caso lo hai fatto solo per convincermi a fare qualcosa? Ebbene non servono queste puntualizzazioni, avevo già pensato di lasciare la nave, per il vostro bene”, replicò semplicemente Odisseus, chinando il capo verso lo scuro mare notturno.

“Non era questo che volevo suggerirti”, obbiettò con voce stupita Argos, “Lo so bene, amico mio, ma solo così potremo evitare che accade ciò che è accaduto ad ogni nave su cui mi sono imbarcato dal giorno della maledizione di Possidos, maledizione che anche in questi giorni, dopo la nostra partenza dall’Isola dei Tesori, si è rifatta presente a me, seppur ho cercato di non farlo pesare su nessuno. Per questo vi abbandono, per salvarvi tutti, amici cari che con me avete condiviso l’afflizione di questo viaggio e come me avete sofferto per le vostre e le mie sfortune. Poi, so di lasciare un uomo saggio ed abile navigatore al comando della nave”, replicò Odisseus con voce triste.

“Voglio solo sapere una cosa”, continuò poco dopo il Navigatore, “quanto siamo distanti dalle coste della Tenkia?”, domandò perplesso, “Per domani, quando il sole sarà allo zenit, dovremmo essere lì”, rispose seccamente Argos. Odisseus sbuffò, sapendo questa notizia, poi guardò l’amico con occhi tristi, per cercare di accennargli un sorriso, “Poco male, direte di essere naviganti che si sono dispersi, se non sarò con voi, non rischierete niente”, tagliò corto il Navigatore, avvicinandosi al bordo della nave.

“Dunque la fuga è l’unica soluzione che resta al prode Odisseus?”, incalzò a quel punto una voce, proveniente dalla coperta della nave, era Atanos, “Non vi sono altre vie per sfidare il terribile destino che potrebbe attenderti in queste terre lontane?”, domandò con la gelida voce.

“Ci hai sentiti parlare?”, esclamò sorpreso Argos, “Si, ho sentito tutto. Sono un immortale, ma non per questo uno stupido, anzi, so meglio di tutti gli altri dove conducono certe direzioni marittime, seppur non sia un esperto di mare e sapendo anche molto della storia del mondo, avendovi fatto parte per diverse ere, mi rendo conto del perché tu voglia fare un’azione del genere, ma lo stesso non posso condividere un simile atto di codardia”, lo accusò Atanos.

“Parli bene, Immortale, ma non penso sia tu il più degno per criticare le mie azioni. Un essere a cui è stato concesso di vivere in eterno e che non vuole altro che la morte non dovrebbe parlare, in fondo nemmeno costoro probabilmente potrebbero prendere la tua vita, ma prenderanno con facilità quelle degli altri miei compagni di viaggio, da Acteon, il tuo caro amico, ad Iason, che per me sta diventando simile ad un figlio, passando per l’innocente Eracles, la povera Pandora, le cui sofferenze sembrano per ora quietarsi, e per lo stesso Argos”, tuonò con voce decisa il Navigatore.

“Proprio perché come Immortale desidero la morte so bene cosa provi, Odisseus, che hai per secoli perso tutti gli amici e le persone care, augurandoti ogni volta di essere tu a morire e non loro”, replicò gelidamente Atanos, “ora, però, abbi il coraggio di condividere anche i dolori con gli amici e non solo le gioie. Domattina parlerai a tutti e li avviserai del pericolo, poi, arrivati sulle coste, vedremo cosa succederà”, tagliò corto l’Immortale, prima di voltarsi, lasciando sbalorditi i due per le sue parole.

 

La mattina dopo, quando tutti e Sette gli Arvenauti si furono svegliati, Odisseus li chiamò, per parlare di nuovo a tutti loro.

“Miei cari compagni, ieri abbiamo avuto la certezza su quale era la direzione che stava prendendo la nostra nave”, avvisò subito il Navigatore, “Siamo diretti verso casa?”, domandò prontamente Iason, “Purtroppo no, giovane Guerriero, anzi, verosimilmente, nel momento in cui l’Isola è affondata, la nostra nave ha ricevuto una spinta nella direzione inversa a quella che aveva”, rispose prontamente Odisseus. “Tu ci hai detto, quel giorno, che la nave era diretta verso l’Isola, che saremmo di sicuro stati assorbiti nella distruzione di quel luogo sacro, ma una rotta inversa è quella che abbiamo fatto, cioè una rotta che ci allontanava dall’Isola stessa”, osservò Acteon, movendo le mani per seguire il suo ragionamento, “Esatto, ma noi non ci trovavamo sulla costa da cui siamo partiti, avevamo iniziato a circumnavigare quel luogo ormai scomparso, ci eravamo ormai avvicinati alla costa Orientale”, ricordò subito dopo Pandora, interrompendo il compagno di viaggio, “Si, e verso Est ci siamo diretti, tanto ad Est da essere ora prossimi alle coste del regno di Tenkia”, concluse subito Odisseus.

“Tenkia? Che luogo è mai questo? Non lo avevo mai sentito prima”, esclamò subito Eracles, sorpreso, “Non è vero, ragazzo, tu lo hai sentito nominare, ma nella sua traduzione presso di noi. Il Regno di Tenkia è il Regno dei Cancelli Celesti. Ten è Celeste, mentre Kia sono i Cancelli nella lingua dei fedeli di Rahama”, spiegò Atanos, prendendo la parola, “o, per essere più corretti, in cui si adorava Rahama, prima che questi morisse”, concluse poi.

“Dunque? Tutto qui? Siamo diretti verso i Cancelli Celesti, ma circumnavigarne il regno non sarà così terribile, ci farà perdere molto tempo, ma ci riusciremo, magari dopo aver riparato la nave”, osservò Acteon con fare tranquillo. “Purtroppo non è così semplice”, tagliò corto Argos, alzando il capo coperto verso Odisseus, che subito divenne scuro in volto.

“Sono ricercato nelle terre dei Cancelli Celesti”, avvisò allora il Navigatore, “una condanna capitale pende sulla mia testa, condanna che mi fu abbuonata dal nobile dio Rahama, con l’obbligo di non rimettere mai più piede in queste terre, però. Ora siamo prossimi al loro regno, a meno di qualche ora dalle loro terre, il divino Signore che comandava la Triade degli dei del Tenkia è defunto e gli altri due signori di queste terre non so se saranno altrettanto buoni nei miei confronti, inoltre la maledizione di Possidos ci impedisce di cambiare direzione”, concluse Odisseus.

“Che cosa facciamo?”, domandò allora Iason, “Ho intenzione di gettarmi in mare consegnarmi a loro, vi lasceranno così passare se negherete di conoscermi”, rispose prontamente il Navigatore, “No, non accetto un piano del genere, noi sette andremo avanti insieme, siamo tutti Arvenauti e nessuno abbandonerà gli altri”, tagliò corto il Guerriero di Aven, trovando nei cinque compagni la medesima determinazione. “Vi ringrazio, ma penso che tutto ciò sarebbe un inutile massacro, a nostro svantaggio”, obbiettò allora Odisseus.

“Ormai è tardi per queste riflessioni, siamo vicini alla costa, già la vedo io, con i miei occhi normali”, avvisò prontamente Acteon, “E delle navi ci stanno per raggiungere, spinte da un vento innaturale”, continuò allora Argos, indicando due schegge che sembravano muoversi innaturalmente veloci nell’acqua e che alla fine si rivelarono essere della navi dalla strana forma, che si disposero ai lati dell’imbarcazione degli Arvenauti.

“Li attacchiamo, o aspettiamo che siano loro i primi a colpire?”, domandò prontamente Iason, guardandosi intorno.

In quel momento, però, un suono, simile ad un acuto sonaglio, proruppe dalla nave alla loro destra, un suono che scosse le membra di Odisseus, che sembrarono riconoscerne la fonte, “Non attaccheremo, né saremo attaccati finché siamo qui in mare, questo è un comitato di benvenuto, giunto ad accogliermi, ora che ho rimesso piede nelle loro acque, ma so che chi li comanda è un uomo dall’immenso onore, quindi lo saremo anche noi, non attaccheremo, se non sarà necessario”, concluse il Navigatore, “li seguiremo soltanto”, fu il suo unico ordine a riguardo.