Capitolo 52: I guerrieri del regno di Tenkia

 

La nave degli Arvenauti raggiunse le coste ormai prossime e si ritrovò in un’ampia spiaggia, priva di costruzioni vicine, qui, dalle navi che li avevano scortati, i Sette ricevettero l’ordine di ammainare le vele e gettare l’ancora.

“Che facciamo, Odisseus?”, domandò Eracles, vedendo il gesto di una figura sulla nave sinistra, “Segui l’ordine”, rispose semplicemente il Navigatore, notando che, subito dopo aver ammainato le vele, due grandi scivoli erano apparsi dalle due imbarcazioni, raggiungendo il terreno sabbioso dinanzi a loro.

“Scendiamo anche noi, ma non fate niente di avventato se prima non ve lo dico io, va bene?”, propose Odisseus, guardando con un viso falsamente quieto i propri compagni, prima di saltare sulla candida spiaggia.

I sei seguirono l’ordine del Navigatore, scendendo tutti dalla nave. “Argos, che cosa vedi?”, domandò subito Atanos, osservando l’ampia spiaggia che si concludeva su delle pareti rocciose scoscese e perpendicolari rispetto al mare, su cui non sembrava possibile arrampicarsi.

“Vedo diverse città piuttosto grandi, tutte costituite da centinaia di palazzi in legno e pietra, costruite intorno a dei templi, si espandono per chilometri e chilometri nell’entroterra di questo che sembra essere un continente e non una semplice Isola”, affermò subito il Guardiano, il cui volto era fermo verso la barriera rocciosa. “Hai ragione, amico mio, non siamo su una semplice isola, bensì sul continente principale del regno di Tenkia, Konora, dove si estendono decine di città, tutte sacre ai tre signori della Triade. Probabilmente in questi luoghi non sanno nemmeno che Rahama è morto”, osservò poco dopo Odisseus, rivolgendosi a tutti i compagni di viaggio.

“Dove risiedono gli dei in una zona così popolata?”, domandò allora Eracles, sorpreso all’idea di essere in un luogo dalla grandezza così smisurata, “Nel luogo in cui risiedono presso ogni popolo, una zona vicina a tutte le altre, ma allo stesso tempo, sicura da invasioni umane, cioè dall’altra parte di questa costa”, rispose prontamente Argos, indicando la zona Settentrionale, “quello è l’unico luogo che hai miei occhi sembra essere inaccessibile”, concluse il Guardiano.

“Hai ragione, straniero, lì risiedono i nostri nobili signori”, esordì in quel momento una voce proveniente da una delle due navi, mentre il forte rumore di decine di passi si scatenò intorno ai Sette.

Cento e più soldati scesero dalle due navi, erano tutti uguali nel vestiario, lo stesso che Eracles aveva visto in corpo a quel soldato poco prima: un’armatura di giada che copriva interamente il tronco, agganciandosi poi su braccia e gambe per finire in guanti e stivali di pelle nera, che ne costituivano le estremità finali. Sul capo tutti questi soldati portavano delle maschere rappresentanti dei volti umani intenti nell’osservare con aria ostile il nemico, mentre dall’elmo a cui le maschere erano congiunte, si elevavano delle semilune argentee, bellissimi ornamenti che brillavano quasi di luce propria su quei magnifici corpi corazzati. I soldati erano tutti muniti di lunghe spade, molto più di una comune arma dell’Oleampos, lame alte quasi quanto ad un uomo ed incredibilmente affilate.

“Questi sono i soldati dell’armata celeste, i Senku”, affermò subito Odisseus, indicando lo schieramento che li avevano circondati da ogni parte, “Esatto, nobile Viaggiatore, vedo che ricordi ancora gli antichi nomi dei nostri soldati”, osservò prontamente la stessa voce che già aveva parlato prima.

In quel momento gli schieramenti si aprirono su ambo i lati, per fare in modo che gli Arvenauti potessero osservare due figure che si erano posizionati sotto la parete rocciosa, dinanzi a loro, un uomo ed una donna.

Il primo aveva un lungo abito bianco, quasi un mantello, che ne copriva il possente corpo dal tronco fino alla cinta, nascondendone anche il braccio destro, che sembrava restare all’altezza dello stomaco, quasi per sostenerlo. L’abito continuava poi fino ai piedi, confondendosi quasi con un bel pantalone nero attraverso cui si intravedevano i potenti quadricipiti del misterioso individuo. Alla mano sinistra, costui portava un lungo bastone alla cui estremità superiore era congiunto un piccolo cerchio con quattro sonagli metallici inseriti all’interno che ad ogni suo movimento emettevano un forte suono. Sul capo quest’uomo aveva un lungo cappello di paglia a forma di cono che ne nascondeva il volto fino al mento, lasciando intravedere, attraverso una fenditura metallica dinanzi agli occhi, lo sguardo color dell’argento di questo misterioso, ma nobile, individuo.

La donna, invece, aveva un lungo abito rosso che ne copriva per intero il corpo dal collo in giù, lasciando scoperte le possenti braccia abbronzate e le sinuose gambe, in parte, però, celate da una brillante gonna dai filamenti d’oro, che raggiungeva i sottili piedi della misteriosa figura, incastonati in dei sandali color porpora. Costei aveva un velo dinanzi al viso, legato ad un turbante attraverso cui solo i capelli si potevano appena intravedere, lunghi e legati a coda dietro il capo, di un colore violaceo tanto acceso da sembrare quasi una sfumatura di rosso, che si appoggiavano sinuosi su una collana di teschi argentei, che brillava sul collo di lei.

 

Fra le schiere dei Senku esplose un grido unico: “Inginocchiatevi dinanzi a Marut, Portatore di Tempeste, ed Awr’ien, la Distruttrice di Mondi”, tuonarono i soldati dello schieramento, ma bastò uno sguardo di Atanos ed Acteon per zittirli tutti.

“Coraggiosi davvero questi soldati”, ridacchiò il Cacciatore, guardando l’amico Immortale, “Si, non sono loro a preoccuparmi, ma quei due tizi”, osservò allora Iason, intromettendosi nel dialogo, “E fai bene a preoccuparti di Marut ed Awr’ien, poiché sono i migliori guerrieri del Tenkia, gli uomini più vicini a diventare due Tenjin, da ciò che si raccontava un tempo”, spiegò Odisseus, rivolgendosi all’allievo.

“Si, anch’io percepisco una forza senza pari provenire da quei due, quasi fossero loro stessi a formare lo spazio che li circonda, cosa ben diversa da quel che sai fare tu, Navigatore”, aggiunse subito Argos, “Un alone di morte circonda lei, mentre lui sembra imperturbabile, come se niente potesse sfiorarlo”, disse subito dopo Pandora, guardando i due misteriosi guerrieri dinanzi a lei.

“Che dobbiamo fare adesso, Odisseus?”, domandò a quel punto Eracles, “Lasciar parlare me”, concluse il Navigatore, facendosi avanti verso la barriera di Senku dinanzi a se.

 

“Nobili guerrieri del Regno di Tenkia, so che non dovrei trovarmi in queste terre ai vostri divini signori consacrate e di questo mi dispiace, poiché il dono di vita che mi fece tempo or sono l’Illustrissimo Rahama, non è mai andato dimenticato, sono tuttora in debito verso il vostro Celeste Signore, la cui vita purtroppo si è spenta, da quanto ho saputo, ma proprio per il suo ricordo, vi prego, lasciateci andare via. Sono state le maree e l’ira di un dio dell’Oleampos a mandarmi qui da voi, come successe molte ere fa, ma questa volta non ho intenzione alcuna di creare problemi al vostro regno, né di restare il tempo necessario affinché i problemi trovino me, quindi vi chiedo solo di lasciarci andare, in memoria del passato rispetto che ci legava”, spiegò con un inchino profondo il Navigatore, concludendo il suo discorso.

“Magnifiche parole le tue, saggio Odisseus, degno di un uomo dalla tua elevata dialettica, ma non basteranno questi tentativi, compiuti richiamando tristi ricordi, o scuse banali, di cui già avevi fatto uso nel tuo passato processo presso di noi”, esordì l’uomo dalla voce nobile, “purtroppo tutto questo è inutile, abbi l’accortezza di non continuare su questa via”, concluse.

“Si è sancito che se fossi tornato nelle nostre terre saresti stato nuovamente giudicato, ma non per il crimine di allora, bensì per uno più grave, quale è la disobbedienza alla volontà degli dei, dei che con te furono fin troppo benevoli, temo, da ciò che vedo oggi, che ritorni qui da noi, per di più con altri stranieri a tuo seguito”, aggiunse con voce furibonda la guerriera, prendendo la parola.

“Costoro sono stati miei compagni nell’impresa che avremmo dovuto adempiere, ma una forza a noi maggiore ci è stata avversa, impedendoci di compiere il dovere preso, ora stavamo cercando di tornare presso le nostre terre, per spiegare al regnante che ci aveva affidato il compito, cosa fosse successo”, spiegò subito Odisseus.

“Non ci interessano queste cose, Viaggiatore, anzi abbiamo avuto notizia di cosa voi stavate cercando, dei Tesori che le divinità avevano chiuso alla vista degli uomini”, avvisò allora la guerriera, indicando i Sette, “voi, esseri maledetti, non siete altro che dei blasfemi sciacalli”, concluse la figura vestita di rosso e giallo oro.

 

“Non pensate di aver esagerato?”, domandò a quel punto una voce fra i Sette, la più inaspettata, quella di Eracles. “Stai zitto, ragazzo”, sussurrò a quel punto Odisseus, “No, nobile Viaggiatore, lascialo parlare, che esprima liberamente ciò che pensa”, proruppe allora l’uomo con il bastone a sonagli.

Eracles fece un passo avanti, guardando i due possenti guerrieri dinanzi a lui, “Se voi siete gli uomini saggi che Odisseus ci ha detto, se il vostro valore è grande quanto i modi che avete nel rivolgervi a noi tutti, allora mi chiedo, perché ci trattate così? Vi abbiamo forse fatto qualche torto? Odisseus, oltre ad essere giunto qui involontariamente, ha fatto altri reati? Non penso, quindi perché ci volete per forza giudicare?”, domandò con voce quieta il giovane figlio di Urros, prendendo fra le mani tutto il coraggio che possedeva.

“Come ti chiami, ragazzo?”, replicò subito la donna di nome Awr’ien, “Sono Eracles, di Curont, figlio del divino Urros, padre che non ho ancora conosciuto”, rispose con voce troncata il ragazzo.

“Dunque sei figlio di un dio, nostro giovane interlocutore, eppure sembri non capire perché noi agiamo così”, si intromise allora l’altro, di nome Marut, “non agiamo per personali odi verso Odisseus, vostro comandante, ma perché così ci è stato detto dal volere degli dei. A loro noi siamo completamente asserviti, per loro volere noi respiriamo e per loro volere noi agiamo”, spiegò subito questo secondo guerriero.

“Parli peggio di Argos, sai?”, esordì a quel punto Acteon, avanzando verso il giovane figlio di Urros, “Argos?”, ripeté Marut, “Si, sono io, un tempo primo Guardiano di Lera, ora relegato ad essere un costruttore di navi ed onorato di presentarmi come uno dei Sette Arvenauti”, rispose prontamente l’ex semidio, facendosi avanti verso gli altri.

“Si, e come te, questo mio amico ha una fedeltà assoluta agli dei, anche se questi gli hanno rubato la sua natura”, osservò allora il Cacciatore, “Capisco perfettamente il suo agire, nobile interlocutore dal fare spicciolo, anch’io sarei stato pronto a dare tutto me stesso per i miei dei, infatti per cercare di salvare il mio sire Rahama ho dato parte di me”, replicò con tono gentile Marut, mostrando il braccio che teneva celato, reciso di netto all’altezza del gomito da qualcosa di molto affilato.

“Immaginavo che non avresti lasciato morire il nobile Rahama senza combattere, prode Marut, però non credevo che avessi sacrificato persino un braccio nel tentare di salvarlo”, esordì allora Odisseus, chinando il capo in segno di rispetto, “Lo feci, invece, ma questa è un’altra storia, Viaggiatore, molto triste e lontana nel tempo”, replicò l’altro.

 

“Se avete finito di chiacchierare”, sbuffò allora Awr’ien, “è tempo di arrestarli. Forza Senku”, tuonò infine, incitando i soldati ad avvicinarsi ai Sette.

“Odisseus, che facciamo?”, domandò a quel punto Iason, “Non abbiamo molte possibilità”, rifletté il Navigatore, “se Awr’ien potesse ci massacrerebbe qui, subito, mentre Marut ha un solo metro di valutazione, quello impostogli dalle divinità che serve. Se la mia pena fosse la morte, mi eliminerebbe subito, senza problemi, ma gli è stato detto di riportarmi vivo, per quanto possibile. Dati questi elementi, la nostra possibilità è una sola: combattere il più possibile, perché contro gli dei di Tenkia non so quante possibilità avremmo di sopravvivere”, concluse l’Arvenauta, invitando i suoi compagni a farsi avanti presso i soldati.

I Senku si lanciarono contro i Sette, ma fu facile per costoro difendersi.

Le spade di alcuni di quei nemici cercarono di raggiungere Pandora, affondando nel vuoto, poiché la Signora del Nero Sciame si divise nei suoi oscuri insetti, travolgendo le armature di giada e gettando al suolo qualsiasi nemico trovasse dinanzi a se.

Altrettanto facile fu per Atanos, che nemmeno tentò di evitare gli affondi, subendo i colpi nemici senza però morirne, per poi brandire le spade di due dei Senku che lo avevano attaccato, così da recidere la testa a tutti gli avversari che si ponevano dinanzi a lui.

Anche Acteon fu pronto nella risposta, con un agile scatto evitò i primi assalti, tramutandosi nella sua forma semicanina e dilaniando il corpo dei nemici che ancora si erano spostati dal suo tragitto, recidendo pelle e corazze, dove poteva, così da abbatterli tutti.

Altresì veloce era Iason, che con agilissimi scatti e movimenti senza pari raggiunse i diversi Senku postisi contro di lui, colpendoli con potentissimi calci e pugni quasi invisibili per la loro rapidità, rapidità che lo portò a spazzarne via diversi in un solo attacco.

Meno veloce era Argos, che attendeva gli assalti avversi con il proprio bastone nelle mani, evitando i colpi dei nemici all’ultimo minuto per poi attaccare con potenti e diretti movimenti dell’arma, così da gettare a terra chiunque si ponesse contro di lui, sconfitto.

La medesima forza la mostrava anche Eracles, che però appariva molto più misericordioso verso gli avversari, atterrandoli con potenti pugni, capaci di frantumare per intero le armature, ma senza uccidere nessuno di loro, anzi, trattenendosi volontariamente dal colpirli con tutta la sua forza.

Odisseus, infine, combatteva con altrettanta furia e determinazione, investendo con i rossi bagliori del pugno tutti i nemici che si trovavano intorno a lui, atterrando ed eliminandoli, se era necessario, finché, quando ormai dei soldati ve ne erano rimaste appena due decine, una potente ondata di luce verde lo travolse, gettandolo a terra.

“Maledizione, sono scesi in campo”, osservò preoccupato il Navigatore, guardando le due figure ferme dinanzi ai Sette, senza più alcun Senku fra di loro.

 

Gli Arvenauti si guardarono fra di loro, prima che una potentissima folata di vento gettasse indietro Argos ed Eracles, “Voi siete in parte divinità, quindi vi chiederei di evitare ogni intromissione in questa battaglia, se proprio ci dovrà essere, come lo chiedo ad Odisseus, che come voi, ha evitato di uccidere tutti i suoi nemici”, propose con voce gentile Marut, osservando gli altri quattro nemici, “Voi potete anche farvi avanti”, aggiunse Awr’ien, invitandoli ad attaccare.

Furono Acteon ed Iason i primi due a farsi avanti, lanciandosi in due furiosi e velocissimi attacchi.

Il pugno del Guerriero volò rapidissimo verso il volto di Marut, ma non lo raggiunse, riuscì solo a colpire quella che sembrava essere un’immagine residua, mentre un fortissimo vento scuoteva i suoi capelli ed il rumore dei sondagli lo raggiungeva alle spalle.

Quando Iason si voltò era ormai troppo tardi, una fortissima corrente lo fermava, “Mi dispiace, giovane uomo, ma seppur sei veloce non puoi niente contro l’estrema potenza di cui sono padrone, la potenza di scatenare il vento dal respiro, i fulmini dallo sguardo ed i tuoni con la voce, una potenza al servizio dei signori restanti dell’Antica Triade”, concluse Marut appoggiando il lungo bastone al suolo, così da far esplodere, attraverso questo, un fortissimo fulmine, che travolse il Guerriero di Aven, gettandolo indietro, poco lontano, recuperato da Odisseus.

Anche Acteon cercò di colpire la nemica, ma i suoi artigli furono bloccati da qualcosa, una luce accecante e verde che prorompeva quasi dal nulla, “Sorpreso, ragazzo?”, domandò a quel punto Awr’ien, sollevando ambo le braccia del Cacciatore e la sua stessa figura con estrema facilità, una facilità che sembrava legata alle quattro braccia di luce verde che si erano sviluppate dal suo corpo.

“Per me, Awr’ien dalle sei braccia, colei che con il solo volere può spazzare via intere popolazioni, battere te è una cosa piuttosto semplice”, avvisò la donna, lanciando indietro il nemico e scatenando verso di lui una potentissima sfera di luce verde, che però Atanos bloccò, subendola in pieno senza riceverne gravissimi danni.

“Grande potere il tuo”, osservò subito l’Immortale, “Nemmeno il tuo sembra da sottovalutare”, replicò la donna, sfidandolo con lo sguardo.

Anche Pandora entrò in quel momento sul campo di battaglia, ponendosi dinanzi a Marut, senza dire alcuna parola di sfida o di scherno.

“Sembri triste, Ragazza, eleverò per te una preghiera alla fine di questa battaglia”, osservò con voce quieta il guerriero del regno di Tenkia, “Non sarà necessario”, replicò freddamente la Signora del nero Sciame, mentre il suo corpo già si scindeva in più insetti, lanciandosi contro l’impassibile nemico.

Subito Marut fu circondato dai furenti animali neri, che cercarono di circondarlo e penetrare attraverso il capello di paglia, ma l’uomo sembrava non curarsi di tutto ciò, anzi appoggiò il lungo bastone con sonagli nel terreno e sollevò semplicemente la mano rimastagli, mentre già forte prorompeva il suono dei suoi strumenti, un suono sviluppato dal vento.

“Che succede?”, domandò a quel punto Eracles, “Sta scatenando il suo potere”, avvisò Odisseus, prima che una potentissima corrente aspirasse tutti gli insetti, rinchiudendogli in una sorta di spirale, da cui sembravano non potersi liberare.

“Addio, Triste fanciulla”, affermò quietamente l’essere, avvicinando la mano, dalle dita congiunte a taglio, al volto, per poi lasciar brillare gli occhi sotto il capello. In quel momento il vento sembrò fermarsi per far posto ad un potentissimo tuono, una forza senza pari allora scaturì dal cielo, la forza di un fulmine, lo stesso che investì gli insetti oscuri, travolgendoli e costringendoli a riunirsi nel corpo, ora svenuto, di Pandora, che cadde al suolo, senza forze.

Eracles corse rapido verso di lei, “Pandora”, urlò il giovane figlio di Urros, sollevando il corpo dell’Arvenauta, “Non sarà…?”, balbettò poi, fermandosi, “No, sento ancora la vita in lei”, lo rassicurò subito Odisseus, voltandosi poi verso Atanos, che ancora subiva gli attacchi nemici.

 

L’Immortale aveva subito più volte l’attacco di Awr’ien, senza però rimanerne ucciso. “Sei sorprendente, guerriero, la tua forza non sembra risiedere nell’attacco, ma nella difesa, una difesa invalicabile, o quantomeno, indistruttibile”, si complimentò la donna guerriera, mentre la pelle di lui si ricomponeva di nuovo, “Non è così facile abbattermi, anzi, mai nessuno vi è riuscito prima, né con armi o poteri divini”, avvisò Atanos, con la freddezza che gli era propria.

“Davvero?”, domandò sarcastica la nemica, “Eppure tu non mi conosci. Io non sono una donna qualsiasi, mi feci notare presso i nostri signori divini il giorno in cui, contro l’antico esercito del Nipaj mi opposi da sola, con le sei braccia di pura essenza, travolgendolo tutto, fino all’ultimo membro, e polverizzandone l’isola in un battito di ciglia, anzi, ti darò l’estremo onore di vedere parte di quel potere, una parte considerevole”, ridacchiò Awr’ien, aprendo le quattro braccia di luce vicino alle due reali.

“Atanos, scappa!”, urlò allora Odisseus, vedendo cosa stava per succedere, “Mai!”, tuonò l’Immortale, pronto a subire il nuovo attacco. In quel momento un bagliore, simile ad una sfera, sembrò accumularsi fra le mani della guerriera, diventando sempre più grande, simile ad una spira che si ingigantiva, finché non diventò simile ad un piccolo sole verde, un sole che fu gettato contro l’Immortale, travolgendolo in pieno e dilaniandone la pelle.

Tutti guardarono ciò che accadde dopo, Atanos era in pezzi, lembi di pelle dispersi intorno a lui, lembi che, però, si riunirono prontamente, ricongiungendosi gli uni agli altri con prontezza, ma non con la velocità sufficiente ad impedire che i pochi Senku sopravvissuti gettassero una rete sul suo corpo, così da intrappolarlo, prima che si risanasse del tutto.

I due Messaggeri della Triade guardarono i nemici ancora in piedi: Odisseus, Argos ed Eracles, “Che cosa avete intenzione di fare?”, domandò semplicemente Marut.

I tre si guardarono e guardarono Atanos, Acteon ed Iason, incapaci a continuare la lotta, e Pandora, che era addirittura svenuta, “Vi seguiremo”, concluse allora il Navigatore.

Gli Arvenauti erano stati catturati da due soli e potentissimi nemici.