Capitolo 55: La
Sentenza
Anirva era in piedi ed osservava tutti gli esseri presenti in quella sala, in silenzio, studiando gli sguardi di tutti loro con il suo, apparentemente distante, osservare.
“Ricordiamo molto bene, noi, fratelli di Rahama l’Eccelso, come questi ebbe compassione delle azioni passate di quell’uomo, Odisseus, un povero sfortunato, dannato dal signore dei Mari Possidos, lo definì allora, ma egli era troppo buono verso gli uomini, una bontà che tutti noi desidereremmo rivedere, ma che è lontana nei nostri ricordi, ormai.
Cercammo di capire le motivazioni del Viaggiatore, allora, e cerchiamo di farlo anche adesso, ma ciò che costui fa è opporsi alla volontà degli dei, uccide chi a noi era caro, va contro degli editti fatti a suo vantaggio, giacché era stata per lui una fortuna dover solo andarsene da questo luogo senza ricevere la punizione mortale che meritava allora. Ed ora cosa possiamo dire? Egli è qui, contro quanto gli era stato onorato dal venerando Rahama, inoltre è giunto insieme a dei compagni, se le leggi del nostro Regno non fossero ferree, potremmo anche lasciarlo andar via, perdonare la sua azione ed osservarlo allontanarsi, ma non è concesso tanto a noi, signori di Tenkia, dobbiamo far rispettare ciò che noi abbiamo sancito”, affermò con voce distante la divinità, che sembrava indeciso se contestare le azioni di Odisseus, o meno.
“Non potremo mai accettare, o comprendere a pieno il modo di vedere di questi uomini”, continuò Anirva, “costoro che dai propri dei furono maledetti, che ad una forza a loro maggiore si opposero, che ad entità superiori, quali quelle che custodivano i Tre Tesori, cercavano di dar battaglia”, spiegò con tono cupo la divinità dell’Est, “ma non per questo possiamo scusarli del loro agire, giacché è un agire contrario alle leggi di cui noi, fratello, siamo i custodi millenari”, concluse con voce più decisa la divinità, tornando a sedersi.
Fu quindi il momento di Eracles per alzarsi: il giovane si guardò intorno, osservando i sei compagni, i due Guardiani che li avevano condotti in quel luogo ed i vari Senku che si ergevano, come barriera, intorno alla sede del processo, poi, infine, il figlio di Urros spostò il proprio sguardo sui freddi volti di Anirva e Smartash.
“Potenti dei di Tenkia, vi parlo come un giovane che cerca di mettersi quasi alla vostra portata, seppur sento di essere ben misera cosa dinanzi all’eternità vostra”, esordì con voce titubante l’Arvenauta, “ma non posso per questo lasciare che voi mandiate a morte Odisseus, o un altro qualunque di noi sette”, spiegò, prima di prendere fiato.
“Non so molto delle leggi di questi luoghi, ma immagino siano simili a quelle che governano le calde terre dell’Oleampos, o i luoghi da cui proveniva il coraggioso Roan, a cui debbo la vita, cioè immagino siano regole giuste ed equilibrate, create per impedire il disordine e la devastazione nel regno in cui sono attuate. E proprio disordine e devastazione noi cerchiamo di evitare, in Sette siamo partiti da Aven per impedire che nuove guerre scoppiassero, per cercare di portare un equilibrio nelle terre sacre al mio divino padre Urros, per questo, in cuor mio, sono partito, per essere degno di un padre giusto quale era il mio. Lungo il nostro viaggio abbiamo potuto conoscere diverse figure e creature e ho potuto capire cos’è il bene, e cosa il male, cose che potevo solo intuire e di cui avevo un’idea molto vaga, prima. Ho conosciuto la malignità e la tirannide delle infide Axelie, la follia derivata dal potere di Zion e l’amore che però restava verso di lui da parte del figlio Sisto, ho incontrato creature mosse dal rimorso, che dapprima erano di certo persone buone e giuste, ma erano dopo diventate pazze e violente, a causa della sofferenza, come era successo al mio fratellastro, Kuon ed infine ho potuto incontrare uomini valorosi, come Roan, o come i miei sei compagni di viaggio, che mai si sono tirati indietro dalle battaglie di cui li ho visti partecipi. Per tutto questo posso dirvi che, se voi ci accusate di essere fuorilegge, allora l’unica opposizione possibile è che la legge, se è portatrice di ordine e giustizia, non c’è avversa, giacché solo questo noi vogliamo portare, non malvagità e distruzione. Di quello sono colpevoli i membri della setta chiamata l’Idra Nera, di cui abbiamo potuto conoscere un solo elemento finora, ma la cui malvagità è già ben nota a tutti noi”, affermò con voce sicura il giovane figlio di Urros, prima di essere interrotto: “Forse è nota anche a noi”, esordì in quel momento Anirva, che subito si zittì, volgendo il capo verso il giovane interlocutore.
“Si, questo è vero”, concordò Eracles, che sembrò sbalordito e spiazzato da quell’interruzione, “Ad ogni modo, nobili dei di queste terre, vi chiedo di perdonare a tutti noi, i sette Arvenauti, l’azione compiuta, giungendo nelle vostre terre senza il vostro consenso, perché non è stato atto di guerra, o al fine di portare distruzione e morte, bensì pura e sfortunata coincidenza, causata dalla volontà superiore degli dei. Non vi siamo nemici e non lo saremo, ma ognuno di noi è sempre pronto a sacrificare la vita per gli altri sei”, concluse il giovane figlio di Urros, tornando a sedersi.
Smartash si alzò in piedi, dopo alcuni secondi, “Ora, noi, fratelli del potente Rahama, ci ritireremo al fine di riflettere sui fatti ascoltati, vi assicuriamo un giudizio giusto, privo di pregiudizi e risentimenti. Sarete portati in diverse celle su alcune torri della nostra città fino al momento in cui sarà emessa la sentenza. Avete richieste da fare prima di ciò?”, domandò a quel punto il dio dell’Est. “Io ne avrei una, sommo Smartash”, esordì a quel punto Odisseus, “Quale, Viaggiatore?”, domandò con un tono sorpreso la divinità, “Poiché so che sarò posto in una cella da solo, posso chiedere almeno che la guardia, posta a mia custodia, sia lei?”, chiese gentilmente il Navigatore, indicando Awr’ien, particolarmente sorpresa da quella domanda, “Si, ti è concesso, così saremo sicuri che non tenterai fughe o trucchi”, concordò il dio di Tenkia, prima di ritirarsi con il fratello.
I sette furono quindi divisi.
Su una torre, nella parte est della città, furono condotti Acteon ed Atanos, lasciati poi lì, a riflettere fra loro.
“Tu avresti mai creduto che Odisseus potesse aver vissuto delle avventure così disperate? Io non me lo vedrei quel quieto individuo, sempre sicuro di ogni sua azione, dalla mente così svelta, ad ubriacarsi, no, non le crederei possibile”, rifletté fra se il Cacciatore, osservando le alte montagne che si aprivano oltre la città, verso i confini con le città degli uomini. “La tua maledizione, amico mio, ti ha sempre costretto a vivere nella foresta, lontano dagli uomini e da istinti di normalità, ma in qualche modo, io ed Odisseus, abbiamo vissuto la medesima sfortunata sorte, strappati agli affetti e, ben presto, anche alla voglia di vivere. Per diverso tempo ho tento di togliermi la vita, te lo ho raccontato, ma mai avrei annegato il mio dolore nell’alcool, forse perché non vi era alcuna anima da stordire, alcun ricordo o dispiacere da voler perdere in me a parte il più grande, quello di essere sopravvissuto alla donna amata. Il Navigatore, invece, ha avuto più possibilità per soffrire, perdendo sempre e comunque le persone a lui care, in un modo o in un altro, restando solo e nella disperazione di un destino a lui in questo modo avverso”, spiegò l’Immortale, osservando il proprio compagno di viaggio.
“Si, questo è vero, avere degli amici cari, quando si subisce un destino come il nostro, è qualcosa di terrificante, poiché ti rendi conto che prima o poi li dovrai abbandonare”, concordò Acteon, “per mia fortuna, non ho mai avuto di queste sfortune, giacché ero sempre circondato da gente falsa, meri ammiratori delle mie doti di cacciatore, persone di cui non ho sentito la mancanza più di quanto non la sentivo quando ero da solo nei campi di caccia”, ricordò, “ma di una cosa ho sempre sentito la mancanza, anche prima di essere maledetto da Ritmed, di una vita normale, fra gente che veramente mi apprezzasse”, concluse con un sorriso beffardo.
“Credimi, è meglio non aver perso qualcosa di così bello come una vita normale, perché la tua anima ne sarebbe torturata, come lo era la mia, prima che perdessi anch’essa”, concluse Atanos, appoggiandosi alla parete dietro di lui, mentre anche Acteon si sedeva in un angolo, per riposare.
In un’altra torre, sul versante meridionale della città, in una cella che volgeva verso il mare, erano imprigionati Iason ed Argos. “Cosa pensi che succederà, Guardiano?”, domandò dopo alcuni secondi il giovane mortale, “Non lo so, ragazzo, seppur sono vari i terrori che percuotono la mia mente”, rispose l’ex semidio, “primo fra tutti è la possibilità che nessuno di noi riesca a sopravvivere a questa sentenza, che il giudizio di questi dei segni la fine per i Sette Arvenauti, per le speranze di Ruganpos, signore di Aven, e per l’intera terra dell’Oleampos, se è quella la mira ultima dei Nove dell’Idra Nera, che sembrano avere molti tentacoli aperti sulla Lutibia”, concluse con voce cupa Argos, sedendosi al suolo.
“Condivido le tue preoccupazioni, amico mio, ma ancora di più sorgono in me dei dubbi”, replicò allora Iason, “Quali?”, incalzò il suo interlocutore, “Perché l’Idra Nera, se ciò che tutti suppongono senza ammetterlo è vero, ha colpito anche qui? Perché uccidere Rahama, così lontano dai problemi della Lutibia? Ma ancora di più mi chiedo perché Odisseus non ci ha avvisato prima dei pericoli a cui ci stavamo avvicinando”, concluse il Guerriero.
Argos lo osservava e sentì una profonda commozione per quel giovane uomo di Aven, un ragazzo in cui Odisseus stava riponendo molte speranze, un Guerriero la cui potenza sarebbe potuta aumentare ancora se fosse sopravvissuto a quel luogo, quindi, pensando a quanto il Navigatore tenesse al suo attuale interlocutore, decise di parlargli in piena sincerità.
“Odisseus avrebbe voluto allontanarsi prima che raggiungessimo i confini marittimi del Regno dei Cancelli Celesti, avrebbe preferito affondare da solo piuttosto che vedere tutti perdersi, come rischiamo adesso, ma siamo stati io ed Atanos a convincerlo a non fare ciò.
Egli, però, non era spinto da terrore, dubbi o altro, ma, semplicemente, dal troppo amore per tutti i componenti della nostra nave: Odisseus capisce la solitudine di Atanos, quella di Pandora, perché le ha dovute condividere per molto tempo; apprezza la forza di spirito di Acteon e l’innocenza coraggiosa di Eracles ed in qualche modo si è affezionato a te e me, come amici fraterni, quelli stessi fratelli e compagni che ha perso nel corso degli anni, non potendo nemmeno visitare le loro tombe, poiché gli fu impedito dal sommo Possidos.
Prima di essere maledetto, sentii parlare di lui, era noto fra gli dei per il suo coraggio e la saggezza, ma disprezzato per la superbia, eppure, malgrado ciò nessuno, prima di Possidos si era mai interessato a lui, come se tutti gli dei sapessero già come quel giovane uomo avrebbe risposto ad ogni azione gentile nei suoi confronti, il Re dei Mari, però, forse per altrettanta superbia, decise di rivolgergli le sue attenzione, per poi far vanto dei ringraziamenti ricevuti dal più superbo dei geni, ma non ne ebbe e questo fu per lui un danno immenso. Forse è per quella sua superbia che Odisseus ci voleva abbandonare, pensai in un primo momento, ma poi, quando vidi il suo sguardo disperato, nella notte, pronto a fuggire, capii che lui lo faceva per noi tutti, come per noi tutti ha preferito non raccontarci prima del suo passato, poiché sapeva che sarebbe stato criticato, seppur non avrebbe perso il nostro rispetto ed affetto”, spiegò il Guardiano, avvicinandosi al giovane e dandogli una pacca sulla spalla.
Iason fu sbalordito da quelle parole, tanto da non saper cosa rispondere, sperava solo che l’ex semidio dinanzi a lui avesse detto il vero, poiché immenso era il suo rispetto per Odisseus e quello anche per quest’altro compagno di viaggio, due modelli da seguire, l’uno per saggezza, l’altro per dedizione e fedeltà ai propri dei.
“Per quel che riguarda la caduta del divino Rahama, immagino che le Teste dell’Idra, venute in possesso dei Tre Tesori, temessero che l’unico altro essere da cui tale potere poteva provenire gli si opponesse, per questo lo hanno attaccato prima loro”, concluse poi il Guardiano, sedendosi vicino all’amico.
In una torre ad occidente della città, erano imprigionati Eracles e Pandora, che in silenzio osservavano le ampie mura delle altre torri, su cui la loro cella si affacciava.
“Sono state davvero belle le tue parole, ragazzo”, si complimentò dopo alcuni minuti Pandora, “sei riuscito a dire delle verità tristi, quali erano la caduta di Roan, o le altre battaglie che abbiamo vissuto, mostrandone la parte migliore, la possibilità di imparare da ciò che hai provato in queste lunghe settimane di viaggio”, continuò lei, “non avevo mai pensato a tutto ciò, alla differenza fra il bene ed il male, spesso, anzi, avevo creduto di essere dalla parte sbagliata di quest’equilibrio a causa della mia maledizione, ma, dal tuo modo di vedere la cosa, mi sono sentita sollevata di questo peso, quasi fosse certa di aver fatto sempre la cosa giusta finora”, spiegò la Signora del Nero Sciame.
“Non potrei mai credere che tu abbia fatto qualcosa di male”, balbettò allora il giovane figlio di Urros, “La tua gentilezza è sempre eccessiva nei miei confronti, Eracles”, replicò Pandora, avvicinandosi al compagno di viaggio, “ti prendi cura di me quando sono ferita, sei l’unico che non teme minimamente di avvicinarsi al mio sciame fra tutti, eccetto forse Atanos, ma tu, al contrario dell’Immortale hai attenzioni verso di me, ti preoccupi per me, e tutto questo mi risolleva nel corpo e nello spirito. Vicino a te persino il maledetto ronzio che mi percuote arriva a quietarsi, per lasciare spazio ad un silenzio pacificatore”, spiegò la Signora del Nero Sciame, appoggiando una mano sul volto del figlio di Urros.
“Pandora, io…”, balbettò appena il ragazzo, troncando la frase a metà, come se avesse paura di ciò che poteva dire, “io, non ho detto tutto a quelle divinità, non gli ho parlato di un’altra sensazione che in me continua a crescere, un sentimento diverso dal semplice affetto che avevo per mia madre, o dell’amicizia che ho con alcuni di noi Arvenauti, qualcosa di più complicato”, cercò di spiegare il figlio di Urros, prima che Pandora stessa non lo fermasse con un gesto della mano, “Capisco cosa vuoi dire e sono felice di sentirtelo dire, gli dei soli sanno quanto lo sia, ma non è una cosa possibile, non solo perché tu sei un mortale figlio di Urros ed io una creatura divenuta immortale e maledetta a causa sua, ma anche per altre motivazioni, quali la natura del mio corpo, composto solo da insetti, un mero e finto aspetto è quello che vedi, un fisico composto di insetti”, spiegò lei, abbracciandolo con tristezza e silenzioso dolore. Eracles era sorpreso da quel gesto, ma lo ricambiò con tutto l’affetto di cui era capace, in quel silenzioso abbraccio con cui i due conclusero il loro dialogo.
Nell’ultima torre, nella zona settentrionale della città, Odisseus camminava quietamente per la sua cella, osservando per alcuni attimi il mare, che si vedeva dalla cella, per altri la sua carceriera, Awr’ien, seduta al di là delle sbarre, in silenzio.
Più volte il navigatore cercò di prendere discorso, di scusarsi e chiarire tutto ciò che era successo fra loro diverso tempo prima, ma non vi era riuscito, allora decise di cambiare argomento iniziale.
“Awr’ien, tu quanto sai della morte dell’Eccelso Rahama?”, chiese dopo alcuni minuti il Navigatore, “So quel che ho visto, cioè il corpo dell’Eccelso dilaniato da quella che poteva essere di certo una spada, i molti Senku al suo seguito senza vita, squartati da dei mostri, Marut al suolo, privo di un braccio e ferito al volto ed infine i cittadini del villaggio tutti massacrati, uno spettacolo peggiore persino di quelli fatti dai Jinma della zona”, rispose disgustata la Guardiana del Say, “E l’Idra disegnata sul terreno”, aggiunse Odisseus stesso.
“Si, è vero, ma con questo che vorresti concludere? Che il misterioso nemico che vi ha infastidito lungo il viaggio è colpevole della morte del nostro grande Signore? Non eccedere con le tue supposizioni”, replicò la Distruttrice, “Non eccedo, come tu ben sai, ogni mia parola è detta dopo averla degnamente soppesata, oppure vorresti negarlo?”, domandò il Navigatore, con un gentile sorriso, “No, ogni tua parola era sempre detta al momento giusto, mi hai detto tante cose quando era il momento più adatto, ma non che saresti andato ad uccidere le uniche persone a me care”, ringhiò infuriata Awr’ien, avvicinandosi minacciosa alla cella del suo interlocutore.
“Quel che successe allora mi fa ancora piangere il cuore, mi eravate tutti estremamente cari, tu, il maestro e tuo fratello, non avrei mai voluto alzare la mano contro alcuno di voi, ma fu tuo fratello ad attaccare per primo”, cercò di spiegare Odisseus, “Tu menti!”, urlò a quel punto Awr’ien, “Perché dovrei ora? Ho commesso un reato ancora più grave di uccidere due uomini a cui ero affezionato, ho violato le leggi di chi mi salvò, le leggi di un dio ed i suoi fratelli per questo mi puniranno con la morte, lo so io, la sai tu e tutti gli altri, solo i miei compagni non se ne sono resi ancora conto e temo che questa sarà la loro disgrazia, ogni loro sofferenza sarà un’altra di quelle colpe che dovrò sostenere per il resto dei miei giorni”, concluse disperato il Navigatore.
Awr’ien lo guardava con un volto meno duro adesso, aveva rivisto in quello sguardo disperato l’uomo di cui, quasi una vita fa, si era innamorata, quella figura copertura da un velo di solitudine e sofferenza che aveva saputo risorgervi, aprendo anche lei alla vita.
“Per quanto possa servire, ormai, io amavo il maestro e tuo fratello, Awr’ien, come si amano dei fratelli, e ho amato te con tutto il mio cuore, ma ciò non è bastato ad impedire le sventure che sono successe, anche quelle che Rahama mi ha predetto, ma se potrò, salverò i miei compagni dalle leggi di Tenkia e scoprirò chi tradì Rahama, poiché un traditore vi deve essere stato, nessuna divinità tanto potente può essere raggiunta così di sorpresa in maniera inaspettata”, concluse, con tutta la determinazione di cui era padrone, Odisseus, cercando uno sguardo gentile dalla donna che per tanto tempo aveva amato, e ritrovato, seppur per un attimo fuggente.
Il tempo passò, il giorno divenne notte e quindi di nuovo giorno quando dei Senku raggiunsero le diverse celle ed avvisarono che la sentenza era stata emessa e tutti gli Arvenauti dovevano presentarsi dinanzi ai due signori della Triade, per sentire cosa gli veniva detto.
I Sette furono portati di nuovo dinanzi a Smartash ed Anirva, in silenzio rimasero in piedi dinanzi alle due divinità, osservandole quieti, finché il primo non parlò.
“Abbiamo sancito che ciò che tu hai fatto, Odisseus, è definito reato secondo le nostre leggi e quelle di altre divinità, sei andato contro quello che era stato sancito e questo è punibile con la morte, ma i tuoi compagni non hanno colpe presso di noi e quindi potrebbero andarsene, ma, dato ciò che hanno detto, riguardo l’unità di voi Arvenauti e la giustizia che vi muove, probabilmente non ti lasceranno qui a morire per mano di noi dei, quindi abbiamo deciso di mettere alla prova la vostra fede nella giustizia e la vostra lealtà, con la prova delle Sei Vie della Foresta”, concluse il fratello di Rahama.
“Che cosa?”, esclamò sorpreso Odisseus, “Le Sei Vie della Foresta?”, ripeté perplesso Argos, “Si, prigionieri, questa prova è molto antica e si basa sul desiderio di aiuto reciproco che può esistere in un gruppo. In realtà la prova sarebbe delle Vie nella Foresta, ma per voi saranno le Sei Vie, essendo voi in sei, escluso il Viaggiatore stesso. Una delle nostre torri contiene al suo interno una piccola foresta, lì voi sarete condotti e divisi per sei entrate, ognuno di queste vi porterà in una zona diversa, dove ad aspettarvi vi sarà uno dei Jinma che sono rinchiusi presso le nostre prigioni con la pena di restarvi fino alla loro morte. Saranno degli scontri diretti, uno contro l’altro, la fine si sancirà solo quando uno dei contendenti perderà la vita e voi dovrete sopravvivere tutti e sei per assicurare anche ad Odisseus la salvezza”, spiegò allora Anirva.
“Ma questa prova è una pazzia, perché dovrebbero rischiare le loro vite per me?”, domandò allora Odisseus stesso, ma Argos lo fermò con un braccio, scambiando uno sguardo con gli altri cinque compagni, “Siamo d’accordo”, rispose il Guardiano, interrompendo l’amico, “tu, nobile Navigatore, cercherai intanto chi ha ucciso Rahama fra costoro, sarà di certo presente alla prova, dato l’odio particolare che hanno per tutti noi quelli dell’Idra Nera”, concluse poi, con un bisbiglio, l’ex semidio.
Odisseus non seppe che rispondere, mentre il gruppo si divideva e vedeva i suoi compagni dirigersi verso la loro possibile fine.