Capitolo 68: Nell’accampamento

 

Il sole stava ormai tramontando sull’accampamento degli Avenui, i diversi soldati ora riposavano tutti, eccetto i pochi intenti nei turni di guardia e coloro che da Ruganpos erano stati invitati nella sua tenda.

Erano in dieci in quella tenda: gli Arvenauti, i Generali ed il sovrano di Aven, ma fra di loro non sembrava esserci la calma e la chiarezza propria degli alleati.

“Non abbiamo ottenuto molto con questi nuovi giunti, mio Re”, sbottò dopo un po’ Ebhe, “Non è vero”, replicò allora Hadon, prendendo la parola, “il numero dei nostri morti è stato significativamente inferiore a quello dei soldati di Priaso, stavolta, e non puoi negarlo nemmeno tu”, osservò il Generale di Tryo.

“E con questo? Per quanto noi possiamo attaccare quell’esercito, anche se riusciamo a sterminarlo, non potremo mai superare le mura esterne della città con il nostro esercito, non ci sono punti deboli in quella costruzione che possano essere usate per la nostra vittoria”, obbiettala Generalessa.

“Perché non avete ancora tentato di abbatterle?”, domandò con una semplicità senza pari Eracles, causando un accenno di riso sul volto di Hadon e di Axar.

“Eracles, forse non hai guardato bene il castello durante la battaglia e lo capisco, dato come eravamo tutti circondati”, osservò allora Argos, prendendo la parola, “ma la città principale, la capitale della Lutibia, Passis, non è un luogo che si può abbattere con la carica di un esercito. Ha altissime mura di purissima pietra, fusa con metalli di origine divina, secondo il mito, le sue difese sono state impenetrabili per secoli e secoli, poiché è stata costruita a spiovente sul mare, sulla destra, e circondata solo da pianure prive di alberi sugli altri lati, quindi mai nessuno, nella notte più scura, può sperare con un potente e numeroso esercito di avvicinarsi inosservato alle mura e, anche se pochi coraggiosi lo facessero, resterebbe comunque il problema delle mura esterne, inaccessibili ed indistruttibili”, spiegò il Guardiano.

“Poi c’è qualcosa di sinistro in quella città per ora”, aggiunse dopo alcuni secondi Argos, “non sento la presenza del nume tutelare, Porian, né quella di altri dei, bensì percepisco qualcosa, come una forza oscura che si sta sviluppando fra quelle ampie mura, preparandosi a rinascere, la stessa sensazione che ho provato dinanzi ad Anirva la prima volta, non riuscendo a distinguerlo perfettamente”, concluse.

“Quindi ci potrebbe essere quel maledetto nella città?”, tuonò Iason, alzandosi in piedi, “Non credo, piuttosto direi che c’è un altro dei prescelti a diventare Teste dell’Idra Nera, uno di loro, di certo lo stesso che tiene i legami fra i nostri nemici e la gente di Lutibia”, suppose il Guardiano.

“Parli come se la gente di Lutibia non vi fosse nemica”, osservò perplesso Hadon, “No, generale, non nego che loro sono nostri nemici, ma ci sono delle entità più pericolose, qualcuno di più oscuro, esseri che fanno parte di una specie di setta, chiamata l’Idra Nera”, rispose subito Argos.

“Posso quasi assicurarvi che non è Aristos”, s’intromise a quel punto Atanos, “Che cosa? E come puoi?”, domandò Ruganpos, sorpreso da quelle parole, “Perché quando è stato da me accusato di servire l’Idra Nera mi è parso offeso, più che sorpreso o preoccupato, come se gli avessi criticato la sua fede negli dei”, rispose l’Immortale, “Ma è quello che hai fatto”, aggiunse Acteon con un sorriso divertito sul volto, scambiando uno sguardo con il compagno di viaggio.

“Tutte queste notizie e supposizioni, immagino, siano interessanti per voi, Arvenauti”, sbottò subito dopo Ebhe, “ma non so quanto tutto questo possa essere utile per concludere questa folle guerra. Inoltre non vedo quanto voi stessi possiate essere utili per questo”, concluse alzandosi e puntando gli occhi contro Acteon ed Atanos.

“Ebhe, loro sono degli ottimi combattenti e degli aiuti più che necessari considerando che la gente del Cator non ci vuole aiutare”, osservò allora Axar, interrompendo le critiche della sua pari grado, “Necessari? Ma sono degli esseri maledetti dai nostri grandi dei!”, tuonò con voce accusatrice la donna. “Due bestie senz’anima, un Guardiano rinnegato, una donna Maledetta e poi lui, un ragazzino che durante la battaglia non ha saputo affrontare nessun nemico”, osservò la Generalessa, prima di voltarsi verso Argos, “con che coraggio hai osato servire il grande Urros se ora mandi uno dei suoi figli al macello?”, ringhiò poi, con un’ira che sbalordì tutti i presenti.

“Eracles non è affatto il peso che pensi in battaglia”, obbiettò Pandora, alzandosi in piedi, “Tu non lo hai visto combattere durante la battaglia di oggi”, ribatté Ebhe, avvicinandosi alla giovane Maledetta da Urros, “E tu non lo hai visto mentre affrontava nemici ben più pericolosi durante il nostro viaggio”, tagliò corto la Signora del Nero Sciame, senza distogliere lo sguardo da quello della Generalessa.

“Adesso basta!”, ordinò Ruganpos, “Non accetto che due dei guerrieri che dovrebbero combattere insieme contro i comuni nemici, si sfidino con gli occhi, tanto meno se questi guerrieri siete voi, miei Generali, o qualcuno dei nobili Arvenauti”, sbottò il Re prima di prendere fiato. “Penso che siate tutti molto stanchi dopo un giorno di battaglia, vi permetto di ritirarvi nelle vostre stanze, ma vorrei qui almeno uno dei sei Navigatori ed uno dei miei generali per parlare degli ultimi particolari riguardo oggi e le possibili strategie per domani”, concluse il sovrano.

Argos alzò il capo e poi si voltò verso i suoi compagni, notando il volto infuriato di Pandora e quelli tristi di Eracles ed Acteon, “Iason”, esordì dopo qualche secondo, “potresti restare tu?”, domandò il Guardiano, “Si certo”, rispose il Guerriero di Aven, sorridendo sorpreso.

Ebhe, nel frattempo aveva già preso congedo, lasciando Hadon ed Axar da soli a guardarsi vicendevolmente, “Lascia a me, per oggi le facezie più burocratiche, riposati stasera, generale di Tryo”, osservò gentilmente l’Anies, sbalordendo il suo parigrado, “Va bene, ti ringrazio”, fu l’unica risposta che ricevette.

 

Rimasto solo con i due soldati del suo Regno, Ruganpos poté riprendere ad ascoltare dei risultati ottenuti in quello scontro, risultato che si rivelarono ben pochi, come negli scontri precedenti.

Alla fine del resoconto, il silenzio si sviluppò fra i tre, nessuno aveva idee per delle possibili strategie, che potessero variare l’equilibrio della guerra.

“Maestà”, chiese ad un tratto Iason, “ma perché il Regno di Cator non vi dà il suo aiuto? È forse alleato della Lutibia?”, domandò il Guerriero, “No, a dire il vero il Re di Cator ed i suoi generali sono convinti che questa guerra non è stata fatta per i semplici motivi che tutti conosciamo, anzi credono che qualcosa di veramente malvagio rischierà di distruggere tutti coloro che parteciperanno a questa guerra, che siano Avenui, Lutibiani, o gente di Tryo”, spiegò Ruganpos, “E di certo questo non è un danno per uno dei tre regni maggiori dell’Oleampos che, vedendo distrutti i suoi maggiori contrappesi nella bilancia degli equilibri, sarebbero la forza più grande in questa parte del mondo”, concluse con voce offesa Axar.

“So bene quanto tu possa sentirti offeso, mio Generale, ma non ti è concesso parlare così di quelli che un tempo ci furono alleati e che, in ogni caso, si sono sempre dimostrati degni del nostro rispetto”, replicò Ruganpos, “Si, maestà, mi scusi”, rispose subito l’Anies, chinando il capo.

“Ma anche Priaso si è sempre dimostrato degno del vostro rispetto, mio sire, o sbaglio?”, domandò a quel punto Iason, “No, non sbagli, egli era un uomo di grande rispetto, un coraggioso guerriero ed un buon padre per tutti i suoi figli, ma forse saranno state le diverse sfortune della sua vita a renderlo così pazzo da affidarsi a queste Idre Nere di cui parlate”, osservò il sovrano in tutta risposta.

“E se non fosse Priaso il legame? Se lui ed Aristos fossero gli unici innocenti in tutto questo? Gli unici nella famiglia regnante a non sapere dell’Idra Nera? Acteon stesso mi disse che il minore dei figli del Re di Lutibia, Palion, non aveva idea del fatto che i Tre Tesori non si trovavano più sull’Isola. Forse, se il vero nemico non è Priaso, lei, Maestà, potrebbe ragionare con il vecchio sovrano”, suppose il Guerriero.

“Pensi che non ci abbiamo provato?”, domandò Axar, “Abbiamo mandato diverse volte dei messi anche dopo la vostra partenza, ma alcuni tornavano, i più fortunati, altri venivano uccisi e dei loro corpi ritornava solo una larva rinsecchita, come se qualcosa avesse rubato loro fino all’ultimo respiro di vita, prima di rimandarceli indietro morti”, spiegò il Generale.

Con quelle parole il dialogo fra i tre finì, mentre Iason sembrava ancora riflettere sull’idea di un incontro fra i due sovrani, lasciando la tenda del suo Re insieme all’Anies.

 

Eracles si era sentito un peso durante quella discussione: il suo unico intervento era sembrato divertente ai due generali, mentre la terza lo aveva descritto come un peso per il resto degli Arvenauti, Pandora si era opposta a quelle parole, difendendolo, ma tutto ciò non lo aveva certo alleggerito del peso che ora lo schiacciava, il peso dell’inutilità.

Si era incamminato da solo il figlio di Urros, dirigendosi a lenti passi verso la sua tenda, “Non pensare a ciò che ti ha detto, lei non ti conosce affatto, non sa quanto sei stato coraggioso nelle nostre battaglie passate”, esordì ad un tratto la voce di Pandora, mentre la Signora del Nero Sciame si avvicinava al giovane Arvenauta.

“Invece temo che abbia ragione”, replicò con tono cupo il ragazzo, continuando a camminare a testa bassa, “in fondo di cosa sono stato capace finora?”, sbottò poi, fermandosi dinanzi alla propria tenda, “Ho fatto scappare un’Axelia, lasciato uccidere il figlio di una divinità terrestre che non aveva colpa per i comportamenti paterni, fatto sacrificare il prode Roan, che molto più di me meritava di vivere, e poi ho tolto la prima vita, una vita torturata dal male, questo è vero, ma era sempre una vita, come ho potuto farlo?”, si domandò disperato, entrando nella propria tenda.

Pandora lo seguì dopo alcuni minuti, “Tutto ciò che hai fatto finora pensi sia solo questo?”, domandò lei, entrando, “Credi di essere stato capace solo di atti del genere? La tua forza è stata spesso utile agli altri Arvenauti. Noi siamo un gruppo, ormai composto solo da sei persone, ma un gruppo che ha convissuto le medesime sfortune ed esperienze in questi mesi di viaggio, abbia provato tutti dolore e fatica, chi più, chi meno”, spiegò la Signora del Nero Sciame, “Si, questo è vero, ma nel momento di combattere io quanto sono stato utile?”, sbottò di nuovo Eracles, stringendo il pugno sofferente.

“Non hai avuto paura di affrontare un’Axelia, anzi temevi di ferirla. Hai protetto i tuoi compagni dinanzi ad un gigante di pietra quale era Sisto ed anche contro il tuo fratellastro, non ti sei fatto indietro, piuttosto non hai avuto il coraggio di finirlo, cosa normale per un uomo con cui condividevi lo stesso padre”, rispose Pandora, avvicinandosi al giovane figlio di Urros.

“Chi di noi ha avuto la forza e la saggezza quando parlava dinanzi agli dei di Tenkia? Permettendoci così di avere quell’unica possibilità, la possibilità di rivelare l’identità dell’Idra Nera che si nascondeva in quella corte celeste. Tu, Eracles”, continuò la Signora del Nero Sciame, “Ma è stato provo a causa di quella Prova che abbiamo perso Odisseus”, replicò con tono cupo il figlio di Urros, prima che Pandora prendesse delicatamente il suo volto fra le mani.

“Solo tu, però, riesci a placare la sofferenza nella mia mente e nel mio cuore, solo in te riesco a vedere quella luce che spinge me, e probabilmente anche gli altri, a combattere dopo tanti anni passati nell’oscurità più completa. Sei una fonte luminosa fra noi Arvenauti, Eracles, la tua bontà e semplicità sono unici fra noi, guerrieri abituati al dolore ed al sangue, che per troppo tempo abbia tralasciato il dolce sapore della vita a vantaggio della disperazione”, spiegò con occhi gentili la ragazza Maledetta da Urros.

“Forse non sarai il più spietato, o il più scaltro, ma noi cinque sappiamo di poter sempre aver fiducia nel tuo aiuto, che non ti sottrarrai mai ai tuoi doveri di Arvenauti, ed io in particolare so che tu non sarai mai assente se avessi bisogno di te”, concluse la Signora del Nero Sciame, baciando delicatamente il capo del giovane figlio di Urros, prima di allontanarsi dalla tenda di lui.

Eracles rimase solo, accennando un sorriso sotto gli occhi tristi.

 

Atanos aveva seguito Acteon dopo la riunione. “Dimmi che vuoi, Immortale, non ho molta voglia di fiutarti sempre dietro di me”, aveva esordito dopo alcuni minuti il Cacciatore, “Ho semplicemente una domanda da porti, niente di più”, replicò freddamente l’altro, fermandosi a pochi passi dal compagno di viaggio.

“Che ti succede?”, domandò seccamente l’Immortale, senza tanti giri di parole, “Che vuoi dire?”, incalzò allora con tono vago il mezzo uomo, “Da quando siamo ripartiti da Tenkia, anzi, dalla morte stessa di Odisseus, il tuo comportamento è diverso dal solito. Ti sei gettato contro furia innaturale fra quei soldati e prima, quando la Generalessa ti ha criticato, mi sei sembrato fin troppo triste per quelle sue inutili parole”, osservò Atanos, ricevendo uno sguardo severo da Acteon.

Il Cacciatore, però, nel freddo ed impassibile sguardo dell’Immortale rivide il tempo passato insieme sulla nave, i momenti di lotta e quelli di pace, le parole ed i dialoghi che i due avevano fatto, rivide come anche quel gelido essere senz’anima e lui, un uomo per metà bestia, avevano potuto fare amicizia nel modo più semplice e sincero e così il suo sguardo si quietò.

“Sono troppo diverso da voi, amico mio, non penso tu debba sapere cosa mi ha fatto diventare così furente in questi ultimi tempi”, esordì poi Acteon, riprendendo a camminare, ma venendo subito fermato da Atanos, “Non sono qui per giudicarti, sai bene che non ho i sentimenti per farlo, né la mia mente ha di questi desideri”, replicò freddamente.

Acteon si sedette su un piccolo barile che trovò lì, vicino a se, “Quando ho capito il peso delle vostre maledizioni e poi, sentendo la storia di Odisseus, ho compreso anche la causa che spesso vi accomuna per essere stati maledetti, un peso mi è caduto addosso, mi sono sentito quel verme che in effetti sono, come mi ha sottolineato il Jinma che ho affrontato durante lo scontro in quella Foresta”, spiegò con voce cupa il Cacciatore.

“Abbiamo già discusso di questo argomento diverse volte, Acteon, sai bene che, malgrado le maledizioni siano diverse, non c’è fra di noi uno più fortunato di altri”, osservò Atanos, “Ne abbiamo già discusso, è vero, ma non abbiamo mai parlato del perché fui maledetto”, replicò seccamente il mezzo uomo, “Per aver ferito con una tua freccia la dea Ritmed, o una delle sue ancelle”, ricordò l’Immortale.

“Sei molto vecchio, amico mio, ma dai troppo credito alle leggende, specialmente quelle più recenti come la mia. Io tentai di uccidere un cervo dorato, dopo essere inavvertitamente entrato nel territorio sacro a Ritmed, ma quel cervo mi scappò la prima volta e poi una seconda e quindi una terza, finché alla fine non lo trovai fermo dinanzi a me, intento a guardarmi.

Ero stupito per questo comportamento, improprio degli animali, ma ancora di più mi sbalordii dopo, quando lo vidi mutarsi in una delle ancelle di Ritmed, una ninfa. La sua bellezza era senza pari, non puoi nemmeno immaginarla, ne fui stregato ed allora lo feci”, concluse con voce soffocata Acteon.

“Tentai di approfittare di quella ninfa, le saltai addosso, in preda alla stupidità ed all’orgoglio di un ragazzo troppo giovane e sciocco per capire quale sacrilegio stavo tentando. Fui però interrotto da Ritmed, la quale mi accuso di essere una bestia e di non meritare altro che l’aspetto di una Bestia. Svenni dopo aver visto la dea, circondata da una luce verde accecante, quando rinvenni avevo artigli ed un fiuto più sviluppato di quello umano, ma, allo stesso tempo, ero diventato quello che sono ora, un mezzo uomo e mezzo cane”, ricordò il Cacciatore, “quindi, come puoi ben capire, mentre voi siete stati ingiustamente puniti per atti d’orgoglio e altro, io sono stato punito per un crimine immondo che stavo per compiere contro una ninfa”, concluse l’Arvenauta.

Atanos lo osservò per alcuni minuti, “Acteon, quando abbiamo iniziato questo viaggio, tutti noi volevamo qualcosa di preciso. Chi la vita, chi la normalità, chi l’incontro con gli dei e chi, come me, la morte, ma adesso, nessuno di noi punta soltanto ai propri interessi. In questo viaggio, io, vedo un modo per riscattare secoli di spietata ed inutile esistenza, una vita millenaria passata soltanto ad uccidere chi non era capace di togliermi la vita ed a vagare nel mio vuoto, ma ora ho qualcosa che mi spinge a restare qui, a combattere una guerra non mia, ed anche tu ha qualcosa, vero? Il tuo bisogno di riscatto, proprio come me, ma come me devi anche oltrepassare i tuoi peccati passati, vivi nel presente, cercando di migliorarlo come elemento degli Arvenauti, non dannarti più per il tuo passato. Ti posso assicurare che non rende dannarsi per i reati compiuti, io ho passato dei secoli a dannarmi”, concluse con un sorriso gelido Atanos, prima di alzarsi ed allontanarsi dall’amico, che ora gli sorrideva ironico, “Un essere senz’anima che mi dà lezioni su come placare la disperazione del mio animo, il colmo”, pensò fra se il Cacciatore, dirigendosi verso la propria tenda.

 

Ebhe si era incamminata con passo nervoso verso la propria tenda dopo la riunione dinanzi al Re Ruganpos, ma l’ira sul volto della Generalessa si combinò con lo stupore quando vide Argos che la attendeva.

“Che cosa volete ancora da me voi Arvenauti?”, domandò nervosamente la donna, “Gli Arvenauti niente, ma io ho una curiosità da porti, Generalessa di Ghiaccio”, rispose prontamente il Guardiano, “Parla in fretta”, ordinò la donna.

“Come mai, oltre me, persino un’altra semidivinità si trova qui, nell’accampamento degli Avenui? Sei per caso scesa sulla terra dei mortali per ordine del sommo Urros? Di certo non è una maledizione quella che ti ha portato qui, giacché non vedo in te nessun male, eccetto il carattere, forse”, concluse con tono sarcastico Argos, sbalordendo l’interlocutrice per quella domanda.

“Tu non sei più un semidio da diverso tempo, Arvenauta”, fu l’unica risposta data dalla donna, “Questo è vero, ma tu cosa ci fai qui, Linnea?”, domandò poi Argos, ricevendo in tutta risposta una spinta dentro la tenda della Generalessa.

“Non osare più chiamarmi in quel modo dinanzi a dei soldati”, ordinò Ebhe, una volta nella tenda, “nessuno sa chi io sia e nessuno deve saperlo, nemmeno i tuoi cinque compagni”, tuonò la Generalessa, “Va bene, ma spiegami perché sei stata mandata su questi campi di battaglia”, tagliò corto l’Arvenauta.

“Diversi fatti strani sono successi in questi ultimi anni nei Pantheon maggiori. Prima la morte di Rahama, poi lo scoppio della guerra fra Asjar e Rihad, dopo la morte di Jayr, primogenito di Odath, a cui seguirono, a breve distanza, quelle della divinità delle Acque seguace di Rikka e di uno dei nostri signori, morto per cause ancora ignote”, iniziò a raccontare l’ormai rivelata semidea.

“Chi è morto fra i divini figli di Urros?”, domandò sbalordito Argos, “Tonikos, divinità dei Vini e delle Feste”, rispose con voce triste Ebhe, prima di riprendere il suo racconto.

“A tutti questi fatti seguì, poco tempo fa, un avvenimento notato con stupore da Porian, dio del Sole: il regno a lui consacrato, la Lutibia, gli fu tolto, non da una divinità, bensì da una presenza che lo circondò completamente con la sua opprimente entità, qualcosa di oscuro ed indefinito. Ci fu una riunione fra gli dei a riguardo, dove si decise di mandare una semidivinità, sotto mentite spoglie, presso queste terre in guerra. Tu, Argos, eri stato bandito e maledetto, i seguaci di Sade e Masoch si rifiutarono di prendere la parte di uno degli schieramenti, quindi eravamo rimasti io e Diplos”, raccontò la Generalessa.

“Come mai non si è proposto Diplos? Come figlio di Ritmed e Porian era suo dovere”, osservò Argos, “Sai bene che egli, che rappresenta insieme alba e tramonto, non è mai molto propenso a questo genere di gesti, non ha mai avuto un carattere del tutto chiaro, nemmeno per i suoi genitori, che gli sono anche zii, quindi accettai di fare io questa mascherata”, concluse con tono infastidito Ebhe.

“Ora toglimi tu una curiosità”, riprese dopo qualche attimo la semidea, “come mi hai riconosciuto?”, domandò con voce curiosa, “Tanti piccoli suggerimenti avevi dato tu stessa, Primo Ministro di Urros. Il tuo nome, che è quello della fonte da cui prendi l’acqua bevuta dal nostro divino Signore, poi i tuoi poteri, basati sulle energie gelide, come quelle che controllavi in cielo ed il modo in cui volevi evitare pericoli al figlio del tuo sovrano celeste, ma più di tutto la tua luce, quella che circonda i corpi di tutti gli dei, una luce inconfondibile per chi per anni ti è stato vicino, come primo Guardiano di Lera, moglie di Urros”, rispose Argos, avvicinandosi a colei che chiamava Linnea.

“Già, millenni in cui siamo stati vicini, tu, creatura di mille e più occhi, ed io, fatta di venti gelidi, millenni in cui non abbiamo mai potuto toccarci come possono gli umani”, sussurrò Ebhe, stringendo le mani del Guardiano ed avvicinandolo ancora di più a se, “Esatto, millenni”, concluse Argos, prima di abbandonarsi fra le braccia di lei, vicendevolmente.

Quella fu una delle esperienze più particolari per quei due semidei i cui corpi non si divisero per il resto della notte, notte che faceva da pausa prima dell’inizio di un altro giorno di battaglie.