Capitolo 71: Il Piano
di Argo
Acteon fu sorpreso dalle parole di Argos e come lui anche i suoi compagni, poté intuire dai loro sguardi, ma, malgrado questo, non volle fare domande a colui che era diventato il loro comandante, dopo la morte di Odisseus.
Il Cacciatore andò quindi a farsi curare le mani, proprio come Eracles che, accompagnato da Pandora, si fece curare la ferita alla gamba, solo Iason ed Atanos non andarono all’infermeria dell’accampamento, il primo, perché troppo distratto, o almeno perché così parve ad Acteon, il secondo perché non aveva necessità di farsi curare alcuna ferita, quindi preferiva preoccuparsi della propria spada.
L’uomo maledetto da Ritmed si fece fasciare i palmi, ustionati, ed osservò con una certa invidia Pandora che parlava con Eracles, o, per essere più precisi, che ascoltava con attenzione le parole del giovane guerriero, intento a raccontarle come aveva abbattuto il muro esterno di guardia con alcuni potenti macigni. Provava invidia il Cacciatore, non tanto perché Eracles aveva trovato amicizia in una ragazza molto bella, seppur dannata e triste per secoli di solitudine, ma perché quel giovane aveva tutta la purezza ed umana innocenza di un’età che Acteon stesso non aveva nemmeno vissuto, giacché le sue abili doti di cacciatore lo avevano reso famoso fin da piccolo e costretto a crescere in fretta fra altri cacciatori abili quanto lui, ma ben più vecchi. E la vita di Acteon era andata avanti così, circondato da prima da coloro che lo lodavano per le sue doti di cacciatore, evitato, dopo la maledizione, da tutti, solo adesso, il mezzo uomo sentiva di aver trovato degli amici, un gruppo di esseri come lui, che per diverso tempo erano stati costretti alla lontananza da tutto, ma che ora si ritrovavano tutti uniti sotto il medesimo destino.
“Ho finito, Navigatore”, gli disse dopo alcuni minuti il medico che gli fasciava le mani, riportando alla realtà Acteon, che subito si alzò, allontanandosi dalla tenda e dirigendosi verso la propria.
Per quasi un’ora il Cacciatore attese e come lui anche gli altri Arvenauti, finché non venne Atanos stesso a chiamarlo, “La riunione sta per iniziare”, esordì semplicemente l’Immortale, “Bene, andiamo a vedere cosa ha in mente Argos”, replicò con un sorriso quieto Acteon, che nell’essere senz’anima aveva trovato qualcuno di molto simile a lui, costretto sotto il peso di diversi peccati, ma desideroso di redimersi prima di abbandonare la sua esistenza di maledetto dagli dei.
Arrivarono alla tenda di Ruganpos, signore di Aven, i due Arvenauti e lì trovarono i loro quattro compagni insieme ai tre generali.
Argos era distante da tutti gli altri, intento a fare uno strano disegno vicino alla mappa della zona.
“Quale piano avete progettato, Naviganti?”, domandò dopo alcuni secondi di silenzio Hadon, “Non chiederlo a noi, il piano è di Argos, lui ve lo esporrà, anzi lo esporrà a tutti”, esordì dopo un breve silenzio Iason, che sembrava aver ripreso la calma persa dopo lo scontro con Orpheus.
“Si, ve lo mostrerò subito il mio piano per entrare nella città di Passis”, affermò il Guardiano, appoggiando una grande mappa da lui disegnata contro un muro.
“Questa è la città di Passis”, osservò perplesso Eracles, “Esatto, questo è il promontorio dove si trova, ma cosa sappiamo noi di questo promontorio?”, domandò Argos, voltandosi verso i presenti, “Sappiamo che per tre lati, Nord, Sud ed Ovest, è circondato da rocce e terreni pianeggianti, quindi ogni tentativo di assalti a sorpresa è inutile, perché anche la notte le alte pire di fuoco poste dalle guardie permettono di vedere fin al più piccolo animale che striscia sul terreno, mentre durante il giorno ci è stato dimostrato proprio oggi che un attacco frontale sarebbe solo un massacro”, spiegò il Guardiano.
“Appunto, questo lo sappiamo, Navigante, dicci qualcosa di nuovo”, replicò allora Axar, osservando perplesso l’alleato, “Quello che posso dirvi è che l’unica via è qui, da Est”, sentenziò Argos.
“Est?”, ripeté sbalordito Ruganpos, “Ma ad Est c’è il dirupo che dà sul mare. Non ci sono modi per arrivare alla costa e da quella raggiungere la città, sia perché una flotta di nave sarebbe facilmente avvistabile, inoltre in quanti potrebbero anche solo tentare la scalata di quella parete rocciosa? Una parete che tu stesso, Argos, sai essere a spiovente sul mare, priva quasi del tutto di punti d’appoggio”, esclamò allora Ebhe, stupita dalla proposta dell’ex semidio.
“Vero, Lin.., Ebhe”, affermò Argos, correggendosi all’ultimo sul nome da dire, “ma nessuno di voi sembra aver visto questo”, continuò poi, indicando una scanalatura che lui stesso aveva disegnato nella figura della città.
“Che cos’è?”, domandò incuriosito Eracles, “Uno sbocco fognario”, rispose semplicemente Argos.
“Una città come Passis, in cui abitano decine di centinaia di Lutibiani deve avere per forza un sistema fognario ben articolato e con più sbocchi verso l’esterno, per non essere danneggiata da tutte quelle malattie prodotte da un cattivo igiene pubblico. Quello sulla rupe è l’unico punto di uscita della fognatura, esclusi i canali che sboccano all’interno della città, quelli che dovremo raggiungere per arrivare nelle strade della capitale Lutibiana ed avanzarvi”, spiegò Argos.
“Quindi tu proponi che un numero pur sempre limitato di soldati arrivi con delle navi a quella rupe, riesca in qualche modo a raggiungere lo sbocco fognario, lo risalga senza sbagliare strada e spunti nelle strade, magari vicino alle porte della città, così da conquistarle e lasciar entrare tutti gli altri? Non ti sembra un piano fin troppo pericoloso per far rischiare le vite dei nostri soldati?”, domandò perplesso Hadon, enumerando sulle mani le diverse fasi che supponeva necessarie.
“Non chiedo a dei soldati di compiere questa missione, saremo noi sei Arvenauti ad entrare in città per questa via”, sentenziò con voce quieta, quasi ironica, Argos, sbalordendo tutti, persino Acteon, Iason ed Eracles, che sgranarono gli occhi dinanzi all’affermazione del Guardiano.
“In sei vorreste entrare in una città piena di nemici ed aprirci i loro cancelli? Pensavo che fra voi ci fosse un solo Immortale”, osservò stupito Hadon, “No, il mio piano è un po’ diverso da quello che tu hai supposto, Generale”, replicò l’ex semidio.
“Con la nostra nave, che mi occuperò personalmente di riparare, scivoleremo veloci sotto le mura della Lutibia, poi, colei che fra noi può raggiungere il foro volando, Pandora, porterà una fune fin dentro lo sbocco, fune con cui noi cinque ci aiuteremo a salire la parete rocciosa. In seguito, grazie alla mia vista ed ai sensi di Acteon, troveremo il cunicolo che sbuca all’interno del castello reale dove la forza di Eracles, le doti di Iason ed i poteri di Atanos ci permetteranno di andare avanti fino a raggiungere quello che è il nostro vero fine”, spiegò il Guardiano.
“Quale sarebbe?”, domandò perplesso Ruganpos, “Un’idea che già Iason le ha esposto, maestà: farla incontrare con Priaso, fare in modo che voi possiate parlare, anche se, per fare ciò, dovremo rapirlo”, replicò semplicemente Argos, “così, forse, riuscirete a concludere questa guerra senza dover sacrificare nessun altro guerriero, da ambo le parti”, concluse.
“Quando avevi intenzione di attuarlo?”, domandò subito dopo Ebhe, intromettendosi, “Domani sera stessa. Volevo anzi chiedere a voi, Arvenauti, di non scendere domani sul campo di battaglia, ma restare qui con me, per riparare la nave, rendendola più leggera e veloce”, spiegò il Guardiano, rivolgendosi ai suoi cinque compagni di viaggio.
“Per me va bene”, esordì subito Eracles, “Anch’io sono d’accordo”, concordò Iason, subito seguito da un gesto del capo di Atanos e da uno di Pandora, “Perfettamente d’accordo”, concluse poi Acteon, con un sorriso divertito sul volto.
“Avete il mio beneplacito, Arvenauti”, sentenziò semplicemente Ruganpos, sciogliendo l’assemblea.
Si ritirarono ognuno nella propria tenda gli Arvenauti, riposando dato l’arduo compito che avrebbero dovuto affrontare il giorno dopo.
La mattina dopo fu Argos il primo ad alzarsi, dirigendosi subito verso la spiaggia, dove ancora riposava la loro nave, dopo il tormentato viaggio che aveva compiuto per raggiungere quelle coste.
Era rimasto per quattro giorni senza vederla, ma ora che la ebbe di nuovo dinanzi agli occhi, il Guardiano ripensò ad Odisseus, l’uomo con cui durante il viaggio aveva stretto una profonda amicizia, una triste figura, costretta a fare del mare la sua unica casa, “Forse avresti preferito un altro piano se fossi stato qui con noi”, pensò fra se l’ex semidio, avvicinandosi alla riva bagnata dal mare. “Con chi parli?”, gli domandò all’improvviso una voce alle sue spalle, era Ebhe, “Pensavo ad alta voce”, replicò allora Argos, riprendendo la propria compostezza, “Tu piuttosto come mai qui? Tra poco dovrete scendere sul campo di battaglia, come sempre”, osservò l’ex semidio, “Non ti preoccupare per me, ho riposato abbastanza stanotte, da sola”, gli rispose lei, con voce gentile, “Linnea, dopo che questa guerra finirà tu tornerai fra gli dei nostri sovrani, mentre io resterò di certo qui, anche perché, se la guerra finisce, il viaggio per molti di noi Arvenauti non avrà termine, abbiamo qualcuno da trovare ed un amico da vendicare”, spiegò con voce cupa l’altro.
“Parli del settimo di voi Naviganti, giusto? Odisseus, colui che fin qui non è riuscito ad arrivare. Non preoccuparti se poi tu resterai umano ed io tornerò una semidea, in fondo dovresti averlo capito ormai”, replicò Ebhe, “Cosa?”, domandò Argos, incuriosito, “Che come eravamo legati quando eravamo semidei, così lo siamo adesso ed allo stesso modo lo saremo sempre, qualunque sia l’aspetto che prendiamo. Ti attenderò nelle Terre di Urros, se questo mi chiede il destino, come sono certa che tu mi verresti dietro anche se fossi dannata come te”, spiegò la semidea sorridendo all’ex semidio.
Le voci degli altri Arvenauti che si avvicinavano interruppero il dialogo fra i due esseri dalle origini celesti.
Ebhe accolse i cinque insieme ad Argos, “Generale, come mai qui?”, domandò Pandora, la cui voce sembrava poco gentile nei confronti della Generalessa di Ghiaccio, “Per augurarvi buon lavoro”, sentenziò semplicemente la donna, prima di allontanarsi, sorridendo ad Argos.
I sei Arvenauti si misero a lavoro subito dopo.
Eracles si occupò, insieme ad Atanos ed Acteon di spostare i tre alberi maestri, sostituendoli con un solo albero centrale, molto più sottile al fine di dare alla nave quella che Argos definiva: “Una forma così sottile da essere confusa con un riflesso sul mare notturno”.
Il Guardiano stesso, insieme ad Iason e Pandora, si stava occupando di stringere lo scafo, rendendolo più sottile.
Per l’intera mattina i sei lavorarono, finché, a fine lavoro, una decina di minuti prima che rientrassero gli eserciti dal campo di battaglia, Iason volle parlare a tutti.
“Ricordate le ultime parole di Odisseus? Quelle che riguardavano il suo unico discendente?”, domandò il Guerriero ai compagni, “Si, un individuo intento in un’impresa disperata, con un simbolo di stella marina sulla gamba sinistra”, rispose prontamente Eracles.
“Ho visto quel simbolo, è una voglia che si trova poco più in alto della caviglia in colui che lo porta”, affermò con voce perplessa Iason, “Davvero? Il discendente di Odisseus si trova su questi campi di battaglia?”, esclamò Eracles, “In effetti, ragazzo, se ci pensi, quale impresa è più disperata di vincere questa guerra, specialmente conoscendo le forze oscure che in qualche modo vi sono legate”, osservò Acteon, “Ma chi ha quel simbolo?”, domandò di nuovo Pandora.
“Orpheus, il Musico al servizio della Lutibia”, rispose Iason, dopo aver preso un profondo respiro.
Il silenzio calò fra i cinque che lo ascoltavano, “Potrebbe essere una coincidenza, non per forza quel guerriero che comanda i morti deve essere parente di Odisseus”, suggerì subito Eracles.
“No, non è un errore, quella stessa voglia era già apparsa chiaramente ai miei occhi, sia sulla caviglia di Odisseus, sia su quella del Musico quando lo incontrammo a Seev, ma allora non sapevo che fosse un’eredità della casata del nostro Navigatore, però se ci fate caso, eccetto i capelli bianchi, i due si assomigliano molto”, rettificò Argos.
“Allora cosa vogliamo fare?”, domandò di conseguenza Acteon, “Lo lasciamo stare perché nel suo corpo scorre lo stesso sangue di una persona che ci fu amica, o lo combattiamo se si pone sulla nostra strada?”, continuò.
“Il suo cuore non è del tutto corrotto, una tristezza cupa troneggia sopra la sua figura, non combatte per piacere, di certo ci deve essere qualche cupo motivo se è diventato un negromante che comanda i morti con la musica”, suppose Atanos.
“Non vi chiedo di non affrontarlo perché discendente di Odisseus”, affermò in quel momento Iason, “anzi, proprio per questo vi supplico di lasciare che sia io il suo nemico se sbarrerà la strada a tutti e sei, troppo dovevo al Navigatore per lasciare che il suo unico discendente sia come è Orpheus adesso”, concluse il Guerriero, trovando i propri compagni concordi con le sue parole.
Poco dopo i sei sentirono il suo del corno che indicava la ritirata, “Riposate, amici miei, fra un’ora, quando inizierà a tramontare, partiremo”, sentenziò Argos, prima di dirigersi verso l’accampamento.
Anche le truppe Lutibiane ritornarono all’interno delle loro mura. Pirros, generale Fiammeggiante, non si fermò nemmeno a parlare con i suoi due parigrado, corse subito da Axides, che trovò ad attenderlo sulle porte della propria stanza.
“Cosa ti agita tanto, Generale?”, domandò quietamente il secondogenito di Priaso, “Ho saputo da mio padre che quei sei tenteranno di entrare nella città stanotte, dallo sbocco fognario, per rapire vostro padre e farlo accordare con Ruganpos”, spiegò con voce decisa Pirros.
Axides sembrò sbalordito in un primo momento da quella notizia, ma poi riprese la calma che gli era propria, “Piano interessante il loro, immagino che mai nessuno avesse pensato di raggiungerci passando per le fogne, ma il problema è minimo in questo caso”, osservò il principe, “Come minimo? Se vostro padre parlerà con Ruganpos e Nator, i tre troveranno di certo un accordo, scoprendo anche che qualcun altro ha fatto in modo che scoppiasse la guerra”, esclamò il Generale.
“Come già ti avevo spiegato, proprio domani, poco dopo la mezzanotte, arriveranno coloro che mi accoglieranno nella mia nuova forma. Ho bisogno solo di alcune ore questa notte, pensi di poterli rallentare a sufficienza insieme ad Orpheus? Se serve avvisa anche mio fratello, magari dopo che quei sei sono entrati, tanto dopo che arriveranno coloro che attendo, niente resterà della Lutibia e dei suoi nemici”, spiegò Axides, aprendo le porte della sua stanza.
“Entra”, ordinò semplicemente il principe, sbalordendo il Generale, che mai aveva potuto vedere le stanze dell’uomo che veramente lo comandava.
Maggiore fu però lo stupore di Pirros nel vedere centinaia di fili di seta che circondavano i muri, fili intessuti con precisione, che nascondevano il piccolo altare di Porian e bloccavano molte delle porte, eccetto quella delle stanze da letto di Axides, dove il figlio di Priaso lo condusse.
Aperte quelle porte, al naso di Pirros arrivò un immondo odore di morte e putrefazione, subito seguito dall’orrenda visione di cosa si nascondeva lì: decine di corpi inghiottiti dalla seta.
Al Generale parvero come dei giganteschi bozzoli, in cui i cadaveri erano legati dai fili, fili che ne avevano dilaniato la pelle, fino a succhiarne la linfa vitale, ve ne erano alcune decine disposti sulle mura della stanza e tutti convogliavano ad un unico bozzolo centrale in cui i resti di un corpo, appena coperto da quelli che dovevano essere stati degli abili regali, era intrappolato. “Quelli che vedi ai tuoi lati sono i resti di tutti i messaggeri dei due eserciti che non gli ho ancora restituito, mentre non serve che ti presenti la mia sposa, colei che sta nel bozzolo centrale, vero?”, domandò ironico Axides, “Tusia, principessa di Tryo”, balbettò Pirros.
“In questo luogo io cambierò, diventerò qualcosa di diverso, di molto più potente, di superiore a mio fratello ed a tutti i suoi soldati”, esclamò soddisfatto Axides, togliendosi l’abito e mostrando il corpo nudo, ma completamente nascosto da decine di quei fili di seta, fili che si riunirono a quelli che penzolavano a mezz’aria nella stanza.
“Ora vai, Pirros, vedi di fermare quei sei dannati naviganti, prima che loro fermino i piani di chi ti ha mandato qui”, concluse il Principe, mentre i fili lo sollevavano a mezz’aria.
Pirros raggiunse Aristos ed Orpheus, “Vi chiedo scusa, ma ero stato ferito e sapete quanto sono pericolose per me le fuoriuscite di sangue”, esordì il Generale, prendendo posto vicino al Musico.
Per alcuni minuti i due rimasero ad ascoltare e discutere con Aristos, che era rimasto sbalordito dall’assenza degli Arvenauti sul campo di battaglia, poi, finita la riunione, i due generali rimasero soli.
“Mio padre ci ha avvisato che i Naviganti tenteranno stasera di entrare in città dal canale di scolo delle fogne, quello che si getta nel mare aperto”, esordì il Generale fiammeggiante, “Da soli? Coraggiosi”, osservò sorpreso Orpheus, “Avventati direi. Ad ogni modo, il principe Axides vuole che siano fermati prima che arrivino dentro la città, quindi, dato che passeranno da dentro le fognature li attenderemo lì, in due punti diversi”, spiegò Pirros, conducendo il proprio compagno fino allo sbocco del reticolo fognario nel castello.
“Come tu ben sai, da qui, avanzando verso il mare, ci sono circa dieci di questi tombini e tu li aspetterai all’altezza del settimo, quello perfetto per te, mentre io andrò sotto il terzo, così, se ti sorpasseranno, cadranno comunque in una trappola di fuoco”, concluse il Generale Fiammeggiante.
“Sotto il settimo, quindi al confine con la seconda cinta di mura interne? In effetti è il luogo più adatto a me per combattere. A che ora dovrò trovarmi lì?”, domandò poi il Musico dai capelli bianchi, “Partiranno al tramonto, dalle notizie di mio padre, quindi direi verso l’ottava ora”, suggerì Pirros, “Bene”, tagliò corto Orpheus, allontanandosi verso l’uscita del castello.
“Vai pure, Musico, sarai utile a fermarli e poi niente più di certo non ti sarà dato ciò che desideri quando il Principe riceverà il suo posto insieme agli altri eletti. Non serve nemmeno che tu sappia il vero piano”, ridacchiò alla fine Pirros, sedendosi vicino al tombino che si trovava nel giardino esterno del castello.
Quando tramontò, come stabilito, gli Arvenauti partirono sulla loro nave e con estrema facilità si allontanarono lungo la costa, diventando presto invisibili persino a Ruganpos ed ai tre generali che li osservavano, mentre si dirigevano verso la loro battaglia, quella che, sperava il Re di Aven, sarebbe stata l’ultima battaglia in terra di Lutibia.