Vi sono molti disegni ostili non accompagnati da nessun sentimento ostile.
Nei popoli primitivi predominano i moti dell'animo, nei popoli civili quelli della ragione.
La volontà umana non acquista le sue forze mediante le sottigliezze logiche.
Tutto si configura diversamente quando passiamo dal regno delle astrazioni a quello della realtà.
La volontà non è totalmente un'incognita, ma preannunzia in ciò che è oggi, ciò che sarà domani.
L'uomo, con il suo organismo imperfetto, resta sempre al disotto della linea dell'ottimo.
Lo stesso fine politico può produrre effetti totalmente diversi su popoli diversi e,anche sullo stesso popolo, in epoche diverse.
L'arte della guerra,considerata dal suo punto di vista più elevato,si cambia in politica.
Il fine politico in quanto motivo determinante della guerra, sarà la misura, tanto per la meta da raggiungere mediante l'attività bellica,quanto per gli sforzi necessari.
La superiorità della difesa è molto più grande di quanto si possa pensare a prima vista.
L'uomo è portato, per propensione naturale e per circostanze, molto più a sopravvalutare le forze dell'avversario che a fare il contrario.
Nessun' altra attività umana è tanto spesso e così ampiamente a contatto col caso quanto la guerra.E con il caso vi occupa un gran posto il fortuito, l'accidentale e accanto a loro la fortuna.
Per quanto il coraggio e il calcolo prudente possano allearsi, restano sempre cose di natura diversa, appartengono a facoltà dell'animo diverse.
L'azzardo,la fiducia nella fortuna, l'ardire, la temerarietà non sono che manifestazioni del coraggio, e tutte queste facoltà dell'animo cercano nel caso il loro elemento naturale.
L'assoluto, la cosidetta certezza matematica, non trova in nessun luogo una base solida nel calcolo della guerra.
Mentre la nostra ragione si sente spinta alla chiarezza e alla precisione, lo spirito è spesso attratto dal vago.
Mai si potrà introdurre un principio moderatore nell'essenza stessa della guerra,senza commettere una vera assurdità.
L'arte della guerra dovendo trattare di forze vive, forze morali, non può mai raggiungere l'assoluto, la certezza; dappertutto rimane aperto uno spiraglio all'accidentale.
Anche il rischiare è prudenza, talvolta perfino preveggenza:è solo il principio di misura che cambia.
Tale è la guerra, tale il capitano che la conduce,tale la teoria che la regola.
La guerra di una comunità, di interi popoli, e particolarmente di popoli civili, deriva sempre da una situazione politica: è sempre causata da un motivo politico. E' dunque un atto politico.
Quando pensiamo che la guerra deriva da un fine politico, appare naturale che questo primo motivo che l'ha chiamata in vita resti anche il primo e più alto criterio della sua condotta.
La guerra non è soltanto un atto politico, ma un vero strumento politico: una prosecuzione dell'attività politica, una sua continuazione con altri mezzi.
L'intento politico è il fine e la guerra non è che il mezzo.
Tanto più lo scopo della guerra verrà a coincidere con il fine politico e tanto più puramente militare e meno politica sembrerà essere la guerra.
Si abbia sempre l'occhio sul nemico, per evitare d'andargli incontro con lo spadino di gala quando invece egli ha posto mano allo spadone.
I più grandi uomini di tutti i popoli famosi nella guerra appartengono sempre e soltanto ad epoche di un'alta civiltà.
Nel corso dell'azione le circostanze trascinano il più delle volte la decisione e nessuna situazione ritorna un seconda volta.
Nell' emozione del momento i sentimenti dominano gli uomini più fortemente dei pensieri.
La risolutezza sorge soltanto per un atto dell'intelligenza che, divenuta conscia della necessità del rischio,con questa necessità determina la volontà.
Un animo forte è quello che anche nelle più forti emozioni non perde il proprio equilibrio interno.
È sempre in base ad un presentimento vago della verità che si è costretti ad agire.
Ciò che il genio fà deve valere come la regola migliore e la teoria non può fare di meglio che mostrare come e perché lo sia.
Chiunque comincia a ritenere minore il coraggio del nemico non appena questo gli volge la schiena, ed è ben più ardito quando insegue che non quando è inseguito.
In cose rischiose come la guerra, gli errori che provengono dal buon cuore sono proprio i peggiori.
Le grandezze spirituali non sono percepite che dall'occhio interiore,diverso da uomo ad uomo e spesso da momento a momento nello stesso uomo.
L' attività bellica non si applica alla pura materia ma anche e sempre alla forza spirituale che anima questa materia, ed è impossibile scindere l'una dall'altra.
Tra il caso individuale e la massima c'è spesso un largo tratto che non sempre si può traversare attenendosi ad una catena visibile di deduzioni,onde una certa fede in sé stessi è necessaria, un certo scetticismo benefico.
Spesso è assai difficile dire, nel caso concreto, dove termini la forza di carattere e cominci la testardaggine.
Una violenza che alcuno usi verso di noi per ordine superiore, ci infiamma alla vendetta pri ma contro di lui che contro quel potere superiore che gli impone di agire.
La paura è diretta alla conservazione fisica il coraggio alla conservazione morale.
Ogni teoria deve attenersi a categorie intere di manifestazioni e non può mai accogliere in sé il caso individuale.
Poichè il talento e il genio agiscono all'infuori delle leggi la teoria si trasforma nell'antitesi della realtà.
La teoria c'è perché non sia necessario a ciascuno di sbarazzare il campo di nuovo e di lavorarlo a fondo e gli argomenti siano ordinati e chiariti. Essa deve educare alla guerra non accompagnare sul campo di battaglia.
Essendo lo spirito umano educato con le cognizioni e gli orientamenti di idee che gli si comunicano, solo ciò che è grande può aprirgli ampie vedute:le piccolezze non possono farlo che meschino.
Il genio non ha bisogno di nessuna teoria per il quale non va neppure scritta.
La scienza deve tramutarsi mediante un' assimilazione perfetta con lo spirito e con la vita in un vero e proprio potere.
Il sapere è altra cosa del potere. Sono così diversi l'uno dall'altro che non li si dovrebbe tanto facilmente confondere.
Non si dà nessuna scienza sprovvista del tutto di arte. Nella matematica per esempio è arte il calcolare e l'uso dell'algebra.
Ogni forma di pensiero è senz'altro arte.
Dove il logico fa punto;dove si fermano le premesse che sono un puro risultato della conoscenza;dove comincia il giudizio:là comincia l'arte. Ma non basta: perfino il conoscere dello spirito è già di nuovo giudizio e per conseguenza arte, e finalmente è arte lo stesso conoscere dei sensi. In una parola: essendo altrettanto impossibile pensare una natura umana dotata soltanto della pura capacità conoscitiva e priva di giudizio, quanto pensare l'inverso,arte e sapere non possono mai essere separate totalmente l'uno dall'altra.
Dove lo scopo è produrre, costruire, là è il regno dell'arte; la scienza domina dove lo scopo è l'indagine ed il sapere puro.
La guerra non rientra nel campo delle arti e delle scienze, ma in quello della vita sociale. È un conflitto di grandi interessi che si risolve nel sangue.
La politica è il grembo in cui la guerra si sviluppa, in questa se ne trovano accennati i lineamenti come le caratteristiche delle creature viventi nei loro embrioni.
La varietà del mondo reale non si lascia comprendere sotto la forma definitiva di una legge.
"Nessuna regola senza eccezione", ma non si dice nessuna legge senza eccezioni;segno che nelle regole ci si riserva una più libera applicazione.
Nel mutare e nella varietà delle manifestazioni, non c 'è in guerra nessuna determinazione abbastanza generale da meritare il nome di legge.
Le verità teoretiche agiscono sulla vita pratica sempre più attraverso la critica che non attraverso l'insegnamento: perché la critica, come applicazione della verità teoretica all'avvenimento reale, non solo le avvicina alla vita ma avvezza meglio l'intelletto a questa verità con la costante riapparizione delle sue applicazioni.
Per quanto riguarda la deduzione degli effetti dalle cause si presenta spesso una difficoltà insormontabile: non si conoscono affatto le vere cause.
Resta spesso una discordanza tale tra causa ed effetto da non autorizzare a stabilire un nesso rigoroso tra gli avvenimenti e le cause conosciute.
Gli avvenimenti provengono, molto di rado in guerra, da una causa semplice ma di solito da molte legate insieme.
Sarebbe ridicola pedanteria prescrivere alla critica di tornare indietro ogni qualvolta tocchi i confini della sacra teoria. Lo stesso spirito di ricerca analitica che produce la teoria, deve anche guidare l'opera della critica.
Tutti i risultati positivi dell' indagine teoretica, tutti i principi, regole e metodi, quanto più si fanno dottrina positiva, tanto più vengono a mancare dell'universalità e della verità. Essi ci sono per offrirsi all'uso e deve sempre essere lasciato a discrezione del giudizio vedere se si attagliano al caso o no.
Ogni mezzo deve essere visto sempre in funzione dello scopo ultimo.
Non si può biasimare un metodo se non se ne sa indicare un altro migliore.
Giammai lo stato delle cose dalle quali un avvenimento viene fuori, sta davanti all'occhio del critico precisamente come si mostrò all'occhio dell'agente.
Quando la critica vuol pronunciare lode o biasimo su un singolo atto, soltanto fino ad un certo punto le riuscirà di porsi nella posizione dell'agente.
Nelle attività che richiedano arte, si richiede una disposizione naturale educata che viene chiamata virtuosità.
Ferisce la nostra sensibilità quando il critico porta avanti la sua persona e parla in un certo tono, come se la saggezza venutagli dalla visione complessiva dell'avvenimento fosse tutta talento suo personale.
Ci sono casi in cui nel massimo ardimento è la massima saggezza.
Il verdetto del successo deve fornire dappertutto la sentenza che la critica umana non può scoprire.
Il linguaggio della critica non dovrebbe essere altro che il giro d'orizzonte che precede l'azione, altrimenti cesserebbe di essere pratico e non permetterebbe alla critica nessun contatto con la vita reale.
la timidezza naturale degli esseri umani, che vede soltanto un lato d'ogni cosa, li fà con la prima impressione propendere verso il timore e l' esagerata cautela.
Lo scopo degli storici è raramente di presentare la verità assoluta. Di solito desiderano solo abbellire gli atti del loro esercito o dimostrare la concordanza degli eventi con le loro regole immaginarie: inventano la storia anziché scriverla.
Non dobbiamo disperare del successo in guerra fino all'ultimo momento.
Un'emozione potente deve stimolare il grande talento d'una guida militare,sia essa ambizione come in Cesare, odio per il nemico come in Annibale, o l'orgoglio in una sconfitta gloriosa come in Federico il grande.
Bisogna essere audaci ed astuti nei piani, fermi e perseveranti nella loro esecuzione, determinati a cercare un' illustre fine ed il destino ci coronerà d'una splendente gloria.