3/ 12/ 05
LA MUTAZIONE ANTROPOLOGICA DELL’IRPINIA
Ho atteso con ansia che trascorresse la ricorrenza del 30° anniversario della
tragica morte di Pier Paolo Pasolini, per provare a scrivere qualcosa su di lui,
per riflettere sul prezioso senso della sua figura e della sua opera, a 30 anni
di distanza dalla sua precoce scomparsa, per ragionare sull’attualità e sulla
verginità delle sue idee così avanzate e così ferocemente presenti oggi più di
ieri, in quanto hanno anticipato notevolmente i tempi.
La prima impressione che ho ricavato dalle innumerevoli, scontate ed ovvie
celebrazioni dell’evento, è la seguente.
Ormai tutti sembrano appropriarsi (o volersi appropriare) dell’eredità del
pensiero pasoliniano, da sinistra a destra, rivalutando e riabilitando post
mortem un personaggio che in vita era stato scomodo a tanti e da tanti (troppi)
è stato osteggiato, perseguitato e diffamato, mentre oggi sembra far comodo a
tanti, forse troppi per i suoi gusti di genio anticonformista.
Ormai il sistema sembra aver inglobato ed omologato persino le analisi e le
riflessioni provocatorie e rivoluzionarie dell’intellettuale italiano (e non
solo italiano) più geniale, più anticonformista e più eversivo del Novecento.
Ma Pasolini non può essere omologato e assimilato con tanta facilità, e
tantomeno le sue idee possono essere addomesticate o neutralizzate nell’atto di
sposarle o ripensarle così banalmente. Eppure, l’operazione in corso è proprio
quella di un’assimilazione politico-culturale del pensiero pasoliniano, post
mortem, in piena regola!
In particolare, l’industria culturale, e lo starsistem in generale, è
ferocemente consumista ed ha cinicamente consumato i riti e le celebrazioni
pasoliniane, divorando e metabolizzando il significato eversivo e rivoluzionario
dell’opera di Pier Paolo Pasolini.
Chissà che cosa avrebbe da dire oggi Pier Paolo Pasolini se fosse ancora vivo…
Chissà quali sarebbero le sue opinioni e le sue provocazioni “corsare” a
proposito, ad esempio, della globalizzazione economica neo-liberista e del
“pensiero unico” (che Pasolini seppe intuire già 30 anni or sono) , della guerra
“preventiva” in Iraq e della nuova strategia del terrore globale, del “cavaliere
nero” Silvio Berlusconi e del suo pessimo governo “clerico-fascista” in versione
aggiornata, del subdolo tentativo di attuare il “Piano di rinascita democratica”
promosso della P2 di Licio Gelli, delle leggi ad personam… E, dulcis in fundo,
dell’ultimo colpo di mano, quel “golpe elettorale” pseudo-proporzionalista che
non sancisce affatto la restaurazione del precedente sistema proporzionale che,
non a caso, era molto più serio e più democratico di questa riedizione
mistificante di un modello maggioritario travestito (appunto) di
proporzionalismo. Altrimenti, quale senso e quale ruolo bisognerebbe assegnare
al “premio di maggioranza” previsto dalla proposta governativa di riforma
elettorale?...
2 novembre 1975 – 23 novembre 1980: tempo di anniversari…
Il 2 novembre scorso, e nei giorni immediatamente precedenti e successivi a
quella data, si è consumato una rituale e piatta rievocazione del 30°
anniversario della scomparsa, violenta e prematura, di Pier Paolo Pasolini.
Senza dubbio, questa morte ha costituito una perdita incolmabile per la cultura
e per la società non solo italiana, ma universale.
Non si tratta di una frase fatta, né di una banale constatazione, bensì è la
scoperta, magari tardiva, da parte della collettività nazionale,
dell’annientamento, fisico e morale, di una coscienza critica estremamente acuta
e spietatamente sincera che, per quanto fosse scomoda, ingombrante e
destabilizzante, soprattutto per la classe politica dirigente del nostro Stato,
esprimeva comunque una voce importantissima ed un pensiero estremamente utile e
necessario per capire meglio la direzione presa dalla nostra società, ossia dal
nostro destino, a partire ovviamente dalle nostre esperienze particolari e dalle
nostre realtà locali, sempre più omologate ad un modello dominante. In tal
senso, il pensiero pasoliniano è una preziosissima fonte di ispirazione ed un
utile strumento di analisi e di interpretazione dei processi di trasformazione
in atto anche nelle mia terra, l’Irpinia, negli ultimi 25 anni (25, infatti,
sono gli anni trascorsi dal terribile evento tellurico del 23 novembre 1980).
La straordinaria statura morale, intellettuale ed umana di Pasolini, è
soprattutto quella di un geniale precursore del suo tempo, al punto che il suo
pensiero può risultare “profetico”, ma è solo il frutto di una mente assai acuta
e profonda, capace di andare oltre il suo tempo, di andare oltre i momenti e i
comportamenti effimeri e transitori, di oltrepassare gli aspetti superficiali e
fenomenici, per carpire a fondo la vera natura delle cose.
La validità di molte analisi radicali e “corsare” di Pasolini consiste nell’aver
colto nel segno, molto prima di tanti altri, quei cambiamenti sociali e
culturali così profondi e drammatici della realtà italiana, che all’epoca (ossia
verso la metà degli anni ’70) erano ancora ad un livello embrionale e non erano
ancora emersi chiaramente in superficie.
Già 30 anni fa Pasolini aveva intuito in modo geniale alcuni segnali di
trasformazione di natura strutturale e socio-economica, ma anche di carattere
antropologico-culturale, mutamenti che all’epoca erano ancora in nuce, generati
dall’avvento e dall’espansione dell’economia capitalistica e dall’imposizione di
un’ideologia, quella consumistico-borghese, che Pasolini aveva riconosciuto come
il nuovo, vero fascismo, anzi come il peggiore dei fascismi e dei totalitarismi
dell’epoca contemporanea.
A quanto pare, non si sbagliava affatto...
Io, ad esempio, risiedo in un piccolo centro dell’Irpinia, che conta meno di 10
mila abitanti. Eppure, mi sembra di stare in una metropoli dispersiva ed
alienante. Come mai?...
Probabilmente, il catastrofico sisma del 23 novembre 1980 (che rase quasi
interamente al suolo il mio paese) e il successivo processo di ricostruzione
urbanistica e sociale, con l’immenso fiume di denaro piovuto dall’alto, possono
aver favorito, anche da noi, un’accelerazione improvvisa di quei processi di
mutazione antropologica e di omologazione culturale e sociale di massa che
Pasolini seppe comprendere e descrivere oltre 30 anni fa.
Infatti, l’infausta data del 23/11/80 segna e costituisce per noi irpini un vero
e proprio spartiacque storico e antropologico-culturale.
Ormai non c’è più alcuna differenza tra gli stili di vita e di comportamento,
totalmente consumistici, degli individui che vivono in un piccolo paese delle
zone interne dell’Italia meridionale, e gli abitanti di un’estesa metropoli come
Roma, Milano, Torino, eccetera.
Invece, 25/30 anni fa il divario era molto maggiore, direi quasi abissale; oggi
si è ridotto in modo colossale livellandosi verso il basso.
Il predominio assoluto, e assolutistico, dell’economia di mercato, ha generato
effetti di alienazione e di omologazione superiori a qualsiasi altra forma di
dittatura o di sistema totalitario, dal fascismo al nazismo, e via discorrendo.
Ciò che in Italia non era riuscito al regime fascista di Mussolini durante un
intero ventennio, è riuscito al modello di produzione e di consumo
neocapitalista nel giro di pochi lustri. Ciò è accaduto anche da noi, in Irpinia,
una terra immobile ed immutata per secoli, stravolta e sconvolta in poco tempo,
soprattutto a partire dai primi anni ’80, anche per effetto di accelerazioni
causate dall’evento sismico e dai processi economico-sociali innescati dalla
ricostruzione delle aree terremotate.
Lo “spaesamento” del mio paese natale…
Oggi, il mio paese natale è un luogo di vita alienante, sempre meno comunità a
misura d’uomo, e sempre più una realtà a misura di bottegai affaristi e
speculatori.
Certo, da noi convivono vecchi e nuovi problemi, piaghe antiche e secolari, come
il clientelismo politico-elettorale, la camorra (in Calabria c’è la ‘ndrangheta,
che si è recentemente manifestata in tutta la sua barbarie) e nuove
contraddizioni sociali quali, ad esempio, la disoccupazione, le devianze
giovanili, l’alienazione, l’emarginazione sociale e la disperazione che sono
effetti provocati dalla modernizzazione puramente economica e materiale di una
società che è diventata ormai una società di massa.
Purtroppo, già da diversi anni, anche nelle nostre zone i giovani muoiono a
causa di overdose di eroina e fanno uso di sostanze stupefacenti, oppure si
schiantano in automobile il sabato sera, dopo una serata trascorsa in discoteca,
e via dicendo…
Persino il fenomeno dell’emigrazione si è “aggiornato” e “modernizzato”, nel
senso che si ripropone in forme nuove e, forse, anche più drammatiche e più
gravi del passato.
Infatti, una volta gli emigranti irpini, e meridionali in genere, erano
lavoratori analfabeti o semianalfabeti, oggi sono in grandissima parte giovani
con un elevato grado di scolarizzazione.
Inoltre, mentre gli emigranti del passato sovvenzionavano le loro famiglie
rimaste nei luoghi di origine, a cui speravano di ricongiungersi il più presto
possibile, i giovani di oggi che emigrano verso il Nord lo fanno senza più la
speranza, né l’intenzione di far ritorno alla propria terra natale, anzi molto
spesso formano e crescono le loro famiglie altrove, laddove si sono
economicamente sistemati. Insomma, si tratta di un’emigrazione di cervelli,
ossia di giovani intellettuali sui quali le nostre comunità hanno investito
molte risorse per farli studiare.
Pertanto, questa è la più grave perdita di ricchezze e di valori per le nostre
zone!...
Quelle che un tempo erano piccole comunità a misura d’uomo, depositarie di una
memoria storica secolare e dotate di un profonda identità fondata soprattutto
sulle tradizioni locali e particolaristiche, oggi si sono disgregate e
addirittura atomizzate, avendo perso rapidamente la propria dimensione
umanistica e popolare, avendo smarrito la propria originale identità
socio-culturale, localistica e dialettale, senza tuttavia assumerne una nuova,
con inevitabili e devastanti ripercussioni in termini di alienazione sociale e
di vuoto esistenziale.
La “modernizzazione” del Sud come effetto della “post-modernizzazione” del
Nord…
Sul piano strettamente economico, quella irpina non è più una società agraria,
ma non è diventata qualcosa di veramente nuovo e diverso, ovvero non si è
trasformata completamente, e spontaneamente, in un assetto industriale vero e
proprio, pur vantando antiche vocazioni artigianali e commerciali, come quelle
che animano le dinamiche e lo sviluppo, forse troppo poco regolato e razionale,
dell’economia del mio paese.
Oggi, a 25 anni di distanza dal terremoto, la società irpina è più o meno un
“ibrido”, sia dal punto di vista economico-materiale, sia sotto il profilo
sociale e culturale.
Certo, occorre precisare che sul versante propriamente economico-produttivo, la
“modernizzazione” delle nostre zone, che fino a pochi decenni fa erano dominate
da un tipo di economia agraria, latifondistica e semi-feudale, è avvenuta in
tempi rapidi e in modo convulso e controverso. Ciò si è determinato all’interno
di un processo di “post-modernizzazione” del sistema capitalistico su scala
globale, ossia in una fase di ristrutturazione tecnologica in chiave
post-industriale, delle economie neocapitalistiche più avanzate dell’occidente,
con il trasferimento di capitali e di macchinari ormai obsoleti in alcune aree
arretrate, depresse e sottosviluppate dal punto di vista capitalistico-borghese
come, ad esempio, il nostro Meridione. Voglio puntualizzare che anch’io, come
Pasolini, credo nel progresso, ma non nello sviluppo, soprattutto in questo tipo
di sviluppo selvaggio ed irrazionale che è generato dalla globalizzazione
economica neoliberista.
Una speranza di palingenesi terrena, non ultraterrena...
Voglio concludere la mia analisi condotta in pieno stile pasoliniano, cioè in
modo “corsaro” e “provocatorio”, con il richiamo ad una speranza e ad una
volontà di palingenesi spirituale della mia terra, l’Irpinia, a cui sono
visceralmente legato, nonostante tutto.
L’opera e le idee di Pasolini erano disperate, ossia prive di speranza, almeno
in apparenza; in realtà erano pervase da un profondo sentimento di religiosità,
scevro tuttavia di qualsiasi forma di moralismo o di fondamentalismo. La
religiosità pasoliniana era indubbiamente laica.
D’altronde egli era un intellettuale marxista e marxisticamente ha cercato di
analizzare e descrivere la realtà del suo tempo, con coraggio, lucidità ed
onestà morale ed intellettuale.
A mio parere, il compito dell’intellettuale è certamente quello di provare ad
interpretare e a conoscere la realtà, ma è anche quello di tentare di
migliorarla.
Insomma, bisogna comprendere e spiegare il reale, l’essere, ma c’è ancora più
bisogno di comprendere e spiegare, dunque attuare, l’ideale, il dover-essere.
Ma, da solo, l’intellettuale è impotente, per cui deve riferirsi e agganciarsi
alle forze materiali e sociali presenti e operanti nella realtà in un
determinato momento storico.
In tal senso, la speranza di rinascita spirituale dell’umanità, a partire dalla
mia umanità, deve esplicarsi in un progetto di trasformazione concreta, da
proporre e promuovere politicamente, ossia in sede terrena, non ultraterrena.
Si può e si deve cominciare dal basso, dal piccolo, dal semplice, per arrivare
in alto, per pensare ed agire in grande, cambiando magari il mondo in cui
viviamo.
Io ci voglio provare scrivendo queste cose. Almeno spero che servano a qualcuno
e a qualcosa!
Lucio Garofalo
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