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PERCHÈ LA REGIONE LOMBARDIA E NON LA PADANIA
La Padania mancata, la Regione che c’è Nelle pagine precedenti ci è capitato più volte di immaginare obiezioni e domande che potrebbero porci gli avversari della secessione. C'è però un quesito, forse persino scontato, al quale non abbiamo ancora dato risposta. Si tratta di una questione che potrebbero sollevare non solo i sostenitori dell'unità italiana, ma anche e soprattutto i padanisti, cioè coloro che sostengono le ragioni dell'autogoverno della Padania intera, nelle sue possibili forme, dall'autonomia in un ambito federale italiano fino alla secessione vera e propria. Ecco dunque la fatidica domanda: perchè il nostro manifesto secessionista è incentrato sulla sola Regione Lombardia e non sulla Padania tutta, ovvero su quell'area comunemente indicata come "il Nord"? Da questa domanda ne discendono almeno altre due, la prima delle quali di grande importanza (a quali cittadini e a quali istituzioni si rivolge il nostro progetto/appello?), la seconda di rilievo politico forse minore, ma decisiva sul piano comunicativo e identitario (quale bandiera dovrebbe rappresentare la Repubblica Lombarda che auspichiamo?). In questa penultima sezione cercheremo di dare risposta a tali quesiti. Chi abbia avuto la pazienza di leggerci fin dall'inizio sa che abbiamo scelto di incentrare il nostro manifesto esclusivamente sulla Lombardia, o meglio sulla Regione Lombardia; in altre parole, il territorio al quale ci riferiamo quando ne invochiamo il distacco dallo Stato Italiano è, per l'esattezza, quello attualmente ricompreso all'interno dei confini dell'ente amministrativo locale indicato come "Regione Lombardia". Non ci riferiamo, quindi, ad altre "Lombardie", definibili secondo criteri storici, etnici, linguistici. Su questo specifico aspetto torneremo comunque più avanti. Ora restiamo sull'alternativa fra Lombardia e Padania. La nostra impostazione lombardista (o regionale) potrebbe essere giudicata anomala o bizzarra da molti padanisti, a cominciare da coloro che militano all'interno della Lega Nord e che da ormai oltre 15 anni hanno fatto dell'intera Padania il centro della propria azione politica e il soggetto di ogni rivendicazione autonomista, da quelle più blande a quelle più radicali. A tal proposito, potremmo provare ad immaginare alcune delle principali obiezioni che ci potrebbero essere rivolte, per via della nostra scelta territorialmente più ristretta. Ad esempio, un padanista potrebbe giudicare controproducente la scelta di rivolgere il nostro sguardo alla "sola" Lombardia, tenuto conto che la Padania (o Nord che dir si voglia) ha da tempo conquistato un proprio riconoscibile spazio nel dibattito politico; la questione settentrionale nella sua interezza e complessità (si usa dire, "da Torino a Trieste") è spesso tema di confronto fra i principali partiti e fra i politologi che scrivono sui più importanti quotidiani; perchè, allora, limitare il proprio sguardo e le proprie ambizioni, autonomiste o secessioniste che siano, ad una sola Regione del Nord, invece di ricomprendere tutto questo ampio territorio nei propri progetti? Possiamo rispondere con due osservazioni. La prima: sono passati quasi 20 anni da quando la Lega Lombarda diede vita, insieme alle altre Leghe settentrionali, alla più ampia Lega Nord; in tutto questo tempo il partito di Bossi ha ottenuto incarichi di governo fra i più importanti (incluso il Ministero delle Riforme istituzionali, guidato da Bossi in persona dopo la vittoria di Berlusconi nel 2001), nonché la gestione diretta di un numero impressionante di Amministrazioni locali, dal più piccolo comune alpino fino alla stessa presidenza della Regione Lombardia (seppure per un tempo brevissimo e prima dell'elezione diretta del Governatore); c'è stata una fase "secessionista", incentrata sulla Padania intera, nella storia del leghismo, durata alcuni anni, seguita con una certa enfasi dai mass-media e culminata in elezioni o nomine di molteplici istituzioni padaniste autoconvocate. Ebbene, nonostante tutto ciò, non solo non è arrivata la secessione, nè di un solo comune di frontiera nè tanto meno dell'intero Nord, ma addirittura la meno radicale riforma federalista della Repubblica Italiana è rimasta ad uno stadio poco più che embrionale. Il federalismo fiscale, che sarebbe dovuto essere il cuore di tale riforma, è stato attuato solo in minima parte e, per giunta, nella sua forma più odiosa e falsa: quella della tassazione locale aggiuntiva, invece che sostitutiva, come sarebbe invece dovuto essere. Con l'amaro risultato che oggi non pochi cittadini pensano che il federalismo finisca per aumentare le tasse al Nord, piuttosto che lasciare qui una parte consistente di quanto si paga ogni anno allo Stato. Si aggiunga inoltre che, in questo ampio lasso di tempo, non si è nemmeno avuta quella forma di maggior integrazione istituzionale fra le Regioni padane, che sarebbe dovuta culminare nella formazione di una macroregione unitaria, denominata per l'appunto "Padania", e costituita dalla fusione di Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Nei progetti padanisti tale macroregione avrebbe dovuto rappresentare una conquista sia sotto il profilo identitario (finalmente il Nord esiste anche istituzionalmente e non solo come riferimento geografico, in contrapposizione all'Italia propriamente detta, cioè il Centro-Sud), sia sotto il profilo giuridico (la Padania come entità amministrativa è distinta dal resto d'Italia e potenzialmente è pronta ad ampliare sempre più le proprie competenze, fino a prefigurare una secessione di fatto, sul modello delle Fiandre in Belgio). No, purtroppo niente di tutto ciò si è avverato, anzi. Ancora oggi assistiamo alle tirate d'orecchie che gli intellettuali di sinistra più lucidi riservano ai propri partiti di riferimento, accusandoli di non aver ancora avuto la capacità, la forza, il coraggio di accettare l'esistenza della Padania come macroregione di fatto, a cominciare dal suo stesso nome. Un nome che, non a caso, nel lessico politico ufficiale viene ancora negato. Lo usano i politologi, gli studiosi, ma non i rappresentanti dei partiti. Che, in questo modo, tentano di negare in ogni modo il fatto stesso che la Padania esista come soggetto unitario, almeno sul piano culturale. Perchè, certo, la Padania esiste. Esiste eccome. Ma non per la politica ufficiale che, Lega Nord e qualche altra piccola formazione autonomista a parte, finge di non capire. O addirittura nega del tutto. E allora è arrivato il momento di porsi il problema: ha ancora senso, dopo così tanti anni trascorsi invano, continuare ad invocare soluzioni autonomiste/federaliste/secessioniste per l'intera Padania, o non è forse più logico concentrarsi verso ciò che già oggi esiste, non solo nei fatti ma anche sulla carta, e cioè le Regioni? E così siamo arrivati alla seconda osservazione. C’è un elemento fondamentale che indebolisce il concetto di “Padania”; tale elemento, su cui ci soffermeremo fra breve, va oltre il fallimento programmatico del leghismo padanista, cioè l’incapacità leghista di tradurre in pratica il proprio progetto politico, specie nella sua forma più radicale, ovvero il raggiungimento dell’indipendenza per l’intera area padana. L’elemento di debolezza in questione va anche al di là dell'imbecillità della politica italiana che, invece di capire la natura della questione settentrionale e cambiare di conseguenza la forma dello Stato, ha preferito negare l'esistenza stessa di una “Padania”. Tale elemento di debolezza, dunque, consiste nel fatto che, da un punto di vista istituzionale, la Padania, ahinoi, non esiste. Esistono le Regioni del Nord, ma non esiste una macroregione ufficiale chiamata “Padania” e dotata di un proprio Parlamento (o Consiglio o Assemblea che dir si voglia), nè di un proprio Governatore (o Presidente o Primo ministro). La Padania è, in altri termini, una realtà storica, culturale, geografica, socio-economica, persino linguistica, ma non istituzionale. Politicamente la Padania è soltanto un sogno. Magari realizzabile, ma chissà con quali sacrifici e dopo quante attese. Del resto, senza andare troppo indietro nei secoli, basta ricordare che il primo a proporre l'unione delle Regioni settentrionali in una macroregione padana è stato il Presidente comunista della Regione Emilia-Romagna, Guido Fanti, nel lontano 1975. Sono trascorsi da allora più di 30 anni: la Padania, però, è rimasta una bellissima idea non realizzata. Al contrario, le Regioni attualmente esistenti rappresentano una certezza istituzionale che è andata consolidandosi nel corso dei decenni. In Italia, si sa, i tempi della politica sono vergognosamente lunghi; così, anche alle Regioni, per nascere, è toccata un'attesa pluridecennale. La loro esistenza nell'ambito della Repubblica è stata prevista fin dalla costituzione del 1948; peccato che per attuare il disposto costituzionale e formare ufficialmente questi enti territoriali siano occorsi più di vent’anni. Finalmente, nel 1970, le Regioni hanno visto la luce. Da allora hanno percorso molta strada; sono rimaste degli organismi un po' troppo burocratici e un po' troppo poco operativi sul territorio, tuttavia ciò si deve essenzialmente ai limitati poteri che sono stati loro riconosciuti dallo Stato italiano. Nonostante questi limiti, le Regioni hanno visto crescere la propria sfera di influenza legislativa e amministrativa nel corso del tempo, soprattutto negli ultimi 10-15 anni, a seguito di qualche timido avanzamento della riforma federale e, in particolare, a seguito della modifica della legge elettorale regionale, che ha previsto l'elezione diretta del Presidente, sul modello di quella del Sindaco. In questo modo, le Regioni hanno assunto maggiore visibilità, così come la classe dirigente regionale, che ha acquisito notevoli spazi, specie a livello comunicativo, nei confronti di quella nazionale. In particolar modo, la Regione Lombardia e la Regione del Veneto hanno goduto di una stabilità politica invidiabile sin da quando esiste l'elezione diretta del Presidente; esse sono state guidate da leaders politici piuttosto avveduti e, grazie a molte prese di posizione anticentraliste, sono balzate spesso agli onori delle cronache. Tutto ciò ha permesso a una Regione come la nostra di acquisire una notevole visibilità istituzionale e una propria specifica identità politica e comunitaria: essere cittadini lombardi significa, ad esempio, far parte della Regione più avanzata e, probabilmente, meglio governata. Il tessuto socio-economico lombardo, per il fatto stesso di essere il più sviluppato e produttivo della Penisola, nonché uno fra i primi quattro in Europa, ha saputo influenzare l'istituzione regionale, spogliandola, almeno parzialmente, di quell'alone di burocratica supponenza che la caratterizzava in precedenza; la Regione Lombardia, per merito dei leaders politici che l'hanno guidata nell'ultimo quindicennio, ha saputo rispecchiare il dinamismo della società lombarda. Tornando su un piano puramente giuridico, la Regione Lombardia è però, soprattutto, un'entità politico-amministrativa dotata di una propria legittimità formale incontestabile. E' un organismo democratico, governato da istituzioni riconosciute e formate attraverso una procedura elettorale trasparente e legale, alla quale prendono parte tutti i cittadini residenti nei Comuni facenti parte del territorio regionale. La Regione Lombardia ha tratto la propria origine legale dalla Costituzione della Repubblica italiana del 1948; tuttavia, una volta creata, essa è divenuta una comunità politica esistente in quanto tale e non potrebbe certamente essere eliminata con un tratto di penna sulla Costituzione o su qualsiasi altro atto giuridico emanato da un Governo o un Parlamento con sede a Roma. La Regione Lombardia, così come la conosciamo noi oggi, con i suoi organismi e le sue strutture, ormai esiste, è davanti ai nostri occhi e non ha senso far finta che non sia così. Come purtroppo, e invece, preferiscono fare molti sostenitori dell'autonomismo in chiave padana. |