(segue - PERCHÈ LA REGIONE LOMBARDIA E NON LA PADANIA )



A chi è rivolto il nostro manifesto

Le ultime due parole del precedente paragrafo ("cittadini lombardi") ci portano dritte al cuore della seconda domanda che ci siamo posti all'inizio di questa sezione, quando ci chiedevamo a chi fosse rivolto l'obiettivo del nostro manifesto. Abbiamo in parte già risposto a quel quesito, spiegando che il nostro progetto si rivolge, da un punto di vista istituzionale, alla Regione Lombardia e, dunque, ai suoi organismi di governo.
Adesso è il momento di chiarire a quali singoli cittadini ci rivolgiamo. Potrà forse sembrare una questione di poco conto, se non del tutto scontata. Non è così. Infatti nella nostra Regione abitano persone discendenti da emigrati o direttamente giunte dai luoghi più disparati della Penisola, del continente europeo e del mondo intero. La Lombardia è prima in Italia per numero di cittadini di nazionalità straniera ed è, al contempo, la Regione che ha accolto, e che tuttora accoglie, il maggior numero di immigrati dal Mezzogiorno.
Questa caratteristica ha posto parecchi problemi al pensiero politico autonomista degli anni novanta e di oggi. Come avviene in tutti i territori che accolgono flussi consistenti di immigrati, si crea una certa tensione psicologica fra i cittadini nativi di quelle aree e quelli giunti da altre zone. Questa tensione è tanto più forte quanto maggiori sono le differenze, specialmente sociali e culturali, fra residenti autoctoni e immigrati. La Lombardia non è certamente una terra "vergine" dal punto di vista migratorio. Oltre ad aver avuto un certo numero di emigrati propri, che sono andati ad abitare in altri Paesi e perfino in altri Continenti, la nostra Regione ha conosciuto da sempre il fenomeno delle migrazioni e dello stanziamento di popolazioni diverse sul proprio territorio. Senza voler tornare indietro nei secoli, basti dire che per tutto il Novecento Milano ha rappresentato un polo d'attrazione per genti provenienti da ogni dove, a cominciare da tantissimi contadini, manovali e piccoli artigiani originari di altre province della stessa Lombardia (è questo il fenomeno della migrazione interna ad una stessa Regione).
Il flusso di immigrati è andato aumentando progressivamente, fino al vero e proprio boom degli anni Sessanta, allorché la Lombardia e buona parte della Padania sono divenute terra di emigrazione principale per il Mezzogiorno; i flussi di meridionali che fino ai decenni precedenti si indirizzavano prevalentemente all'estero, hanno cominciato a rivolgere la propria attenzione al Nord. La regione Lombardia ha accolto comunità molto vaste di cittadini originari del Sud, tanto che, oggi, una parte significativa della popolazione regionale ha origini meridionali più o meno lontane. Agli originari del Sud si aggiungono poi molti emigrati appena giunti dalle Regioni meridionali, essenzialmente per ragioni di lavoro e non sempre intenzionati a rimanere in Lombardia, a differenza della maggior parte di coloro che sono arrivati qui nei decenni del secondo dopoguerra.

A partire dagli anni Novanta la Regione Lombardia, confermando in tal modo la propria vocazione attrattiva, è divenuta meta di emigrazione per i Paesi del Terzo Mondo o per quelli ancora in via di sviluppo. I flussi migratori mondiali, che hanno coinvolto l'Europa e l'Occidente, hanno interessato fortemente anche lo Stato italiano. Le istituzioni romane per molti anni hanno tentato di ridimensionare questo fenomeno, sostenendo che la percentuale della popolazione di origine extracomunitaria (cioè proveniente da Paesi extra-UE) fosse nettamente inferiore rispetto a quella presente negli altri grandi Stati membri della Comunità continentale (Francia, Germania, Gran Bretagna). La verità, emersa e riconosciuta pubblicamente soltanto negli ultimi anni, è che i cittadini di origine extracomunitaria sono semplicemente passati dal Sud per entrare in Italia (e, tra l'altro, solo una parte di essi, poiché molti sono entrati dalle frontiere orientali o dai porti sparsi per l'intera Penisola); la meta finale del loro viaggio, però, è quasi sempre stata la Padania e, in particolare, la Lombardia. Ciò ha fatto sì che, nonostante le statistiche propinateci per anni dai politici italiani, la Regione Lombardia rappresenti già oggi uno dei territori europei con la maggior densità di cittadini di nazionalità straniera ed extracomunitaria.

E' chiaro che tutti questi flussi migratori hanno comportato un forte stress sociale, economico e ambientale per la nostra Regione. Nel corso di pochi decenni, la Lombardia ha visto crescere la propria popolazione in maniera enorme, tanto che oggi è una delle poche aree con un tasso di natalità positivo e con una previsione di aumento della popolazione decisamente alta (qualche tempo fa si è parlato di oltre 10 milioni di abitanti entro il 2050, a fronte di una decrescita demografica dell'intera Italia).
Con questo nostro manifesto non vogliamo analizzare i pregi e i difetti dell'immigrazione in Lombardia. Nè intendiamo parlare delle conseguenze che questo vasto fenomeno demografico ha avuto e può avere sulla nostra Regione. Diciamo che vogliamo essere ottimisti e, da buoni lombardi, vogliamo pensare (ne siamo convinti), che il nostro tessuto socio-economico saprà fornire le risposte necessarie per affrontare questa sfida, con i rischi e le opportunità che essa presenta. Già oggi la Regione Lombardia è ai primissimi posti nella classifica dei territori che meglio sanno integrare i cittadini stranieri. Quanto all'integrazione degli immigrati di origine meridionale, pensiamo che essa ci sia già stata e che, al di là dei comprensibili attriti, essa non sia in discussione. In altri termini, pensiamo che i cittadini meridionali venuti qui nel corso dei decenni siano oggi, semplicemente, cittadini lombardi. E pensiamo che gli extracomunitari lo stiano diventando. Certo, la loro presenza disegna una Regione Lombardia che non è più identica a quella di un tempo, è una Regione rinnovata e aperta in un mondo sempre più interconnesso e frenetico. Di certo è una Regione che vive già nel futuro, in quanto essa stessa contribuisce ogni giorno a crearlo, a differenza dell'Italia, che vive, invece, in un passato spesso immutabile e logoro.

Alla luce di queste considerazioni, pensiamo che il nostro manifesto secessionista debba rivolgersi non soltanto ai lombardi autoctoni (nel senso di coloro che vivono nella nostra Regione da moltissime generazioni), ma anche a tutti gli altri cittadini lombardi, quale che sia la loro origine. Dunque desideriamo che la Repubblica Lombarda nasca dalla volontà di tutti i cittadini lombardi, cioè di tutti coloro che sono cittadini dei Comuni facenti parte della Regione. Inclusi quelli che non hanno la nazionalità italiana. Questo potrà sembrare strano (o addirittura blasfemo per qualcuno): in realtà pensiamo che siano molto più vicini alle esigenze di libertà della Regione Lombardia tanti extracomunitari onesti che hanno scelto di vivere qui, piuttosto che stuoli di politici italiani (ma spesso anche lombardi, ahinoi) che vedono nella nostra Regione un entità da sfruttare fiscalmente, e basta.
Ecco dunque, ciò che chiediamo: non una secessione per chiuderci al mondo, per costruire vecchi nazionalismi o reinventare civiltà del passato. No; noi chiediamo una secessione per disegnare nel modo migliore il nostro futuro, per illustrare a tutti il modello lombardo di convivenza, laboriosità e benessere, per godere delle nostre risorse e per non essere sfruttati e abbruttiti dal malgoverno italiano. Le sfide della società del futuro si giocano in Lombardia, non nella vecchia Italia delle mafie e dei fasti romani a spese altrui.
Senza l'autogoverno e senza i nostri mezzi economici non potremo governare il futuro che è già in mezzo a noi, nelle nostre strade, nelle piazze, nelle città della Lombardia. Lo subiremo, come in parte sta già avvenendo. Ma siamo ancora in tempo per cambiare.