CONCLUSIONI OPERATIVE



L’articolo 5 della Costituzione italiana

Giungiamo così al termine del nostro manifesto. Nella sezione che si apre affronteremo alcune questioni rimaste in sospeso, partendo dal controverso tema delle modalità giuridiche e pratiche per raggiungere la secessione. Proporremo poi dei consigli utili per contribuire a diffondere l'idea secessionista in Lombardia, con l'intento di trasformare questo sito in qualcosa che vada oltre la semplice teorizzazione: cercheremo di farne anche un piccolo manuale operativo per il militante secessionista.

Nella Costituzione dello Stato Italiano esiste un articolo, il quinto, che nega espressamente il diritto di secessione. La norma costituzionale in questione definisce la Repubblica "una e indivisibile". Si tratta di un'eredità del nazionalismo francese di fine settecento, l'epoca della Rivoluzione e del centralismo giacobino. A quei tempi, gli Stati si facevano la guerra con grande frequenza, mandando a morire migliaia di giovani e meno giovani. I sovrani, ma anche le repubbliche che nei decenni successivi si sarebbero progressivamente affermate sulla scena europea, tendevano ad allargare continuamente l'estensione dei territori soggetti al loro potere. La logica conseguenza di quella visione del mondo e del potere dello Stato si è avuta con le Guerre Mondiali della prima metà del XX secolo. Grazie al Cielo, il mondo in cui viviamo oggi è (quasi) completamente cambiato: l'eliminazione delle frontiere non avviene con la forza delle armi e con l'occupazione di territori sempre più vasti soggetti ad un solo Stato centralizzato, bensì con l'accettazione di regole commerciali comuni fra Stati diversi, che permettono alle persone e alle merci di circolare liberamente. Le cosiddette competenze, cioè le materie in cui operano le leggi e i governi, tendono ad avvicinarsi ai territori e agli enti che meglio li rappresentano (ad esempio le Regioni), salvo quelle legate al commercio che, per contro, vengono delegate ad organismi sovrastatuali, come l'Unione Europea.
Per questo motivo le secessioni convengono, soprattutto all'interno dell'Unione Europea, poiché permettono agli Stati di dimensione regionale di fruire di grandi vantaggi commerciali (moneta stabile e apertura dei mercati), mantenendo però il pieno diritto di autogovernarsi in ambiti molto delicati: la tassazione, la giustizia e l'ordine pubblico, la sanità e l'educazione, il turismo e la cultura, il diritto civile e la gestione del territorio, solo per citare i principali.

Dunque, tutto bene? No, perchè, nonostante il mondo e in particolare l'Europa siano profondamente cambiati, la Costituzione italiana è rimasta più o meno identica a se stessa, mantenendo in vita, in modo ferreo, quel vincolo di indissolubilità nazionale cui abbiamo accennato. E così, nell'epoca della globalizzazione, di internet e delle libertà civili più avanzate, l'aspirazione della nostra Regione ad autogovernarsi in forme radicali è frustrata da una Carta costituzionale vecchia e centralista. Basti pensare che essa è stata scritta all'indomani della fine del secondo conflitto mondiale, in una situazione in cui le frontiere, all'interno degli Stati europei, non potevano essere messe minimamente in discussione, a causa dell'equilibrio militare precario della Guerra Fredda, cioè a causa della contrapposizione politica fra il blocco occidentale e il blocco comunista.
Non appena il colosso sovietico è crollato, nel 1989, le frontiere dei Paesi dell'Est hanno subito un rimescolamento profondo e inarrestabile, che ancora oggi si protrae (si pensi alle recentissime secessioni del Montenegro e del Kosovo). Sul versante opposto, quello occidentale, di cui l'Italia ha sempre fatto parte, le frontiere sono rimaste bloccate come feticci intoccabili, dimostrando un'amara verità: l'incubo comunista ha vaccinato i popoli dell'Est europeo, che dal sovietismo hanno fatto direttamente un grande balzo verso strutture statuali fondate sul consenso; purtroppo, invece, gli Stati occidentali, sono rimasti fermi al passato, e ancora oggi non accettano di rimettere in discussione le proprie frontiere (si pensi alla Spagna che, pur di non rischiare di subire le secessioni basca e catalana, ha rifiutato di riconoscere il Kosovo, a differenza della maggioranza degli altri Stati membri dell'UE). Non è un caso che, anche nel campo della tassazione e delle libertà economiche, i Paesi dell'Est europeo mostrino una vivacità e un dinamismo spesso sconosciuti nell'Europa occidentale.

Ma torniamo, dunque, al problema del divieto costituzionale di secedere dallo Stato italiano. Abbiamo già spiegato nella terza sezione che, a nostro parere, l'unico fondamento giuridico necessario per invocare la secessione è la volontà di non fare più parte dello Stato unitario, espressa democraticamente e liberamente da una comunità politica (nel nostro caso, la Regione Lombardia). Questa considerazione, cui abbiamo dato molta importanza, ci porta a ritenere privo di qualsiasi efficacia il dettato costituzionale italiano, laddove nega il diritto di secedere. In altri termini, riteniamo che l'art. 5 della Costituzione italiana non rappresenti nient’altro che un'affermazione di principio (in termini tecnici, si direbbe “ottativa”), la cui negazione può manifestarsi semplicemente attraverso i fatti. Cioè, attraverso una secessione che venga concretamente messa in atto da una Regione.
Ma come è possibile secedere da uno Stato che formalmente vieta questa opzione?
Quali strade bisognerebbe seguire per poter giungere al distacco dall'Italia, preso atto che nessuna legge stabilisce criteri in merito?