NICK CAVE

di Paolo Vites

(da L’Eco di Bergamo)

All’inferno e ritorno, con destinazione paradiso. Poche parole che riassumono perfettamente la storia umana e musicale di Nick Cave, il poeta maledetto del rock per eccellenza, in questi giorni in uscita con un nuovo, bellissimo lavoro, il cd "No More Shall We Part" (Mute/Extralabel).

Australiano, di nascita, oggi cittadino del mondo (ha vagato tra Berlino, Brasile e Londra), Nick Cave è la prova che nella musica rock ci può anche essere una redenzione, non solo strade senza via d’uscita come certe morti (la più famosa tra le più recenti, Kurt Cobain dei Nirvana) del rock ci hanno abituato.

Partito alla fine degli anni Settanta con un combo di musica punk dai contenuti al limite dell’ascoltabile (per impostazione rumorista e contenuti nichilisti; "Quando avevo circa quindici anni", racconta oggi, "con i miei amici formai un gruppo rock, smisi di scrivere poesie veramente pessime e cominciai invece a scrivere canzoni veramente pessime"), i Birthday Party, Nick Cave ha a poco a poco compiuto un cammino umano prima che musicale che l’ha portato attraverso inferni come la tossicodipendenza, ottenendo un culto da parte dei fans che l’hanno reso l’icona stessa dell’altra faccia degli anni Ottanta, quella che opponeva al rampantismo degli yuppie solo nichilismo e autodistruzione, giungendo quindi alla riscoperta del valore della parola, dapprima, diventando anche romanziere e poeta stimato, apprezzato per la sua capacità di far rivivere il colto linguaggio shakesperiano della poesia inglese rinascimentale, e infine alla rinascita spirituale.

A metà anni Ottanta, trasferitosi a Berlino (quale meta più decadente e invitante della città tedesca ancora divisa dal muro?), sciolti i Birthday Party e dato vita a una nuova formazione, i Bad Seeds (I semi del male) incontra il grande regista Wim Wenders, da sempre autore di pellicole dal grande spessore spirituale che lo coinvolge con le musiche e una piccola parte nel suo capolavoro Il cielo sopra Berlino.

Nick Cave dice basta alla droga, studia a fondo dapprima il Vecchio Testamento, affascinato dalle sue immagini apocalittiche ("Vi trovai la voce di Dio, ed era brutale, geloso, spietato", dice, "per ogni pensiero pieno di rabbia che nutrivo su di me e sul mondo ne trovavo un equivalente che dalle pagine del Vecchio Testamento balzava fuori mostrando i denti. Elifaz, uno degli amici di Giobbe, dice che l’uomo è nato per soffrire, e nella mia piccola e orrida mente quelle parole suonavano proprio giuste. La sensazione che ricevevo dal Vecchio Testamento era quella di una umanità misera che soffre per i voleri di un Dio dispotico"), produce dischi in cui riscrive la grande tradizione del blues e della canzone popolare anglo-americana con un linguaggio nuovo e affascinante, di taglio gotico, e negli anni Novanta produce un trittico di capolavori che sono a tut’oggi il vertice massimo della canzone d’autore rock contemporanea.

Si tratta dei dischi Murder Ballads ("Le canzoni dell’omicidio") in cui rilegge l’antica tradizione anglo americana delle canzoni con a sfondo omicidi e suicidi, per lo più mutuati da delusioni amorose, ma sempre con uno sfondo misterioso e sfuggente, perché è il mistero stesse che avvince sempre più Nick Cave. Quindi quattro anni fa pubblica il bellissimo The Boatman’s Call, una raccolta di canzoni d’amore quasi tutte per sola voce e pianforte, di una bellezza tenebrosa, e oggi il nuovo No More Shall We Part, in cui appare chiaro che la ricerca che era partita dal Vecchio Testamento, di un Dio irato e sfuggente, è approdata alla serenità e alla certezza del Nuovo Testamento, in brani come God Is In The House ("C’è Dio a casa"), Oh My Lord e Hallelujah. Sono canzoni che parlano della quotidianeità, di una quotidianeità finalmente in pace con le piccole cose della vita, i figli, la propria compagna, gli amici, non più la vita quotidiana intesa come nemica dell’uomo.

E le musiche sono ancora una volta bellissime, dominate dalla sua voce austera e dal pianoforte, con un leggero sapore di gospel che fa capolino qua e là in voci femminili di accompagnamento, con un violino che fa da contorno discreto ma sempre presente, talvolta con epiche accelerazioni elettriche, sempre avvincenti.

Tra un disco e l’altro il nuovo Nick Cave pubblica romanzi e poesie, o anche saggi, come La carne fatta verbo, meditazione a sfondo religioso sul potere della musa ispiratrice.

Nick Cave è oggi insieme ai grandi dell’olimpo degli autori più colti (qualche mese fa ha ricevuto a Sanremo il prestigioso Premio Tenco), tra i Bob Dylan, i Leonard Cohen, i Lou Reed, quegli autori di musica rock cioè che hanno fatto della loro musica una ricerca senza fine del mistero del cuore dell’uomo, sifdando fino in fondo le conseguenze di questa ricerca, anche a rischio della propria vita. Ma, come dimostra Nick Cave, sono riusciti a giugnere al cuore dell’uomo: "Attraverso di noi Dio trova la sua voce, perché come noi abbiamo bisogno di Dio, Egli a sua volta ha bisogno di noi", dice oggi Nick Cave, "Mio padre mi chiese che cosa avessi fatto per aiutare l’umanità e a dodici anni non avevo saputo rispondere. Adesso lo so. Come Cristo, anch’io vengo nel nome di mio padre, per mantenere vivo Dio".

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