BRUCE SPRINGSTEEN
GLI OCCHI DELLAMERICA
DI PAOLO VITES
(da LEco di Bergamo)
"A casa mia, quando ero ragazzo, cerano due cose impopolari: una era la mia chitarra, laltra ero io", ama ricordare Bruce Springsteen a proposito della sua adolescenza. "Ma la prima volta che mi sono guardato allo specchio con una chitarra in mano, ho capito cosa avrei voluto essere nella vita: un musicista rock, che avessi avuto successo o no".
E se Bono degli U2, quando un paio di anni fa durante il discorso con cui celebrò lingresso dello stesso Springsteen nella prestigiosa RocknRoll Hall Of Fame, lha definito "gli occhi dellAmerica", Bruce Springsteen, a 52 anni e con quasi trentanni di storia musicale sulle spalle, non è ancora sicuro di cosa sia lAmerica.
Ma è certo che più di ogni altro, sicuramente da quando Bob Dylan abdicò al suo ruolo di cantore dellAmerica a metà anni Sessanta (ruolo che però ha ripreso in mano in modo formidabile a partire dagli anni Novanta), nessun altro ha saputo cantare e raccontare meglio di quel grande mistero che è lAmerica. "Bruce non è sicuro che lAmerica esista", ha detto recentemente il famoso critico musicale Greil Marcus, "ed è per questo che nelle sue canzoni continua a cercarla".
E se è vero che Springsteen ha cominciato come un ragazzino che voleva essere Elvis Presley, affascinato dal romanticismo e dai sogni contenuti in una canzone rock, da quando si guardò allo specchio con una chitarra in mano, è vero che negli anni ha mutuato un linguaggio personalissimo che non ha eguali.
Un linguaggio che, agli inizi della sua carriera, a metà degli anni Settanta, quando il rock sembrava avesse cessato ogni sua spinta propulsiva, ucciso sotto alla sua stessa magniloquenza, mentre gli eroi degli anni Sessanta erano occupati più a sniffare cocaina (come gli Stones) o a naufragare nelle gioie e nei dolori della vita matrimoniale (come Bob Dylan o John Lennon) che a scrivere grandi canzoni, Bruce Springsteen giunse dai uno dei tanti minuscoli localini posti sulle spiagge delloperaio e proletario New Jersey, con una visione che sembrava fortissima e invincibile: che i sogni dellAmerica, le sue promesse di pienezza e di felicità, nonostante il Paese attraversasse la più grande crisi della sua storia (la prima sconfitta militare, quella nel Vietnam, un Paese diviso in due da anni di contestazione giovanile, spesso sanguinosa, lo scandalo del Watergate) fossero ancora là fuori, tutti interi. E che bastasse irrobustire i muscoli e saltare a bordo di una macchina veloce con la tua ragazza per "abbandonare questa città di perdenti. Io me ne sto andando per vincere", come lui stesso cantava nella indimenticabile Thunder Road.
Erano gli anni di Born To Run, "dei vagabondi nati per correre", dei viaggi "di notte, attraverso edifici di gloria in automobili suicide", in cui la fuga verso la terra promessa (The Promised Land, la "terra promessa" di unaltra sua celebre canzone dello stesso periodo) sembrava lunico modo di farcela.
Era lo Springsteen dei migliori concerti della sua vita e di alcuni tra i più memorabili eventi dal vivo dellintera storia del rock, quelle maratone di tre/quattro ore tutte sudore e passione, che hanno creato quello che è senzaltro il rapporto più passionale e forte tra un artista e i suoi fan, un "legame di sangue", come i Blood Brothers ("i fratelli di sangue") che lui stesso ha cantato: "Nessuna resa mai", unaltro dei suoi tanti slogan. Concerti che non avrebbero potuto esistere senza quellincredibile gruppo di musicisti che lo accompagnava, la E Street Band capitanata dallamato amico fraterno Little Steven, e che si è riunita per questo tour celebrato da Live In New York City dopo undici anni di separazione forzata. Lo Springsteen che affermava, senza molti torti, "abbiamo imparato più da un disco di tre minuti che in tutti gli anni che abbiamo passato a scuola".
Springsteen riscrive in questi anni tutte le regole del rocknroll: alle rockstar piene di sé, devastate dalla droga che il successo offre a piene mani, propone la figura del rocker tutto dun pezzo che non beve e non fuma neanche le sigarette.
Ma quando anche il grande pubblico lo scopre, a metà anni Ottanta, in quel tour mondiale che una sera di fine giugno toccò anche lItalia in un memorabile concerto allo stadio San Siro davanti a 80mila persone entusiaste, il tour di Born In The Usa che batte ogni successo di botteghino e porta il disco omonimo a vendite ultra milionarie, siamo già davanti a uno Springsteen dfferente.
Qualcosa è cambiato, in un artista ormai trentacinquenne che ha cominciato a realizzare che anche i sogni più grandi alla fine non si realizzano sempre, che scopre che la promessa di una vita americana è probabilmente irealizzabile. Per capire questo Springsteen ha scavato dentro di sé producendo uno dei dischi più amari e terrificanti della storia del rock, quel Nebraska che ritrae in piccoli impietosi bozzetti acustici tutte le illusioni infrante, prendendo spunto dalla storia (vera) di quella coppia di ragazzi che negli anni Cinquanta attraversarono il Nebraska uccidendo numerose persone innocenti "solo per il gusto di farlo". Una pazzia che Springsteen scopre quando capisce che la promessa americana, se non si realizza, diventa la follia e la disperazione più cieca. Ma andando a fondo in questa disperazione, scopre dei valori, andando a recuperare il grande patrimonio della canzone popolare americana, quei valori che oppongono ai "nati per correre" la forza della comunità e dei rapporti veri, ad esempio famiglia.
Bruce Springsteen allindomani del tour di Born In The Usa divorzia dalla moglie, la fotomodella Julianne Phillips, perché questa non vuole avere figli, che potrebbero intralciare la sua carriera. Springsteen invece li vuole, a tutti i costi; si risposa con la corista della sua E Street Band e in pochi anni ne sforna addirittura tre. E Springsteen comincia anche a ribellarsi alla sua immagine pubblica, quella che Ronald Reagan aveva cercato di derubargli usando la sua Born in the Usa come inno per la sua campagna elettorale, o limmagine quella del forzato del rocknroll che lui stesso si era cucito addosso, limmagine di unAmerica vincente che non è quella che lui adesso ha capito essere.
Sempre più vicino agli ultimi, ai perdenti, lo Springsteen degli anni Novanta, sciolta la sua leggendaria E Street Band, pubblica un nuovo disco acustico, il tenebroso The Ghost Of Tom Joad, dedicando le sue canzoni ai disoccupati, ai messicani che passano il confine di notte per recarsi nella terra promessa rischiando la pelle, ai reduci del Vietnam dimenticati dal loro stesso governo.
E adesso ha riportato tutto a casa, riunendo attorno a sé i vecchi amici della E Street Band e raccontandolo in questo formidabile disco dal vivo, che si conclude con unaltra bruciante denuncia della falsità della promessa americana, i 41 colpi di pistola (American Skin) sulla pelle del ragazzo africano giunto in America per trovare la sua manciata di felicità.
Alla fine di tutto si può dire che Bruce Springsteen ha introdotto nel mondo del rock, invece dellevasione, lordinarietà delle vite quotidiane, dove anche le vite ordinarie diventano eroiche.
Per questo Bruce Springsteen oggi più che mai è "gli occhi dellAmerica". Anche se questa America, venticinque anni dopo Born To Run, Bruce Springsteen la sta ancora cercando.