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Ultrasuonati

Lunatic Calm Metropol (Universal). Debutto a nome "Calm" dei due londinesi Shack e Howie, in passato i Centista Calm. In linea con Prodigy, Chemical Brothers e schegge varie di techno punk questo disco schitarreggia su campionatori impazziti e voci sofferte. Già noto in ambito jungle e dintorni (remix di Shaun Ryder, Curve ecc.) il duo è molto evoluto e sa quando ispirarsi a dj com Fatboy Slim e quando giocare ironicamente con le etichette affibbiate al loro suono ("Punkwhitenoisething"). Pur vivendo a Londra omaggiano spesso Manchester e la lunghissima "Meltodown" è un'ode ai Massive Attack. Finalmente si intravede il futuro delle chitarre, ormai trattate come vecchie tastiere analogiche. (f.ad.)

Dk3 Neutrons (Quarterstick). Ex Denison Kimbal trio (2 dischi su Skin graft), i Dk3 sono la band del chitarrista e batterista dei Jesus Lizard. Entrambi esibiscono una tecnica superlativa, maturata grazie a studi classici e esperienze jazz. Collabora il fiatista Ken Vandermark (Vandermark 5, Boxhead Ensemble). 8 strumentali che includono colonne sonore per letture di James Ellroy e incursioni nell'avanguardia. (f.ba.)

8 Eyed Spy (Atavistic). Appena ristampato, quest'album di Lydia Lunch e George Scott (ex Contortions e morto di overdose) evidenzia la contemporaneità di un suono che risale all'80 e il travaglio di un'artista che mesi prima aveva debuttato in proprio con lo splendido "Queen of Siam". Evidentemente il disco solistico si distaccava troppo dai canoni delle prime esperienze no wave di Lunch (Teenage Jesus & The Jerks e in seguito i Beirut Slump di Bobby 'Berkowitz' Swope) e dunque andava riaffermato quel ribellismo da sempre interno all'artista. A Lydia riuscì (fortunatamente) solo in parte, perché se il suono ruvido, abrasivo e saxofonato di pezzi come "Diddy wah diddy", "I want candy", le cover di John Fogerty e Nancy Sinatra voleva significare un ritorno al '79 in realtà incosciamente l'artista stava ponendo le basi di perle future quali "Honeymoon in red" o "Stinkfist". (f.ad.)

Stereophonics Word get around (V2). Richard Branson, il magnate della Virgin, ha cercato il gruppo che rilanciasse la sua immagine di discografico. E ha fatto centro. Inaugura la nuova etichetta la band del Galles. Un trio al fulmicotone che qualcuno ha accostato ai Radiohead. Il paragone è in parte valido sentiti i suoni del 1 lp: "Word get around": potenza rock e oculatezza melodica. A questo si aggiunga quella fierezza punk melodica tipica dei connazionali Manic Street Preachers. Brani come "A thousand tree" o "Traffic" crescono addosso e lasciano indelebilmente tatuati. (c.v.)

Rolling Stones Bridges to Babylon (Virgin). Qui non c'è trip hop o jungle (Bowie), niente è nuovo, tutto è come i Rolling Stones. Perché, in effetti, da "Emotional rescue" a oggi, Jagger e Richards continuano a fare lo stesso disco. Fermi sul loro standard artistico (blues, deep soul, classic rock) gettano "bridges" (ponti) sul passato e osservano i mille cloni lo-fi che dalla loro pancia si sono generati. Peccato che i testi non raccontino questi punti di vista "adulti" sul presente, ma sfoggino un' adolescenza di ritorno che suona falsa. E' comunque l'album di Jagger, davvero in forma. Quando, invece, in 3 pezzi si esibisce Keith alla voce è un disastro. Chi conosce gli Stones non ha bisogno di acquistare il disco. (f.ad.)

Simone Guiducci Sciarivarì (Ixtius). Il Gramelot Emsemble del chitarrista Guiducci (sax soprano, clarinetto basso, contrabbasso, batteria e la fisarmonica ospite di Gianni Coscia) insegue ormai da un paio di album l'utopia di una musica acustica che si imbeva costantemente di un profondo humus jazzistico. Giocato sui livelli e le dinamiche sonore, sui timbri, i vuoti e i pieni, questo "Sciarivarì" è un disco che esula dal panorama saturato di molte incisioni e crea con l'ascoltatore un rapporto quasi di riscoperta della fisicità del suono, senza cadere nel sound artificioso stile Ecm. (l.o.)

Sweet 75 Il mosaico Nirvana si è ricompo. Debutta la band di Krist Novoselic (dal basso alla chitarra). Alla voce c'è la venezuelana Yva Las Vegas e i testi sono suoi. Un classico indie rock al femminile, con un tocco di femminismo e rabbia diffusa nelle parole. Non c'è un genere preciso e questo è il vero paracadute di Krist: via dai Nirvana. Fiati, schitarrate punk e latin folk. Un disco ben suonato ma mai sopra la media. Casa Novoselic non ha ancora un indirizzo preciso. (f.ad.)

Schiano & Curci The Friendship of Walnuts (Splasc(h) Records). Dopo l'introduzione epico-fabulatoria di "The eight of us", l'album è un'unica seduta di improvvisazione tenutasi nel 1996 all'"Europa Jazz Festival" di Noci. Schiano e l'artista-organizzatore Vittorino Curci avevano riunito, nella chiesa di S. Chiara, un ottetto transgenerazionale ed europeo: Conny Bauer, Ernst-Ludwig Petrowsky, Roberto Ottaviano, Pasquale Innarella, Giuseppe Guarrella e Fabrizio Spera. Su tutta l'opera domina la composizione istantanea con i suoi alti e bassi e il fecondo senso di transizione e sfida che costantemente la attraversa. (l.o.)

Shizuo Shizuo vs. Shizor (Digital hardcore). Chi è Shizuo? Probabilmente uno scienziato pazzo e deforme, rintanato in un vecchio bunker sotto Berlino. Questa musica è affine per spirito eversivo a quella dei conterranei e compagni di etichetta Atari Teenage Riot, inventori di un meraviglioso pasticcio technopunk-hardcore che si rivela come uno dei casi (effimeri?) del momento. Distorsioni abnormi, campionamenti che si rincorrono impazziti in un puzzle di impronta zappiana che riprende il dicorso là dove l'avevano lasciato i Negativeland. (l.pa.)

Talk Show Talk Show (Atlantic). Niente paura, non è un disco di Maurizio Costanzo, tantomeno la registrazione di uno dei suoi programmi. Per scoprire chi si celi dietro i Talk Show basterebbe ascoltare le prime due note del disco. Ci appaiono, come per magia, gli Stone Temple Pilots, ma con un nuovo cantante. Dean e Robert DeLeo e Eric Kretz ci ripropongono, ovviamente, il solito rock grungettaro con in più delle strane puntate nel brit-pop. Probabilmente hanno capito che il genere tira e loro, come al solito, si adeguano, alla ricerca del mercato perduto. Nota a margine, e non è uno scherzo; il disco è stato registrato da tale Caram Costanzo, che sia parente del nostro Maurizio. (r.pe.)

Trio Toykeat Jazz lantis (Verve). Un disco non nuovissimo ma ancora non distribuito in Italia. Il trio finlandese, noto anche come The Rotten Jazz Trio, è un gruppo di impervia collocazione. Se fabbrica "jazz" utilizza, però, come materie prime il tango (le sonorità del celebre quintetto di Piazzolla) e certe melodie Biedermeier: variazioni d'umore e temperatura fra le tracks e all'interno di ciascun brano, con scatti sorprendenti. L'anima del gruppo è il pianista compositore Iiro Rantala: espanso anche per costituzione, capace di sviluppare al piano un volume di suono notevolissimo. La sua mano sinistra evoca i boati della tradizione tardoromantica, chiudendoli con il fraseggio slegato ed incisivo dei migliori pianisti jazz. (g.d.s.)

Feline Save your face (Chrysalis). C'è in giro un ritorno al suono nero e intenso del gotico. Ma attenzione qui non si sta parlando né del travestitismo di gruppi quali Marilyn Manson né dei cosiddetti cloni goth (Rosetta Stone, London After Midnight ecc.). Dunque da un lato ci si riferisce al romanticismo crepuscolare dei Tindersticks dall'altro al melodico post Siouxsie Banshee tipico dei Feline. Con trascorsi in ambito indipendente nei Flinch il gruppo femminile londinese debutta con un disco buono nel complesso ma meno riuscito in quanto a compiutezza. Insomma se gli artigli ci sono alla fine cresceranno. (c.v.)

Dream Theater Falling into infinity (EastWest). Di strumentisti validi ce ne sono moltissimi, e tra questi spiccano i Dream Theater. Grandi individualità e grande amalgama per i paladini del metal-prog. Ma purtroppo l'eccessiva ricerca tecnica e stilistica li porta spesso ad una perdita di feeling. "Falling into infinity" sembra anche segnare la definitiva svolta della band, sempre meno metal e spinta invece verso sonorità più morbide (vedi Toto o ultimi Rush). Non mancano tuttavia spunti notevoli come il brano d'apertura "New millennium" o la strumentale "Hell's kitchen". (r.pe.)

Delta 72 The soul of a new machine (Touch & go). Crudo funky-soul abrasivo ed eccitante: è il nuovo lavoro di questo strano gruppo di commitments deragliati. Siamo nello stesso territorio di caccia dei Make Ups, pur con una dose inferiore di caos e con un tasso di fosforo superiore. Musica da supermercato in macerie, adattissima per party trendy se si è stufi della jungle e depressi dal trip-hop. Il disco è suonato benissimo e risente felicemente di un gusto retrò che trita exotica, funkpunk, anni '70 e '90 nello stesso frullatore. Vicini per attitudine allo spirito di Jon Spencer. (l.pa.)

Joan Of Arc A portable model of (Jade Tree). Dopo Beck o Gastr del Sol la chitarra acustica si è liberata di concetti come "sincerità" e "genuinità". Serve a gruppi come Joan Of Arc (ma ce sono 100 e rientrano in un vero e proprio genere) a sottrarsi all'impalcatura roboante (volume, dinamica ecc.) del "rock" pur restando all'interno di una metologia della composizione rock. Gli Arc usano suoni lievi strategicamente, attirando così l'attenzione sulla complessità compositiva e sulle parole, valori spesso poco percettibili in dischi in cui la spinta ritmica conta più di tutto. Un disco bello e intenso. (f.ad.)

Morrissey Suedehead. The best of... (Emi). Altro viaggio nel mondo di Morrissey, da "Viva hate" a "Vauxhall and I". Si parte con "Suedehead", si passa attraverso diciassette brani e si chiude con "The more you ignore, the closer I get". Settantuno minuti di storia del padre del pop inglese. Chi non avesse i suoi dischi non perda questa occasione per conoscerlo e apprezzarlo oltre gli Smiths. Una menzione speciale va comunque a "Interlude", meraviglioso duetto con Siouxsie, bello da commuovere. (r.pe.)

Treepeople (K). Pubblicato in origine nel '91, Doug Martsch prima di inventare i grandi Built To Spill cantava in questo gruppo di epigoni di Tad, Mudhoney, Nirvana. Come da copione: distorsione chitarristica, ritmi concitati, voce urlata. Ingenuità in bassa fedeltà e molta energia. Il gruppo aggiungeva elementi di glam (la cover di "Andy Warhol" di Bowie), pop, sperimentazione. Nessuno si accorse di loro. Un ascolto d'obbligo se si è interessati ai gruppi minori della Sub Pop. (f.ad.)


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