Cosa c’è di più bello di una passeggiata: utile per riflettere e per scoprire una parte di mondo sconosciuto.
Il giorno seguente il nostro amico fu dimesso dall’ospedale: stava piuttosto bene, ormai aveva smaltito gli effetti di whisky e droga. Nel pomeriggio gli telefonò Luca per uscire: il nostro amico che non sapeva cosa fare accettò e chiese:
- Dove ci troviamo? -
- Non saprei... Ti parrà assurdo, ma prima ho l’impegno con quelli del volontariato e sai dopo i baby delinquenti e indovina dove mi hanno mandato, stavolta? Ad assistere i malati di mente. -
- Molto comico... Bene, così una volta finito lì, potrai proseguire la tua opera di bene con me! Insomma dove ci vediamo? -
- Il problema è che non so esattamente quando avrò finito... verso le cinque, forse. Non ti spiace passare dall’istituto? -
- Il manicomio mi sembra un luogo che si adatta bene a me... Verrò senz’altro verso le cinque. Ma c’è un particolare che mi sfugge... dov’è questo istituto? - e gli furono date tutte le spiegazione necessarie dopodiché chiusero la conversazione.
Il nostro amico non avendo idee su come trascorrere il tempo, arrivò all’appuntamento in anticipo, verso le quattro e mezzo: all’entrata dell’istituto, poco prima della porta, andò a sbattere contro una persona, in là negli anni, che gli sembrò camminasse nella sua stessa direzione; questa inciampò, cadde e disse piuttosto avvelenata:
- Giovine, perché non guardi dove vai? -
- Mi scusi - rispose il nostro amico mentre lo aiutava ad alzarsi - L’ho vista davanti a me e mi era parso... - a quel punto il signore si era alzato e riprese a camminare all’indietro, girando di tanto in tanto la testa per guardare dove andava:
- Questi giovancelli: non guardano nemmeno dove mettono i piedi! - e proseguì pensando a voce alta - devo guardare dove vado... il dottore vuole che guardi dove metto i piedi, ma perché? Non capisco... anch’io sono un medico, laureato summa cum lode, e conosco bene i misteri della psiche... Camminare in avanti e guardare dove si va... è un’idea interessante! Devo riflettere su questa strana forma di follia...- Quindi il nostro amico entrò e scoprì che i pazienti erano vestiti come gli altri e non era così semplice distinguere i sani dai malati. Quindi a chi chiedere dov’era Luca? Dopo aver ottenuto varie risposte, Luca riuscì a trovare il nostro amico, ormai in preda al panico.
- Potevi dirmelo che venivi prima. Ti avrei aspettato all’entrata. Qui non è facile trovare qualcuno! -
- Mi hanno fatto girare tutto il manicomio!... Ma anch’io che pretendo... Poi all’entrata ho trovato uno che camminava all’indietro, lo conosci? -
- Sì! Sì, il Gambero: pensa che noi siamo i veri pazzi ed ogni tanto viene preso dal raptus dello psicologo; una volta era uno psichiatra vero, poi si invecchia... così pretende che camminiamo all’indietro e talvolta, anche se non si potrebbe, lo accontentiamo... se poi non funziona tocca passare alle maniere forti... Comunque sta migliorando, a quel che dicono: ora di tanto in tanto guarda dove va, prima teneva lo sguardo in avanti, camminava indietro e cadeva sempre. Dicono che abbia subito un trauma, non conosco bene la sua storia, ma voglio informarmi: sarà senz’altro interessante. - fecero pochi passi quando un’altra persona, piuttosto preoccupata fermò per un braccio Luca:
- Luca, per caso mica hai visto in giro da qualche parte la Verità di Platone? - questi disse di no e allora quest’altro aggiunse - Accidenti! Va trovata subito! L’ha persa un’altra volta! Se non ci sbrighiamo sarà il caos... -
- Pacifico... corro subito a cercarla! - e si mise a correre. Il nostro amico lo seguì e quando quella persona non era più in vista disse:
- Ti ci impegni! A me non riuscirebbe recitare così bene... dobbiamo continuare a correre? -
- Pacifico... Bisogna assolutamente ritrovare la Verità di Platone e restituirgliela. - il nostro amico si sentiva come in un romanzo di Kafka e domandò stranito:
- Ma quella che ci ha fermato non era matta? - al che Luca si fermò, rifletté su quanto accaduto, poi sorrise e rispose:
- No... No, quella è Antonietta, una del volontariato come me. Platone, mica il filosofo greco, un nostro paziente filosofo, convinto di essere Platone... a noi va bene. - Si mise a frugare tra un mucchio di giochi e prese qualcosa, quindi continuò - Ecco cos’è la Verità di Platone! -
- Ma quello è un grosso dado di gomma. - in effetti era un dado di circa venti centimetri di lato. Quindi corsero fino a trovare Platone che stava incominciando ad entrare in escandescenze gridando:
- Dove sono le Idee? Perché non le vedo più? - Luca gli dette il cubo e questo allora sorrise dicendo - “Lo sapevo! Io lo sapevo... Dopo che l’uomo è uscito dalla caverna e ha contemplato il mondo delle idee possiede la verità. E infatti io ho la Verità! È mia, adesso posso tornare nella caverna per mostrarla...”. Luca quindi disse rivolto al nostro amico:
- Visto ci vuole poco per farlo contento! -
- Sicuro che sia meglio questo dei ragazzini? Io non... -
- Ma non dirmi sciocchezze: tu ti ci troveresti benissimo... - e dandogli una pacca sulla spalla aggiunse - Qua la pensano tutti più o meno come te: è il loro modo di esprimersi ad essere differente -
Poco dopo uscirono per fare due passi in centro: durante la passeggiata discussero vari argomenti: con quello che era successo non mancavano sicuramente; inoltre il nostro amico aveva avuto delle nuove idee a proposito de “L’Equilibrio” le quali suscitarono qualche perplessità in Luca:
- Mi pare solo una grossa complicazione: renderai ancora più difficile la lettura e la comprensione: questo ai lettori non piacerà! -
- Ecco, quel libro strano mi ha insegnato questo: nella comunicazione dev’esserci una parte attiva in colui che riceve il messaggio. Io pretenderò che i miei eventuali lettori riflettano sul mio libro oppure lo gettino via. -
- Lo getteranno via... È quella la prima reazione di tutti. -
- Eppure gli uomini si distinguono dalle bestie proprio perché sanno superare il primo istinto e vanno oltre. -
- Talvolta... Talvolta, non sempre. Non siamo perfetti... -
- Anche questo è vero. Ma lasciamo perdere e parliamo d’altro... - e proseguirono la loro discussione su tutt’altri temi: tra questi anche della festa per il compleanno di Giulia, famosa per essere l’ultima festa prima di quelle di fine anno. Infatti compiva gli anni il 22 Dicembre. Così quella festa era anche un modo per riunire la IV D per l’ultima volta prima delle vacanze di Natale. Come ogni anno c’era quindi da trovare un regalo adatto e questo in genere rappresentava uno dei punti più drammatici:
- Io non ho idea. Potremmo unirci al gruppo di... -
- No! - rispose categorico il nostro amico - Io, tu e Giovanni abbiamo sempre, dico sempre, fatto un nostro regalo! Quindi anche questa volta ci inventeremo qualcosa! -
- Ma io e Giovanni siamo d’accordo ad unirci a... -
- Qui non si prendono decisioni a maggioranza! Hai mai letto Rousseau? Non ha importanza la volontà della maggioranza, quanto la volontà generale, ovvero il bene di tutti. -
- E tu conosci qual è la volontà generale? Ma che bello! Probabilmente anche Pinochet era d’accordo con lui in questo. -
- Sia come sia! Io mai e poi mai farei un regalo assieme a quei deficienti! Ecco... se solo fosse un gruppo più decente... apprezzate le circostanze... potremmo anche fare uno strappo alla regola... ma con quelli no! -
- Va bene, volontà generale, che gli regaliamo? Dillo tu che conosci il bene supremo... -
Il nostro amico si fermò per un attimo, si guardò intorno ed esclamò:
- Non un regalo, un idea! - e iniziò a camminare velocemente in una direzione.
- Ma dove andiamo?... Non vorrai mica...beh, questo sapevo farlo anch’io. - Infatti erano arrivati a casa di Stefania, tra l’altro una delle amiche di Giulia. Fortunatamente lei era in casa, così poterono chiederle un consiglio che ottennero senza insistere troppo.
- A cosa servono gli amici se non per aiutarti a fare ciò che da solo non sapresti fare? - disse il nostro amico mentre uscivano dall’abitazione di Stefania.
- Adesso siete amici? Non sostenevi l’assoluta impossibilità di amicizia tra ragazzi e ragazze? -
- Sì... ecco... non è proprio amicizia, è più un accordo commerciale. -
- Non vorrai mica farmi credere che per il resto siete del tutto estranei? -
- Ricordati, l’amicizia, in senso stretto, tra ragazzi e ragazze non esiste; se c’è qualcosa che gli somiglia, si hanno due possibilità: o si tratta di amore non corrisposto o non è una vera amicizia. Io ne sarò sempre convinto! -
- E qual è il tuo caso? -
- Non si tratta di vera amicizia. Non crederai anche te che io sia innamorato di Stefania perché non è vero. Cioè, se mi chiedi se ci andrei a letto, questo mi sembra normale: chi non lo farebbe? - Quest’ultima parte era senz’altro giusta... Così finì la loro passeggiata.
Il resto della settimana trascorse freneticamente: a scuola, con l’approssimarsi delle vacanze, aumentava la fretta dei professori di interrogare da costringere ad un lavoro superiore alla norma molti studenti tra cui anche il nostro amico. Così ben presto si giunse al sabato e alla festa di Giulia. In questa la parte musicale era stata affidata agli “Insonni”, un curioso complesso, formato da alcuni compagni di classe che si esibivano sempre in pigiama ed oltre a suonare le loro composizioni che renderebbero insonne chiunque, svolgevano anche un ruolo di disc-jockey; la parte gastronomica era affidata a crostini, panini e pizzette di vario tipo e molte bibite.
Al suo arrivo il nostro amico disse sarcastico:
- Accidenti! Quest’anno i lavori del cantiere qui di fronte rovineranno la festa! Terribile... costretti persino a lavorare di notte, poverini! -
- Tu sei troppo severo con la musica di oggi. - gli rispose Giovanni
- Musica? Quale? Ah... non viene dal cantiere questo baccano! Ecco ancora devo capire come si possa ascoltare con piacere questa roba e trovare fastidio in un martello pneumatico. -
- Ma non vorrai mica paragonare questo con un martello pneumatico? -
- No... no... Si fa per dire... quello è molto meno forte... Terribile sospetto: non avranno mica invitato un’altra volta quel branco di imbecilli? -
- Gli “Insonni”? Sì, sono proprio loro! Ultimamente sono anche migliorati: adesso suonano della roba ascoltabile. -
- Ascoltabile? - disse stupito il nostro amico il quale non comprendeva cosa non rientrasse in quella categoria. - Certo se ascoltano i martelli pneumatici... -
La festa trascorreva vivace, tra una canzone degli Insonni, luci psichedeliche ed i soliti giochetti; non mancò nemmeno la consueta torta, con il classico “Tanti auguri a te” e la rituale apertura dei regali. Questo momento era senz’altro il preferito del nostro amico: riusciva a smaltire un minimo del mal di testa accumulato in precedenza poiché cessava quell’assordante frastuono. Capisco il divertimento, pensava, ma questa somiglia più ad una totale alienazione dal mondo, quasi come una droga; è vero che talvolta si è portati a fare delle iperboli di ciò che non ci piace.
Finita la pausa, ricominciò il baccano e il nostro amico, stufo di quello strazio, prese Giovanni sottobraccio e lo costrinse ad uscire fuori con lui per fare due chiacchiere.
- Pace! Finalmente! Proprio non ne potevo più di quel fracasso, quel casino: non capisco come fai a non sentirti male... Ah che bello poter udire di nuovo le proprie parole!
- Beh, non era poi tanto forte. A volte è peggio. Devi cogliere il lato positivo di tutto ciò: è un modo per sfogarsi, per gettare via il presente: dimenticare non risolve nulla, ma aiuta a vivere -
- Ecco vedi io non ce l’ho con il divertimento! Ognuno si diverte come preferisce, finché non fa del male a qualcun altro, ma io così non mi diverto: scrivetemi sulla fronte marziano. Queste feste sono una noia incredibile. Tuttavia gli stuzzichini erano buoni, penso di aver saccheggiato il buffet: tra le bibite ce n’era una strana che mi pare la chiamassero “Whico”. Cos’è? Una specie di vino? Mi è sembrata alcolica. -
- Quella? Non ne hai bevuta molta? Perché è coca cola con whisky al 10 per cento. -
- Ecco a me non piace né il whisky né la coca cola, ma quella non faceva del tutto schifo: sarà stata anche quella musica terribile! -
- Non sarà meglio tornare dentro? Altrimenti faremo la solita parte degli asociali. -
- Asociali? Noi? Non è proprio possibile: l’uomo è per sua stessa natura un essere socievole, ricerca la compagnia degli altri, quindi non nessun uomo può essere considerato asociale, perché non lo è! Non è che io scappi dagli altri, semplicemente sfuggo da questa società, ma non per questo si può dirmi asociale; è un modo sbrigativo per dire che non accetto le loro regole, ma proprio non capisco come si possa collegare tutto questo con un rifiuto totale della socialità. -
- Ma tu fai degli errori o sono sempre gli altri che sbagliano? Una parola ha vari significati, non puoi prendere solo quello a te favorevole! -
- Io considero il significato proprio, ma lasciamo perdere. Torniamo dentro altrimenti faremo la parte di “quei giovani che non apprezzano taluni modi di divertirsi generalmente graditi”. Cosa tocca fare per continuare a vivere... - Giovanni lo interruppe.
- Cosa non si fa per la fica. - al che il nostro amico lo guardò un po’ stupito e quindi Giovanni aggiunse - Perché usare delle noiose parafrasi e fare delle patetiche allusioni quando ci si può esprime in tutta chiarezza? - questa frase fu pronunciata dal nostro amico in un’altra circostanza.
- Bravo! Non sia mai che io mi penta di ciò che ho detto o ne tema le conseguenza... Chi mi salverà dal mio orgoglio? - concluse con un pizzico di disappunto.
All’interno la festa proseguiva con gli Insonni che si dimostravano tali. Dopo circa un’ora il nostro amico avvertì l’esigenza di andare in bagno e non sapendo dove si trovasse cercò di chiederlo a Giulia: la loro fu una conversazione sui generis, in quanto dovettero dire, sarebbe più corretto gridare, sillaba per sillaba le parole che dovevano scambiarsi: altrimenti non era possibile sentire qualcosa!
Al piano superiore la situazione era un po’ meno rumorosa, ma molto più affumicata ed infatti il nostro amico ebbe occasione di incontrare lo spacciatore della scuola.
- Vuoi farti un tiro anche tu? Per te faccio un prezzo speciale. -
- Con te io non ci parlo. -
- Non mi offendo, stai tranquillo: basta pagare! -
Intanto il nostro amico si era già allontanato: era riuscito ad individuare il bagno dove entrò frettolosamente: la vista di quel signore aveva riportato la sua mente ancora ferita ai tristi avvenimenti di quel sabato sera. Appena chiusa la porta dietro di sé iniziò a singhiozzare, disperandosi: tanto lì nessuno poteva sentirlo. Perché le ragazze gli dicevano sempre di no? Cosa aveva? Nell’aspetto era come gli altri, né meglio né peggio, eppure era sempre schivato ed ignorato come un appestato. Le aveva proprio provate tutte: dalle poesie alle battute stupide, ma sempre con quello stesso deprimente risultato che non gli dava pace. Quella sera aveva provato a gettarsi, cercando di baciare Michela, per sentirsi dire:
- Possibile che voi ragazzi non sappiate pensare ad altro? Ed io che ti credevo diverso: mi sarebbe piaciuto essere una tua amica! -
Ipocrisia! Quanto la odiava! Ad altri non aveva mai fatto discorsi sull’importanza dell’amicizia! Ma lui era ‘diverso’... Non gli andava proprio giù che lo avesse fatto illudere, si fosse fatta coccolare, insomma avesse sfruttato i suoi sentimenti. Perché? Si rendeva perfettamente conto che lo stava facendo soffrire? Perché comportarsi così? Almeno Stefania era stata chiara, ma lei era tutt’altra pasta, sapeva tenersi fuori dalla melma: sarebbero stati davvero bene insieme, pensava, se non gli avesse detto di no... Chissà perché? E lo aveva fatto dopo poco che si erano conosciuti, come se il nostro amico avesse qualcosa scritto in fronte. Quella sera dopo quel discorso di Michela scappò via da lei, voleva sfuggire ad un mondo che non lo accettava; dopo aver vagato per quelle strade buie e solitarie sempre presenti nella sua vita comprò in un supermercato quella bottiglia di whisky e senza pensarci troppo iniziò a berla: non sopportava più la sua stessa esistenza. Dopo poco già non ragionava più molto, incontrò lo spacciatore da cui prese qualcosa che assieme all’alcool ebbe un effetto dirompente. Perché non è sufficiente nascere per far parte di questo mondo schifoso, ma dobbiamo anche sforzarci di essere accettati? Urlò qualcosa, dette un pugno sul lavandino, aprì il rubinetto, si gettò dell’acqua in faccia e gridò a sé stesso:
- Non l’avrete vinta! - quindi sorridente tornò al piano di sotto.
Dopo circa un’ora decise di far ritorno a casa; prima voleva salutare Stefania, non la vedeva da un paio d’ore: in effetti era sparita con Marco, come immaginava. Beato lui, pensò. Appena uscito si mise per un attimo a guardare il cielo, come di tanto in tanto gli capitava per riflettere... Quante ne aveva passate! Beh, inutile cercare nel mare l’acqua di un fiume. Era assorto da questi pensieri quando gli parve di sentire il suo nome all’interno, così cercò di ascoltare meglio e sentì una serie di frasi certamente lesive della sua dignità personale: tutti erano finalmente contenti di essersi liberati di un peso morto, non usarono proprio queste parole: adesso potevano cominciare la festa. Se Giovanni che si era allontanato per prendere l’auto, non avesse fermato il nostro amico chissà cosa sarebbe successo! Permaloso com’era!
- Calmo! Lo dici anche tu che sono un branco di imbecilli! Che gli vuoi fare... - urlava. Dopo un po’ smise ma proseguì furioso:
- Si può anche essere idioti, ma perché si deve essere disonesti? Perché? Perché dire una cosa e pensarne un’altra! Qui non ci si può fidare più di nessuno!! Uno si sforza di non fare il pesce lesso ed ecco come si viene ripagati! Bastardi!! - e seguitò così per un po’ finché non gli passò e tornò finalmente a parlare normalmente - In realtà io sono pazzo, vedo il mondo in modo differente dagli altri e questo porta, inevitabilmente e indipendentemente dalla sua correttezza, ad essere isolato. Si ha paura della pazzia, si ha paura di scontrarsi con chi distrugge quelle poche certezze che crediamo di avere. Però dovrebbero dirmelo: insomma ditemi qual è la mia colpa, potrò dimostrarvi la mia innocenza! Che rabbia! Il fatto è che questo mondo è organizzato a caste, ognuna con le sue regole e se non le rispetti vieni buttato fuori. Non sono solo i club esclusivi per essere ammessi ai quali bisogna sudare sette camicie ad avere delle regole, ma anche la società complessiva degli uomini. Io di quale società faccio parte? Di nessuna, perché non accetto queste regole? Io mi rifiuti di credere tanto... - e continuò similmente fino a casa.
Tornato a casa, sempre piuttosto arrabbiato scrisse di getto:
“In una piovosa e buia
sera di Novembre, in un viale quasi deserto passeggia tranquillamente una
prima persona. Il suo è un passo veloce e sicuro, anche perché vuole uscire
presto da quel viale; non vuole fare cattivi incontri.
Nello stesso viale, allo
stesso momento, ma camminando nel senso opposto, c'è una seconda persona a cui
invece quel viale piace moltissimo e per questo cammina molto lentamente, ma
il suo è per natura un passo veloce, così pensa intelligentemente, di
rallentarlo, per prolungare la gioia di attraversare quel viale, nel seguente
modo: tre passi avanti, due indietro, un giro, tre passi indietro, due avanti,
un altro giro e da capo.
La prima persona vede
questa seconda e viene atterrito dalla paura, “Ho incontrato un pazzo” pensa,
si gira e passa sulla strada parallela, anch'essa, come la prima, buia e
deserta.
Ma quando la prima vede
la seconda, anche la seconda vede la prima ed anche lei pensa “un altro di quei
pazzi di cui sono piene le strade” e anche lui decide di passare nella strada
accanto.
Queste persone si
rivedono e si rispaventano a vicenda e pensano "Mi sta seguendo, torno indietro,
faccio finta di svoltare a destra, invece prendo la strada di prima. Quel matto
non se ne accorgerà". Arriveranno mai in fondo al viale?
Un pazzo”
Quando ebbe finito di scriverlo era tardi, così decise di andare a dormire: oramai si era calmato, in fondo era abituato a questo trattamento e del resto un pazzo non può pretendere di essere trattato come una persona normale, ne era consapevole. E lui era senz’altro pazzo: come il Gambero cercava di convincere la gente a camminare all’indietro; come Platone per vivere aveva bisogno di possedere la verità, non si poteva contentare della finzione anche se probabilmente stava guarendo in quanto cominciava a comprendere il suo stato di follia, il il primo passo per tornare normali.
Per addormentarsi generalmente leggeva un libro oppure, come quella sera, faceva per un po’ di parole incrociate: era bravino ed a vederlo sembrava che stesse riempiendo un questionario, ma si soffermò molto a lungo sulla definizione del 7 verticale: “La montagna non andava da lui. Allora decise di andare dalla montagna”. Ovviamente sapeva bene la risposta, Maometto, ma non la scrisse. Infatti pensava che la montagna non sarebbe mai andata da Maometto e allora perché doveva essere sempre quello ad andare alla montagna? Questo poteva essere giusto in moltissime situazioni, ma non sempre: esistono dei casi in cui non dovrebbe essere Maometto a muoversi ed altri dove dovrebbero trovarsi a metà strada. A quel punto si addormentò, senza rispondere alle domande che continuamente si poneva: tutto sommato è proprio degli uomini farsi delle domande e cercare inutilmente le risposte.
Verso le tre di quella stessa notte Marco aveva appena riaccompagnato a casa Stefania, dopo aver trascorso alcune piacevoli ore insieme e proprio mentre si stavano scambiando gli ultimi baci, davanti al portone di lei, questa vide un volto familiare avvicinarsi alla casa: era sua madre; la ragazza stranita, smise di baciare Marco, lo salutò sbrigativamente e gli disse di andarsene: possibile che sua madre tornasse a casa a quell’ora di notte? Va bene gli amanti, ma ormai non aveva più diciassette anni e non doveva tornare a casa! In genere non lo faceva: non c’era neppure bisogno di salvare la faccia, tanto lo sapevano tutti. Così pensò che doveva essere accaduto qualcosa.
- Che ci fai a quest’ora in giro? È successo qualcosa? - domandò preoccupata Stefania alla madre.
- Dovrei essere io a fare questa domanda - disse sorridendo mestamente. - Non è successo nulla... non ti preoccupare... ho solo litigato con Franco - e mise la chiave nella serratura, leggermente difettosa, per aprire la porta.
- Ah, la cara mammina scopa con l’assistente dell’avvocato del caro babbino! Ma quello non è scemo e dopo averti pelato un po’ di soldi se n’è trovata un’altra più giovane: lo capisco. - infierì, quindi la madre invelenita ruppe la chiave nella serratura così che Stefania aggiunse preoccupata e stupita - Mamma! Hai rotto la chiave nella serratura! E non c’è nessuno in casa, il babbo è partito stamani per Ginevra. Ora come entriamo? -
La madre assunse uno sguardo feroce e disse severamente:
- Sentimi bene adesso: io non intendo rispondere delle mie azioni ad una figlia che mi odia! Io ti avevo chiesto niente? No! - gridò - tu invece non vuoi mai perdere occasione per seppellirmi di insulti. Adesso dobbiamo aprire questa porta, chiamiamo la sorveglianza, qualcosa si inventeranno. - per un attimo rimase in silenzio poi riprese - A costo di passare qui tutta la notte, entrerò in casa mia! E tu aspetti con me, visto che non è certo tutta colpa mia! - Stefania non ebbe il coraggio di opporsi e si mise a sedere sul marciapiede rassegnata mentre sua madre riprese, sedendosi accanto a lei - Sai, anche se mi odi, io penso di volerti bene... lo so che non sono mai stata una brava madre, neppure una buona moglie: sai il rapporto con tuo padre è finito male per tanti stupidi motivi, di cui certo tu non hai colpa. È tutta mia e di quel cretino - poi la guardò in faccia - Ecco io non voglio e non posso farti la predica, però non la fumare quella robaccia. -
- Veramente mamma io non l’ho fumato quasi per niente, l’ha fumato Marco. Ho solo fatto un tiro. Sai non credo che gli spinelli facciano per me... Piangi, mamma? - questa si asciugò un po’ alla meglio le lacrime e aggiunse:
- Sai che erano anni che non mi parlavi. Siamo stati proprio dei cattivi genitori, ce ne siamo sempre fregati di te. Non capisco proprio come fai ad essere una così brava ragazza: hai avuto dei genitori talmente sciagurati. -
- Lo so che non volevate avere un figlio... -
- Chi te lo ha detto? - disse stupita, quasi inorridita. Poi accese una sigaretta e cominciò - Comunque è vero. Io e tuo padre pensavamo alla carriera quando andava bene, e non volevamo un figlio. Quando l’ho saputo decisi subito di abortire, poi i tuoi nonni mi hanno convinta a cambiare idea. Pensavano che un figlio avrebbe migliorato il nostro matrimonio e avrebbe dato anche un’altra immagine alla nostra famiglia: loro erano preoccupati solo di questo aspetto. Io poi a fare la madre non sono per nulla adatta: ti ho sempre scaricato su baby-sitter e simili. Poi è successo quelle che è successo, mi dispiace, puoi crederci io non volevo nulla di tutto ciò... Assurdo, il tuo problema avrebbe dovuto metterci a dura prova, ci avrebbe dovuto avvicinare a te: era quello che volevi ed invece ci siamo definitivamente allontanati. Io sono una vigliacca, lo sono sempre stata: nel vederti star male anziché aiutarti, scappavo come una puttana dall’amante del momento... Tu come mai non sei ancora scappata da questo inferno? -
- Non lo so mamma. Ci ho pensato tante volte, ma dove andrei? Potrei trasferirmi in un altro vostro appartamento, ma è più o meno lo stesso che restare qui, tanto non ci siete mai. E poi ancora sono minorenne, per poco. Forse tra qualche mese me ne andrò... -
- Sono un essere davvero schifoso! Questo non è proprio il discorso che dovrei fare a mia figlia: dovrei aver paura di perderti, invece ho paura a guardarti negli occhi... -
- Tu sei scappata di casa, no? -
- Sì, ma mi ripresero in tre giorni. I miei erano dei veri bastardi, cioè più o meno come noi con te, forse peggio. Sempre pronti a difendere la faccia. Noi due siamo cresciute in un ambiente simile, meno male che tu non sei diventata come me... -
Continuarono a discutere per un po’ restando tutte e due lì sul marciapiede finché non arrivarono i tecnici per la porta e la signora Veronesi andò a spiegargli la situazione, mentre Stefania a cui venne una crisi di pianto cercò di riassestarsi un po’. Il tecnico vedendola in quello stato chiese alla signora:
- Sua figlia non sta bene? -
- No, niente di grave. Sa com’è: ha avuto una brutta delusione. Talvolta scoprire la verità è doloroso, è meglio non saperla e vivere nel dubbio: magari si immagina molto meno peggio di quello che è davvero -
- Eh, ha ragione signora. Oggi non c’è più religione. - disse il tecnico che non aveva capito nulla di quel discorso e neppure voleva capirlo. Riparata in pochi minuti la serratura, poterono entrare in casa. Qui Stefania si tolse la giacca e andò in camera. Sua madre nel fare altrettanto notò un reggiseno nella tasca del giubbotto della figlia, lo prese e andò a gettarlo tra la biancheria sporca. La ragazza se ne accorse e divenne rossa come un peperone, restò fissa a guardare quello che faceva la madre e alla fine disse:
- Grazie. Non devo averlo rimesso. - sua madre la guardò come per dire “Me ne ero accorta” - Sai volevo vedere se riusciva a sfilarlo da sotto la camicia con una mano sola.-
- Stefania, non c’è bisogno che mi spieghi. Lo so, come vanno queste cose. E capisco che io sono l’ultima persona con cui vuoi parlarne. Comunque stai attenta con i ragazzi, stai attenta a non fare la mia fine. -
- Ma io non ho fatto nulla. Cioè,... ecco... non l’ho fatto... - rispose piuttosto timidamente, poi ebbe uno scatto d’ira, cosa piuttosto frequente quando parlava con i suoi - In questo periodo ho le mestruazioni, dovresti saperlo! Ma non lo sai, tu cosa sai di me? Che esisto! Che vado bene a scuola! Che sono una brava ragazza! Tu non sai un bel niente!! Cosa c’entri con me? Sei solo la donna che mi ha messo al mondo e non ti basta davvero per poter essere mia madre; per potermi chiedere con chi sto; per sapere cosa faccio e cosa non faccio. Io non ho nessuna intenzione di risponderne a te, a una che passa tutta la sua vita tra un cazzo e l’altro. - e si avviò verso camera sua.
- No, ragazzina. Non scappi: adesso se permetti ti dico io quello che penso. Vuoi darmi della troia? Bene non mi offendo! Tuo padre lo fa da anni e uno dei miei soprannomi da ragazza era “la puttanella”. Forse sarò malata, di sicuro non sono stata una buona madre, anzi ho fatto proprio schifo! Ma tu mi devi portare un po’ di rispetto, sono un essere umano anch’io. Tu credi che io me ne freghi di te, ma non è vero: ogni volta che cerco di parlare con te, scappi, mi ignori. Tu credi che io non abbia sofferto per quell’affare di qualche anno fa, ma non è vero: non abbiamo avuto il coraggio di affrontare il problema, da veri vigliacchi. Hai ragione ad odiarci per questo, ma io penso di avere il diritto a preoccuparmi per te - concluse sul punto di piangere.
- Ma tutto questo rigiro per un reggiseno sfilato? Sinceramente non mi sembra di aver fatto nulla di sconcertante - esclamò stufata, poi proseguì con un tono più ironico. - Poi, mammina, penso di aver avuto una buona insegnante. - la madre rispose sommessa, ma più tranquilla:
- Non li devi fare a me i discorsi sulla parità... Lascia perdere la scusa: evidentemente non ne vuoi parlare con me. Sai, in fondo ti capisco perché ci sono passata anch’io, cioè nemmeno io dicevo nulla ai miei e forse ho fatto di peggio -
- Ah, certo tu eri una troia che non dimenticava mai di rimettersi il reggiseno: in genere neppure io, ma vederti arrivare qui fuori alle tre di notte, mi ha, pensa un po’, spaventata. Così ho dimenticato questo piccolo particolare. Contenta? - disse molto strafottente, subito dopo spostò lo sguardo nel punto che sua madre stava fissando da un po’, sul colletto della camicia e vide una macchia di cui fino a quel momento ignorava l’esistenza, ma che sua madre aveva notato subito e che gettò Stefania nel panico: cercò di balbettare qualcosa, poi scappò in camera sua, gridando alla madre di lasciarla in pace. In effetti quest’ultima andò a letto: avrebbe parlato volentieri con la figlia, ma capiva bene che lei non lo volesse affatto. Ciononostante poco dopo la figlia con il volto segnato da un lungo pianto raggiunse la madre nella sua stanza:
- In genere quando ho un problema ne parlo con qualche mia amica, ma questa volta non posso. Mi sento sola, tremendamente sola: ho bisogno di qualcuno che mi abbracci, così ho pensato che in via eccezionale per una volta potev... - non riuscì a finire la frase senza singhiozzare. Si distese accanto alla madre che l’abbracciò. Poi Stefania riprese a parlare tra le lacrime - Sono disperata, mamma, davvero sono disperata: vorrei fare l’amore, ma non ci riesco, mi paralizzo, quasi non riesco neppure a respirare. Non guarirò mai mamma e non lo sopporto: vorrei tanto avere una vita normale, come tutte le altre. Poter uscire con un ragazzo, farci l’amore, ma non posso. È orribile... io non ne posso più di questa vita d’inferno che mi fa fare cose che forse non farei mai... sai lui non mi ha neppure chiesto nulla, cioè lui voleva pensava di poter fare l’amore con me... glielo avevo lasciato capire, ma poi ho avuto paura, ho iniziato a sentirmi male e così... - quindi cambiando improvvisamente tono disse con un pizzico di disappunto - sai mamma: sei quasi peggio del cuscino: dovresti dirmi qualcosa, io almeno credo funzioni così. - talvolta era capitato a Stefania di piangere abbracciata al cuscino e di sfogarsi con quello.
- Scusami... - era sconvolta: sapeva bene di essere responsabile di questo, era stata lei, con suo marito a rovinare Stefania e adesso era difficile dire qualcosa. - Ecco... capisco o almeno spero di capire il tuo problema, ma non fartene un’ossessione, anche se capisco che dopo tutto questo tempo... comunque dovresti cercare di lasciar scorrere gli eventi senza forzature e con molta attenzione... -
- Sì, lo so, mamma, lo so. Ci ho provato... ci ho provato, ma non è finita troppo bene. Penso a tutto quello che diranno su di me, alle risate che si faranno dopo quello che ho fatto. -
- Se dai retta a tutte le voci che circolano non puoi proprio vivere: qualsiasi cosa dicano di te ricordati tiene sempre in mente chi sei davvero: il mondo esalta e l’attimo dopo distrugge, ma tu non cambi: cambia il loro modo di vederti. Allora non esaltarti e non distruggerti, sii sempre te stessa... -
- Beh, io sono una ragazza come ce ne sono tante... Sai, quando ho visto quella macchia mi sono sentita violata nella mia intimità, ma è stato meglio, mi ha senz’altro fatto bene parlarne... Sai non mi era mai capitato nulla di simile, cioè non lo avevo mai fatto: la macchia nel colletto non l’avevo vista... -
Col passare del tempo la nostra amica si addormentò e poco dopo anche la donna che per una sera era stata quasi una mamma.
Il giorno seguente, domenica, il nostro amico si svegliò all’incirca verso le dieci e dopo aver sbrigato i consueti compiti mattutini prese un foglio di carta e cominciò a scrivere. Anche lui aveva trascorso una brutta notte, dopo il trattamento che gli era stato riservato e sentiva di non meritare. Così tra una maledizione e un incubo ebbe anche un’idea che gli piaceva particolarmente a proposito dell’Equilibrio, il suo libro: infatti ancora non aveva deciso con precisione l’ambientazione, ma quella notte ebbe l’idea e per non dimenticarla, o forse per chiarirla meglio a sé stesso si mise a scriverla: tutto sommato anche a questo serve scrivere, per aiutarci a capire meglio i nostri pensieri.
Vi riporto quei pensieri:
“L’Equilibrio dev’essere
ambientato in un mondo ad uso e consumo del libro stesso, ma non può avere le
stesse caratteristiche del nostro, altrimenti non si capirebbe perché si deve
inventarne uno nuovo. Certo c’è un motivo di fondo, ma si deve sempre dare un
motivo superficiale, una scusa in parole povere. La scusa naturalmente sembrerà
una scusa, ma in realtà non lo sarà neppure lei, ci saranno dei motivi ben
precisi. Insomma qual è la caratteristica a cui il nostro mondo non può non
poteva e non potrà prescindere? Non tanto i suoi usi e costumi, le sue ricette,
i nomi dei luoghi e i giochi dei bambini, questi sono cambiati, cambiano e
cambieranno ed io non voglio correre il rischio di descrivere un mondo che sia
un possibile passato, presente o futuro di questo. Allora ho avuto quest’idea:
stravolgere il concetto delle divisioni geografiche per motivi storico
politici. Nel mio mondo ci saranno delle divisioni in stati, ma non per questi
motivi, bensì una divisioni per stati d’animo, modi di essere o pensare: ci
sarà così il paese dei Furbi, il paese dei Saggi, quello dei Coraggiosi e così
via e li chiamerò facendo finta di sapere il latino Furbitia, Sapientia,...
Questo mondo si chiamerà Dotia. Certo non è che un uomo sarà solo furbo, solo
saggio, solo coraggioso, non vuol dire nulla, ma piuttosto in quel paese
saranno tutti furbi, tutti saggi, tutti coraggiosi: ci saranno anche saggi tra
i coraggiosi e coraggiosi tra i saggi, ma nel paese dei saggi, saranno tutti
saggi, non ci saranno degli stolti. Questo mi sembra assurdo, inconcepibile,
quindi credo di essere sulla strada giusta. Ho pensato naturalmente che ogni
sentimento può essere interpretato positivamente o negativamente, così ho
deciso di dividere Dotia in due parti, quello del Bene e quello del Male e per
ogni sentimento ci saranno due stati, con nomi diversi, uno per il Bene e uno
per il Male, anche se in questo caso il confine non sarà così netto: ci saranno
persone buone nella parte del Male e viceversa, sarà solo una prevalenza.
Inoltre ognuno di questi paese sarà chiuso su se stesso, dovrà ignorare
l’esistenza degli altri, così che per i suoi abitanti l’unico stato d’animo a
non esistere sarà quello del loro paese (quindi a Sapientia non ci saranno
saggi, in quanto sono tutti saggi e non concepiscono cosa possa essere, a
Furbitia non ci saranno furbi e così via). In questo mondo un giorno per motivi
oscuri a tutti accade qualcosa. Cosa si saprà soltanto a metà libro (si è perso
l’Equilibrio, ma i nostri eroi anche se col tempo e dopo varie peripezie
riusciranno a capire cos’è questo Equilibrio, parola che trascende il suo
significato, non riusciranno mai a ritrovarlo.) Dicevo che questi sono mondi
chiusi: soltanto gli abitanti di Guidia, il paese delle Guide, sanno qual è la
geografia di Dotia e sanno quindi trovare la strada: infatti si poteva uscire
dal proprio stato, ma non conoscendo la via ci si perdeva e si moriva e quindi
non lo faceva nessuno. Neppure loro capiranno mai che si è perso questo
Equlibrio, uno di loro si accorgerà dell’arrivo su Dotia del Tesim, un acronimo
segretissimo che si scoprirà essere un’abbreviazione usata nello scrivere un
libro al posto di “coloro che Troveranno E Sconfiggeranno Il Male”, composto da
tre entità, due di Dotia ed il terzo un poveraccio catapultato lì dalla Terra,
una persona comune coinvolta in questa strana avventura, suo malgrado...”
Qui si dovette interrompere: era l’ora di pranzo. Adesso pensava di essere pronto per scrivere questo suo libro e così fece da quello stesso pomeriggio, nei momenti di tempo liberi, quando ne aveva voglia.