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Il Rapporto di Onda Stazionaria (ROS): miti e realtà

- versione del 04/10/2009 -  

 

1. SCOPO

Questa pagina web si propone l'obiettivo di illustrare, con un certo dettaglio ma senza troppe formule ostiche, cosa comporti la presenza delle cosidette "Onde Stazionarie" sulla linea di trasmissione (ovvero sul cavo coassiale, sulla piattina od su altri mezzi di trasporto dell'energia RF), mettendo in luce degli aspetti che spesso non vengono approfonditi, quali le implicazioni delle impedenze non puramente resistive, che presentino cioè una reattanza non nulla.

Per una corretta comprensione degli argomenti qui discussi è chiaramente necessario avere qualche conoscenza di base sulle linee di trasmissione.

E’ importante tener presente che, in quanto qui esposto, si fà sempre riferimento a componenti IDEALI, che si comportino cioè esattamente secondo i modelli matematici che li descrivono (e che quindi si suppongono costruiti con materiale conduttore di resistenza nulla e materiale isolante di resistenza infinita).

Inoltre, onde semplificare la discussione, si è qui costantemente assunto che la linea di trasmissione considerata abbia impedenza caratteristica pari a 50 ohm e che essa sia ideale, nel senso di NON ESSERE SOGGETTA A PERDITE (nei suoi conduttori e nel suo dielettrico), le quali si tradurrebbero in un'attenuazione del segnale che l'attraversa. Peraltro nel par. 9, come pure nell'Appendice 2, vengono presentate alcune considerazioni al riguardo delle linee non ideali (ovvero quelle con cui si ha a che fare in pratica), le quali attenuano il segnale in misura più o meno elevata in funzione del loro tipo, della loro lunghezza e della frequenza di lavoro.

Per chi desideri ripassare come si relazionino impedenza, resistenza e reattanza, riporto giusto quanto segue.

 Nel seguito un'impedenza di valore Z= 50 + j30 ohm verrà indicata come [R= 50 X= 30].

 

 

2. ALCUNE CONSIDERAZIONI BASILARI

Generalità

Fino ai primi anni 60, quando come linee di trasmissione si usavano ancora fili, piattine e scalette, pochi sapevano cosa fosse il Rapporto di Onda Stazionaria - ROS (o in inglese Standing Wave Ratio - SWR), ed ancor meno erano quelli che si preoccupavano di verificare che il ROS non superasse di troppo il valore ottimale (cioè 1). Quando poi, con il passare degli anni, diventò comune impiegare cavi coassiali, l'interesse per il ROS subì una notevole crescita per il fatto che la presenza di un valore di ROS elevato nei cavi coassiali ha implicazioni generalmente più importanti che nel caso di fili, piattine e scalette. Tale interesse, alimentato anche dal diffondersi sul mercato dei misuratori di ROS (o di ROS e potenza RF), si è acutizzato negli ultimi decenni, al punto tale che il fenomeno del ROS risulta oggi essere oggetto di un livello elevatissimo di attenzione, spesso esagerata ed ingiustificata.

Purtroppo, sia perchè la tematica non è di facile comprensione da parte di chi non abbia una preparazione tecnica specifica, sia a causa di coloro che, in buona fede, vanno inconsapevolmente scrivendo in giro cose inesatte, sussiste oggi un elevato livello di disiformazione sul ROS. Di conseguenza la presenza di un elevato valore di ROS viene oggi comunemente percepita come una disgrazia alla quale sia lecito imputare una grandissima parte dei guai nei quali talvolta incappiamo (TVI e disturbi vari, distorsioni, "rientri" di RF, distruzione dei transistors finali, ecc.). Peraltro, si possono leggere qua e la delle teorie fantasiose per mitigare il ROS, quali tagliare la linea di discesa a multipli di mezza lunghezza d’onda, mettere anelli di ferrite sulla linea, ecc.

Indubbiamente parte del timore nei confronti del ROS origina psicologicamente dal termine "onda stazionaria" che evoca l'immagine di un'onda intrappolata all'interno della linea e che non riesce a fluire regolarmente dal trasmettitore verso l'antenna, ad una velocità vicina a quella della luce come dovrebbe. Naturalmente nulla di più falso! Utilizzare l'aggettivo "stazionaria" è stata  indubbiamente un cattiva scelta, in quanto la stazionarietà non riguarda affatto l'onda che fluisce lungo la linea, ma si riferisce invece al profilo di ampiezza della tensione (o della corrente) dell'onda lungo la linea. Per maggior chiarezza:

Il termine "onda stazionaria" discende proprio dal fatto che detto andamento alternato può essere visualizzato come un'onda che rimanga immutata nel tempo e quindi "stazionaria". In realtà non si tratta di un'onda, ma semplicemente del profilo di ampiezza della tensione (o della corrente) lungo la linea. Anche l'andamento piatto che si riscontra nel caso ROS= 1 rimane immutato nel tempo ed è quindi stazionario, però in questo caso l' "onda" non esiste più in quanto di ampiezza zero.

In conclusione sarebbe forse stato più corretto utilizzare il termine "Rapporto del Profilo Stazionario" invece che di Onda Stazionaria. Cosa fatta capo ha!

 

Una prima sintesi

A titolo di anticipazione di quanto esposto nel paragrafi successivi, si riportano qui alcune semplici considerazioni preliminari, ma essenziali per la comprensione dei fenomeni.

Cominciamo con il dire che la presenza di ROS> 1 si verifica solo nel caso in cui l'impedenza di carico della linea (ad esempio l'impedenza dell'antenna in un impianto trasmittente) sia diversa da [R= 50 X= 0], cioè non coincida con l'impedenza caratteristica della linea (che è stata qui assunta essere 50 ohm). La condizione ROS> 1 si verifica sia se R è diversa da 50 ohm, sia se X è diversa da 0 ohm, sia si verificano entrambi le condizioni. In ciascuno dei tre casi, la condizione ROS= 1 può essere ottenuta inserendo tra linea ed antenna un circuito che trasformi l'impedenza dell'antenna in [R= 50 X= 0]. Tale circuito di adattamento dell'impedenza viene comunemente denominato "accordatore".

Importante rilevare come, ai fini del valore di ROS sulla linea, conti solamente la discrepanza tra l'impedenza tra linea e quella dell'antenna. Variare la lunghezza della linea o agire all'altro estremo della linea, ad es. ponendo un accordatore presso il trasmettitore, non provoca alcun cambiamento nel valore di ROS.

E' opportuno anche anticipare brevemente quali siano gli effetti della presenza di un ROS> 1 sulla linea. Questi sono SOLAMENTE i quattro sotto descritti, e tutti gli altri di cui si sente spesso parlare vanno quindi semplicemente riportati nel registro delle fantasie popolari:

1. Variazione dell'impedenza vista dal trasmettitore: quando il ROS sia > 1, l'impedenza che la linea presenta al trasmettitore risulta essere generalmente diversa da [R= 50 X= 0] e varia in funzione della lunghezza della linea. Ciò può avere varie conseguenze, principalmente quella descritta al punto 2. Va a tal proposito ricordato come il trasmettitore si limiti a "vedere" l'impedenza  su cui è caricato, e non può avere cognizione di quale sia il valore di ROS esistente sulla linea di trasmissione. Si anticipa come  esistano dei casi particolari in cui, in presenza di ROS> 1, l'impedenza che si presenta al trasmettitore vale comunque [R= 50 X= 0] (ad es. quando una linea di impedenza diversa da 50 ohm e lunga multipli di mezze lunghezze d'onda sia caricata su di un'antenna che abbia impedenza [R= 50 X= 0], vedi par. 10).

2. Diminuzione della potenza emessa dal trasmettitore: quando l'impedenza che si presenta al trasmettitore risulti essere diversa da quella di progetto del trasmettitore stesso (cioè [R= 50 X= 0]) si manifesta un disadattamento d'impedenza, a causa del quale il trasmettitore non riesce ad erogare tutta la potenza RF che potrebbe altrimenti fornire (vedi par. 6, Figure 14 e 15). Come detto al punto 1, la presenza di un ROS > 1 è tra le cause di un tale disadattamento. Va peraltro rilevato come la diminuzione di potenza che si riscontra in pratica sia ancora più elevata di quella attribuibile al semplice disadattamento d'impedenza. Infatti, quando il disadattamento diventi particolarmente elevato, interviene il circuito di protezione (Automatic Power Control - APC) presente in tutti i trasmettitori, il quale limita la massima potenza RF erogabile allo scopo di salvaguardare i transistors finali da una possibile avaria (vedi ancora par. 6). Ove non sia possibile eliminare la causa originaria del disadattamento d'impedenza (per esempio riducendo il valore di ROS sulla linea di discesa interponendo un accordatore tra antenna e linea), la riduzione della potenza RF erogata può essere comunque evitata inserendo un apposito accordatore tra la linea e trasmettitore (oggi fortunatamente spesso già integrato nei trasmettitori). In questo modo si può comunque far vedere al trasmettitore l' impedenza ottimale [R= 50 X= 0], prescindendo dal ROS vigente sula linea.

3. Diminuzione della potenza applicabile alla linea: quando il ROS sia > 1, non sarà possibile applicare alla linea la massima potenza RF (di targa) dichiarata dal costruttore. Infatti, mentre quando ROS= 1 la tensione efficace (o di picco) risulta costante lungo la linea (ipotizzando che questa non abbia perdite), quando il ROS sia invece > 1 si riscontra in certi tratti della linea una tensione superiore a quella che si avrebbe con ROS= 1 a parità di potenza RF applicata, e peraltro una tensione inferiore in altri tratti della linea (il tipico andamento oscillatorio del valore di picco della tensione lungo la linea è mostrato in Figura 18 nel caso di ROS= 3). Lo stesso vale per la corrente. E' proprio la presenza di tratti di linea in cui si manifestano sovratensioni e sovracorrenti che impone di non applicare alla linea la massima potenza di targa, onde evitare che in quei tratti si superino i valori massimi ammissibili di tensione e di corrente.

4. Aumento dell'attenuazione della linea: quando il ROS sia > 1, si riscontra un'attenuazione addizionale della linea rispetto al suo valore nominale (ovvero il valore di targa, che viene misurato dal costruttore in condizioni di ROS= 1). Attenzione però perchè l'attenuazione addizionale dovuta a ROS dipende significativamente da quanto alta sia l'attenuazione della linea in termini assoluti. In altre parole, per un linea che presenti bassa attenuazione (alla frequenza di lavoro), l'attenuazione addizionale causata da un elevato valore di ROS potrebbe anche risultare modesta. La dipendenza tra attenuazione addizionale dovuta a ROS e attenuazione nominale della linea è quantificata in Figura 21. Ai fini pratici, il problema dell'attenuazione addizionale causata dal ROS si presenta in maniera significativa solo nelle bande VHF ed UHF, ove le linee hanno generalmente delle attenuazioni nominali abbastanza elevate. 

Tutto quanto detto vale per le applicazioni a banda stretta, quali tipicamente sono quelle radioamatoriali. Per le applicazioni a banda larga, tipiche del campo professionale, entrano in gioco anche altre questioni (echi ed altro), che però qui ometto di citare.

 

 

3. RELAZIONE TRA L'IMPEDENZA DELL'ANTENNA ED IL ROS

Prima di entrare nel merito della questione, occorre fare qualche premessa.

Per quanto riguarda la simbologia qui adottata relativamente a tensioni e correnti, vale quanto segue:

Passando a cosa si debba intendere per "tensione" (o "corrente") in un certo punto della linea, si precisa quanto segue:

I due modelli della realtà sono entrambi validi e del tutto equivalenti tra di loro, Comunque nel seguito si preferirà, quando possibile, trattare gli argomenti facendo solamente riferimento a Ve ed Ie, senza cioè scomodare Vd, Vr, Id e Ir.

Tutto ciò premesso, passiamo ad esaminare la relazione tra ROS ed impedenza d'antenna. A tal proposito si desidera ricordare nuovamente come, per una linea senza perdite, il ROS dipenda ESCLUSIVAMENTE dall’impedenza dell’antenna. Variare la lunghezza della linea, porre un’accordatore al lato del trasmettitore, o qualunque altra azione che non sia quella di adattare l'impedenza dell'antenna non può in alcun caso comportare un cambiamento del ROS.

Nel seguito sono considerati i tre possibili casi.

 

Caso 1: l’antenna presenta un'impedenza puramente resistiva e adattata alla linea

Quando la linea sia caricata con [R= 50 X= 0], si ha notoriamente ROS= 1. Ve e Ie non variano lungo linea e sono legate dalla relazione Ve/Ie= 50. La differenza di fase tra Ve e Ie è ovunque nulla. L’impedenza vista dal trasmettitore risulta quindi indipendente dalla lunghezza del linea ed è sempre pari a [R= 50 X= 0].

 

Caso 2: l’antenna presenta un'impedenza puramente resistiva, ma non adattata

Quando la linea sia caricata con [R> 50 X= 0] oppure [R< 50 X= 0], si ha notoriamente ROS> 1. In particolare il valore del ROS va così calcolato:

Da ciò risulta come, ad esempio, la condizione ROS= 3 possa ottenersi sia con un'impedenza d'antenna [R= 150 X= 0] che con [R= 16,66 X= 0]. Pertanto, per antenne che abbiano reattanza nulla (ovvero X= 0), esistono sempre due valori di R che comportano lo stesso valore di ROS.

Vediamo ora come vari, in questo caso, l'impedenza lungo la linea.

A titolo di esempio riferiamoci al già citato caso di ROS= 3, assumendo che l'impedenza d'antenna sia pari a [R= 150 X= 0]. I valori di Ve ed Ie misurati sui i terminali dell'antenna sono quindi legati tra loro dalla relazione Ve/Ie= 150. Inoltre, avendo l'impedenza d'antenna componente X= 0, in quel punto Ve ed Ie risultano essere in fase tra loro.

Non appena però ci si allontani dai terminali dell'antenna, muovendosi lungo la linea, si osserva come:

Pertanto l'impedenza vista dall'apparato presenterà ora in generale (tranne che per delle lunghezze di linea particolari, come spiegato nel seguito):

In Figura 1 viene visualizzata la variazione dell' impedenza lungo la linea per il caso in esame.

Figura 1

Per gli interessati si riportano in formato Excel le equazioni tramite cui è possibile risalire ai grafici mostrati in Figura 1.

ove R è la resistenza (in ohm), X è la reattanza (in ohm), A1 è la distanza elettrica dall'antenna (in lunghezze d'onda), B1 è l'impedenza caratteristica della linea (in ohm) e C1 è la resistenza (in ohm) dell'antenna puramente resistiva.

Sull’asse x viene riportata la distanza elettrica dall'antenna lungo la linea (tenendo cioè anche conto del suo fattore di velocità) espressa in lunghezze d’onda alla frequenza di lavoro. Sull’asse y sono invece riportati i valori delle componenti dell'impedenza, ovvero resistenza R e reattanza X, entrambi espressi in ohm.

Nel punto all’origine degli assi (x= 0), corrispondente ai terminali dell'antenna, si ha ovviamente [R= 150 X= 0], in quanto questo è il valore di impedenza che l'antenna è stata quì supposta avere. Come previsto, man mano che ci si sposta dall'antenna, l'impedenza varia seguendo la curva blu (R) e quella rossa (X). Gli andamenti mostrati in Figura 1 confermano come, in presenza di ROS> 1, l'impedenza vista dal trasmettitore possa variare fortemente in funzione della lunghezza della linea. Si osserva come, tranne che a distanze particolari dall'antenna, la X risulterà essere tipicamente non nulla (il che sta a significare come la Ve e la Ie sul connettore del trasmettitore non risultino essere generalmente in fase tra loro).

Quanto sopra succintamente esposto viene discusso approfonditamente nell'Appendice 1.

Se si considerano le infinite coppie R-X che si manifestano lungo la linea secondo il diagramma di Figura 1 (tra le quali troviamo [R= 150 X= 0], [R= 30 X= 40], [R= 16,66 X= 0], ecc., ecc.), è facile determinare come i moduli dell'impedenza Z che corrisponde a ciascuna coppia R- X assumano dei valori diversi. Ciò è verificabile utilizzando la formula del modulo di Z che pari a (in formato Excel):

ove |Z| è il modulo dell'impedenza (in ohm), A1 è la R (in ohm) e B1 è la X (in ohm).

Si può quindi concludere che impedenze di carico diverse, le quali abbiano pero lo stesso modulo, non producono generalmente lo stesso valore di ROS.

E' importante osservare come, a distanze (elettriche) dall'antenna che siano multiple di mezza lunghezza d’onda (ovvero 0,5, 1, 1,5, ecc.), si ripresenti la stessa impedenza dell'antenna, ovvero [R= 150 X= 0] nel caso di Figura 1. La proprietà di "ripetere" l'impedenza è propria delle cosidette "linee a mezz'onda" ed ha validità assolutamente generale, cioè vale per qualunque impedenza di carico, anche se non puramente resistiva. Per tale motivo le linee a mezz'onda vengono spesso utilizzate per misurare l'impedenza di un carico a distanza da questo.

Va peraltro pure osservato come, a distanze (elettriche) dall'antenna che siano invece multiple dispari di quarti di lunghezza d’onda (ovvero 0,25, 0,75, ecc.), si riscontri un'impedenza che ha ancora reattanza X= 0, ma R= 16,66 ohm, ovvero l'altro valore di R a cui corrisponde ROS= 3. In altre parole la "trasformazione in quarto d’onda" non fa altro che "scambiare" tra loro i due valori di R che comportano lo stesso di ROS (cioè 150 ohm e 16,66 ohm, nel caso di ROS= 3). 

La formula della trasformazione in quarto d'onda è (in Excel):

ove R è il valore di resistenza risultante dalla trasformazione (in ohm), A1 è l’impedenza caratteristica del linea (50 ohm) e B1 è la resistenza dell’antenna (150 ohm nell'esempio considerato).

Detta proprietà delle linee può essere anche utilizzata in generale per trasformare la resistenza di un'antenna in un qualsiasi diverso valore, utilizzando una linea di lunghezza elettrica pari ad un quarto d'onda (o a multipli dispari di quarti d'onda) che abbia un particolare valore di impedenza caratteristica. Converrà allora porre la precedente relazione nella forma:

ove Z è l’impedenza caratteristica della linea a quarto d'onda da utilizzare (ohm), A1 è la resistenza dell'antenna (in ohm) e B1 è il valore di resistenza che si intende ottenere dalla trasformazione (in ohm).

Vale appena la pena di ricordare come la lunghezza fisica della linea sia pari alla lunghezza elettrica moltiplicata per il coefficiente di velocità della linea stessa.

Ad esempio per trasformare un'impedenza di 112,5 ohm a 50 ohm si potrà utilizzare uno spezzone di linea d'impedenza pari a 75 ohm e che abbia lunghezza elettrica pari un multiplo dispari di quarti di lunghezze d'onda. Stesso tipo di cavo potrà essere ad es. utilizzato per trasformare un'impedenza di 141 ohm a 40 ohm, o viceversa. Si tratta di due esempi fortunati in quanto, per diversi valori delle  resistenze, sarà in generale necessario utilizzare una linea che abbia un valore particolare di impedenza caratteristica, magari di non facile reperibilità o addirittura non commercialmente disponibile.

Va infine osservato come l'interesse pratico per le trasformazioni in quarto d’onda si manifesti generalmente solo nei casi in cui l'impedenza da trasformare avvia componente reattiva nulla (X= 0) o quasi. 

Sempre rimanendo nell'ambito del caso qui considerato, cioè quello in cui l'impedenza posta all'estremità della linea sia puramente resistiva, passiamo ora ad esaminare le condizioni estreme, ovvero quelle in cui la R abbia valore nullo o infinito, condizioni che ovviamente comportano entrambi un ROS di valore infinito.

La condizione di resistenza nulla (ovvero di impedenza [R= 0 X= 0]) si manifesta quando l'estremità della linea, invece di essere connessa all'antenna, venga chiusa in corto circuito tramite un conduttore di lunghezza brevissima, di resistenza R praticamente nulla, e la cui induttanza possa anch'essa ritenersi virtualmente nulla (quindi con reattanza X= 0).

La variazione dell'impedenza lungo la linea per questo caso è mostrata in Figura 2.

 Figura 2

Al variare della distanza dall'estremità della linea chiusa in corto circuito, la resistenza R rimane costantemente nulla, mentre la reattanza X è soggetta a forti cambiamenti, assumendo valori negativi e positivi che variano da 0 a + infinito o - infinito. In particolare:

In conclusione un tratto di linea posto in corto circuito può essere utilizzato come condensatore o come induttanza, il cui valore potrà essere regolato variando opportunamente la lunghezza del tratto stesso. Attenzione però perchè il valore di capacità (o di induttanza) che corrisponde ad un tratto di linea di determinata lunghezza risulta variare con la frequenza di lavoro (variando la frequenza, varia anche la lunghezza elettrica della linea espressa in frazioni di lunghezza d'onda). In altre parole i condensatori (o le induttanze) realizzati tramite spezzoni di linea sono frequency-dependent, al contrario dei dispositivi fisici che non lo sono.

Passando ora a considerare la condizione di R infinita, ovvero di impedenza [R= infinito X= 0]. Detta condizione si manifesta quando l'estremità della linea, invece di essere connessa all'antenna, venga troncata di netto e lasciata aperta. La variazione dell'impedenza lungo la linea per questa situazione è mostrata nei grafici di Figura 3, che risultano identici a quella di Figura 2 se non per la traslazione orizzontale di un quarto di lunghezza d'onda. Va peraltro osservato come, quando R sia infinita, il valore di X diventa irrilevante, per cui la Figura 3 vale non solo per un carico di impedenza [R= infinito X= 0], ma anche per l'impedenza [R= infinito X= qualsiasi].

Figura 3

Al variare della distanza dall'estremità, la resistenza R rimane costantemente nulla, mentre la reattanza X è soggetta a forti cambiamenti, assumendo valori negativi e positivi che variano da 0 a + infinito o - infinito. In particolare:

 

Caso 3: l’antenna presenta un'impedenza qualsiasi

Si tratta del caso più generale, in cui sia la R che la X hanno un valore qualsiasi, fatto che chiaramente si traduce in ROS> 1.

Vediamo innanzitutto quale effetto produca la presenza di una reattanza X posta in serie alla resistenza R. A questo proposito va osservato come le conclusioni qui illustrate siano indipendenti dal fatto che si parli della X positiva di un'induttanza o della X negativa di un condensatore.

Incominciamo con il ROS. In Figura 4 si fà riferimento ad un'antenna che abbia una componente resistiva R= 100 ohm, ed una componente reattiva X di valore a piacere.

 Figura 4

Per X= 0 si ricade nel Caso 2 prima esaminato (antenna con reattanza nulla), per cui il ROS è semplicemente pari a 100/50= 2. Man mano che X aumenta, anche il ROS aumenta, secondo la relazione (in formato Excel):

ove A1 è la resistenza dell'antenna (in ohm), B1 è la reattanza dell'antenna (in ohm) e C1 è l'impedenza caratteristica della linea (in ohm).

Per comodità si riportano qui anche le relazioni inverse (con i valori sempre espressi in ohm):

- noti  ROS (A1), R (B1) e l'impedenza caratteristica (C1):

- noti ROS (A1), X (B1) e l'impedenza caratteristica (C1):

Dal grafico di Figura 4 si evince come la presenza di una reattanza X non nulla nell'impedenza dell'antenna comporti sempre un peggioramento del ROS, qualsiasi sia il suo valore di R (e quindi non solamente per R= 50). In altre parole non ci deve attendere che, giocando con il valore di X, si possa in qualche modo ridurre il ROS causato da una R diversa da 50 ohm.

L'aumento del ROS con l'aumentare di X spiega il perchè si cerchi sempre di lavorare con antenne “risonanti”, cioè con antenne la cui impedenza abbia, alla frequenza di lavoro, componente reattiva X= 0  (in realtà, per i motivi spiegati al par. 8, il valore più basso di ROS talvolta non si ottiene alla frequenza a cui l'antenna risuona).

Passiamo ora ad esaminare l'andamento dell'impedenza lungo la linea quando l'antenna presenti un impedenza che abbia una X non nulla. Converrà allora, a titolo di esempio, considerare un'antenna che abbia impedenza pari a [R= 30 X= 40], in quanto tale impedenza provoca lo stesso ROS (cioè 3) che si manifesterebbe se l'impedenza valesse invece [R= 150 X= 0], caso per il quale già conosciamo l'andamento dell'impedenza lungo la linea (vedi Figura 1).

Sorge allora naturale la domanda se esista una qualche diversità tra gli andamenti dell'impedenza lungo la linea quando questa sia terminata su [R= 30 X= 40] oppure su [R= 150 X= 0], visto che il ROS è lo stesso nei due casi. Per rispondere alla domanda, sono stati tracciati in Figura 5 i grafici che mostrano l'andamento di R e di X in funzione della distanza da un'antenna che abbia impedenza pari a [R= 30 X= 40].

Figura 5

I grafici sono stati ottenuti utilizzando le seguenti espressioni (in formato Excel): 

R=(B1^2*(B1*(-(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)+RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))/(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)-RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))))*(1+TAN(RADIANTI(360*A1))^2))/(B1^2+((B1*(-(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)+RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))/(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)-RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))))^2*TAN(RADIANTI(360*A1))^2))

X=(B1^3*TAN(RADIANTI(360*A1))-B1*(B1*(-(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)+RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))/(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)-RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))))^2*TAN(RADIANTI(360*A1)))/(B1^2+((B1*(-(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)+RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))/(RADQ(D1^2+(C1-B1)^2)-RADQ(D1^2+(C1+B1)^2))))^2*TAN(RADIANTI(360*A1))^2))

ove R è la resistenza (in ohm), X è la reattanza (in ohm), A1 è la distanza elettrica (in lunghezze d'onda), B1 è l'impedenza caratteristica della linea (in ohm), C1 è la resistenza dell'antenna (in ohm) e D1 è la reattanza dell'antenna (in ohm) .

Attenzione, le espressioni vanno utilizzate tenendo presente che, quando si ponga A1= 0, esse forniscono la coppia R-X non nel punto della linea ove è posta l'antenna, ma nel punto della linea ove la reattanza X= 0. Nell'esempio considerato, per A1= 0 le espressioni forniscono [R= 150 X= 0], e dalla Figura 5 si osserva come detto valore di impedenza si presenti ad una distanza di 0,125 lunghezze d'onda dall'antenna. In altre parole, i grafici che si ottengono utilizzando le sopra riportate espressioni andranno opportunamente traslati se si desidera che la condizione A1= 0 corrisponda al punto della linea ove è posta l'antenna.

E' evidente come i grafici di Figura 5 e di Figura 1 siano identici, se non per il fatto che quelli di Figura 5 risultano spostati a destra di 0,125 lunghezze d'onda. L'entità dello spostamento dipende chiaramente dalla particolare impedenza [R= 30 X= 40] considerata a titolo di esempio; pertanto il valore di 0.125 determinato per il caso in considerazione va considerato come un numero casuale.

Da quanto detto si può facilmente concludere come l'impedenza vista dall'apparato sia la stessa:

D'altra parte osservando la Figura 5 è immediato rilevare come alla distanza di 0,125 lunghezze d'onda si registri l'impedenza [R= 150 X= 0], ovvero proprio quella con riferimento alla quale sono stati derivati i grafici di Figura 1.

Si può quindi concludere come, ai fini pratici, possa essere irrilevante se un determinato valore di ROS derivi da un'impedenza d'antenna puramente resistiva (cioè con X= 0), oppure da un'impedenza che abbia una componente reattiva X non nulla.

A questo punto vorrei sfatare il mito letto da qualche parte che, in presenza di ROS> 1, variare la lunghezza della linea sia equivalente ad interporre un'accordatore tra il trasmettitore e la linea stessa. Infatti:

In chiusura passiamo ad esaminare le varie situazioni che si vengono a creare quando all'estremità della linea venga posta un impedenza puramente reattiva (cioè con R= 0). Si osservi come, se R= 0, il ROS è comunque infinito, indipendentemente dal valore di X.

Al momento di considerare le due situazioni estreme che possono manifestarsi in questo caso, ovvero X= 0 ed X infinito, ci accorgiamo che in realtà dette situazioni sono state già discusse nell'ambito del Caso 2 già considerato. Infatti

Rimane da considerare la situazione intermedia, cioè quella in cui si abbia R= 0 e X di valore qualsiasi. A titolo di esempio si è graficato in Figura 6 l'andamento dell'impedenza lungo la linea quando alla sua estremità venga posta l'impedenza [R= 0 X= -139], ovvero la linea sia chiusa su un condensatore che, alla frequenza di lavoro, abbia reattanza pari a 139 ohm.

Figura 6

E' immediato osservare come la Figura 6 sia identica, a parte una traslazione orizzontale, alle Figure 2 e 3.

Si può pertanto concludere in generale che, quando all'estremità di una linea venga posta un'impedenza puramente reattiva (condensatore o induttanza), l'andamento dell'impedenza lungo la linea è lo stesso che si registra quando detta estremità venga invece chiusa in corto circuito o lasciata aperta. Valgono quindi le stesse considerazioni fatte per quei casi.

 

 

4. MISURA DEL ROS E DELLA POTENZA RF

Scopo di questo paragrafo è quello di comprendere i meccanismi alla base della misura del ROS e della potenza RF, anche nell'ottica di verificare se queste misure risultino influenzate dalla eventuale presenza di una componente reattiva X nell'impedenza vista dal misuratore.

 

Cominciamo dalla misura del ROS.

Misurare il ROS senza ricorrere a soluzioni esotiche (ad es. linee fessurate) non è cosa concettualmente banale. Si tratta infatti di misurare un parametro, il ROS, che risulta confinato all'interno della linea di trasmissione e che non è pertanto direttamente misurabile se non "stando dentro" la linea stessa. In altre parole un qualsiasi dispositivo connesso ad un estremo della linea (e che si trovi quindi all'esterno della linea stessa) non può essere concettualmente in grado di effettuare una misura diretta del valore di ROS vigente al'interno della linea.

Molti credono che il ROS possa essere determinato misurando la cosidetta "potenza riflessa" (vedasi l'Appendice 1 alla voce Parliamo ora di potenze) che ritengono fuoriuscire dalla linea per tornare indietro al trasmettitore. Ciò è falso in quanto la potenza riflessa non fuoriesce affatto, ma permane dentro la linea (vedi nuovamente l'Appendice 1) e non è quindi direttamente misurabile da uno strumento che sia posto al di fuori della linea stessa.

Ciò premesso, tutte le misure di ROS vengono effettuate in maniera indiretta, ovvero effettuando misure di tensione e corrente all'esterno della linea, e risalendo poi da queste misure al valore di ROS che vige all'interno della linea stessa. In altre parole si segue la stessa logica delle misure di temperatura: non essendo possibile misurare direttamente la temperatura di un oggetto, si misura allora un parametro che abbia un legame con la temperatura. Per esempio, nel caso del termometro a mercurio, si misura la variazione della lunghezza della colonnina, e da questa si risale al valore di temperatura.

A sostegno di quanto detto, si supponga di terminare un misuratore di ROS direttamente su un carico da 150 ohm, senza utilizzare alcuna linea di trasmissione. Non essendo presente alcuna linea, non ha senso parlare di ROS. Però lo strumento indica comunque ROS= 3. Si tratta del valore di ROS che sarebbe presente sulla linea che venisse eventualmente utilizzata per collegare il carico al misuratore, al posto del collegamento diretto. In altre parole, il misuratore non può accorgersi se sia o meno presente una linea, e si limita ad effettuare una misura di impedenza, dal cui valore ricava il ROS.

A questo punto osserviamo come, mentre le uniche tre grandezze misurabili da un misuratore di ROS (ovvero Ve, Ie e la fase tra Ve e Ie) assumono - per ROS> 1 - dei valori che variano in funzione della lunghezza della linea (come conseguenza della variazione dell'impedenza, vedi Figura 1), il valore di ROS che viene conseguentemente determinato deve necessariamente risultare invece indipendente dalla lunghezza della linea.

Un metodo per risalire al ROS a partire dalla sopra menzionata terna di misure, potrebbe essere quello di utilizzare un processore che modellizzi le equazioni che legano il ROS vigente sulla linea ai valori dei tre parametri misurati. I comuni misuratori di ROS invece adottano generalmente dei circuiti molto più semplici, così semplici che potrebbe sorgere il ragionevole dubbio se questi siano effettivamente in grado di misurare correttamente il ROS in ogni condizione, ovvero senza farsi influenzare dalla variazione che la terna dei parametri misurati subisce lungo la linea.

In tema di possibili errori nella misura del ROS (vedi anche par. 5) possono distinguersi tre categorie di errori che in linea di principio vanno ad assommarsi gli uni agli altri, ovvero:

Nel seguito si trascureranno i possibili errori  di misura che rientrino nelle ultime due categorie, in quanto questi risultano essere fortemente dipendenti dalle particolare modalità realizzative del circuito del misuratore, dall'assemblaggio e dalla tipologia dei componenti utilizzati, e non darebbero quindi un contributo utile per una discussione che si propone invece di avere validità generale.

Vi sono numerosi modi di realizzare un misuratore di ROS, ma la stragrande maggioranza di questi si basa sul principio di combinare in modo opportuno le misure di Ve e Ie fatte nel punto ove si trova il misuratore, adottando tecniche atte a rendere dette misure indipendenti dalla frequenza (entro certi limiti) e mantenere così una buona precisione su di una banda piuttosto larga.

Sebbene esistano diversi circuiti che attuino il principio generico sopra menzionato, il loro funzionamento è pressochè identico. Pertanto la discussione non perde di generalità ove si faccia riferimento ad un circuito particolare, quale quello di Figura 7 nella quale è mostrato lo schema (semplificato) di un misuratore dotato di due strumenti distinti, i quali, per motivi chiariti successivamente, vengono rispettivamente denominati "diretta" e "riflessa". Le considerazioni qui esposte comunque non cambierebbero qualora si considerasse invece un misuratore a singolo strumento commutato.

 

Figura 7

Il principio su cui si basa la misura del ROS è il seguente:

  1. derivare:

  1. porre in serie Vv e -Vc; ciò al fine di ottenere la tensione differenza Vv-Vc che si può dimostrare essere proporzionale alla "tensione riflessa" Vr. Similmente porre in serie Vv e Vc al fine di ottenere la tensione somma Vv+Vc che è proporzionale alla "tensione diretta" Vd (cosa siano Vd e Vr viene spiegato nell'Appendice 1). Dette tensioni rettificate dai diodi provocano lo scorrimento, nei due strumenti della riflessa e della diretta, delle correnti continue Ib ed Ia, i cui valori dipendono anche da come sono regolate le resistenze variabili Rb ed Ra.

  2. prevedere che Rb e Ra vengano simultaneamente regolate in modo tale che lo strumento della riflessa vada a fondo scala quando il rapporto Vr/Vd sia pari ad 1, ovvero Vr= Vd.

  3. infine tarare la scala dello strumento delle riflessa direttamente in ROS.

Esaminiamo ora meglio i quattro passi sopra elencati, confacendo riferimento ad un misuratore di ROS che venga calibrato (in fabbrica) su una resistenza di riferimento pari a 50 ohm (il valore più comune).

 

Passo 1: Vc e Vv.

Con riferimento Figura 7, si rileva come:

 

Passo 2: Vd ed Vr.

Ricordiamo innanzitutto alcune relazioni (vettoriali) che valgono per una linea con impedenza caratteristica di 50 ohm (vedi Appendice 1):

Dalla Figura 7 è facile constatare come, indipendentemente dal valore della fase tra Ve ed Ie, se si regola Cx in maniera tale che m= k*50:

Il circuito proposto raggiunge quindi lo scopo di alimentare i due diodi con  tensioni che siano comunque proporzionali a Vr e Vd.

Quando il misuratore venga chiuso su un carico puramente resistivo, ovvero [R= 50 X= 0], si ha chiaramente Ve= Ie*50. In tal caso, utilizzando le formule sopra riportate, è facile dimostrare come Vr=0.

 

Passo 3: rapporto Vr/Vd.

La deflessione dello strumento della diretta (la quale è legata alla corrente continua Ia che lo attraversa) dipende dalla tensione continua che si genera a valle di Da, la quale dipende a sua volta da Vd (vedi Passo 2),  dalla resistenza Ra e da quella propria dello strumento. Stesso discorso per lo strumento della riflessa (riferendoci ora a Db, Vr ed Rb).

Come anticipato, il misuratore è progettato in modo che le resistenze Ra e Rb siano variabili contemporaneamente, cioè mantengano gli stessi valori durante la variazione.

La procedura di misura è la seguente:

Quando il misuratore venga chiuso su un carico di riferimento, ovvero [R= 50 X= 0], lo strumento della riflessa non darà alcuna indicazione in quanto Vr/Vd= 0 e quindi Vr=0. Quando il misuratore venga invece chiuso su impedenza nulla (corto circuito) o su impedenza infinita (circuito aperto), lo strumento della riflessa andrà a fondo scala in quanto Vr/Vd= 1 e quindi Vr= Vd.

 

Passo 4: ROS

La scala dello strumento va tarata secondo la formula ROS= (1+Vr/Vd)/(1-Vr/Vd), la quale è graficata in Figura 8.

Figura 8

In pratica, la scala del misuratore non seguirà esattamente l'andamento di quella di Figura 8, dovendosi tener conto del fenomeno della soglia dei diodi. Tale fenomeno fà sì che, ad esempio, il valore ROS= 3 corrisponda usualmente ad una percentuale del fondo scala minore del 50%, come risulterebbe invece dalla formula.

A questo proposito si fa osservare come l'influenza di detta soglia sulla scala sia diversa a seconda del valore assoluto di Vv e Vc, e quindi a seconda del livello di potenza alla quale viene effettuata la misura. Pertanto la scala viene usualmente tracciata per un livello di potenza medio. Quando si effettui la misura ad un livello di potenza molto più basso o molto più alto, la precisione di misura ovviamente ne soffre.

Infine, sarebbe possibile dimostrare come l'indicazione del misuratore di ROS non cambi in funzione del punto della linea ove si effettua la misura, anche se, quando ROS> 1, in punti diversi della linea si riscontrano diversi valore di impedenza.

 

Ed ora passiamo alla misura di potenza.

Il circuito di Figura 7 può anche essere utilizzato come wattmetro RF, ovvero come misuratore della potenza media RF (Pe) che transita sulla linea ove sia presente una certa Ve ed Ie. Si ricorda come Pe= 0.5 * Ve*Ie*cos(a), ove a è lo sfasamento relativo tra Ve ed Ie. (N.B. il fattore 0.5 si applica in quanto Ve ed Ie sono i valori di picco di tensione e corrente, mentre non sarebbe presente se invece fossero i valori r.m.s.).

Come spiegato nell' Appendice 1, la distribuzione della corrente Ie e della tensione Ve lungo la linea può anche essere modellizzata come sovrapposizione di un "onda diretta" di tensione e corrente (Vd e Id) e di un "onda riflessa" (Vr e Ir).  Se si adotta tale modello, allora è possibile definire:

Si noti come la Pr abbia sempre valore negativo, fatto che sta semplicemente a significare come questa fluisca dall'antenna verso il trasmettitore (e non dal trasmettitore verso l'antenna come la Pr).

La relazione che lega tra loro le varie potenze è:

I wattmetri RF che utilizzano circuito di Figura 7 indicano la Pd e la Pr, per cui la Pe va calcolata applicando la formula sopra riportata. Più precisamente i wattmetri indicano il valore assoluto della Pr (cioè |Pr|), senza cioè evidenziarne il segno negativo. Ecco perchè, in pratica, Pe va calcolata come differenza tra i valori di Pd e di Pr letti sul wattmetro, ovvero:

Per maggior chiarezza, riferiamoci al caso di un trasmettitore che stia erogando potenza su una linea sulla quale viga un ROS non pari ad 1. Se ad esempio il wattmetro indicasse:

allora vorrebbe dire che la potenza media RF Pe è pari a 100W. In altre parole, occorre sempre ricordarsi di sottrarre la misura della |Pr| da quella della Pd.

Al Passo 2 (vedi sopra la discussione relativa al misuratore di ROS) si è visto come i diodi Da e Db vengano rispettivamente alimentati da tensioni proporzionali a Vr e Vd, e quindi anche proporzionali a RADQ(|Pr|) ed a RADQ(Pd). Pertanto anche le correnti Ia ed Ib che attraversano lo strumento della diretta e quello della riflessa saranno anch'esse proporzionali a RADQ(|Pr|) ed a RADQ(Pd), mentre il loro valore assoluto dipenderà da come vengono regolate Ra ed Rb.

In definitiva:

gli strumenti indicheranno direttamente i valori di |Pr| e di Pd.

Figura 9

In definitiva, come già accennato, la misura di Pe si effettua sottraendo alla misura di Pd (letta sullo strumento della diretta) la misura di |Pr| (letta sullo strumento della riflessa). Chiaramente se lo strumento è chiuso su [R= 50 X= 0], si ha |Pr| = 0 e quindi Pe= Pd.

Va ora anche osservato come, tramite le misure di Pd e di |Pr|, sia peraltro possibile risalire al valore del ROS, effettuandone così una misura "indiretta". La formula è (espressa in formato Excel):

ove A1 è pari alla |Pr| e B1 è pari alla Pd.

Oppure anche impiegando degli abachi, quali quello mostrato in Figura 10 (la "forward power" è la Pd, mentre la "reflected power" è la |Pr|),

Figura 10

A tal proposito, si rileva come sia prassi tarare i misuratori di potenza RF in maniera tale da ottenere valori di fondo scala diversi per la |Pr| e la Pd, tipicamente in rapporto 1 a 10 o 1 a 5. Ciò per poter così meglio apprezzare i piccoli valori di |Pr| che si manifestano negli impianti in cui è presente un basso valore di ROS;

Come peraltro prima già detto per la misura "diretta" del ROS, la scala risulterà essere in pratica un pò diversa da quella della Figura 9, al fine di tener conto del fenomeno della soglia dei diodi. La discrepanza sarà maggiore o minore in funzione del valore di potenza di fondo scala prescelto, per cui la scala dello strumento della Pd risulterà tipicamente un po' diversa da quella dello strumento della |Pr|. Questo spiega perchè nei (buoni) misuratori a singolo strumento (commutabile tra |Pr| e Pd) vengano tracciate scale separate per |Pr| e Pd. Ed anche scale separate per i diversi valori di fondo scala di Pd (ad es. wattmetri Drake).

Fanno eccezione i wattmetri tipo Bird del tipo a "tappo" (mod. 43 e similari), i quali sono stati progettati in modo che la tensione presente sui diodi risulti essere sempre la stessa, indipendentemente dalla portata di fondo scala prescelta (ovvero dal tappo prescelto). Ciò è reso possibile dal fatto che i diversi tappi hanno ciascuno un diverso accoppiamento con la linea.

Interessante rilevare come la misura "indiretta" del ROS (effettuata cioè utilizzando un misuratore di potenza RF) sia concettualmente più precisa che se effettuata utilizzando lo stesso circuito quale misuratore "diretto" di ROS (vedi sopra), anche se in pratica le differenze possano esser minime). Ciò in quanto, come già osservato, la misura "diretta" del ROS viene influenzata dal livello di potenza a cui si effettua la misura, mentre quella "indiretta" non soffre di questo problema, in quanto le scale degli strumenti che indicano |Pr| e Pd vengono ciascuna appositamente tracciata con riferimento al proprio livello di potenza di fondo scala. In pratica, la grandissima parte dei misuratori commerciali che adottino il circuito di Figura 7 (o uno equivalente) effettuano solamente la misura della potenza RF (da cui è poi possibile calcolare il ROS), mentre solo alcuni di essi sono anche utilizzabili come misuratori "diretti" di ROS.

 

Altra circuito di misura del ROS.

Per concludere, si cita anche un altro schema di misuratore di ROS che invece differisce concettualmente da quello di Figura 7. Si tratta del ben noto "monimatch" (vedi Figura 11), che fu uno dei primi circuiti ad essere storicamente impiegati per la misura del ROS.

Figura 11

Il monimatch è essenzialmente costituito da due linee di misura accoppiate alla linea di trasmissione principale, sulle quali si sviluppano delle tensioni legate rispettivamente alle Vr e Vd presenti sulla linea. Dette tensioni vengono rettificate da due diodi e quindi inviate agli strumenti tramite due potenziometri il cui valore viene fatto variare simultaneamente. Per misurare il ROS si regolano i potenziometri in modo che l'ago dello strumento della diretta vada a fondo scala, e si legge quindi il ROS sullo strumento della riflessa (la scala va tarata come mostrato in Figura 8, a parte la correzione dovuta alla soglia dei diodi).

Il circuito del monimatch ha il difetto, rispetto a quello di Figura 7, di essere in pratica solo impiegabile per misure di ROS (e non anche per misure di potenza RF), in quanto queste ultime risulterebbero fortemente dipendenti dalla frequenza. Infatti mentre nel circuito di Figura 7 l'accoppiamento induttivo che preleva il campione di corrente RF è del tutto indipendente dall'accoppiamento capacitivo che preleva il campione di tensione RF, nel monimatch i due accoppiamenti avvengono entrambi tramite la stessa linea di misura, e non risulterebbe quindi possibile ottenere misure di potenza indipendenti dalla frequenza.

 

 

5. ACCURATEZZA DELLE MISURE DI ROS E DI POTENZA RF

Influenza di carichi non puramente resistivi sulle misure di ROS

Ci riferiamo qui nuovamente al circuito di Figura 7, ed iniziamo analizzando dapprima la misura di ROS.

Immaginiamo di collegare il misuratore di ROS ad una linea che presenti ROS> 1 e partiamo dal caso più semplice, ovvero quello in cui la lunghezza della linea sia fortuitamente tale da far vedere al misuratore un'impedenza puramente resistiva ovvero che non abbia componente reattiva (si tratta in realtà di una circostanza alquanto particolare in quanto essa si presenta solo per particolari lunghezze della linea - vedi Figura 1).

In tal caso la misura di ROS non sarà affetta da errori (a parte quelli dovuti alla non idealità dei componenti utilizzati), in quanto la scala dello strumento (vedi Figura 8) viene tarata in fabbrica utilizzando delle resistenze pure che abbiano valore opportuno (ad es. 150 ohm per ottenere l'indicazione di ROS= 3).

Passando ora al caso più comune, ovvero quello in cui l'impedenza vista dal misuratore abbia, oltre alla componente resistiva R, anche una componente reattiva X, ci si deve ora chiedere se il misuratore di ROS indichi correttamente il valore di ROS che corrisponde alla coppia di valori R ed X.

A tale scopo sono state sviluppate le equazioni che modellizzano il funzionamento del misuratore di ROS, tenendo debito conto dello sfasamento che si viene a creare tra Vv ed Vi (vedi par. 4) quando il misuratore sia caricato su un'impedenza che abbia reattanza X non nulla. I risultati di un analisi condotta per il caso ipotetico di ROS= 2 sono riportati in Figura 12.

 

Figura 12

La curva blu di Figura 12 rappresenta tutte le possibili coppie R e X che corrispondono al valore di ROS assunto: la R è mostrata sull'asse x, mentre la X è mostrata sull'asse y di sinistra, Si osserva come, coerentemente con l'assunzione di ROS= 2, X risulti pari a 0 sia per R= 25 che per R= 100.

La curva rossa riporta il valore di ROS indicato dal misuratore, determinato sviluppando le equazioni del relativo circuito. Il fatto che la curva rossa sia in realtà una retta sta a  testimoniare come la misura del ROS risulti essere del tutto indipendente dalla particolare coppia R ed X che dia luogo al valore di ROS assunto. In altre parole si dimostra come il principio di funzionamento su cui si basa il misuratore di ROS sia tale da fornire un'indicazione che dipende solo dal valore di ROS vigente sulla linea.

In altre parole il fatto che, nel punto di misura, l'impedenza abbia una componente reattiva X non nulla non comporta di per sè errori nella misura del ROS. Ciò è in linea con il fatto che le indicazioni degli strumenti di misura sono legate (vedi par. 4) solo a Vd ed Id, e non sono quindi influenzate dalla fase relativa tra la Ve e la Ie (come pure dall'entità dell'eventuale reattanza nel punto di misura).

 

Influenza della lunghezza della linea sulle misure di ROS

Un aspetto da approfondire è il perchè spesso, variando la lunghezza della linea che interconnette l'antenna al misuratore di ROS - talvolta anche di poche decine di centimetri - si osservi una variazione del ROS misurato, contro la teoria che stabilisce come il ROS sia solo determinato dall'impedenza caratteristica della linea e dal valore dell'impedenza di carico, e quindi non dalla lunghezza della linea.

Le motivazioni, che sono principalmente tre, possono ciascuna contribuire in modo additivo alla variazione del ROS riscontrata in pratica. Le elenchiamo:

Figura 13

Detta variazione è interamente causata dalla discrepanza di soli 3 ohm nel valore di impedenza, e potrebbe diventare ancor maggiormente evidente qualora si usassero cavi con impedenza nominale di 52 ohm invece che 50 ohm.

 

Effetto del tipo di modulazione sulle misure di potenza

Passiamo ora a considerare la misura della potenza RF media (Pe) che, come già detto, va determinata come differenza tra l’indicazione di potenza diretta (Pd) e di potenza riflessa (|Pr|). Anche in questo caso sono state sviluppate le equazioni che forniscono la differenza tra la letture di Pd e |Pr| in funzione delle coppie R ed X, mentre si tiene fissa la potenza applicata Pe. Detta analisi ha portato a concludere che, in linea di principio, il circuito di Figura 7 è in grado di determinare la Pe senza errori per qualsiasi valore del ROS (in pratica, a causa della non idealità dei componenti del circuito, la precisione della misura potrebbe peggiorare in presenza di valori di ROS elevati).

Si desidera infine rilevare come la misura di Pe effettuata utilizzando il circuito di Figura 7, od uno equivalente, sia di principio solo valida in presenza di un segnale che abbia inviluppo costante, quale è una portante continua tipo FM o CW. L’errore di misura che si presenta quando si abbia invece a che fare con un segnale ad inviluppo variabile, quale può essere un segnale AM, è dovuto al fatto che il circuito in questione effettua la misura della potenza in maniera indiretta, misurando in realtà delle tensioni e presentando il risultato di dette misure sotto forma di potenza, grazie all’impiego di una scala quadratica che ricalca il grafico riportato nell’esempio di Figura 9. Altri tipi di strumenti, ad esempio i bolometri, invece misurano la potenza in maniera diretta, e forniscono quindi indicazioni corrette anche in presenza di segnali ad inviluppo variabile.

Per chiarire meglio questa problematica, prendiamo a riferimento un segnale RF di tipo AM, costituito da una portante modulata al 100% da un segnale sinusoidale, e per semplicità riferiamoci al caso di ROS= 1 (in cui Pe= Pd e Ve= Vd).

Supponiamo che, in assenza di modulazione, Ve valga 100V, corrispondente ad una Pe di 100 W su carico di 50 ohm. Un misuratore basato sul circuito di Figura 7 misura di fatto la Ve, e la scala è calibrata in modo che, quando questa valga 100V, lo strumento indichi una Pe di 100 W.

Quando si applichi la modulazione sinusoidale al 100%, la Ve non è più pari a 100 V, ma varia tra 0 V e 200 V in funzione dell’ampiezza istantanea del segnale modulante. Il valor medio della Ve rimane però chiaramente pari a 100 V, cioè lo stesso valore che aveva quando il segnale RF non era modulato. Pertanto il misuratore, che fornisce un’indicazione di Pe legata al valor medio della Ve, fornirà sempre la stessa indicazione di 100 W. Tale valore è errato in quanto è facile calcolare come, in presenza di modulazione sinusoidale al 100%, la Pe del segnale RF modulato valga invece 150W.

L’errore in questione dipende dalla non linearità della relazione tra Ve e Pe, e dal fatto che il misuratore, invece di misurare direttamente il valor medio della Pe, misura in realtà il valor medio della Ve e poi indica la potenza che corrisponde teoricamente a detto valor medio.

Provate a collegare un wattmetro RF ad un trasmettitore AM, e vedrete come la potenza indicata non vari in presenza di modulazione. Utilizzando invece un bolometro (che è un wattmetro "termico") osservereste invece un forte aumento della potenza in presenza di modulazione.

 

 

6. EFFETTO DEL ROS SULLO STADIO DI POTENZA RF

Il titolo di questo paragrafo sarebbe dovuto più correttamente essere "effetto dell'impedenza di carico sullo stadio di potenza RF". Ciò in quanto, come precedentemente accennato, il trasmettitore si limita a "vedere" l'impedenza  su cui è caricato, e non può avere cognizione di quale sia il valore di ROS esistente sulla linea di trasmissione a cui è connesso. Peraltro, poichè il valore di ROS determina, insieme alla lunghezza della linea, il valore d'impedenza visto dal trasmettitore, si può indirettamente parlare di influenza del ROS sullo stadio di potenza RF.

Lo stadio di potenza di un trasmettitore allo stato solido include una rete L-C fissa progettata per adattare l'impedenza propria del dispositivo finale di potenza (transistor o FET) ad un carico puramente resistivo di 50 ohm. In base al teorema del massimo trasferimento di potenza, se il carico dell'apparato vale [R= 50 X= 0], allora questo trasferisce al carico stesso tutta la potenza di cui è capace.

Nei vecchi trasmettitori a valvole detta rete L-C era costituita da componenti variabili manualmente - il cosidetto pigreco - per cui, operando le dovute regolazioni, la condizione di massimo trasferimento di potenza si poteva ottenere anche in presenza di un carico di valore diverso da [R= 50 X= 0]. Negli apparati moderni allo stato solido, un similare livello di flessibilità viene ottenuto dotando l'apparato di un accordatore (spesso entrocontenuto), generalmente di tipo automatico.

Tornando al caso del trasmettitore non dotato di alcuna forma di adattamento variabile (ovvero nè pi-greco nè accordatore), si era detto come la potenza disponibile viene integralmente trasferita al carico solo quando questo valga [R= 50 X= 0]. La domanda che ci si pone ora è come e di quanto diminuisca la potenza trasferita al carico quando questo abbia una componente resistiva R diversa da 50 ohm e/o una componente reattiva non nulla. Tale situazione si manifesta tipicamente quando l'apparato venga connesso ad un'antenna tramite una linea su cui viga un ROS >1, ed i valori di R e d X visti dall'apparato varino quindi in funzione dell'impedenza dell'antenna e della lunghezza della linea (vedi l'esempio di Figura 1).

Al fine di comprendere meglio le cose, sono state sviluppate le equazioni che modellizzano (anche se in maniera piuttosto semplificata) il comportamento dell'amplificatore di potenza.

Consideriamo dapprima il caso in cui l'impedenza vista dall'apparato sia puramente resistiva (ovvero X= 0). I risultati ottenuti assumendo  che l'apparato sia, ad esempio, progettato per erogare una potenza massima di 100W sono graficati in Figura 14.

Figura 14

La curva blu ha il solo scopo di determinare i due valori della R del carico (da leggere sull'asse x) che corrispondono al valore di ROS supposto vigere sulla linea (riportato sull'asse y in blu). Per ROS= 1, esiste ovviamente solamente valore di R= 50.

La curva rossa mostra come vari la potenza trasferita al carico in funzione del suo valore R. Si nota subito come, per R= 50, la potenza trasferita corrisponda al valore massimo erogabile dell'apparato, ovvero 100W.

Quando la R assuma dei valori diversi, si rileva una riduzione della potenza trasferita al carico secondo quanto mostrato dalla curva rossa. A parità di valore di ROS vanno però distinti due casi:

Per controllare i rischi di avaria, gli apparati sono usualmente dotati di due circuiti di protezione:

L'azione di detti circuiti di protezione fa in modo che, superata un certa soglia di valore di ROS, l'apparato eroghi di fatto una potenza inferiore a quella indicata dalla curva rossa (situazione di back-off)..

Passiamo ora a considerare il caso in cui il carico visto dall'apparato non sia puramente resistivo, ovvero abbia una componente reattiva X non nulla. I risultati dell'analisi condotta per questo caso sono riportati in Figura 15 la quale, a differenza della Figura 14, è stata ottenuta con riferimento ad un prefissato valore di ROS sulla linea.

Al valore di ROS= 2  assunto a titolo di esempio corrispondono infinite possibili coppie di R ed X dell'impedenza di carico. Per ciascun valore di R compreso tra i due valori estremi di 100 ohm e 25 ohm (asse y blu), la curva blu fornisce i due possibili valori di X (da leggere sull'asse x). A tal proposito si ricorda come le varie coppie R ed X identificate dalla curva blu corrispondano a diverse lunghezze della linea di trasmissione (vedi Figura 1).

Figura 15

Dalla Figura 15 si evince quanto segue:

Si può pertanto concludere come, in base a quanto qui esposto, la presenza di una componente reattiva X non nulla nell'impedenza di carico del trasmettitore non comporti - a parità di ROS - maggiori rischi per lo stadio finale. Si viene così a sfatare un'altra credenza popolare che sostiene la tesi contraria.

In chiusura si desidera sfatare anche la credenza secondo cui la potenza riflessa Pr (che è conseguente ad un ROS> 1) "rientrando nel trasmettitore" possa danneggiare i transistors finali. Per questo argomento si rimanda all'Appendice 1.

 

 

7.  SERVE TAGLIARE LA LINEA A MISURA?

Un'altra delle credenze che spesso circola negli ambienti radiantistici è quella che la linea debba essere tagliata a misura, in multipli di mezza lunghezza d'onda (tenendo ovviamente conto del fattore di velocità del linea stessa), anche se poi il beneficio che discenda da tale circostanza non viene mai ben identificato. La credenza trova origine nel fatto che, come peraltro evidente dalla Figura 1, a multipli di mezza lunghezza d'onda l'impedenza si ripete uguale a se stessa,

Prima di tutto la questione potrebbe teoricamente porsi solo quando si abbia a che fare con un impianto a singola banda. Per impianti multibanda infatti, la condizione che la linea risulti lunga un multiplo di mezza lunghezza d'onda può essere ottenuta solo per una delle bande di lavoro, o al massima solo per qualcuna.

Prima di affrontare la questione, osserviamo innanzitutto come, anche volendo tagliare la linea a lunghezze multiple di mezza lunghezza d'onda, occorrerebbe comunque precisare come vada effettuata la misura. Certamente la misura inizia dal connettore a cui è connessa l'antenna, ma dove termina?:

Inoltre andrebbero compensate le possibili variazioni della lunghezza elettrica della linea causate da dispositivi (quali filtri, balun, ecc.) eventualmente presenti sulla linea stessa.

Chiaramente le incertezze sopra identificate diventano tanto più importanti quanto più piccola sia la lunghezza d’onda, ovvero quanto più alta sia la frequenza di lavoro.

Va poi anche considerato come la misura, per quanto ben fatta, sarà comunque soggetta ad errori, che di nuovo avranno importanza tanto maggiore quanto più sia elevata la frequenza operativa. La nocività degli errori risulterà essere massima quando, intendendo tagliare la linea a lunghezza multipla di mezza lunghezza d'onda (ovvero 0,5, 1, 1,5, 2, ecc.), la linea risulti invece avere, a causa degli errori di misura, una lunghezza che sia multiplo dispari di quarti di lunghezza d'onda (ovvero 0,25, 0,75, 1,25, ecc.). Infatti, come peraltro anche evidente dalla Figura 1, a multipli dispari di quarti di lunghezza d'onda si verifica il prima citato effetto di trasformazione in quarto d'onda (vedi par. 3), in dipendenza del quale l'impedenza subisce il massimo cambiamento possibile, invece di essere ripetuta uguale a sè stessa come era negli intenti.

Ma può un errore di tale entità verificarsi effettivamente in pratica? Per esempio alla frequenza di 432 MHz si tratterebbe di sbagliare la misura di circa 17 cm. Se la discesa fosse ad esempio lunga 40 metri, si tratterebbe di compiere un errore di circa lo 0,4%, forse un po' elevato per una mano esperta, ma non poi così tanto se si tengono anche in conto le già menzionate incertezze relativamente a quale debba essere la lunghezza fisica da tenere effettivamente in conto e quelle dovute alla presenza dei connettori.

Nel seguito vengono peraltro citati degli esempi che mostrano come degli errori possano benissimo anche verificarsi per motivi non legati all'imperizia di chi esegua la misura:

Esaurita questa premessa sul senso e sulla difficoltà pratica di fare in modo che la linea sia effettivamente lunga un multiplo di mezze lunghezze d'onda, torniamo alla domanda iniziale: ma a che pro?

Per quanto già più volte detto il ROS è indipendente dalla lunghezza del linea, per cui scartiamo subito ogni ipotesi di ottimizzare il ROS tagliando la linea a misura.

Nel tentativo di intuire quale possa essere la logica di chi propone l'utilizzo di linee lunghe multipli di mezza lunghezza d'onda, si potrebbe per esempio riferirla al fatto che, con tali lunghezze ed in presenza di un’antenna che abbia un'impedenza puramente resistiva - anche se non 50 ohm - l'impedenza che si presenta all’estremità della linea di discesa risulta anch’essa puramente resistiva (vedi Figura 1). Non sarebbe però facile comprendere quale possano essere i vantaggi conseguenti all’ottenimento di un’impedenza puramente resistiva all’estremità della discesa. Infatti:

In conclusione, non si ritiene che la fatica di tagliare la linea a misura sia compensata dall’ipotetico beneficio che ne possa conseguire.

 

 

8.  MA DOVE RISUONA L'ANTENNA?

Prima di esaminare la questione, va chiaramente ben compreso cosa voglia dire che un'antenna è "risonante". Si dice che l'antenna risuona ad una determinata frequenza quando, a quella frequenza, la sua impedenza abbia componente reattiva X=0, indipendentemente dal valore della sua componente resistiva R (la quale, anche per un'antenna risonante, potrebbe essere ben diversa dai 50 ohm canonici). Naturalmente, poichè X varia con la frequenza, un'antenna potrà risultare risonante solo ad una particolare frequenza (od ad alcune particolari frequenze nel caso di antenne multibanda).

A questo punto va innanzitutto sfatata la comune credenza che un'antenna risonante funzioni meglio di una non risonante. La risonanza è questione che riguarda esclusivamente l'impedenza dell'antenna e quindi come questa debba essere alimentata, mentre non incide assolutamente sulle sue proprietà radiative (guadagno, lobi, ecc,). In altre parole un'antenna non risonante irradia perfettamente bene come un'antenna risonante; chiaramente rimane il fatto che la condizione ROS=1 è solamente ottenibile con un'antenna risonante (che abbia R= 50), ma ciò è questione che riguarda solo il trasferimento di potenza dal trasmettitore all'antenna e non le prestazioni di quest'ultima.

Dalla Figura 4 si evince come quando, nell’impedenza dell’antenna, ad una data componente resistiva R si venga ad aggiungere una componente reattiva X, si riscontri un aumento del ROS di entità crescente con X. Sembrerebbe quindi immediato poter concludere che la frequenza a cui si misura il valore minimo del ROS è quella a cui si ha anche X=0, ovvero la risonanza dell'antenna.

Detta affermazione, che è assolutamente vera quando il ROS alla risonanza sia pari ad 1, risulta invece non sempre valida quando il ROS alla risonanza sia > 1.

A tal proposito facciamo riferimento ad un'antenna di tipo spiderbeam che presenti la risposta ROS / frequenza indicata in Figura 16 (ottenuta con EZNEC).

Figura 16

A questo proposito si osserva quanto segue:

In definitiva mentre lo strumento di misura indica la presenza di un minimo di ROS a 29,0 MHz, in realtà l'antenna risuona a circa 27,0 MHz. Ben 2 MHz di discrepanza, circa il 7%! Interessante notare come, se con la stessa antenna si usasse una linea a 75 ohm al posto di quella considerata da 50 ohm, il valore minimo di ROS si riscontrerebbe alla frequenza di 28,8 MHz e varrebbe 1.54.

In conclusione, vista l'impossibilità di determinare la vera frequenza di risonanza del'antenna (se non misurando l'impedenza direttamente al connettore dell'antenna), e sopratutto considerando che, come già accennato, la risonanza dell'antenna non rappresenta nulla di magico, conviene lasciar perdere e semplicemente tarare l'antenna per il minimo ROS alla frequenza di lavoro.

 

 

9. LINEE CON ATTENUAZIONE

Nei paragrafi precedenti si è costantemente assunto di avere a che fare con linee ideali, cioè con linee che non abbiano perdite e non comportino quindi attenuazione dei segnali che le attraversino. In questo paragrafo esaminiamo alcune delle implicazioni che discendono dal fatto che, in pratica, le linee reali di trasmissione invece attenuano i segnali.

 

Caso di linea adattata

Le caratteristiche di attenuazione di una linea adattata, cioè chiusa sulla sua impedenza caratteristica, sono tra i dati forniti dal costruttore ed sono espresse in termini di dB per ogni 100 piedi (circa 30 m) o per ogni 100 m di lunghezza. Partendo da questi dati e tenendo presente che l'attenuazione (in dB) è proporzionale alla lunghezza, è facile determinare l'attenuazione di una qualsiasi linea adattata.

Fisicamente l'attenuazione della linea è dovuta a due fenomeni concomitanti:

A questo proposito va rilevato come le perdite nel rame abbiano usualmente una rilevanza molto superiore a quelle nel dielettrico, come discusso al par. 9 e visualizzato in Figura 22.

Passiamo ora ad esaminare con maggior dettaglio il caso di linea adattata, ovvero chiusa su impedenza [R= 50 X= 0], e supponiamo che il trasmettitore immetta nella linea un potenza RF effettiva Pe di 100W.

Se la linea non avesse perdite, la Pe risulterebbe costante (100 W) lungo tutta la linea, come pure la Ve (che manterrebbe ovunque il valore di 100 V).

Quando la linea presenti invece una certa attenuazione, vale l'esempio mostrato in Figura 17, che mostra l'andamento della Pe (in rosso) lungo la linea e quello della Ve (in blu). Nell'esempio si è assunto che il tratto di linea considerato (lungo 5 lunghezze d'onda) comporti un'attenuazione complessiva di 6 dB.

Figura 17

La Pe di 100 W immessa nella alla linea si riduce a soli quasi 25 W sui terminali dell'antenna. La Ve è soggetta a una minore diminuzione, a causa della sua relazione quadratica con la Pe. La Ie ha lo stesso andamento della Ve.

 

Caso di linea non adattata

Passiamo ora a considerare il caso di una linea caricata su impedenza [R= 150 X= 0] e che presenti quindi ROS= 3. A soli fini di confronto riportiamo inizialmente in Figura 18 l'andamento della Ve (in blu) lungo la linea, nell'assunzione che questa sia senza perdite.

Figura 18

Si noti il caratteristico andamento sinusoidale del valore di picco della tensione da cui deriva il nome "onda stazionaria" (maggiori dettagli al riguardo sono forniti nell'Appendice 1). Per una Pe di 100 W immessa nella linea, la Ve oscilla intorno a circa 115,5 V, con picchi di circa +/- 57,7 V (la giustificazione di tali valori è riportata nell'Appendice 1).

La Figura 19 mostra come si modifichi la Figura 18 quando si supponga che, fermi restando gli altri parametri, il tratto di linea considerato abbia ora un'attenuazione totale di 6 dB.

Figura 19

Nel grafico viene mostrato anche l'andamento del ROS (in verde), il quale vale 3 in corrispondenza al connettore dell'antenna, ma diminuisce man mano che ci si avvicini al trasmettitore, ove diventa circa 1,29. E' evidente come la misura del ROS eseguita al trasmettitore risulti parecchio ottimistica, in quanto il valore del ROS lungo la linea è sempre più elevato di quanto misurato. Tale variazione peraltro non si manifesterebbe se la linea non avesse perdite, come evidente dal grafico piatto del ROS mostrato in Figura 18.

Si tratta di questione ben nota dovuta al fatto che l'onda della tensione diretta subisce dell'attenuazione nel percorrere la linea dal  trasmettitore verso l'antenna, mentre poi la tensione riflessa subisce nuovamente dell'attenuazione nel tornare indietro dall'antenna verso il trasmettitore. E ciò falsa la misura. La Figura 20 mostra il classico grafico dell'Handbook ARRL che fornisce il ROS apparente (cioè quello misurato al trasmettitore, "SWR at transmitter") in funzione del ROS effettivo (ovvero quello che si misurerebbe direttamente sul connettore dell'antenna, "SWR at antenna"), e dell'attenuazione della linea (quella dichiarata dal costruttore, senza tenere in conto altri eventuali effetti).

Figura 20

Dal grafico si evince come, quando una (lunga) linea presenti una forte attenuazione (come spesso avviene in VHF/UHF), essa presenterà al trasmettitore un ROS basso anche se lasciata aperta o cortocircuitata al'estremo (quindi con ROS infinito).

In chiusura si desidera quantificare quanto già precedentemente detto relativamente al fatto che la presenza di ROS sulla linea comporti un'aumento dell'attenuazione della linea stessa, il quale è funzione dell'attenuazione nominale della linea (cioè quella di quando la linea sia terminata sulla sua impedenza caratteristica) e del valore del ROS (misurato al connettore dell'antenna). Tale comportamento è mostrato nel grafico di Figura 21, anch'esso riportato nell'Handbook ARRL.

Figura 21

Attenzione: la perdita causata dal ROS è tutta qui, il ROS non provoca ulteriori perdite!

Da detto grafico è facile stabilire come, in moltissimi casi pratici (specie in HF ove l'attenuazione nominale delle linee è usualmente bassa), l'aumento dell'attenuazione causato dal ROS sia modesto od addirittura trascurabile. 

Volendo essere precisi, va rilevato come il grafico di Figura 21 sia strettamente valido solo per delle ipotetiche linee ove  l'attenuazione derivi in egual misura dalle perdite nel rame e dalle perdite nel dielettrico. Nella realtà invece, le prime sono usualmente molto superiori alle seconde, come già accennato.

Da ciò discende il fatto che, nella realtà, l'aumento di attenuazione del cavo dovuta alla presenza di ROS non dipende solo dal valore di ROS e dall'attenuazione nominale della linea come sembrerebbe prendendo per buona la Figura 21, ma varia anche in funzione della lunghezza della linea in termini di numero di lunghezze d'onda (anche se detta variazione è percentualmente tanto meno sentita quanto più lunga è la linea).

Per meglio chiarire quanto sopra esposto si consideri uno spezzone di linea corto, ad es. di lunghezza inferiore al quarto d'onda, e chiuso su una resistenza più elevata di quella caratteristica (quindi operante in regime di ROS> 1). Poichè lungo tutta lo spezzone la corrente RF risulterebbe essere così più bassa di quella che si avrebbe in condizioni di adattamento, si può concludere che, per lo spezzone considerato, la presenza di un ROS> 1 comporta un'attenuazione complessiva addirittura inferiore di quella nominale!

Il grafico di Figura 21 mostra, per un prefissato valore di ROS, una sostanziale continuità dell'aumento di attenuazione con l'attenuazione nominale. Oltre un certo valore di attenuazione però l'aumento di attenuazione tende a saturare. Ciò si spiega con il fatto che, aumentando la lunghezza della linea e quindi la sua attenuazione nominale, i "pezzi" di linea che si vanno man mano aggiungendo sono soggetti ad un ROS ormai basso (vedi Figura 19) e forniscono quindi un contributo sempre più modesto all'aumento dell'attenuazione.

A chi sia interessato a comprendere il motivo fisico del perchè il ROS>1 causi un aumento dell'attenuazione della linea (seppur spesso modesto o modestissimo) faccio osservare come l'aumento della potenza dissipata nella linea nei tratti in cui la tensione (o la corrente) è più elevata di quella che si avrebbe con ROS= 1 non risulta compensato dalla diminuzione della potenza dissipata nella linea nei tratti in cui la tensione (o la corrente) è più bassa di quella che si avrebbe con ROS= 1. Ciò in quanto la potenza dissipata cresce con legge quadratica rispetto a tensione ed corrente.

 

Un esempio chiarificatorio

Si riporta qui un esempio inteso a verificare il grafico di Fig. 21, facendo riferimento ad una linea che abbia un'attenuazione propria pari a 2,0dB e su cui viga un ROS= 7. Dalla Figura 21 risulta un aumento dell'attenuazione causato da ROS pari 2,5 dB, per un'attenuazione totale di 4,5 dB. Nell'esempio considerato si ha allora:

Pertanto:

 

Un altro esempio chiarificatorio

Illustriamo ora un altro interessante esempio di applicazione dei grafici riportati nelle Figure 20 e 21. Supponiamo ora di avere un sistema di trasmissione costituito da:

Studiamo ora separatamente il comportamento del sistema in trasmissione ed in ricezione.

Sembrerebbe quindi che la linea attenui di più in trasmissione che in ricezione, cosa invece del tutto non vera come dimostrato dalle seguenti considerazioni:

In conclusione la perdita complessiva del sistema (data dalla somma dell'aumento dell'attenuazione della linea dovuto a ROS e della perdita di disadattamento) è comunque pari a 1,25 dB, sia in trasmissione che in ricezione.

 

Cause fisiche delle perdite nelle linee

In chiusura approfondiamo un discorso al quale si era precedentemente accennato e cioè che, tipicamente, l'attenuazione della linea è maggiormente causata dalle perdite nel rame che dalle perdite nel dielettrico. Ad esempio, per il cavo Times LMR-400, che ha un diametro esterno similare a quello dell'RG-213 ed isolamento di tipo foam, l'attenuazione complessiva (in dB per metro) è data dalla somma:

ove f è espressa in Hz

Utilizzando dette formule è possibile ottenere il grafico mostrato in Fig. 22.

Figura 22

A tal proposito valgono le seguenti osservazioni:

 

 

10. IMPIEGO DI LINEE CON IMPEDENZA DIVERSA DA 50 OHM

Generalità

Prima di considerare il possibile impiego di linee che abbiano impedenza diversa da 50 ohm (o da 52 ohm in alcuni casi), può essere interessante comprendere il motivo per il quale detto valore di impedenza sia stato adottato come standard praticamente universale.

La scelta dell'impedenza di 50 ohm nasce dal compromesso tra il valore ottimale dal punto di vista dell'attenuazione ed il valore ottimale dal punto di vista della potenza di picco ammissibile (N.B. non della potenza media; probabilmente si era più interessati alle applicazioni radar nelle quali, come noto, si registrano forti di valori di potenza di picco e meno forti valori di potenza media). A tal proposito:

La media aritmetica tra i due valori è 53.5 ohm, quella geometrica è di 48 ohm. Da ciò discende la scelta di 50 ohm come valore di compromesso.

Tutto ciò premesso, esaminiamo brevemente quali siano le altre impedenze che vengono più comunemente adottate:

Vale appena la pena di ricordare che, utilizzando una linea che abbia impedenza diversa da quella dell'antenna ma sia lunga multipli di mezze lunghezze d'onda, il trasmettitore vedrà comunque l'impedenza dell'antenna inalterata. Ciò anche se, ovviamente, sulla linea sarà presente un ROS> 1.

Nel seguito si espone qualche considerazione in merito al'impiego dei cavi da 75 ohm e della piattina da 300 ohm.

 

Linee a 75 ohm

Per quanto riguarda le linee a 75 ohm, va innanzitutto osservato come la scelta di questo valore per i sistemi di ricezione TV è probabilmente legata al fatto che, come sopra detto, questo valore comporta la minima attenuazione (mentre per i sistemi TV non ha interesse sostenere un'elevata potenza di picco). In realtà però, per i normali cavi che non impiegano aria come dielettrico, il minimo di attenuazione si registra intorno ai 64 ohm. Un'altro possibile motivo e che le antenne dipolo hanno impedenza vicina a 75 ohm, mentre quelle a dipolo ripiegato hanno un'impedenza di 300 ohm, però facilmente trasformabile a 75 ohm utilizzando un balun con rapporto 1:4 (anche se, oggi, per la ricezione TV si utilizzano tipicamente antenne Yagi multi-elemento, che presentano valori di impedenza più bassi).

L'interesse che spesso si riscontra per l'utilizzo di linee a 75 ohm, anzichè a 50 ohm, si giustifica come segue:

A tal proposito va rilevato quanto segue:

Per quanto riguarda il ROS, non è detto che, utilizzando una linea da 75 ohm al posto di una da 50 ohm, la situazione debba necessariamente peggiorare. Se da una parte è vero che in presenza di un'antenna ideale cioè con [R= 50 X= 0], il cavo da 75 ohm comporterebbe ROS= 1.5, dall'altra è anche vero che in presenza di un'antenna che abbia ad esempio [R= 100 X= 0] si avrebbe ROS= 1.33, ovvero un valore inferiore al ROS= 2 che si manifesterebbe qualora si usasse un cavo da 50 ohm.

Ciò premesso, va osservato come, utilizzando un normale misuratore di ROS calibrato su 50 ohm, non sia possibile stabilire quale sia il valore di ROS effettivamente vigente sulla linea da 75 ohm. Tale limitazione discende dal principio sul quale si basano i misuratori di ROS (vedi par. 4), secondo cui misura del ROS è strettamente legata al valore d'impedenza rilevato dal misuratore, e la cui relazione con il ROS perde validità quando misuratore risulti calibrato su un'impedenza diversa da quella caratteristica della linea.

Nella pratica, fissato il valore di ROS effettivamente presente sulla linea da 75 ohm, il misuratore calibrato su 50 ohm fornirà delle indicazioni diverse in funzione della lunghezza della linea stessa. Detta situazione è rappresentata in Figura 23 la quale,  in corrispondenza ad ogni valore di ROS effettivamente presente sulla linea a 75 ohm, delimita il campo (lettura minima - lettura massima) entro cui cadono le letture del misuratore calibrato su 50 ohm. Ad esempio per ROS = 1.75 sulla linea da 75 ohm, il misuratore di ROS calibrato su 50 ohm potrebbe indicare un qualunque valore compreso tra circa 1,15 e circa 2,65, in funzione della lunghezza della linea.

Figura 23

Le misure così effettuate possono quindi solo dare delle indicazioni di larga massima sul ROS effettivo. Ad esempio, misurando ROS= 1,5, è possibile stabilire che il ROS effettivo sarà comunque non superiore a 2,25. Oppure misurando ROS= 2,25, il ROS effettivo sarà comunque non inferiore a 1,5.

L'impossibilità di misurare con certezza il ROS effettivo (a meno che non si disponga di un misuratore calibrato su 75 ohm) lascia dell'incertezza nella determinazione della attenuazione aggiuntiva causata da ROS (vedi par. 9).

Osservando la Figura 23 val la pena di evidenziare due aspetti:

Chiusa la disamina sul ROS, val la pena di fare qualche considerazione sull'impedenza vista dal trasmettitore, in quanto è proprio questa a condizionare il trasferimento di potenza dal trasmettitore alla linea (vedi par. 6). Poichè l'impedenza vista dal trasmettitore assumerà necessariamente uno dei possibili valori che corrispondono al valore di ROS misurato (con riferimento a 50 ohm), anche in questo caso si potrà far riferimento alla Figura 23.

Per dare un'idea di cosa accada sostituendo la linea da 50 ohm con una da 75 ohm, si riportano alcuni esempi che si riferiscono a diversi valori del carico di terminazione. Negli esempi di dirà che la situazione "migliora" quando risulta essere più basso il valore di ROS al quale corrispondono i possibili valori di impedenza (e viceversa se "peggiora"):

Si è infine verificato che:

 

Linee a 300 ohm

Passando a considerare brevemente le linee a 300 ohm (piattina TV), va osservato come detto valore di impedenza fu probabilmente scelto al'inizio dell'era della TV, quando si usavano antenne a dipolo ripiegato che hanno appunto impedenza di 300 ohm.

La piattina a 300 ohm viene talvolta prescelta per la sua bassa attenuazione, specie quando si abbia a che fare con antenne che presentino valori d'impedenza incontrollati (ad es. canna da pesca utilizzata su più bande di frequenza, con accordatore in stazione) e che comportino quindi valori elevati di ROS sulla linea. Il ragionamento è che, se l'attenuazione della linea è bassa, sarà anche bassa l'attenuazione addizionale dovuta al ROS (vedi par. 9).

In realtà questo tipo di ragionamento non tiene bene in conto il fatto che l'attenuazione dichiarata dal costruttore della linea è quella che si misura quando la linea è caricata sulla propria impedenza caratteristica. La bassa attenuazione dichiarata per la piattina è principalmente legata al fatto che, quando venga caricata su 300 ohm, solo una piccola parte della potenza applicata viene dissipata in calore a causa di perdite ohmiche, che come noto sono date dal prodotto della resistenza del conduttore per il quadrato della corrente che lo attraversa (trascurando le perdite nel dielettrico come detto al par. 9).

Orbene la bassa dissipazione della piattina non è tanto dovuta alla bassa resistenza dei conduttori (tanto è vero che questi hanno un diametro tutto sommato modesto), ma quanto al fatto che, con un carico da 300 ohm, la corrente RF è 2,45 volte più bassa della corrente che si misura in un cavo da 50 ohm a parità di potenza.

Quando la linea sia caricata su un'impedenza incontrollata, quello che più conta è la bassa resistenza dei conduttori e da questo punto di vista la piattina a 300 ohm certamente non eccelle.

 

Adattamenti di impedenza

In chiusura si vogliono brevemente menzionare delle tecniche che permettono di adattare tra loro impedenze diverse utilizzando appositi spezzoni di cavo. Diciamo subito che queste tecniche hanno lo svantaggio, rispetto all'impiego di trasformatori RF, di funzionare solo sulla frequenza di progetto, con larghezze di banda generalmente non elevate,

La prima tecnica, quella del trasformazione in quarto d'onda, è stata già menzionata al par. 3. E' una soluzione semplice, ma spesso richiede l'utilizzo di sezioni di adattamento che abbiano valori di impedenza non disponibili commercialmente o quanto meno difficilmente reperibili.

Un'altra tecnica che presenta questo problema in maniera più limitata è il sistema di adattamento a trasformatore lineare (vedi Figura 24), il quale utilizza due sezioni di adattamento che hanno la stessa impedenza di quelle da adattare (Z1 e Z2).

Figura 24

La formula per calcolare la lunghezza elettrica di ciascuna sezione di adattamento è (in Excel):

ove L è la lunghezza elettrica di ciascuna sezione (in frazioni di lunghezza d'onda), A1 è l'impedenza Z1 (in ohm), B1 è l'impedenza Z2 (in ohm).

Si ricorda ancora una volta come la lunghezza fisica di una sezione sia pari alla sua lunghezza elettrica moltiplicata per il coefficiente di velocità della linea.

Per esempio, nel caso in cui si debba adattare l'impedenza di 75 ohm a 50 ohm, la formula fornisce una lunghezza elettrica di 0,0815 lunghezze d'onda. In pratica, se la lunghezza d'onda vale 20 metri e il coefficiente di velocità delle sezioni di linea vale 0.659, allora la lunghezza fisica di ciascuna sezione sarà 1,074 metri.

 

 

APPENDICE 1

Convenzioni

Intendiamoci innanzitutto su alcune convenzioni basilari riguardanti le tensioni e le correnti alternate.

Per un qualunque circuito elettronico si dice generalmente che, in ogni istante:

Per i nostri scopi non occorre soffermarci su questioni di natura fisica (quali il potenziale e gli elettroni), ma vanno più semplicemente messi in relazione i segni di tensione e di corrente al fine di poter dare una corretta definizione della fase che vige tra tensione e corrente (cioè senza ambiguità di 180 gradi).

La convenzione adottata è che, in un certo istante, la corrente viene definita positiva se fluisce dal generatore verso il carico viaggiando su quel conduttore che in quel momento è positivo rispetto all'altro (vedi Figura 25).

Figura 25

Dalla Figura 25 risulta anche come la stessa corrente positiva fluisca anche dal carico verso il generatore viaggiando su quel conduttore che in quel momento è negativo rispetto all'altro. Per contro la corrente viene definita negativa se fluisce:

 

Premessa

Torniamo ora all'esempio di Figura 1 nel quale si è considerata un'antenna la cui impedenza abbia componente reattiva X nulla, e la cui corrente sia quindi in fase con la tensione. Non appena ci si allontani dall'antenna lungo la linea abbiamo visto come subito insorga una componente reattiva X non nulla dovuta al fatto che tensione e corrente non si mantengono più in fase tra loro.

Mentre in Figura 1 ci si è limitati a mostrare l'andamento delle componenti R ed X dell'impedenza lungo la linea, in quest'Appendice si desidera esaminare in maggior dettaglio la variazione (cioè l' "onda") della tensione Ve e della corrente Ie effettivamente presenti nei vari punti della linea, sia in ampiezza che in fase.

Successivamente si introdurranno anche i concetti di onda diretta ed onda riflessa, in base ai quali l'onda di tensione effettiva Ve (che va dal trasmettitore verso l'antenna) viene interpretata come sovrapposizione di due onde di tensione Vd e Vr (che vanno rispettivamente dal trasmettitore verso l'antenna e dall'antenna verso il trasmettitore). Stessa cosa per le correnti.

Va rilevato come considerare la tensione effettiva oppure considerare le tensioni diretta e riflessa rappresentino due modi alternativi, ma del tutto equivalenti, di descrivere una stessa realtà.

Lungo tutta questa discussione si è mantenuta l'assunzione di considerare linee ideali senza perdite con impedenza caratteristica di 50 ohm.

 

Andamenti della tensione e della corrente effettive

Il valore istantaneo della tensione Ve presente in un qualsiasi punto della linea di trasmissione, come peraltro anche quello della corrente Ie, varia sinusoidalmente nel tempo alla frequenza del segnale applicato (stiamo qui parlando della tensione e della corrente effettiva sulla linea, e non delle tensioni e correnti dirette e riflesse di cui si parlerà successivamente).

La Ve può essere notoriamente visualizzata come un'onda di tensione che si propaga dal trasmettitore verso l’antenna. Perchè si parla di "onda"? Semplicemente perchè se consideriamo uno dei punti della linea nei quali, ad un certo istante, il valore di Ve è massimo, detto punto si muove lungo la linea proprio come fa la cresta di un onda del mare (teoricamente alla velocità della luce; in pratica alla velocità effettiva si applica un fattore riduttivo denominato "fattore di velocità"). Stessa cosa vale per l'onda di corrente Ie.

Nelle considerazioni che seguono ha spesso interesse considerare, oltre al valore istantaneo della Ve in un certo punto della linea, anche il valore massimo assunto da Ve (detto anche valore di picco Ve). Stessa cosa per la Ie e la Ie. A tal proposito ricordiamo quanto segue:

 

L' onda diretta e l'onda riflessa.

Va ricordato come, per le linee di trasmissione, sia d'uso considerare l'onda di tensione effettiva Ve (di cui si è appena parlato) come sovrapposizione di due onde componenti denominate rispettivamente onda di tensione diretta Vd (che, al pari della Ve, viaggia dal trasmettitore verso l'antenna) ed onda di tensione riflessa Vr (che viaggia invece dall'antenna verso il trasmettitore). La relazione che lega queste grandezze è Ve= Vd+Vr (si tratta chiaramente di una somma vettoriale, nel senso che, al momento di effettuare la somma, occorre tener anche conto della fase relativa tra i due addendi).

Stessa cosa vale per l'onda di corrente effettiva Ie, che può essere considerata come sovrapposizione di due onde componenti denominate rispettivamente onda di corrente diretta Id (che, al pari della Ie, viaggia dal trasmettitore verso l'antenna) ed onda di corrente riflessa Ir (che viaggia dall'antenna verso il trasmettitore). Pertanto, in ogni punto della linea, si ha che Ie= Id+Ir (di nuovo si tratta di una somma vettoriale).

Considerare l'onda di tensione (e di corrente) effettiva come scissa in un onda diretta ed in un onda riflessa è solamente un modo alternativo (sebbene del tutto equivalente) di vedere le cose, che è frutto di un'astrazione mentale (nella realtà delle cose di tensione, come pure di corrente, ne esiste una sola, ovvero la Ve e la Ie). Peraltro detta scissione nelle componenti diretta (Vd ed Id) e riflessa (Vr ed Ir) presenta certi vantaggi nei riguardi della trattazione matematica e quindi della comprensione dei fenomeni.

E' importante rilevare come la Vd e la Vr mostrino un comportamento molto diverso da quello della Ve (stessa cosa vale per Id ed Ir nei confronti di Ie). Infatti si può osservare come per qualunque valore di ROS:

La Ve risulterà massima, e pari a Vd+Vr, nei punti della linea dove Vd e Vr risultino essere in fase tra loro. Risulterà invece minima, e pari a Vd-Vr, nei punti della linea dove Vd e Vr risultino essere in opposizione di fase (ovvero sfasate di 180 gradi). L'andamento sinusoidale della Ve mostrato nell'esempio di Figura 18 dipende proprio dal fatto che in certi tratti di linea Vd e Vr si sommano costruttivamente (fino a giungere al valore massimo di Vd+Vr), mentre in altri tratti distruttivamente (fino ad un valore minimo di Vd-Vr). Identico ragionamento per Ie che varia tra Id+Ir (Id in fase con Ir) e Id-Ir (Id in opposizione di fase con Ir).

Va peraltro rilevato come

Detti valori massimo e minimo di impedenza coincidono proprio con i due valori di R che, come visto al par. 3, risultavano associati al valore di ROS vigente sulla linea tramite le relazioni ROS= R/50 e ROS= 50/R.

In quanto sopra esposto risulta fondamentale il fatto che, come già detto, mentre Id è sempre ed ovunque in fase con Vd, Ir è sempre ed ovunque in opposizione di fase con Vr.

Vd, Vr, Id e Ir sono calcolabili utilizzando le seguenti relazioni (in formato Excel):

ove A1 è l'impedenza caratteristica della linea (in ohm), B1 è la potenza RF (in W) e C1 è il valore di ROS.

In chiusura, un'osservazione forse banale ma fondamentale. Le grandezze relative all'onda diretta ed a quella riflessa, ovvero Vd, Vr, Id, Ir, esistono (e sono quindi direttamente rilevabili) solo all'interno della linea. Al di fuori della linea esistono solo Ve e Ie

 

Degli esempi pratici

Tutto ciò detto, sembra ora opportuno proporre degli esempi riferiti a casi pratici. Consideriamo quindi un caso ipotetico nel quale viga sulla linea ROS= 3. I punti della linea in cui l'impedenza risulta essere puramente resistiva sono quelli in cui l'impedenza vale:

Le Figure 26 e 27 riportano Vd, Vr e Ve (rispettivamente le ampiezze di picco Vd, Vr e Ve e le fasi)  nel punto ad impedenza [R= 150 X= 0] e quindi lungo la linea a partire da quel punto, avendo assunto che la potenza RF applicata sia pari a 100W.

 Figura 26

Figura 27

Alcune note:

Dai grafici di Figura 26 e Figura 27 si evince quanto segue:

Per gli interessati riporto in formato Excel le equazioni che definiscono l'andamento lungo la linea della Ve (sia l'ampiezza di picco Ve che la fase). Ciò in funzione della potenza RF applicata e delle impedenze.

RADQ((RADQ(2)*RADQ(C1*B1))^2+((RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*((A1/B1-1)/(A1/B1+1)))^2 - 2* ((A1/B1-1)/(A1/B1+1))*(RADQ(2)*RADQ(C1*B1))^2*COS(PI.GRECO()-RADIANTI(720*D1)))

-GRADI(ARCTAN.2(((RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*COS(RADIANTI(360*D1))+(RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*((A1/B1-1)/(A1/B1+1))*COS(RADIANTI(-360*D1)) );((RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*SEN(RADIANTI(360*D1))+(RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*((A1/B1-1)/(A1/B1+1))*SEN(RADIANTI(-360*D1)))))

ove A1 è l'impedenza (puramente resistiva) di carico (in ohm), B1 è l'impedenza caratteristica (puramente resistiva) della linea (in ohm), C1 è la potenza applicata (in W) e D1 è la distanza elettrica dal carico (in lunghezze d'onda).

Passiamo ora a considerare le correnti. Le Figure 28 e 29 riportano Id, Ir e Ie (rispettivamente le ampiezze di picco Id, Ir e Ie e le fasi)  nel punto ad impedenza [R= 150 X= 0] e quindi lungo la linea a partire da quel punto, avendo assunto che la potenza RF applicata sia pari a 100W.

Figura 28

Figura 29

Alcune note:

Dai grafici di Figura 28 e Figura 29 si evince quanto segue:

Va rilevato come, qualora le Figure 26, 27, 28 e 29 fossero state prodotte per un'impedenza di partenza di [R= 16,66 X= 0] (invece di [R= 150 X= 0]), si sarebbero ottenuti grafici similari ma invertiti, nel senso che i grafici delle tensioni coinciderebbero con quelli delle correnti e viceversa (a parte ovviamente le scale).

 

Una verifica di coerenza.

Chiariti ormai quali siano gli andamenti di tensione e corrente sulla linea, a questo punto è d’obbligo una verifica di coerenza tra i vari risultati ottenuti.

Poniamoci allora ad una determinata distanza dal punto in cui l'impedenza vale [R= 150 X= 0], e verifichiamo come lo sfasamento che si registra tra Ve ed Ie in quel punto (Figure 27 e 29) sia in linea con l’impedenza che si è calcolato sussistere nello stesso punto (Figura 1).

A tal proposito, supponiamo ipoteticamente di porci ad una distanza elettrica di 0,0625 lunghezze d’onda (che corrisponde ad uno spostamento di fase pari a 22.5 gradi). In quel punto otteniamo i seguenti valori:

Ie si trova quindi in anticipo rispetto a Ve di 51,18-7,86=43,32 gradi.

Peraltro:

da cui si può facilmente calcolare come Ie si trovi in anticipo rispetto a Ve proprio di 43.32 gradi.

La matematica non è un opinione!

 

Parliamo ora di potenze

Prima di affrontare il caso specifico delle linee di trasmissione, è bene riesaminare brevemente il concetto generale di potenza nei circuiti elettrici, in quanto certi aspetti della discussione faciliteranno poi la comprensione delle questioni di nostro interesse.

Diversamente dal caso della tensione continua, la potenza che un generatore di tensione alternata trasferisce ad un carico varia da istante ad istante, in modo ciclico. In pratica però, più che la potenza istantanea, ha interesse il suo valor medio. La relazione tra la potenza media (P), l'ampiezza di picco della tensione (V) e l'ampiezza di picco della corrente (I) è:

ove a è lo sfasamento relativo tra tensione e corrente.

Nota importante:

Ciò premesso, esaminiamo ora un modo alternativo di descrivere il meccanismo di trasferimento della potenza dal generatore al carico. Riferiamoci alla Figura 30, nella quale è mostrato un generatore di tensione che abbia ad esempio il valore di 100 V, con resistenza interna [R= 50 X= 0] ohm e caricato su una resistenza di valore R.

Figura 30

Chiamiamo Pe la potenza effettivamente trasferita dal generatore sul carico. Il teorema del massimo trasferimento di potenza ci assicura che se R fosse anch'essa pari a [R= 50 X= 0] ohm (carico "adattato"), la Pe sarebbe la massima possibile, in questo caso 50 W. Chiamando "potenza diretta" Pd detto valore massimo, allora  nel caso in esame (adattato) si avrebbe Pe= Pd.

Vediamo ora cosa accade per carichi non adattati, ovvero quando R sia diversa da [R= 50 X= 0] ohm, ed in particolare per un carico modificato di un fattore 2 (ovvero raddoppiato o dimezzato rispetto al carico adattato). In entrambi i casi (cioè [R= 100 X= 0] ohm o [R= 25 X= 0] ohm), mentre la Pd rimane immutata (essendo per definizione pari al valore massimo di potenza trasferibile), è facile calcolare che Pe= 44.4W ed è quindi variata, rispetto al caso del carico adattato, di -5.55W. Se chiamiamo detta variazione "potenza riflessa" Pr, si può allora stabilire la formula generale Pe= Pd+Pr (con carico adattato si avrebbe ovviamente Pr=0). Se si considerasse poi una R modificata di un fattore 3 (ovvero [R= 150 X= 0] ohm o [R= 16,66 X= 0] ohm) si avrebbe Pe= 37.5 W e Pr= -12.5W.

Perchè tutto questo ragionamento? Semplicemente per dimostrare come la stessa realtà fisica possa essere interpretata in due modi diversi ma del tutto equivalenti, ovvero:

Dopo aver dimostrato come i concetti di potenza diretta e riflessa siano definibili in generale per i circuiti elettrici, e quindi non solamente per le linee di trasmissione, riprendiamo a considerare il concetto di potenza con specifico riferimento a  queste ultime.

In ogni punto della linea è possibile definire la potenza media Pe che effettivamente fluisce  attraverso quel punto mediante la relazione:

ovvero in formato Excel:

ove Pe è espressa in W, A1 e B1 sono rispettivamente i valori di picco della tensione Ve (in V) e della corrente Ie (in A) nel punto di linea considerato, e C1 è pari allo sfasamento relativo (in gradi) tra Ie e Ve (N.B. il fattore 0.5 sparirebbe se si considerassero il valori efficaci di tensione e corrente invece che i valori di picco).

Valgono le seguenti osservazioni:

ove Pe è espressa in W, A1 è il valore di picco della tensione Ve (in V), B1 è il valore di picco della corrente Ie (in A) e C1 è pari alla resistenza (in ohm) nel punto di linea considerato.

Tutto ciò premesso, passiamo ora al già considerato modello secondo cui l'onda (di tensione o di corrente) è la sovrapposizione in un'onda diretta ed in un'onda riflessa. In tale ipotesi è ovviamente possibile definire la potenza media associata a ciascuna delle due onde, che chiamiamo rispettivamente potenza diretta Pd e potenza riflessa Pr, le quali valgono rispettivamente:

Per quanto riguarda l'onda diretta, va rilevato come in ogni punto della linea Id risulti essere in fase con Vd (a1= 0), e ciò rende il fattore coseno sempre uguale ad 1. Pertanto Pd è una grandezza costante e positiva che vale Pd= 0.5*Vd*Id. Essa fluisce quindi dal trasmettitore verso l'antenna.

Stesso ragionamento vale per l'onda riflessa, ma si era visto come Ir risulti essere sempre in opposizione di fase con Vr (a2= 180). Pertanto il fattore coseno vale sempre -1 e Pr risulta quindi una grandezza costante e negativa che vale Pr= -0.5*Vr*Ir. Essa fluisce quindi dall'antenna verso il trasmettitore.

Come prima visto Pe= Pd+Pr.

Un'osservazione su questa relazione. Teoremi basilari dell'elettronica stabiliscono come le potenze trasportate da segnali di identica frequenza (come lo sono l'onda diretta e l'onda riflessa), e quindi correlati, non siano direttamente sommabili. Pertanto stabilire che Pe sia pari alla somma di Pd e Pr non sarebbe normalmente lecito. In realtà nel nostro caso la relazione Pe= Pd+Pr è corretta per i fatto che, come già visto, Pr è negativa, e va quindi di fatto a sottrarsi dalla Pd, e non a sommarsi con questa.

Per dimostrare questo fatto seguiamo la procedura corretta di calcolo della potenza totale quando si abbia a che fare con dei segnali correlati. Si dovranno dapprima calcolare, nel punto considerato della linea, la tensione totale (come somma di Vd e Vr) e la corrente totale (come somma di Id e Ir), e quindi calcolare la potenza totale Pe tramite la già vista relazione (in Excel):

ove però stavolta A1 è il valore di picco della tensione somma Vd+Vr (in V), B1 è il valore di picco della corrente somma Id+Ir (in A) e C1 è pari allo sfasamento relativo (in gradi) tra tensione somma e corrente somma  (tutte le grandezze sono relative al punto di linea considerato).

Naturalmente A1 e B1 dipenderanno entrambi dal particolare punto della linea considerato, in quanto la fase tra Vd e Vr (come pure quella tra Id e Ir) varia lungo la linea. Nonostante ciò però la formula fornisce una Pe che è ovunque la stessa.

Essendo anche Pd e Pr costanti, la relazione tra Pe, Pd e Pr deve essere la stessa in qualsiasi punto della linea, e può essere quindi determinata in un punto della linea a piacere. Allora, per semplicità, sceglieremo un punto ove:

Per quanto riguarda C1, dato che:

risulta immediatamente come l'angolo tra la tensione Vd+Vr e la corrente Id+Ir sia pari a zero, e quindi come cos(C1)= 1.

In definitiva la relazione tra Pe, Pd e Pr è la seguente:

Pe=  0.5*(Vd+Vr)*(Id-Ir)= 0.5*(Vd+Vr)*(Vd/50-Vr/50)= (Vd^2)/100 +(Vr^2)/100=  Pd+Pr

Con riferimento al segno negativo della Pr, si ricorda come i tipici misuratori di potenza RF mostrino il valore di Pr senza però indicarne anche il segno negativo. Ecco perchè si è abituati a sottrarre la Pr dalla Pd,invece che sommarla. Tale modo di esprimersi corrisponde in pratica alla relazione Pe= Pd-|Pr|.

Come prima detto, non avrebbe senso asserire che la Pr "rientri nel trasmettitore" causando danni allo stadio finale.

Piuttosto andrebbe sottolineato il fatto di come la Pd indicata dal wattmetro sia, con ROS> 1, maggiore della Pe effettivamente erogata dal trasmettitore, in quanto a quest'ultima è stata sottratta la Pr.

A tutti gli effetti è come se il trasmettitore riflettesse nuovamente la Pr verso l'antenna. Pertanto la Pr, cambiando verso e quindi segno (da negativa a positiva), si andrebbe a sommare alla potenza erogata dal trasmettitore Pe, dando così luogo alla Pd (che come già visto, per ROS> 1, ha valore superiore a quello della Pe).

 

 

APPENDICE 2

La Figura 1 fornisce un esempio di come varino le componenti resistiva (R) e reattiva (X) dell'impedenza quando ci si muova lungo la linea nel caso in cui l’antenna non sia adattata (ovvero abbia impedenza diversa da [R= 50 X= 0]). In quest'Appendice si desidera illustrare degli aspetti che dovrebbero facilitare la comprensione di tale comportamento.

Al solo fine di fornire delle indicazioni quantitative, e senza perdita di generalità, faremo quì riferimento ad una discesa d'antenna realizzata in cavo RG-58, che può essere considerata come costituita da tanti pezzetti di cavo RG-58 lunghi ciascuno 10 cm e posti uno di seguito all'altro (ovvero in cascata). Tale situazione è mostrata in Figura 31, ove i pezzetti di cavo da 10 cm vengono visualizzati come tanti "vagoncini", il primo dei quali si suppone sia connesso ad un'antenna adattata, ovvero con impedenza [R= 50 X= 0].

Figura 31

Supponendo ipoteticamente che il cavo considerato non abbia perdite e non presenti quindi attenuazione alcuna, ciascun vagoncino può considerarsi costituito da una cella a pi-greco (vedi Figura 31) che comprende due condensatori e un’induttanza. Per determinare, nel caso in esame, il valore dei componenti di tale modello elettrico del vagoncino si procede così:

ove Zo è l’impedenza caratteristica del cavo (in ohm), A1 è pari al valore di induttanza del vagoncino (in uH) e B1 è pari al valore3 di ciascun condensatore del vagoncino (in pF).

Dopo aver determinato che l'induttanza deve valere 0,02399806 uH, è facile determinare, utilizzando le normali formule dei circuiti a pi-greco, che se un qualsiasi vagoncino viene terminato su [R= 50 X= 0] esso presenta lo stesso valore di impedenza al vagoncino successivo (come mostrato in Figura 31). Di conseguenza il trasmettitore, che è posto all'altra estremità del cavo, vedrà anch’esso [R= 50 X= 0].

Vediamo ora cosa avviene se l’antenna sia invece non adattata, supponendo - a titolo di esempio - che la sua impedenza valga [R= 150 X= 0], quindi con  ROS= 3. Tale valore è stato appositamente scelto per poter prontamente paragonare il comportamento del modello elettrico a pi-greco con il comportamento reale (visualizzato in Figura 1, che è appunto relativa al caso di impedenza pari a [R= 150 X= 0]).

Sono stati quindi calcolati, di nuovo utilizzando le normali formule dei circuiti a pi-greco, i valori di impedenza visti da ciascun vagoncino da 10 cm, valori che - in questo caso -  risultano avere anche una componente reattiva X (vedi Figura 32).

Figura 32

A questo punto è possibile paragonare i valori di impedenza visti da ciascun vagoncino con quelli che risulterebbero applicando invece le formule teoriche delle linee di trasmissione, diagrammati in Figura 1. Le Figure 33 e 34 mostrano come varino rispettivamente resistenza e reattanza lungo la linea, sia secondo il modello a vagoncini di tipo pi-greco che secondo le formule teoriche. In particolare dette figure rappresentano gli andamenti lungo i primi 110 cm di cavo (11  vagoncini da 10 cm) a partire dall'antenna, nel caso in cui la frequenza di lavoro sia 100 MHz. Per tale valore di frequenza, la mezza lunghezza d’onda si raggiunge a 98,85 cm dall’antenna (avendo tenuto in conto un fattore di velocità del cavo pari a 0,659).

Figura 33

Figura 34

Esaminando i grafici si conferma come, nel caso delle formule teoriche (curve rosse), l'impedenza che viene vista a mezza lunghezza d'onda (ovvero a 98,85 cm di distanza dall'antenna) sia identica a quella dell'antenna stessa (sia la R che la X).

Nel caso del modello a celle di tipo pi-greco sussiste invece un leggerissimo scostamento a destra, dovuto ai seguenti fattori concomitanti:

In definitiva si può certamente asserire come il modello a pi-greco qui considerato ben rappresenti la realtà delle cose.

Tutto quanto detto è basato sull’ipotetica supposizione che il cavo non presenti alcuna attenuazione. Vediamo allora cosa accade nel caso reale, ovvero quello in cui il cavo abbia invece delle perdite, ponendo nostra attenzione sull'impedenza caratteristica.

In questo caso la cella di tipo pi-greco si modifica come mostrato in Figura 35, nella quale ora non facciamo più riferimento ad una determinata lunghezza (10 cm) del particolare cavo RG-58, bensì ad una cella di lunghezza infinitesimale di un cavo generico.

Figura 35

Si notano le seguenti differenze:

Con riferimento al modello di Figura 34, l’impedenza caratteristica del cavo Zo= Ro + Xo (in ohm) è esprimibile (in formato Excel):

ove A1 è la reattanza (senza segno) di C alla frequenza di lavoro (in ohm), B1 è la reattanza di L alla frequenza di lavoro (in ohm), C1 è la resistenza di Rs  (in ohm) e D1 è la conduttanza di Rp (in Siemens).

Giocando con le formule, è possibile stabilire quanto segue:

 

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