"Se la passione del Petrarca fosse stata appagata, il suo canto sarebbe ammutolito"
Arthur Schopenhauer
PATHOS METROPOLITANO
La lezione all’università sarebbe iniziata soltanto nel tardo pomeriggio, ma questo per Manuel non era poi così essenziale. Più che il ticchettio dell’orologio, era una volontà rassegnata a scandire i ritmi delle sue giornate, a farlo oscillare di continuo tra nausee gratuite ed inguaribili euforie.
Salì sull’autobus a passi lenti, consumando con freddezza e decisione il suo quotidiano crimine allo Stato.
<<Cazzo di biglietto devo pagare? So’ due ore che aspetto!!>>
Si mise a sedere come al solito nell’ultima fila. Piegò una gamba. Accese il Walkman. Infilò gli occhiali da sole e nascose al meglio quegli occhi che la noia pomeridiana aveva reso spenti e gonfi. Ogni suo movimento era un atto di ribellione interna, appositamente studiato per avventarsi contro l’ovvietà del quotidiano. Ma questo vedersi vivere ed essere continuamente spettatore della propria esistenza lo paralizzava e rendeva innaturali e manierati i suoi atteggiamenti.
Si contorceva così con tali pensieri. Finalmente la musica, cupa e dissonante, lo avvolse, straziandogli i timpani. In un attimo lo sguardo si fece provocatorio e distaccato, si protese ad immaginare gli altri, protetti nel loro accomodante siparietto, come ridicoli corpi che si agitavano senza scopo in un gesticolare fatuo e fastidioso.
<<Guarda quei due «coatti»! Sono così pieni di sé nei loro vestitini alla moda!… e quelle due «puttanelle», come li celebrano…Apparire e calcolare, calcolare ed apparire. Solo questo sanno fare. Si costruiscono il loro mondo e ci sguazzano dentro così bene! E tutto il resto diventa insignificante>>.
Più li guardava, più li trovava inutili nelle loro certezze adolescenziali. Alzò il volume del Walkman, scosse rapidamente la testa, si passò una mano tra i capelli, fieramente portati scomposti. Guardò l’ora, si accorse del ritardo. La strada rigurgitava continuamente veicoli; gli umori repressi dei guidatori erano assuefatti al caldo, l’autobus era bloccato in mezzo al traffico. Cominciò a sudare, e a ciò si unì l’ansia del ritardo alla lezione.
<<Sempre così…>>, sbuffò :<< ho una tale confusione in testa! ci si mette pure ‘sta cazzo di città!!>> e cercò uno sguardo che confermasse quell’indignazione.
Ma gli anziani sonnecchiavano sui propri ricordi. Di contro, dal gruppetto di giovani si alzava ogni tanto qualche feroce bestemmia. Manuel, disgustato, comprese che ad uno come lui sarebbe spettata una più dignitosa e stoica pazienza.
<<Perché tanto urlare? A che serve un ribellismo così fine a se stesso>>.
La sfrontatezza dei comportamenti altrui rinnovava continuamente il suo rancore esistenziale, ma allo stesso modo gli permetteva di mettere in scena uno dei suoi personaggi preferiti, il Manuel–poeta del disagio.
Quando l’autobus svoltò verso la strada del capolinea, guardò attraverso il vetro. Un randagio camminava sul marciapiede ad occhi bassi, pronto a mendicare un sorriso dai passanti.
<<Io sono come lui>>, pensò: << vivo la sua stessa patetica ingenuità>>.
Scese dall’autobus che si era alzato un forte vento. Si strinse il cappotto attorno alla sua esile figura. Si guardò attorno. Vide «menzogne» scritte su cartelloni a caratteri cubitali, propositi ipocriti accompagnati da volti sorridenti, ammiccanti sporgenze femminili. Comprese allora di essere infelice. Infelice ma consapevole di sé, poiché da quella scarna esistenza avrebbe fondato il luogo della sua poesia .
Sarebbe diventato un grande scrittore, un novello Leopardi. Oppure un giornalista, un profeta, la gente lo avrebbe ammirato e rispettato. La primavera timidamente mostrava i suoi segni, trascinandosi dietro le prime utopie estive.
<<Mi sento così leggero che potrei volare… e non avere bisogno d’altro>> mormorò oramai in preda ad un delirio etereo. Ma qualcosa lo tratteneva ancora a terra. Ed era più pesante dei suoi anfibi neri.
<<Ehi! Mica male quella ragazza>>, sobbalzò: <<…e poi mi stava fissando, ne sono sicuro!>>
Cercò allora di assumere l’espressione più intensa che gli riuscisse, retaggio di ore trascorse a inventarsi un mondo davanti ad un film. Lanciò uno sguardo alla stazione della metro e lei era lì. Si affrettò verso l’edicola.
<<Due biglietti, grazie!!>> disse in un sol fiato.
Il giornalaio conversava con un amabile signorina. I suoi occhi azzurri ponevano qua e là l’accento sulle parole che si diffondevano monotone ed insignificanti. La ragazza annuiva, probabilmente per cortesia.
<<Invece di blaterare>>, pensò Manuel: <<perché non si sbriga!!>>. La coda dell’occhio seguiva la «sua» ragazza.
Fece appena in tempo a salire sul suo stesso vagone, che la trovò seduta ed assorta nella lettura. <<Buona idea>>, pensò. Veniva il momento di mettere in atto una piccola parata, la parata del Manuel-ideale. Estrasse dallo zaino un libro, facendo in modo che chiunque lo volesse potesse lanciare un’occhiata al titolo: «Siddharta di Hermann Hesse, un classico, ma non troppo audace.
Si passò una mano tra i capelli e le gettò un rapido sguardo, il Manuel-conquistatore. Chiese garbatamente scusa ad una signora a cui aveva sfiorato la borsa, il Manuel-dopotutto educato, e si lasciò andare in maniera scomposta su un seggiolino, il Manuel-felino spensierato. Aprì il testo, riprese la lettura lasciata interrotta da mesi, poi girò lentamente la pagina e contrasse lo sguardo, quasi a voler meglio comprendere il senso di un passaggio più oscuro, il Manuel-conquistato dalla magia delle parole. Infine, all’ennesima fermata, finalmente richiuse il libro, alzò gli occhi, ma dai finestrini intravide la ragazza, sua unica degna spettatrice, andarsene, volto anonimo tra la folla.
Scese dalla metro, riconobbe il suo corpo confondersi tra i manichini ben vestiti delle vetrine. Camminava a passi svelti, il bavero alzato, le mani in tasca. Aveva congedato ogni pensiero, un solo sguardo non aveva esitato a gonfiare i suoi desideri, per poi farli schiantare nel baratro del grigiore urbano. Arrivò all’università con le tempie che gli battevano più che per la corsa, per l’impazienza di mettere fine alla sua sdegnosa solitudine. Gettò un rapido sguardo nell’aula, non poteva certo indugiare fermo all’ingresso: <<Lì, nella quinta fila c’è quella ragazza... mi sembra sola>>, pensò e raggiunse il posto <<Scusa>>, disse: <<è libero?>>, <<Sì>> fece lei distrattamente senza alzare neppure gli occhi dal banco. Copiava e copiava avidamente appunti, si passava una mano tra i capelli che scendevano cosi orgogliosi sulle spalle, era incredibilmente perturbante, avvolta in uno stretto maglioncino nero.
Manuel la osservava morboso e riservato. Intorno a lui gli studenti consumavano miriadi di piccoli rituali insensati. Cercò di agguantare qualche parola dai loro discorsi. Due tipi occhialuti criticavano il programma d'esame di un professore.
<<Stanno parlando dello stesso esame che devo sostenere>>, considerò. Si fece coraggio e li interruppe: <<Quindi è vero quello che ho sentito sul professore di psicologia, è veramente così inflessibile. No, sapete, m'interessa perché devo sostenere anch’io l’esame con lui>>. La ragazza alzò finalmente gli occhi dai suoi amati appunti:
<<Stai preparando anche tu Psicologia Sociale?>> gli domandò senza eccessivo interesse.
<<Io…sì>> rispose Manuel. Si era voltato di scatto verso di lei e aveva cercato di assumere l’aria sorpresa di chi s’accorge per la prima volta di avere qualcuno al suo fianco. Continuò: <<Ma è talmente vasto il programma…>>. <<Lo so>>, lo interruppe: <<sai per caso se c'è qualcosa da saltare?>>.
Manuel faceva fatica a mantenersi su quel tono così formale. Avrebbe voluto dare risposte adeguate e concise ma sentiva che la voce gli tremava. Continuarono a parlare per interminabili minuti, trascinandosi dietro alle solite frasi.
<<. .. comunque io sono Laura>> gli disse infine, quando il professore aveva oramai iniziato a parlare. <<Ah.. . piacere Manuel>> rispose a bassa voce.
La lezione si trascinò per più di un'ora senza interruzione. Laura riprese a scrivere, riempiva pagine intere, sembrava non curarsi più di lui. Manuel sentiva ansimare le sue pretese, avanzare sulla pelle, trasformarsi in vampate di calore, spegnersi infine nel gelo dell’indifferenza che gli era seduta accanto.
<<Bhe, ciao>> gli disse in tono conclusivo. <<Ciao>>, rispose Manuel, come riemergendo dagli antri più polverosi dei propri pensieri. Eppure doveva dirle qualcosa. <<Ci vediamo alla prossima lezione?>> le domandò, ma si pentì subito di aver assunto quel tono così affettato. <<Sì. Alla prossima>> rispose lei, cordiale e sorrise.
Manuel rimase per un po’ confuso. Immobile, vide Laura dileguarsi tra la folla di studenti che guadagnavano in fretta le uscite. L’aula andò lentamente svuotandosi.
Occorsero una manciata di secondi. Poi capì il disinganno che quel sorriso aspro e tagliente aveva celato e una sensazione di completo disfacimento lo sorprese: <<Questa era l’ultima lezione!>>.
Per la strada, nonostante l’ora tarda alcuni avevano ancora l'ardire di fermarsi a scherzare. Lui no. Voleva semplicemente tornare a casa. Prese l'autobus. Si guardò attorno, gli fece uno strano effetto vederlo vuoto. Si sedette come al solito nell’ultima fila.
Manuel fissò per un po’ la fila di auto fuori dal vetro, finchè non s’addormentò.