Agli spiriti libertini

 

 

ATTO I

Si erano dati appuntamento alle quattro del pomeriggio. Al Bar 2000. Erano appena passate le cinque quando vidi il volto infame di Tony comparire tra le tendine che ogni estate il vecchio Agostino appendeva, oramai consunte, sulla soglia dell'ingresso, a scacciar via quell'afa catramata che ad Agosto s'infilava su per la gola e sembrava che ti cementasse il respiro. Tony entrò ed io serrai i pugni e morsi le labbra con una rabbia che spaventò pure me, ma era questo l'unico benvenuto che quel bastardo si meritava. Agostino lo salutò da dietro il bancone, gli fece cenno di seguirlo. Oltre che proprietario del bar, Agostino era mio suocero, io e sua figlia c’eravamo amati una notte d'un anno prima e c’eravamo legati l'uno all'altro, semplicemente. Ed avevo goduto perché in quel periodo Tony era al gabbio e la rabbia appena lo seppe fu tanta che prese la sua moto e scappò via ubriaco dalla Roma infuocata di quegli anni Settanta, corse su per le strade fino ai Castelli, ruzzolò in un burrone e restò lì tutta la notte a spremere la rabbia rossa che usciva a fiotti dalle ferite. Ma non poteva farci niente il povero stronzo, se solo avesse alzato un dito contro di me, i figli del bar 2000 lo avrebbero massacrato. Mi rispettavano; Lucia è l'unica figlia che ho, mi aveva ripetuto spesso la signora Gina, fatti una famiglia, portala via da qui.

Dal tono delle voci che sopraggiungevano confuse dal retro bottega, capii di cosa stavano trattando. Le parole di Agostino si erano fatte sempre più incerte, ridotte a qualche sì, mentre l'Infame parlava, parlava, quasi che avesse una serpe in bocca e la faceva uscire a corrodere col suo veleno il corpo del vecchio barista. Finalmente tacquero, Tony riapparve soddisfatto, si stiracchiò con cura il collo alto della camicia, se n’andò in fretta, ad occhi bassi. Sentii il rombo del motore accelerare, ingranare la prima e partire con violenza, un colpo di frusta sferzato nell'aria stantia e due lunghe strisce nere incise sull'asfalto. Agostino non aveva avuto scelta e il maggiore, Franco, era al Regina Coeli, cinque anni ancora per contrabbando, il ricorso in appello, gli avvocati da pagare.

ATTO II

Entrò Carmelo. Camminava a passi lenti e cadenzati come il migliore dei blues sporchi dei Led Zeppelin. "È passato Tony?", mi domandò, dopo avermi poggiato una mano sulla spalla. Aveva stampata in volto un'espressione dura, la bocca chiusa a salvadanaio. Gli risposi di sì, ma come al solito, non prestai attenzione alle sue parole, seguivo l'eco diffuso nell'aria dai suoi pensieri. Mi chiese se avevo bisogno di un po’ di roba buona, gli dissi di no, ero stupito, con i buchi io non avevo nulla a che vedere, lui stranamente sorrise "se devi fa' un figlio con Lucia è meglio che stai pulito", e mi rifilò un cinquanta carte nei pantaloni. Quando mi accorsi della sua mano infilarsi nelle mie tasche, ebbi un fremito, lui indugiò un istante sentendolo diventare duro, poi ritrasse la mano, "porta mia sorella a ballare falla divertire" ed era durato solo un attimo il ricordo di quella sera che completamente sbronzi avevamo fatto l'amore sulla sua auto ed io avevo riso di lui che fuori s'atteggiava come lo Steve Mcqueen di Papillon e invece era lì spaventato e d impacciato, per quella prima volta. No, la nostra era amicizia, quella vera, che ti brucia la pelle e ti punzecchia allo stomaco con tante piccole lame, quando vedi che lui, l'amico, crolla sfatto a terra, le orbite degli occhi schizzate fuori. E Carmelo era crollato parecchie volte a terra, davanti a me e a Lucia, i suoi angeli custodi, come diceva lui.

…anche quella volta, mio generoso eroe, l'ero aveva iniziato a correre lungo le tue vene, pochi attimi di lucidità ti si erano concessi timidi come verginelle e ti avevano permesso di pensare a noi…

Bevve un Martini doppio, Agostino non sprecò neppure una parola tanto era inutile, quel figlio dannato uscì di corsa.

 

ATTO III

La sera dopo Carmelo era uno splendore. Si presentò rimesso a lucido, in doppio petto grigio, i capelli tirati all'indietro, la sua solita espressione da attore consumato. Uscimmo con l’AlfaRomeo 2000, lo stereo a palla, il fumo di un cannone acceso, all'assolo di Whole Lotta Love ci sentivamo eccitati a scansare le macchine che ci venivano addosso, le espressioni dei guidatori accecati e spaventati come conigli di campagna, i nostri abbaglianti, lampeggianti a tempo di musica. Così quando sentimmo una sirena delle guardie accodarsi a noi, fu come uno scherzo e Carmelo si buttò a pesce sull'incrocio. Era rosso, ma fanculo noi ce l'avremmo fatta lo stesso, cazzo, nessuno meglio di lui aveva sangue freddo per queste cose. Così quando passammo, chiusi gli occhi pronto ad assaporare quel momento in cui l'adrenalina ti sale a mille e quasi non raggiungi l'orgasmo immaginandoti di spiccare un volo immortale sopra i palazzi della città, gli stronzi ancora a fermi a terra. Spegnemmo i fari, ci dirigemmo in un vicoletto sperduto, abbandonammo la macchina, recuperando lo stereo e poi ci dirigemmo a piedi al bar. Fu in quel momento che Carmelo mi parlò del colpo in banca, organizzato da Tony. Erano mesi che lo progettavano, ovviamente Lucia non doveva sapere nulla, gli agganci giusti li aveva trovati Franco dal gabbio, Agostino era d'accordo. Toccava solo a me, ero l'unico incensurato, avrei dovuto nascondere a casa dei miei vecchi i soldi, per un po’. Avrei avuto la mia parte, mi sarei sposato con Lucia e ce ne saremmo andati via dall'Alberone. Accettai, naturalmente.

 

ATTO IV

Nelle sere successive al bar vidi la signora Gina agitata. La malattia, penetrata crudele dal collo dell'utero, di lì a pochi anni avrebbe espugnato tutta la sua vitalità. Aveva sentito di quest'ennesimo colpo, preso a sberle il marito, sputato in faccia a Tony e poi era crollata davanti al figlio Carmelo, immobile ad osservarlo, come terribile icona fatalista.

Ma di quella povera donna non potevamo occuparci. Avvertivamo a mala pena la sua vocina, in quei giorni di frastuono martellante guardavamo alla luna riflessa nei falò di qualche strada notturna e allora i desideri diventano sublimazioni, una dolce ribellione erotica ci teneva sempre in tiro, pronta a dissipare in fretta qualsiasi piacere.

Evaporò l’aria d’Agosto, ciò che ne restò furono una manciata di giorni passati a sbattersi per la città, la bocca impastata dal fumo e quella sera al Black-Out, quando un gruppo di cileni avevano tirato fuori i loro ferri per impaurirci e Carmelo aveva risposto spalmando un bicchiere in faccia al più stronzo e ne era venuta fuori una rissa solenne che, porcaputtana, raccontammo per settimane al bar.

…poi venne Settembre ed il colpo sarebbe avvenuto quella mattina, alle otto, all’apertura della banca…

Quella mattina rimasi in casa a scolarmi nervosamente mezza bottiglia di Whisky. Raggiunsi il bar all’ora di pranzo, lo trovai chiuso e "cazzo, qualcosa non aveva funzionato", pensai.

Il resto fu solo una corsa affannata a casa di Lucia, il suo pianto ininterrotto, l’ospedale dove Carmelo e Tony erano stati ricoverati d’urgenza.

La pioggia iniziò a scendere ininterrottamente, quando con Agostino ripercorremmo la viuzza fuori mano che ci condusse al luogo dell’incidente, dove ci fermammo a contemplare, tra la folla di curiosi, la carcassa dell’auto e quell’albero e ci apparvero come due teneri, maestosi amanti, tanto erano avvinghiati l’uno all’altro.

 

ATTO V

Il corteo delle auto sembrava interminabile. Era una lunga carovana di amici, strozzini, compagni di cella, tutti venuti a dare un ultimo saluto a quell’infame di Tony. Nessuno sapeva se avesse mai avuto genitori o parenti. Carmelo era ancora in ospedale, appena uscito dal coma, doveva risistemare qualche ossa rotta. Tony era finito invece con una lunga lamiera incastrata tra le budella.

Parecchi anni dopo il funerale, io e Lucia ci sposammo. Fu l’ultima grande festa al Bar 2000. Carmelo aveva ottenuto gli arresti domiciliari, si presentò in gran forma e lo vidi contento, mentre agitava la sua testa riccioluta nell’insolita veste di testimone degli sposi e faceva il verso al prete che lo guardava indignato. E poi la signora Gina morì e con lei chiuse il bar 2000. Agostino mollò tutto, se ne tornò nella sua Sicilia. Si risposò anche, qualche anno dopo; andammo al suo matrimonio e fu lì che mi offrì la possibilità di riaprire il bar. Non esitai un istante a rifiutare.

Sette anni più tardi, Carmelo aveva scontato la pena. Per un po’ ci offrimmo di ospitarlo, aveva ripreso a bucarsi, seppure non voleva darlo a vedere. E una sera rientrò a notte tarda completamente fatto. Lo vidi barcollare in salone, sudato e sporco, gli occhi strabuzzanti, biascicava qualche bestemmia. Corsi verso di lui e non fu difficile spintonarlo con violenza fuori dalla porta, facendolo ruzzolare dalle scale per qualche gradino. Restammo per parecchie ore, io, Lucia e il piccolo Matteo, tutti e tre abbracciati ed impauriti nel lettone, mentre Carmelo batteva con violenza alla porta e mi urlava "brutto frocio fammi entrare". Poi smise, lo sentii andarsene e non tornare più.

…caro Carmelo ora sì che t’ho fatto finire….

 

ATTO VI

Anni dopo una telefonata in piena notte ci avverte che Carmelo è ricoverato in ospedale; gironzolando con la moto ubriaco, s’è andato a spappolare il fegato contro un albero. A trenta all’ora.

…."questa può essere la fine di un qualsiasi stronzo, ma non la sua"…. considero sarcastico

Eppure un emorragia interna lo porta via poco prima dell’alba. Mi danno una sua foto recente. Ha i capelli corti e lisci, i baffi, ingrassato ed invecchiato stento a riconoscerlo.