Di tutti gli album di Fabrizio DeAndre', LE NUVOLE (1990-il cui titolo è ovviamente preso a prestito da Aristofane) è sicuramente il più deluso, certo DeAndre' non è mai stato fra gli "entusiasti" della società moderna occidentale o no, l'anarchia (libertaria o socialista che sia) è un sogno, un'ideale per cui si paga un caro prezzo.
Tuttavia, su tutti in questo album si avverte, quasi palpabile, la delusione del cantautore, ironico e sarcastico nel dissacrare i valori della società capitalistica-occidentale, amaro ma pungente nel constatare il fallimento dello Stato, amareggiato nel vedere passare "il cadavere di Utopia"1.
Significativa su tutto è la citazione che apre la parte "scritta" dell'album, ovvero i testi delle canzoni, ma ne parleremo in seguito in quanto non è un inizio, ma un ideale termine del viaggio che DeAndre' incomincia in questo album, che è forse lo stesso viaggio di sempre, ma rivissuto con occhi diversi.
Il primo brano, non è musica, non è canzone, è semplice poesia letta e recitata con lieve sottofondo musicale. Si tratta di "Nuvole", che da il titolo all'album, in cui due donne dialogano sulla natura delle nuvole, appunto. E' una poesia molto particolare, giocata interamente o quasi sul dualismo : a parlare sono una donna giovane e una vecchia, le nuvole stesse "vanno / vengono", "bianche / nere", "una / mille", "sole / stelle"...
Splendida poesia, "le Nuvole", ma non c'e' ancora delusione, quella delusione che è evidentissima, forte, sentita in "Ottocento", canzone provocatoria e sarcastica utile anche per spiegare il titolo "comico" tratto da Aristofane.
Il tono è canzonatorio, infatti, la musica allegra, il punto di vista quello (irriso) di un borghese del Nord Italia che decanta le meraviglie che si è procurato proprio grazie alla società capitalista. Punta di vista, però, quello di De Andre', "sottovento", che egli si ritaglia con una invocazione pseudo omerica ("Cantami di questo tempo / l'astio e il malcontento / di chi è sottovento"), con l'esplicita ammissione di "sputare nel piatto in cui mangia" (continua infatti : "e non vuol sentir l'odore / di questo motore / che ci manda avanti / quasi tutti quanti / maschi femmine e cantanti").
Per il resto, "Ottocento" è e resta una canzone gradevole all'ascolto ma tutto fuorchè memorabile nel panorama di DeAndre' : lunga esternazione dei difetti della società capitalistica, del mercato, incessante rimarcare sull'esistenza di rapporti sociali solo in funzione dare-avere ("che ti trattavo come un figlio") e del movimento frenetico della nostra società ("und Alka Seltzer fur dimenticar").
"Don Raffae'" (scritto con Bubola, oltre al solito Pagani) parte da subito in un'ottica diversa : il punto di vista non è quello di un ricco, bensi' quello di un povero del Sud Italia, uno dei tanti sconfitti della storia tanto cari al cantautore genovese quanto ben caratterizzati da lui fin dalla giovenù : ecco allora questo brigadiere del Carcere di Poggio Reale, Pasquale Cafiero, all'incontro con un boss della malavita, nella carcere stessa, e il bisogno da parte di Cafiero di quest'uomo, Don Raffae', appunto, non solo per la consolazione momentanea di una conversazione, ma proprio per i vantaggi che puo' averne, da questa conversazione, certo maggiori di quelli che gli può offrire lo Stato. Stato che : "prima pagina venti notizie / ventun ingiustizie e lo Stato che fa? / si costerna, s'indigna, s'impegna / poi getta la spugna con gran dignità". Eccola qui la grande delusione, la mafia è soltanto un esempio, la grande delusione è la totale incapacità dello Stato di far fronte a un problema reale ed esistente, passando dalle (abbondantissime) parole ai fatti.
La "Domenica delle Salme" conclude degnamente il primo lato dell'album, e ne è senz'altro la canzone più significativa : qui DeAndre' condensa mirabilmente critica anti-capitalista e critica anti-statale, fin dal titolo è chiaro il riferimento a una "Domenica delle Palme", presumibilmente il '68, la contestazione, che come nella storia del Cristo è il momento, effimero, del trionfo, che però prelude alla disgrazia, la crocefissione. DeAndre' ragiona qui infatti, a anni '80 ormai conclusi, su quanto questi anni hanno comportato : la perdita appunto dei valori della contestazione nella trasformazione dei contestatari appunto da sessantottini a yuppies, e il conseguente passaggio dalle barricate alle scrivanie.
A fuggire infatti, dalla "bottiglia d'orzata / in cui galleggia Milano" è appunto il "poeta della Baggina", qui intesa nel senso di poeta di cose ormai vecchie, ideali passati, identificato nella canzone con Renato Curcio (poeta e "carbonaro", rivoluzionario) ma identificabile con lo stesso Rimbaud (il taglio della gamba di Curcio, appunto). Paradossalmente, la lettura potrebbe essere diversissima se soltanto "Le Nuvole" fosse uscito due anni dopo, quando sarebbe spontaneo (e senza conoscere la data di uscita del disco, lo è) identificare questo "poeta" con Mario Chiesa e gli affari del Pio Albergo Trivulzio connessi con lo scoppio di Tangentopoli.
I richiami al sessantotto sono molteplici : la strada di Trento, per esempio, dove partì la contestazione di Capanna, e dove il "poeta" tenta disperatamente di ritornare, ma non ci riesce, lo fermano, è identificabilissimo : la sua anima "accesa / mandava luce di lampadina". La seconda strofa passa a una critica diversa, estensibile ed estesa all'intero mondo occidentale, ma soprattutto alla Germania. Si parla infatti dello sfruttamento dei paesi dell'Est, a più riprese ("i polacchi non morirono subito / e inginocchiati agli ultimi semafori" ; "i trafficanti di saponette / mettevano pancia verso Est") con chiaro riferimento alla Germania appena riunificatasi ma ancora divisa ("la scimmia del Quarto Reich / ballava la polka").
Ma la "Domenico delle Salme" non è violenta, semmai ridicola, sono le risate a cancellare il passato, anche quello recente, con il contraltare di un governo ("il ministro dei temporali / in un tripudio di tromboni") che auspica democrazia in chiaro politichese volendo in realtà soltanto nuovi privilegi. Qui la lettura è duplice : da un lato, critica feroce al sistema statale in sè e per sè, dall'altro la critica di chi riutilizza ideali del passato come manifesto di temporale volendo solo "una città / dove all'ora dell'aperitvo / non ci siano spargimenti di sangue / o di detersivo").
E allora la libertà dove sta ? Sta nel "cannone nel cortile" che possono vantare solo De Andre' ed il "cugino" De Andrade ( vedi "Serafino Ponte Grande" di Oswald DeAndrade), l'unico modo di essere cittadini liberi è quello di rifiutare dunque anche la legge (spagliata) imposta dal potere costituito, con una nuova essenza di individui, quasi isole auto-isolatesi dal resto della civiltà, se di civiltà si può parlare.
Di nuovo nel ritornello, si ribadisci il concetto : "la domenica delle salme / nessuno si fece male", la contro-riforma è pacifica, ma questa pace (dirà poi) è "terrificante", senza ideali, ideale di cui invece si segue tutti il feretro. "Quanta è bella giovinezza / non vogliamo più invecchiare" ricorda il fascismo ma soprattutto con coraggio denuncia il vero lato negativo del fascismo, ignorato a pie' pari da tanta gente di sinistra : la volontà popolare che lo sorreggeva.
L'ultimo rimpianto, prima delle strofe finali, l'ultima delusione è per la canzone d'autore, che dovrebbe avere la forza della denuncia ("avevate voci potenti / adatte per il vaffanculo"), ma non ce l'ha, si asserve al padrone di turno, canta per questo e quello, così come in Ottocento era mandata avanti dallo stesso motore criticato.
La canzone si chiude con un richiamo agli "addetti alla nostalgia", che accompagnano il cadavere di Utopia, funerale prologo della pace terrificante, cui l'Italia risponde solo con una vibrante protesta che è poi il canto delle cicale.
Dunque, un DeAndre' caustico, arrabbiato, anarchico e individualista, degno e logico "padre" del DeAndre' che verrà con "Anime Salve", un DeAndre' che a ideale motto del suo "Le Nuvole" sceglie e pone questa citazione, che riportiamo per intero in ragione della sua bellezza, valore, attualità :
Il lato "B" dell'album è simile ma diverso, simile nella critica al mondo moderno e nella satira assieme, qui espresse nel filone della canzone dialettale che contraddistingue la coppia DeAndre'-Pagani fin da "Crueza de Ma", concept-album dei primi anni '80.
"Mégu Megùn" è infatti la storia del via-vai di un paziente, via-vai frenetico, assatanato, alla ricerca di una salute che finisce col diventare malattia: "E mi e mi e mi / anà anà / e a l'ala sciurtì [e uscire all'aria] / e suà suà", fino al rifiuto di ciò che avviene nella (bellissima) strofa finale "nu anà nu anà / sta chi sta chi sta chi / asùname [sognare]".
L'album prosegue con "La Nova Gelosia" (qui nel senso di serramento della finestra) canzone napoltana che "ho acoltato per la prima volta due anni or sono. Era cantat da Roberto Murolo e ne sono rimasto affascinato", citando lo stesso DeAndre'.
"'A Cimma" è una canzone delicata e sofferta, godibilissima soprattutto per chi della Liguria conosce almeno di vista l'ambiente e l'immancabile "Cima", piatto tipico, la cui preparazione è qui quasi illustrata. La canzone è, come "Mégu Megùn" e come sarà "'A Cumba" in "Anime Salve", frutto di una collaborazione con Ivano Fossati che si avverte nella leggerezza delle note e del tono, quasi onirico, sognante, ligure. L'emozione dell'indizio della canzone ("Ti t'adesciae 'nsece l'endegu du matin" [ti sveglierai sull'indaco del mattino]) è proprio simile a quella di un'alba sul Mare. Canzone dunque fortemente poetica e caratterizzata, ma anche qui critica nei confronti della nostra società, ivi rappresentata dalla metafora dei camerieri ("Poi vegnàan a pigìatela i camè / te lascian tùttu, ou fùmmu d'ou toeù mesté / tucca a ou fantin a prima coutelà / mangè mangè nu séi chi ve mangià" [Poi vengono a prendertela i camerieri / ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere / tocca allo scapolo la prima coltellata / mangiate mangiate non sapete chi vi mangerà]). Come a dire la crudeltà di un sistema che costringe alla catena di montaggio, ignari di quello che accadrà al prodotto confezionato, di cui ci rimane la sola fatica e i soli scarti.
"Monti di Mola" sta al lato B come "Ottocento" stava al lato A : una canzone satirica, qui in sardo, ove l'uomo di accoppia con un'asina sotto gli occhi maliziosi e invidiodi si una vecchia megera guardona, ma in cui "ma a cuiuassi no riscisini / l'aina e l'omu / chè da li documenti escisini / fratili in primi", ovvero in cui l'asina e l'uomo non possono sposarsi in quanto cugini primi. (I Monti di Mola, nota bene, sono l'antico nome della Costa Smeralda)
1] La Domenica delle Salme
P.S. : Non so se Fabrizio De Andre' sarebbe contento di vedersi paragonare a Julius Evola da un suo ascoltatore, per giunta l'ultimo acquisito. C'e' chi dice di no per amor di antifascismo, sinceramente non so data la stranezza del personaggio-DeAndre', tuttavia il titolo di questo breve "travisamento mingardiano", vi assicuro, non ne ha l'intento.