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RACCONTI

 

Non c’è limite al peggio

Che situazione disperata! Non sei un atleta ma ugualmente devi vincere la corsa.

Hai il corpo stremato dal lavoro, Itzhak: sedici ore ogni giorno a graffiare con le dita le pareti della miniera alla ricerca di quel maledetto metallo per il tuo padrone, la schiena dolente, i polmoni marci e la vista che vacilla. Purtroppo da quattro settimane non trovi più niente, forse la vena che ti è stata assegnata si è esaurita, forse i tuoi occhi non riescono a vedere il metallo, forse la sfortuna ti perseguita... fatto sta che devi correre. É la tua ultima possibilità.

Ma come farai a vincere la corsa in queste condizioni contro gli atleti forti ed allenati del tuo padrone? Eppure sai che l’unica cosa che conta è arrivare primo: si dice che agli sconfitti e alle loro famiglie siano riservati trattamenti orribili. Vi taglieranno prima le mani e i piedi, poi vi spezzeranno le ossa a colpi di bastone e vi lasceranno per un po’ di tempo a frollare nelle fosse, dove verranno a farvi visita le ragazze del padrone ornate di collane fatte con i vostri denti.

Forse dopo sarete mangiati, perché sembra che la carne terrorizzata sia squisita...

Stai fremendo in attesa della partenza, e guardi un’altra volta, con il cuore impazzito, gli uomini che dovrai battere: sembrano Dei, e tu servi solo a divertire il pubblico dell’Arena, a quanto pare...

Almeno si decidessero a dare il via!

Non ne puoi più di farti martellare dal sole e dallo scherno della gente che ride del tuo dramma. Uno sguardo ti sfugge sulle catene che straziano le carni di Sarah, la tua figlia più piccola: ha solo dodici anni, e la voleva in moglie Ruben, troppo vecchio per il tuo orgoglio di padre; se si fosse sposata ora non sarebbe in quella gabbia a pagare la tua ostinazione.

Si parte!

Al solito sei stato sorpreso impreparato, e le tue inutili meditazioni ti hanno fatto perdere istanti preziosi alla partenza! Ora puoi solo guardare le schiene degli atleti che ti precedono. Dio, come sono belli, con i loro preziosi sandali di cuoio a proteggere i piedi.

Sono un unico, enorme, fantastico Essere, invincibilmente proteso alla Vittoria.

Non ce la farai mai.

Forse se arrivi fra i primi il padrone potrebbe essere clemente e concederti la grazia. Si mormora che, in fondo, sia molto buono.

Ma quanto durerà questa corsa?

Senti che non reggerai ancora a lungo.

No, devi farcela, hai già completato due giri della pista e forse questo è l’ultimo, potresti arrivare terzo o quarto...

No! Un gruppo di atleti ti ha superato in curva, non sei mai stato capace di impostare bene una curva, dovevi allenarti!

Sarai contento adesso: sei almeno decimo, e non ti serve a niente premere così forte sulla milza... e sputare...

Riuscissi se non altro a regolare la respirazione, ma quella tosse!

Intanto i tuoi avversari stanno procedendo con tranquillità, come se la faccenda non li riguardasse, e tu arranchi come un animale ferito; come puoi pensare di farcela?

Quattro giri. Saranno cinque in tutto, speriamo...

PIANTALA DI TOSSIRE!

Datti da fare, piuttosto, aumenta l’andatura, regola il fiato. L’aria deve entrare dal naso ed uscire dalla bocca, ricordi? Non così affannosamente! Che disastro: non ce la farai mai!

Ma ti sei già scordato di tua moglie e delle tue figlie?

Coraggio, dimostra che uomo sei, così, bravo, sorpassa il biondo da destra... no... tirati su!

Sei caduto. Rialzati, presto!

Ecco, ora sei ultimo, sei contento? Corri, corri!

Ancora per terra, stai per essere doppiato dai primi, per l’amor del cielo rimettiti a correre.

Ti gira la testa, le tempie battono il loro ritmo doloroso e... e il tuo padrone ha già lasciato la tribuna, e così pure tutto il pubblico, stanco dello spettacolo e pronto per il banchetto.

Neanche gli atleti ci sono più.

Tu soltanto continui a strisciare sulla pista, gomiti e ginocchia sanguinanti, e le mani premute sulle orecchie per non sentire le urla delle tue donne profanate dai commensali del tuo padrone.

Vai avanti, sei quasi arrivato…

 

I

Maleodorante rivolo d’umori.

Itzhak si svegliò ansimante, i capelli fradici appiccicati alla fronte.

Era un sogno... solo un orribile incubo... che sollievo!

Ora Itzhak poteva scrollarsi l’angoscia che gli aveva incollato addosso quella raggelante allucinazione notturna ed avviarsi, come ogni mattina, alla conta assieme agli altri deportati del Campo 9 di Auschwitz.

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