Il cappello del cappellaio matto non esisteva. Lo
materializzava il desiderio delle persone di un simbolo rappresentativo
di questa figura facile a mischiarsi con gli uomini e che i folli adoravano
come un’ispirazione. E lui lasciava correre perché, diceva, conosceva
da vicino il Destino e perciò poteva dire con tranquillità
che esso non esistesse (ma l’ultima parte la sussurrava perché il
Destino è permaloso); così fingeva di toccarsi il cappello
salutando gli uomini ed addirittura di toglierselo quando incrociava una
signora. Gli esseri umani impazzivano (letteralmente) per Lui, ma Padre
Morte lo disprezzava perché mai avrebbe potuto prenderlo con sé
e questo pensiero lo tormentava quando lavorava ai grandi massacri: vedere
l’immane quantità di creature sottomesse a lui rendeva stridente
la libertà di quell’essere composto di luce e di buio in quantità
spasmodicamente variabili.
Allora Padre Morte (quando è furioso diviene
crudele quanto un ubriaco di birra) allarga la lista dei morti e da un
massacro fa nascere un’epidemia e poi bacia voluttuosamente Madre Terra
e lei trema di passione radendo al suolo gli insignificanti tumori costruiti
con parte delle sue ossa sulla sua pelle. E i morti si aggregano ad altri
morti nel rendere omaggio a Padre Morte mentre il cappellaio lo sberleffa
salutandolo con il togliersi il suo non-cappello. Ma anche il Padre ha
dei limiti impostigli
(davvero?!)
o forse se li impone da sé, ma certamente
alla fine si calma e cerca di non guardarlo dritto negli occhi troppo vivi
e troppo vuoti.
Madre Terra forse lo ama proprio per questo e, da
brava amante, simpatizza per il suo odio contro il cappellaio chiedendosi
quando mai può aver generato quella mostruosità.
Ma si sbaglia perché il cappellaio è
libero davvero, anche da lei.
E, lo sapete? Io sono il cappello del cappellaio
matto.
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