Lamento di Ismene

 

 

Che ho da lamentarmi?

Ciò di cui dovrei gioire

se fossi priva di senno:

l’essere sopravvissuta

per caso o per ignavia

quando i miei familiari

e tanti miei concittadini,

troppi per poterli contare,

sono periti senza scampo,

travolti prima dalla guerra

e poi dalla bieca tirannide.

 

In fondo Meine Schwester,

ossia mia sorella Antigone,

era una vittima fra le altre.

Eppure lei poteva salvarsi

proprio come me, se solo

mi avesse prestato ascolto.

Noi, le figlie del re Edipo,

eravamo parenti del tiranno

per parte di madre. Creonte

avrebbe finto di ignorarci,

se non ci fossimo opposte

alle sue manie da despota.

 

Ma lei no, lei era diversa:

tanto fragile nell’aspetto,

tenace come una quercia.

“Non vuoi aiutarmi contro

l’usurpatore? Allora vai,

vivi pure la tua mezza vita.

Della mia non so che farne,

senza la libertà di rispettare

i vivi né di onorare i morti”:

così mi parlò mentre cercavo

di farla ragionare con calma,

in attesa di tempi opportuni.

 

Una mezza vita, ecco quanto

a me rimane dei sogni affini

che ci narravamo a vicenda,

nelle lunghe notti invernali.

Essi servivano a scaldarci,

quando la guerra infuriava

tutt’intorno e i nostri fratelli

l’uno contro l’altro armati

guidavano opposte schiere.

Nulla vi fu di più insensato,

e intanto lo scaltro Creonte

gettava la sua esca sul fuoco.

 

Meine Schwester, mia sorella:

così io la chiamavo per gioco,

in una lingua appresa a scuola

nelle noiose lezioni impartite

da una severa istitutrice. Mai

avrei pensato che essa potesse

diventare la mia nuova lingua,

idioma di questo solitario esilio

fuori dall’eterna verità del mito.

Se c’è un dio pietoso degli esuli

e dei superstiti, pregatelo per me.

Io sono Ismene, la sorella saggia!

 

 

Pino Blasone

 

TORNA ALL'INDICE