Le voci di Ulisse

 

 

Molti mi hanno domandato

che mai narrarono le Sirene

quando otturai con la cera

le orecchie dei miei uomini

chinati sui manici dei remi

perché non udissero il canto,

ma io stesso mi feci legare

all’albero dalla vela inerte

per sfuggire alla seduzione

e all’insidia di quelle voci

emesse dai petti verginali.

 

Ebbene, esse mi promisero

che mi avrebbero raccontato

nulla che io già non sapessi:

le gesta della guerra di Troia,

i lutti dei vincitori e dei vinti,

gli infausti ritorni degli eroi

che vi avevano preso parte,

tanto che io mi chiesi se mai

le voci non fossero le stesse

che riecheggiano nel sonno

e mi destano durante le notti

facendomi desiderare l’alba.

 

I mostri stavano appollaiati

in cima alle bianche rocce

della loro isola maledetta.

Si diceva che essi fossero

tetri spiriti delle tempeste,

volatili dal torso di donna,

ma non c’era alito di vento.

A mano a mano che la nave

si avvicinava alla costa, vidi

che quegli scogli non erano

se non cumuli di nude ossa,

tante quante erano le morti

che aveva generato la lunga

guerra fra i greci e i troiani.

 

Tornò ad allontanarsi la nave

spinta dalla forza dei rematori

provati dalle avverse correnti,

ma quelle voci mi inseguivano.

Mi torcevo in preda ai rimorsi,

supplicavo di sciogliere i nodi

e certo mi sarei gettato in mare

se solo qualcuno l’avesse fatto.

Non potendo udirmi, ciascuno

evitava di notare i miei cenni,

pur di attenersi alle istruzioni

da me impartite in precedenza.

 

Molti hanno preferito credere

che quella insinuante melodia

suscitasse non so quale piacere,

invece che una smania suicida.

Forse io avrei dovuto smentirli,

una volta tornato padrone di me?

Li ho lasciati alla loro illusione;

temevo che non volessero capire

o potessero rivoltarsi contro chi

li aveva guidati in tale impresa.

Né sapevano, i miei compagni,

che per loro non c’era scampo

alla tardiva vendetta degli dei.

 

 

Pino Blasone

 

TORNA ALL'INDICE