Daniela Bellotti "Scritti sull'Arte"                                                                                                                      Le mostre
PIERO MANAI
Una Retrospettiva. Opere dal 1970 al 1988

Galleria d'Arte Moderna
Palazzo Saraceni
Bologna
7 ottobre-5 dicembre 2004

testo pubblicato in:
ART JOURNAL sett-ott-2004
P.Manai, Matite
P.Manai, Venere negra
P.Manai, Testa

MEMORIAL PIERO MANAI


Retrospettiva in 2 sedi espositive (GAM e Palazzo Saraceni) per il geniale artista bolognese precocemente scomparso

Trentasette. Tanti erano gli anni che aveva Piero Manai nel 1988 quando l'implacabile malattia  che l'aveva colpito spegneva la sua parabola intensissima di uomo e di artista. A oltre quindici anni dalla sua scomparsa, la Galleria d'Arte Moderna di Bologna e la Fondazione CARISBO gli dedicano una vasta retrospettiva che aprirà il 7 ottobre e si articolerà in due sedi espositive, la GAM e Palazzo Saraceni; una retrospettiva che giunge finalmente a storicizzare con l'ampiezza e la necessaria documentazione l'unicità di un percorso che, nonostante la prematura fine, deve essere considerato compiutamente significativo, e ricchissimo nelle sue caratteristiche di testimonianza artistica e straordinaria intensità. Centoventi opere provenienti da importanti collezioni pubbliche e private racconteranno di Piero Manai, bolognese d'adozione (era nato in Sardegna nel '51), vent'anni di pittura, che gli sono bastati per lasciarci opere che si fissano nella memoria indelebilmente, per la rara caratteristica di essere intrise di una necessità espressiva universale. Agli esordi, quando era ancora molto giovane, sul finire degli anni Sessanta, mentre imperava un clima internazionale di figurazione pop e iperrealista e nascevano nuove e provocatorie avventure concettuali, la sua scelta iconografica si fissò sugli strumenti stessi del mestiere del pittore, i barattoli di vernice, le matite colorate, i carboncini, spesso fotografati e ridipinti, come a sottolineare che l'arte per assurdo parla di se stessa, ma che i significati sono altrove, a prescindere dall'oggetto che fisicamente si racconta. E lui cominciò dai materiali minimi e necessari alla pittura, così che la matita racconta la precisa ed elegante geometria della matita, il carboncino racconta il segno nero e incisivo del carboncino, ma in un corto circuito in cui il senso è dato da tutto ciò che non è materia in sé, né oggetto quotidiano e banale, ma altro, altro che Manai ha cercato incessantemente quadro dopo quadro, fino all'ultimo. Perché i migliori tra gli artisti pongono con le loro opere domande, e il loro stesso lavoro è una continua ricerca di senso. E', in fondo, lo stesso sconcertante paradosso delle immagini di Magritte, cosicché dovremmo dire, sulle opere giovanili di Manai, questo non è un barattolo, queste non sono matite, e per le opere successive queste non sono nature morte, questi non sono corpi, queste non sono teste… Sono certamente altro, e più, qualcosa che passa attraverso la materia che si compone e si sfalda, che trasuda e cola, che ha sostanza di sangue e terra, qualcosa che la mano dell'artista ha tracciato dalla sua precarietà, che è la nostra stessa precarietà. 
I temi su cui si svolge una ricerca così radicale e intensa, come pochissime altre nel panorama dell'arte italiana degli anni Settanta e Ottanta, sono allora un banco di prova e un rovello esistenziale, sono pretesti, in fondo, perché escano alla luce tutte le stagioni interiori che muovono i gesti della pittura. E come pittore fu davvero straordinario, perché la sua ricerca, profondamente impegnata sul versante di un figurativo amplificato su grandi tele, denso e corposo, violento e struggente, seppe far tesoro delle grandi lezioni del post-Impressionismo, dell'Espressionismo, e forse, di quella radice padana dell'Informale che fu l'Ultimo naturalismo, e si inserì con successo nel dibattito di quegli anni sulle possibilità per la pittura di continuare ad essere un lessico vivo e rinnovabile per l'arte contemporanea.
Filtrando così umori delle correnti storiche che più appartenevano al suo spirito, le sue radici culturali e il temperamento personale e affrontando giorno dopo giorno la vicenda della sofferenza e facendone materia umanissima e disperata della sua arte, Manai raccolse il privilegio di essere un artista geniale, che fu riconosciuto e apprezzato, ma che non ebbe il tempo di raggiungere e respirare la più ampia fama che avrebbe meritato.
La mostra che viene ora annunciata dovrà in primo luogo collocare la vicenda di Piero Manai nella sua dimensione storica,  perché sia la sua città d'adozione a custodire e a testimoniare il valore del suo percorso, uscendo dal silenzio di questi anni nei quali le sue opere hanno continuato ad essere grande lezione di pittura per tutti gli artisti, e oggetto di collezionismo importante e consapevole.
Troveremo, io credo, nel rivedere ordinate e cronologicamente raccontate le opere di Piero Manai un paradigma artistico che potrà coglierci dopo anni forse ancora impreparati, nell'incontro con l'estro giovanile, la felicità della pittura che interpreta oggetti quotidiani, modelli e citazioni dal passato, con tutta l'esuberanza ed il rigore della ricerca più matura, e poi sempre più evidenti la lacerazione, la perdita dell'armonia e il dolore che intridono le grandi tele, più belle e coinvolgenti, nella loro estrema espressività. E a noi che agli artisti chiediamo di dirci che senso ha, che senso ha la vita, la sua fatica, il dolore, il tempo, con ciò che amiamo e ciò che perdiamo, l'energia viva che troveremo delle opere di Manai ci potrà dare una risposta.
 

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