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PIERO
MANAI
Una Retrospettiva. Opere dal 1970 al 1988 Galleria d'Arte Moderna
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MEMORIAL
PIERO MANAI
Trentasette. Tanti erano
gli anni che aveva Piero Manai nel 1988 quando l'implacabile malattia
che l'aveva colpito spegneva la sua parabola intensissima di uomo e di
artista. A oltre quindici anni dalla sua scomparsa, la Galleria d'Arte
Moderna di Bologna e la Fondazione CARISBO gli dedicano una vasta retrospettiva
che aprirà il 7 ottobre e si articolerà in due sedi espositive,
la GAM e Palazzo Saraceni; una retrospettiva che giunge finalmente a storicizzare
con l'ampiezza e la necessaria documentazione l'unicità di un percorso
che, nonostante la prematura fine, deve essere considerato compiutamente
significativo, e ricchissimo nelle sue caratteristiche di testimonianza
artistica e straordinaria intensità. Centoventi opere provenienti
da importanti collezioni pubbliche e private racconteranno di Piero Manai,
bolognese d'adozione (era nato in Sardegna nel '51), vent'anni di pittura,
che gli sono bastati per lasciarci opere che si fissano nella memoria indelebilmente,
per la rara caratteristica di essere intrise di una necessità espressiva
universale. Agli esordi, quando era ancora molto giovane, sul finire degli
anni Sessanta, mentre imperava un clima internazionale di figurazione pop
e iperrealista e nascevano nuove e provocatorie avventure concettuali,
la sua scelta iconografica si fissò sugli strumenti stessi del mestiere
del pittore, i barattoli di vernice, le matite colorate, i carboncini,
spesso fotografati e ridipinti, come a sottolineare che l'arte per assurdo
parla di se stessa, ma che i significati sono altrove, a prescindere dall'oggetto
che fisicamente si racconta. E lui cominciò dai materiali minimi
e necessari alla pittura, così che la matita racconta la precisa
ed elegante geometria della matita, il carboncino racconta il segno nero
e incisivo del carboncino, ma in un corto circuito in cui il senso è
dato da tutto ciò che non è materia in sé, né
oggetto quotidiano e banale, ma altro, altro che Manai ha cercato incessantemente
quadro dopo quadro, fino all'ultimo. Perché i migliori tra gli artisti
pongono con le loro opere domande, e il loro stesso lavoro è una
continua ricerca di senso. E', in fondo, lo stesso sconcertante paradosso
delle immagini di Magritte, cosicché dovremmo dire, sulle opere
giovanili di Manai, questo non è un barattolo, queste non sono matite,
e per le opere successive queste non sono nature morte, questi non sono
corpi, queste non sono teste… Sono certamente altro, e più, qualcosa
che passa attraverso la materia che si compone e si sfalda, che trasuda
e cola, che ha sostanza di sangue e terra, qualcosa che la mano dell'artista
ha tracciato dalla sua precarietà, che è la nostra stessa
precarietà.
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