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ROSALINO
INDINO
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NUDA-MENTE
Hotel Boscolo, Bologna,
2004 24 ARTISTI PER UNA COLLEZIONE
Galleria Passatopresente, L'Aquila, 2004 |
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NUDA-MENTE
Nel panorama della pittura
italiana di questi primi anni del Duemila, meritano attenzione i lavori
di Rosalino Indino, un giovane che emerge da un percorso totalmente autonomo
e isolato rispetto ai luoghi di più intenso scambio culturale, una
voce fuori dal coro per doti di originalità e acceso individualismo.
Nato a Presicce in provincia
di Lecce nel 1971, Indino si appassiona al disegno e alla pittura fin da
giovanissimo, studia all'Istituto d'arte di Parabita, dove gli viene riconosciuto
un talento naturale che lo porta a sperimentare tecniche personali di elaborazione
pittorica. Dotato di una sensibile creatività dalle molteplici sfaccettature,
oggi Indino è, oltre che raffinato cultore del mezzo pittorico,
anche autore di musica e testi per canzoni di cui è originale interprete.
Attualmente vive e lavora a Bologna.
L'aspetto più interessante
della sua pittura può essere ravvisato nella proposta di una dimensione
neo-umanistica, sulla base di un rinnovato linguaggio della bellezza e
dello studio anatomico, in cui si mescolano reminiscenze antiche e tagli
fotografici, un'accesa sensualità e una limpidezza surreale.
Uomini e donne assolutamente
credibili abitano i suoi quadri in una sorta di universo parallelo a cui
lo straordinario realismo dà suggestione e sostanza. Con la precisione
di uno scrittore di gialli, che rivela e dissimula ad arte gli indizi di
un delitto, Indino mette in scena in ogni quadro un racconto, mostrando
quasi sempre l'attimo successivo all'evento cruciale, distribuendo in uno
spazio prospettico dalle vertiginose linee di fuga alcuni particolari minutamente
descritti, tra oggetti comuni della vita quotidiana e segnali di misteriose
relazioni, tracce di verità non dichiarate. Il corpo, con la sua
potenza statuaria e la sua armonia, è sempre in primissimo piano,
ed è il primo, il più violento e catalizzante degli elementi
narrativi, non solo figura atletica, nuda e muscolosa, ma attualizzazione
iconografica di temi classici del mito, della letteratura, della storia
sacra, reinterpretati da modernissimi eroi contemporanei, con le loro passioni,
i lori tormenti… in una sorta di piega del tempo in cui il passato ed il
futuro si sovrappongono, rendendo eterne le medesime tensioni dello spirito.
Così nel quadro "Caino"
ad esempio, uno statuario personaggio si affaccia come su una ribalta teatrale
nascondendosi con gesto disperato il volto, serrando con potenza la testa
tra le mani, e richiudendosi in se stesso; alle sue spalle avviene come
un cambio di sipario, lo spazio pittorico ha infatti un doppio orizzonte,
al giorno subentra la notte, la macchia rossa simbolo del delitto commesso
si staglia nella lontananza di un paesaggio luminoso e perduto.
In un'altra composizione
intitolata "La consapevolezza dello sbaglio" la protagonista è un'avvenente
giovane donna, rappresentata con suggestivo scorcio e fotografica precisione,
il gesto delle mani tra i lunghi capelli sciolti rivela drammaticamente
l'azione, un semplice abito mette in risalto il candore della carnagione.
Si tratta di una moderna Eva, alle sue spalle c'è il serpente attorcigliato
a un tronco che taglia in diagonale la composizione e lì accanto
in una essenziale natura morta le mele rosse del peccato; lei vittima e
insieme colpevole per essere caduta nella biblica tentazione, è
in realtà una donna che apre gli occhi su una sconfinata inquietudine
esistenziale, e che sembra proiettarsi verso di noi come per sfuggire alla
sua condanna, mentre sullo sfondo dilaga un paesaggio paludoso e sterile.
Una riflessione cruda e
dolente sulla ricerca della femminilità e sulla costruzione artificiale
del corpo troviamo nel quadro "L'ultima toilette" dove un'attonita venere
allo specchio rivela gli ingannevoli trucchi della sua bellezza. La materia
stessa del quadro è qui impreziosita da applicazioni in argento
che creano un motivo decorativo, ad accentuare la sensazione di un raffinato
spazio privato dove la realtà è fatta di strati e maschere
illusorie.
Si coglie in alcune opere
più recenti un'innovazione formale piuttosto evidente e di notevole
effetto: troviamo la figura umana in un suggestivo bianco e nero molto
contrastato e drammatico, mentre nel resto del quadro si accampano pochi
isolati elementi che creano una sospensione quasi metafisica. E' un'evoluzione
del medesimo gioco degli enigmi, in cui però il personaggio principale
ha superato la soglia del coinvolgimento con gli eventi e partecipa ormai
di una condizione diversa da quella del mondo alle sue spalle. Nel quadro
intitolato "Il filo" il clima meditativo è accentuato da ombre lunghe
e incongruenti dentro un'architettura illusoria, mentre la figura umana
appare prigioniera, tra un passato di assenze (la sedia vuota, l'albero
senza foglie) e un futuro incerto, oltre il limite di un muro. Più
apertamente provocatoria è l'opera "Sensi" in cui viene suggerito
il medesimo distacco spazio-temporale tra l'uomo e alcuni elementi evocativi,
ma con l'accentuazione di una dimensione onirica. Il protagonista in primo
piano è un giovane ammiccante che con sguardo dritto verso lo spettatore
si lecca il palmo della mano; il corpo è raccontato nella muscolatura,
nella tensione di tendini e vene, nella rasatura del capelli con un mirabile
dettaglio che anche qui rivaleggia con la fotografia. Un leggero nastro
azzurro collega visivamente e concettualmente questa figura con una sorta
di scala mistica, sottolineata da un lieve triangolo e da un bocciolo d'oppio
che sta al centro della composizione, su cui si libra un colibrì.
Ancora più in alto, in una prospettiva che apre e chiude allo stesso
tempo, un'architettura scalfita dal tempo, con altorilievi classici in
rovina e tre archi aperti sul mare. L'opera può essere letta come
un'allegoria dei cinque sensi, ma anche come persistenza del tempo e della
memoria sull'attimo, come elegia del piacere sensuale nell'immersione in
se stessi, attraverso paradisi artificiali, naturali e culturali.
Dunque iconografie antiche
che si rinnovano nella forma, accettando il retaggio di una secolare cultura,
per riportare al centro della espressione i valori fondamentali dell'uomo;
questo atteggiamento critico e impegnato, che può essere definito
appunto neo-umanista, è anche dichiarato amore per una matrice classica
dell'arte, in cui Indino affonda consapevolmente le radici, e per una visione
che contempla un pathos simbolico della vita, ma va sottolineato che la
scommessa di questo artista è rivestire quest'anima antica di un
look attualissimo e aggressivo, ambiguo e sensuale. La dimensione di queste
visioni si colloca infatti a metà strada tra la percezione privata,
edonistica e raffinata e quella sociale poiché come ogni immagine
è paradigma di uno stato d'animo appartenente a tutta l'umanità,
essa è anche frutto di un gusto privato, emozione diretta della
bellezza, carnale ed epidermica.
I mari, le campagne, le
periferie urbane che fanno da sfondo al protagonismo delle figure umane
sono immagini di una terra divenuta un pianeta algido, invivibile, dal
quale si fugge o nel quale si è divenuti estranei. Straordinaria
quella dell'opera "I vestiti bruciati", che con la precisione di un'istantanea
ci restituisce l'atmosfera allucinata di un crepuscolo solcato dalla traiettoria
di un aereo e le prime luci della città. Anche qui nella sua potente
tridimensionalità è narrato un uomo che ha agito il suo destino
varcando una soglia, e ora giganteggia dopo aver scardinato le sue prospettive
quotidiane e riconquistato con la nudità una nuova verità
fisica e metaforica.
Un accenno va fatto allo
stile di questi dipinti, che in alcuni casi sfocia in un surreale virtuosistico
e straniante; l'esecuzione è affidata ad una accuratissima stesura
del disegno, che nitido e pulito crea tutti i volumi su cui il colore successivamente
viene applicato. Sviluppando lo stesso principio della tecnica serigrafica,
Indino aggiunge a mano tutta la gamma dei colori strato su strato, ottenendo
sfumature particolari estremamente naturali e una luce limpidissima. E'
così che le intuizioni assolutamente personali di questo giovane
artista si concretizzano in un amoroso e certosino lavoro, nel tratteggio
a matita che dettaglia i chiaroscuri e nelle velature del colore che accende
incubi o sogni, tra rosa addolciti e gialli elettrici, neri insondabili
e graffiature, cancellature che sbalzano ombre e luci fino a raggiungere
effetti scultorei, realizzando un interessante connubio tra virtuosismo
tecnico, cultura storica e riflessione sul contemporaneo, restando fedele
ai canoni della tradizione ma rinnovandone profondamente i significati.
Tracce per una lettura
delle opere di Rosalino Indino
(dalla conferenza di Daniela
Bellotti, Hotel Boscolo, Bologna 18.4.2004)
"L'unico scandalo ancora
possibile è il realismo". Guy Debord. Questa frase potrebbe essere
una bandiera per molta della più recente ricerca artistica e indurre
gli artisti, e naturalmente i pittori, a rispondere a questa attesa e a
questo problema: Quale realismo?… penso da parte mia ad un realismo che
sia approccio alla contemporaneità, che sia evidentemente filtrato
dalla sensibilità individuale, poiché sul concetto di "realtà"
ognuno opera dal suo punto di vista, unico e irripetibile, un realismo
nutrito di strumenti concettuali, post-moderni perché l'immagine
sfugga all'immagine stessa, e si ricicli attraverso mezzi di rivelazione
che solo l'arte sa mettere in campo.
(Per inciso vorrei dire
che una certa rivalutazione dell'espressione artistica attraverso la pittura
sta avvenendo in un periodo in cui si fa strada un dibattito sugli ultimi
decenni dell'arte del '900, che ha vissuto di corsi e ricorsi e mode rimasticando
in infiniti riciclaggi i concetti che erano stati delle avanguardie nella
prima metà del secolo; oggi ci si può e ci si deve chiedere
in un'ottica che può essere già storica: Che ne è
stato delle forme dell'arte più estrema e trasgressiva? In attesa
di mettere ordine in un tessuto così complesso, attraverso apporti
che sicuramente saranno molteplici e differenziati, penso si debba già
oggi cercare lo spazio e la libertà dai condizionamenti e dalle
abitudini per una riflessione sugli esiti di tanta arte che si propone
di essere continuamente avanguardia, continuamente destabilizzante, e mi
pare di poter dire che la prospettiva dei decenni ci sta aiutando a capire.
Chi si è avvicinato all'arte contemporanea negli ultimi trenta anni
è stato investito da una congerie di proposte spesso astruse, che
hanno segnato un solco oltre il quale molti non si sono mai avventurati,
perché la comunicazione era davvero eccessivamente aleatoria e povera
di idee, in fin dei conti superflua e ripetitiva… e dunque non ha prodotto
vera cultura e vero pensiero, ha solo messo a dura prova le nostre capacità
intuitive per trovarci un senso.)
Quale ruolo può giocare
la pittura in questa presa di distanza dalle elucubrazioni fredde di tanta
arte estrema?…Che cosa racconterà il 2000 con la pittura? Un dato
di fatto è che molti curatori stanno riproponendo pittura nelle
grandi mostre internazionali per rispondere a questa impasse dell'arte
non figurativa. E dunque sembra giunto il momento per ricompitare la pittura
a riconquistare il terreno alla comunicazione attraverso un mezzo che designa
l'unicità, la singolarità, la marginalità nei confronti
della comunicazione globale. Il singolo contro tutti, la voce solista che
si eleva sulla frammentarietà e confusione dei linguaggi quotidiani
con il tempo lungo della pittura.
Molta neo-figurazione italiana
passa attraverso la scelta di un racconto freddo, quasi fotografico di
momenti legati all'attualità. Un nome per tutti, Daniele Galliano.
Rosalino Indino deve entrare
a buon diritto tra i nomi dei pittori che lavorano su questi temi e che
attraverso il mezzo pittorico dimostrano che si può fare arte concettuale,
forte, consapevole, per nulla decorativa o rassicurante, anzi. Quello che
racconta Indino è soprattutto un atto di fede nelle capacità
amplificanti della pittura, rispetto alla comunicazione che ci circonda.
Asprezza e bellezza si intrecciano misteriosamente nei suoi quadri. Sappiamo
che in ogni opera c'è un racconto, lo avvertiamo dalle complessità
del tessuto iconografico, pieno di rimandi culturali, ma soprattutto sentiamo
una fascinazione fredda, come se il quadro ci catturasse e ci portasse
dentro una dimensione "altra", ma che in qualche modo può essere
nostra. E' caratteristica della migliore arte pittorica quella di affascinare
con l'apertura di spazi nuovi per la percezione e la coscienza, spazi che
l'autore come un regista compone e dentro cui ci fa trovare soli con le
nostre capacità di orientamento. Sarebbe interessante farci accompagnare
dall'autore tra le tracce che egli ha lasciato e con cui ha costruito le
immagini verso la "sua" verità. Ciò sciogliere gli enigmi
delle sue nuove iconografie, per capire, per ricostruire il racconto. Si
può intuire che in molte immagini il protagonista è colto
nell'attimo successivo all'evento, l'attimo dopo la catastrofe. Catastrofe
come fatto che sconvolge la continuità e la prevedibilità,
ma anche momento rivelativo in cui nel silenzio si produce la conoscenza,
la rivelazione. Vorrei però fermarmi qui, non raccontare oltre la
pittura di Indino, perché questa è una pittura che vive nel
suo stesso racconto, nel mistero delle sue tracce e ognuno è chiamato
ad un percorso personale di lettura. Opera aperta, dunque, caratteristica
che, come ci ha insegnato Umberto Eco, è l'unica garanzia che siamo
davvero di fronte ad un'opera d'arte che non si esaurisce con una lettura,
e soprattutto non si esaurisce con la lettura privilegiata che ne può
dare l'autore.
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