Daniela Bellotti   "Scritti sull'Arte"                                                                            Spazio Aperto
ROSALINO INDINO
 
I tre legami
Caino
La consapevolezza dello sbaglio
Donna e castelli in aria
Caldo temporale
Vita e morte
Tutto ruota intorno alla fine
Il filo
Il vuoto della fedeltà persa
Gli affetti della memoria
Sensi
La stanza dei sorrisi
L'ultima toilette
Fuga oltre i cipressi

Vedi Locandine

 

NUDA-MENTE
Hotel Boscolo, Bologna, 2004 

 
24 ARTISTI PER UNA COLLEZIONE Galleria Passatopresente, L'Aquila, 2004

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Rosalino Indino

 

NUDA-MENTE

Nel panorama della pittura italiana di questi primi anni del Duemila, meritano attenzione i lavori di Rosalino Indino, un giovane che emerge da un percorso totalmente autonomo e isolato rispetto ai luoghi di più intenso scambio culturale, una voce fuori dal coro per doti di originalità e acceso individualismo.
Nato a Presicce in provincia di Lecce nel 1971, Indino si appassiona al disegno e alla pittura fin da giovanissimo, studia all'Istituto d'arte di Parabita, dove gli viene riconosciuto un talento naturale che lo porta a sperimentare tecniche personali di elaborazione pittorica. Dotato di una sensibile creatività dalle molteplici sfaccettature, oggi Indino è, oltre che raffinato cultore del mezzo pittorico, anche autore di musica e testi per canzoni di cui è originale interprete. Attualmente vive e lavora a Bologna.
L'aspetto più interessante della sua pittura può essere ravvisato nella proposta di una dimensione neo-umanistica, sulla base di un rinnovato linguaggio della bellezza e dello studio anatomico, in cui si mescolano reminiscenze antiche e tagli fotografici, un'accesa sensualità e una limpidezza surreale.
Uomini e donne assolutamente credibili abitano i suoi quadri in una sorta di universo parallelo a cui lo straordinario realismo dà suggestione e sostanza. Con la precisione di uno scrittore di gialli, che rivela e dissimula ad arte gli indizi di un delitto, Indino mette in scena in ogni quadro un racconto, mostrando quasi sempre l'attimo successivo all'evento cruciale, distribuendo in uno spazio prospettico dalle vertiginose linee di fuga alcuni particolari minutamente descritti, tra oggetti comuni della vita quotidiana e segnali di misteriose relazioni, tracce di verità non dichiarate. Il corpo, con la sua potenza statuaria e la sua armonia, è sempre in primissimo piano, ed è il primo, il più violento e catalizzante degli elementi narrativi, non solo figura atletica, nuda e muscolosa, ma attualizzazione iconografica di temi classici del mito, della letteratura, della storia sacra, reinterpretati da modernissimi eroi contemporanei, con le loro passioni, i lori tormenti… in una sorta di piega del tempo in cui il passato ed il futuro si sovrappongono, rendendo eterne le medesime tensioni dello spirito.
Così nel quadro "Caino" ad esempio, uno statuario personaggio si affaccia come su una ribalta teatrale nascondendosi con gesto disperato il volto, serrando con potenza la testa tra le mani, e richiudendosi in se stesso; alle sue spalle avviene come un cambio di sipario, lo spazio pittorico ha infatti un doppio orizzonte, al giorno subentra la notte, la macchia rossa simbolo del delitto commesso si staglia nella lontananza di un paesaggio luminoso e perduto.
In un'altra composizione intitolata "La consapevolezza dello sbaglio" la protagonista è un'avvenente giovane donna, rappresentata con suggestivo scorcio e fotografica precisione, il gesto delle mani tra i lunghi capelli sciolti rivela drammaticamente l'azione, un semplice abito mette in risalto il candore della carnagione. Si tratta di una moderna Eva, alle sue spalle c'è il serpente attorcigliato a un tronco che taglia in diagonale la composizione e lì accanto in una essenziale natura morta le mele rosse del peccato; lei vittima e insieme colpevole per essere caduta nella biblica tentazione, è in realtà una donna che apre gli occhi su una sconfinata inquietudine esistenziale, e che sembra proiettarsi verso di noi come per sfuggire alla sua condanna, mentre sullo sfondo dilaga un paesaggio paludoso e sterile.
Una riflessione cruda e dolente sulla ricerca della femminilità e sulla costruzione artificiale del corpo troviamo nel quadro "L'ultima toilette" dove un'attonita venere allo specchio rivela gli ingannevoli trucchi della sua bellezza. La materia stessa del quadro è qui impreziosita da applicazioni in argento che creano un motivo decorativo, ad accentuare la sensazione di un raffinato spazio privato dove la realtà è fatta di strati e maschere illusorie.
Si coglie in alcune opere più recenti un'innovazione formale piuttosto evidente e di notevole effetto: troviamo la figura umana in un suggestivo bianco e nero molto contrastato e drammatico, mentre nel resto del quadro si accampano pochi isolati elementi che creano una sospensione quasi metafisica. E' un'evoluzione del medesimo gioco degli enigmi, in cui però il personaggio principale ha superato la soglia del coinvolgimento con gli eventi e partecipa ormai di una condizione diversa da quella del mondo alle sue spalle. Nel quadro intitolato "Il filo" il clima meditativo è accentuato da ombre lunghe e incongruenti dentro un'architettura illusoria, mentre la figura umana appare prigioniera, tra un passato di assenze (la sedia vuota, l'albero senza foglie) e un futuro incerto, oltre il limite di un muro. Più apertamente provocatoria è l'opera "Sensi" in cui viene suggerito il medesimo distacco spazio-temporale tra l'uomo e alcuni elementi evocativi, ma con l'accentuazione di una dimensione onirica. Il protagonista in primo piano è un giovane ammiccante che con sguardo dritto verso lo spettatore si lecca il palmo della mano; il corpo è raccontato nella muscolatura, nella tensione di tendini e vene, nella rasatura del capelli con un mirabile dettaglio che anche qui rivaleggia con la fotografia. Un leggero nastro azzurro collega visivamente e concettualmente questa figura con una sorta di scala mistica, sottolineata da un lieve triangolo e da un bocciolo d'oppio che sta al centro della composizione, su cui si libra un colibrì. Ancora più in alto, in una prospettiva che apre e chiude allo stesso tempo, un'architettura scalfita dal tempo, con altorilievi classici in rovina e tre archi aperti sul mare. L'opera può essere letta come un'allegoria dei cinque sensi, ma anche come persistenza del tempo e della memoria sull'attimo, come elegia del piacere sensuale nell'immersione in se stessi, attraverso paradisi artificiali, naturali e culturali.
Dunque iconografie antiche che si rinnovano nella forma, accettando il retaggio di una secolare cultura, per riportare al centro della espressione i valori fondamentali dell'uomo; questo atteggiamento critico e impegnato, che può essere definito appunto neo-umanista, è anche dichiarato amore per una matrice classica dell'arte, in cui Indino affonda consapevolmente le radici, e per una visione che contempla un pathos simbolico della vita, ma va sottolineato che la scommessa di questo artista è rivestire quest'anima antica di un look attualissimo e aggressivo, ambiguo e sensuale. La dimensione di queste visioni si colloca infatti a metà strada tra la percezione privata, edonistica e raffinata e quella sociale poiché come ogni immagine è paradigma di uno stato d'animo appartenente a tutta l'umanità, essa è anche frutto di un gusto privato, emozione diretta della bellezza, carnale ed epidermica.
I mari, le campagne, le periferie urbane che fanno da sfondo al protagonismo delle figure umane sono immagini di una terra divenuta un pianeta algido, invivibile, dal quale si fugge o nel quale si è divenuti estranei. Straordinaria quella dell'opera "I vestiti bruciati", che con la precisione di un'istantanea ci restituisce l'atmosfera allucinata di un crepuscolo solcato dalla traiettoria di un aereo e le prime luci della città. Anche qui nella sua potente tridimensionalità è narrato un uomo che ha agito il suo destino varcando una soglia, e ora giganteggia dopo aver scardinato le sue prospettive quotidiane e riconquistato con la nudità una nuova verità fisica e metaforica.
Un accenno va fatto allo stile di questi dipinti, che in alcuni casi sfocia in un surreale virtuosistico e straniante; l'esecuzione è affidata ad una accuratissima stesura del disegno, che nitido e pulito crea tutti i volumi su cui il colore successivamente viene applicato. Sviluppando lo stesso principio della tecnica serigrafica, Indino aggiunge a mano tutta la gamma dei colori strato su strato, ottenendo sfumature particolari estremamente naturali e una luce limpidissima. E' così che le intuizioni assolutamente personali di questo giovane artista si concretizzano in un amoroso e certosino lavoro, nel tratteggio a matita che dettaglia i chiaroscuri e nelle velature del colore che accende incubi o sogni, tra rosa addolciti e gialli elettrici, neri insondabili e graffiature, cancellature che sbalzano ombre e luci fino a raggiungere effetti scultorei, realizzando un interessante connubio tra virtuosismo tecnico, cultura storica e riflessione sul contemporaneo, restando fedele ai canoni della tradizione ma rinnovandone profondamente i significati.



Tracce per una lettura delle opere di Rosalino Indino

(dalla conferenza di Daniela Bellotti, Hotel Boscolo, Bologna 18.4.2004)

"L'unico scandalo ancora possibile è il realismo". Guy Debord. Questa frase potrebbe essere una bandiera per molta della più recente ricerca artistica e indurre gli artisti, e naturalmente i pittori, a rispondere a questa attesa e a questo problema: Quale realismo?… penso da parte mia ad un realismo che sia approccio alla contemporaneità, che sia evidentemente filtrato dalla sensibilità individuale, poiché sul concetto di "realtà" ognuno opera dal suo punto di vista, unico e irripetibile, un realismo nutrito di strumenti concettuali, post-moderni perché l'immagine sfugga all'immagine stessa, e si ricicli attraverso mezzi di rivelazione che solo l'arte sa mettere in campo.
(Per inciso vorrei dire che una certa rivalutazione dell'espressione artistica attraverso la pittura sta avvenendo in un periodo in cui si fa strada un dibattito sugli ultimi decenni dell'arte del '900, che ha vissuto di corsi e ricorsi e mode rimasticando in infiniti riciclaggi i concetti che erano stati delle avanguardie nella prima metà del secolo; oggi ci si può e ci si deve chiedere in un'ottica che può essere già storica: Che ne è stato delle forme dell'arte più estrema e trasgressiva? In attesa di mettere ordine in un tessuto così complesso, attraverso apporti che sicuramente saranno molteplici e differenziati, penso si debba già oggi cercare lo spazio e la libertà dai condizionamenti e dalle abitudini per una riflessione sugli esiti di tanta arte che si propone di essere continuamente avanguardia, continuamente destabilizzante, e mi pare di poter dire che la prospettiva dei decenni ci sta aiutando a capire. Chi si è avvicinato all'arte contemporanea negli ultimi trenta anni è stato investito da una congerie di proposte spesso astruse, che hanno segnato un solco oltre il quale molti non si sono mai avventurati, perché la comunicazione era davvero eccessivamente aleatoria e povera di idee, in fin dei conti superflua e ripetitiva… e dunque non ha prodotto vera cultura e vero pensiero, ha solo messo a dura prova le nostre capacità intuitive per trovarci un senso.)
Quale ruolo può giocare la pittura in questa presa di distanza dalle elucubrazioni fredde di tanta arte estrema?…Che cosa racconterà il 2000 con la pittura? Un dato di fatto è che molti curatori stanno riproponendo pittura nelle grandi mostre internazionali per rispondere a questa impasse dell'arte non figurativa. E dunque sembra giunto il momento per ricompitare la pittura a riconquistare il terreno alla comunicazione attraverso un mezzo che designa l'unicità, la singolarità, la marginalità nei confronti della comunicazione globale. Il singolo contro tutti, la voce solista che si eleva sulla frammentarietà e confusione dei linguaggi quotidiani con il tempo lungo della pittura.
Molta neo-figurazione italiana passa attraverso la scelta di un racconto freddo, quasi fotografico di momenti legati all'attualità. Un nome per tutti, Daniele Galliano.
Rosalino Indino deve entrare a buon diritto tra i nomi dei pittori che lavorano su questi temi e che attraverso il mezzo pittorico dimostrano che si può fare arte concettuale, forte, consapevole, per nulla decorativa o rassicurante, anzi. Quello che racconta Indino è soprattutto un atto di fede nelle capacità amplificanti della pittura, rispetto alla comunicazione che ci circonda.  Asprezza e bellezza si intrecciano misteriosamente nei suoi quadri. Sappiamo che in ogni opera c'è un racconto, lo avvertiamo dalle complessità del tessuto iconografico, pieno di rimandi culturali, ma soprattutto sentiamo una fascinazione fredda, come se il quadro ci catturasse e ci portasse dentro una dimensione "altra", ma che in qualche modo può essere nostra. E' caratteristica della migliore arte pittorica quella di affascinare con l'apertura di spazi nuovi per la percezione e la coscienza, spazi che l'autore come un regista compone e dentro cui ci fa trovare soli con le nostre capacità di orientamento. Sarebbe interessante farci accompagnare dall'autore tra le tracce che egli ha lasciato e con cui ha costruito le immagini verso la "sua" verità. Ciò sciogliere gli enigmi delle sue nuove iconografie, per capire, per ricostruire il racconto. Si può intuire che in molte immagini il protagonista è colto nell'attimo successivo all'evento, l'attimo dopo la catastrofe. Catastrofe come fatto che sconvolge la continuità e la prevedibilità, ma anche momento rivelativo in cui nel silenzio si produce la conoscenza, la rivelazione. Vorrei però fermarmi qui, non raccontare oltre la pittura di Indino, perché questa è una pittura che vive nel suo stesso racconto, nel mistero delle sue tracce e ognuno è chiamato ad un percorso personale di lettura. Opera aperta, dunque, caratteristica che, come ci ha insegnato Umberto Eco, è l'unica garanzia che siamo davvero di fronte ad un'opera d'arte che non si esaurisce con una lettura, e soprattutto non si esaurisce con la lettura privilegiata che ne può dare l'autore.
 

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