Daniela Bellotti "Scritti sull'Arte"                                                                                                 Le mostre
QUANDO BOLOGNA SCOPRI' LA FOTOGRAFIA

Museo Civico Archeologico
Bologna, 1993

Chi non conosce la suggestione un po' decadente delle antiche fotografie? Frammenti di un mondo passato, esse paiono custodire, con le immagini, i ricordi di altre generazioni, e raccontarne la vita, negli stessi luoghi a noi oggi familiari. Ecco allora le caratteristiche vedute cittadine così diverse con le carrozze e i cavalli in piazza, i monumenti e i palazzi col loro aspetto più antico, prima di tanti restauri, distruzioni e ricostruzioni; e poi la moda femminile civettuola e austera col bianco dei merletti e le lunghe pesanti sottane, i borghesi nelle pose rigide e artificiose, e i panorami aperti su una realtà rurale ancora profondamente povera... Nei flash di cento-centocinquanta anni fa tutto ciò torna sotto i nostri occhi come per un magico salto all'indietro,  dentro le superfici lucide dei dagherrotipi, delle carte calotipiche sbiadite, delle piccole "carte-de-visite", le famose e popolari 'miniature' fotografiche.
La recente mostra "Fotografie e Fotografi a Bologna: 1839-1900", allestita al Museo Civico Archeologico, ha offerto al pubblico l'occasione di ripercorrere le tappe della storia della fotografia nella nostra città, dai primordi alla fine del secolo scorso, attraverso una cospicua serie di materiali fotografici originali, inediti, provenienti da varie collezioni cittadine, pubbliche e private. L'iniziativa si annunciava, e si è poi rivelata, molto più di una esposizione di fotografie d'epoca. Tre anni di ricerche, una complessa ricognizione su materiali che in molti casi attendevano ancora una prima catalogazione, analisi storiche e d'archivio, sono stati una base conoscitiva imprescindibile, attraverso la quale è stato avviato un modo nuovo a Bologna di considerare la fotografia dell'Ottocento, che gli studi hanno rivelato degna di una completa rivalutazione e conservazione. Si tratta di una presa di coscienza fondamentale, che vuole arricchire i limiti di quella riscoperta individuale e quasi poetica che ciascuno può trarre dalle antiche foto, per riconoscere ad esse il ruolo di insostituibili testimoni della storia materiale del nostro territorio e della nostra realtà sociale. Dunque fotografia come documentazione, come possibilità di ripensare al volto urbanistico, architettonico, umano del passato, con ricchezza di particolari, indietro fino agli Anni Quaranta del XIX secolo, quando per la prima volta nella storia umana la realtà fu catturata nei "disegni fatti con la luce".
La fotografia, fin dal suo primo annuncio pubblico, avvenuto nel 1839 a Parigi quando fu divulgato il metodo di Louis-Jacques M. Daguerre, e poco più tardi, quando anche gli esperimenti di W.Henry Fox Talbot furono resi noti a Londra, fu subito salutata come apportatrice di una nuova era, della quale i più lungimiranti forse intuirono le ampie frontiere. Il nuovo, meraviglioso sistema di fare immagini solo attraverso un raggio di luce dentro la camera oscura, tramite la sensibilizzazione della lastra e del potere di fissaggio di alcuni composti chimici, replicabile in teoria in un numero illimitato di copie, era inizialmente molto complesso, richiedeva armamentari pesantissimi e lunghissimi tempi di esposizione; tuttavia fu subito chiaro che esso giungeva a rivoluzionare i sistemi di creazione di immagini illustrative fino ad allora in uso, come l'incisione e le stampe xilografiche. Si delineò presto anche un complesso rapporto con la pittura, che si rivelò pieno di scambi reciproci e di influenze e che in particolare determinò la crisi di alcuni generi come il ritratto e la miniatura, che patirono il superamento in verosimiglianza dalla nuova antagonista.
A Bologna gli echi della "duplice" invenzione della fotografia, quella parigina e quella londinese, furono praticamente immediati: venti giorni dopo l'annuncio dato da Daguerre, un articolo apparve su "Il Solerte" e raccontò la meravigliosa novità del dagherrotipo ai bolognesi. Il metodo inglese venne divulgato invece grazie ad Antonio Bertoloni, docente di Botanica all'ateneo bolognese, da tempo in contatto con Talbot, anch'egli appassionato di botanica. Bertoloni ebbe subito notizia da lui del suo diverso procedimento di produzione delle immagini: egli ricevette infatti presso l'Accademia delle Scienze di Bologna di cui era presidente, la stessa relazione che Talbot aveva letto alla Royal Society. Nei mesi che seguirono Bertoloni ricevette anche alcuni "disegni fotogenici", eseguiti da Talbot, che attualmente costituiscono uno degli incunaboli più preziosi della storia della fotografia.
Così anche a Bologna era nata la fotografia e iniziava l'avventura delle prime curiose sperimentazioni e la ricerca attiva per migliorare i risultati con nuove tecniche; e poi ci fu l'arrivo dei professionisti itineranti come Claude Porraz, Enrico Béguin e Giuseppina Dubray che portavano le novità e la loro esperienza dalla Francia, e la nascita nel corso degli Anni Cinquanta del primo studio bolognese specializzato in ritratti, "Bertinazzi e C.", al quale molti altri seguirono. Insomma Bologna visse con vivacità e ingegno l'età pionieristica della fotografia, cominciando subito coi "clic" a raccontare i suoi luoghi, la sua gente e i piccoli e grandi avvenimenti.
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