Dioniso, un breve escursus

Il Culto di Dioniso fu molto diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, da oriente ad occidente, comprendendo Asia ed India, Nord Africa, Penisola Greca inclusa la Macedonia e la Penisola Italica.
Il culto di questa divinità si perde nella notte dei tempi; più tardi approdò a Roma e quindi alle terre da essa controllate.

Affresco con Vesuvio Dioniso, rivestito di pampini, e il Vesuvio, con un serpente in primo piano, quale simbolo di fertilità.
Affresco del I sec., dalla
Casa del Centenario a Pompei.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Dioniso (come altre divinità Greche), ebbe diversi nomi ed appellativi che seguivano il nome a seconda dei luoghi nei quali era onorato; a Roma era noto come Bacco o Libero, in Oriente come Zagreo o Bassareo o anche Leneo.
Il suo aspetto era sempre quello di un giovane bellissimo, con il capo riccioluto e incoronato da pampini e da viticci.
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Dio gioviale, sorridente e simbolo del tripudio e della ricchezza della natura, legato a riti rimasti abbastanza misteriosi e talora selvaggi, che attestano anche la sua vicinanza con antichissimi riti in cui si usava propiziare il favore della natura mediante sacrifici di animali.

Fra i suoi adepti si registrano soprattutto donne (baccanti o mènadi), ma anche creature semiferine come Satiri e Sileni, ciò che sottolinea il carattere virtualmente ‘sovversivo’ o ‘alternativo’ del culto dionisiaco. Elementi fondamentali di tale culto sono lo sparagmós e l’homophagía (smembramento rituale di una bestia divorata cruda). Nonostante questa caratterizzazione, lontana dai comuni valori civici e sociali, importanti feste pubbliche sono dedicate al dio in tutte le poleis: ad Atene, in particolare, le Antestèrie primaverili, le Lenèe e le Dionisie, con agoni tragici, comici e ditirambici, posti sotto il controllo del dio Dioniso, che come tale è considerato il dio patrono del teatro. Tipici simboli dionisiaci (oltre al viticcio e all'edera rampicante) sono il tirso (bastone di abete, ornato da tralci di edera e di vite), la nèbride (in greco nebrís, pelle di capriolo adibita a mantello), la maschera, il fallo di cuoio (esibito ad Atene durante la processione delle Fallofòrie).

All’iconografia del dio appartengono animali come il toro, il leone, la pantera e il capro, emblemi della vita selvaggia con cui gli adepti entrano in comunione grazie alla manía («follia», «invasamento») dionisiaca. Culti privati di Dioniso furono tipici delle associazioni dette tìasi, specie in età ellenistica. Il dio, probabilmente in virtù del carattere orgiastico del suo culto, fu adottato dagli orfici (sedicenti seguaci del leggendario Orfeo) come una delle divinità più importanti della loro mitologia: in questo modo Dioniso (spesso con il nome di Zàgreo) assume caratteri iniziatici ed escatologici (cioè legati alla promessa di una ‘salvezza’ dopo la morte) che non appartengono originariamente alla sua figura.


Attributi dionisiaci
Testa di Dioniso
Attributi dionisiaci: tamburello, tirso, cembali, cantaro, cista; in primo piano pantera che lotta con serpente.
Affresco del I sec., da Pompei.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Testa di Dioniso giovane.
Scultura ellenistica ritrovata nei pressi di Roma.
Londra, British Museum

NASCITA DI DIONISO
Secondo il mito più diffuso, Dioniso è figlio di Semele (una mortale) e di Zeus e nasce a Tebe.
Semele fu incenerita per aver voluto, dietro istigazione di Era gelosa, vedere l'amante in tutto il suo fulgore, non considerando che solo agli Olimpi era permesso di osservare il vero volto di Zeus; e Dioniso, non ancora nato, rischiò di perire con la madre. Allora Zeus tolse il figlio dal grembo di lei e lo cucì in una sua coscia finché la gestazione fu completata; poi portò il bambino a Nisa, dove le Ninfe lo nutrirono con miele.
(Le ninfe nutrici di Dioniso diventarono più tardi le stelle della costellazione delle Iadi.)


Dioniso bambino su pantera, con le Ninfe di Nisa, in un cammeo di epoca romana.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Dioniso bambino sulla pantera



VITA DI DIONISO
Una volta cresciuto il dio errò per ogni dove, accompagnato nel suo peregrinare da Sileno, dai Satiri, dalle Ninfe e dalle Menadi, o Baccanti, a volte su un carro trainato da pantere. Lo troviamo così in Tracia da dove, per sfuggire al re Licurgo che voleva imprigionarlo, si rifugiò presso la nereide Teti, la quale gli diede rifugio in mare.

La pazzia di Licurgo Licurgo assale Ambrosia, Mosaico
La pazzia di Licurgo:
vaso in vetro (particolare), IV sec., a.C.

Londra, British Museum
Licurgo assale la ninfa Ambrosia, che si trasformerà in vite;
mosaico, I sec.

Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Giunto nell'isola di Nasso vi trovò Arianna, lasciata da Teseo dopo la loro fuga da Creta, dove la fanciulla aveva aiutato l'eroe nell'impresa per uccidere il Minotauro; innamoratosene, Dioniso la sposò e la portò con sé.

 Dioniso e Arianna a Nasso

Dioniso con Arianna a Nasso. Vetro a sbalzo del I sec.
dalla Casa di Fabio Rufo a Pompei.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Nozze di Dioniso e Arianna, Affresco

Le nozze di Dioniso ed Arianna. Affresco del I sec.,
nella Villa dei Misteri a Pompei

Trionfo di Dioniso e Arianna, Affresco

Trionfo di Dioniso e Arianna, affresco di Annibale Carracci.
Roma, Palazzo Farnese.

In Orcòmeno rese invasate le Miniadi, che prese da una strana pazzia, uccisero il figlio di una di loro scambiandolo per la vittima sacrificale del rito in onore del dio; e una tragedia simile capitò al re di Tebe, Penteo, ucciso e fatto a pezzi dalle donne invasate, compresa la sua stessa madre, alle quali voleva impedire di recarsi sui monti per onorare Dioniso.

Un giorno nel suo continuo errare fu trovato dai pirati che lo rapirono per venderlo come schiavo in un mercato d'Oriente; Dioniso allora trasformò i loro remi in serpenti e paralizzò la nave con ghirlande d'edera e di vite, cosicché i pirati, impazziti si gettarono in mare dove diventarono delfini (il che spiega come i delfini siano amici degli uomini, e si sforzino di salvarli, nei naufragi, poiché sono pirati pentiti).

Dioniso ed i pirati, Mosaico

Dioniso bambino precipita in mare i pirati che lo avevano assalito.
Mosaico del III secolo d. C., Tunisi, Museo del Bardo.
(Donati e Pasini, 1997).

Anche Orfeo, il più antico cantore della Grecia, si inserisce nel mito di Dioniso. Orfeo disdegnava il dio del vino ed era devoto solo ad Apollo, che adorava chiamandolo dio del Sole; per questo Dioniso gli istigò contro le Menadi che, invasate dalla furia ispirata loro dal dio ne straziarono il corpo e lo smembrarono; le Muse di Apollo composero poi i resti del cadavere e gli diedero una conveniente sepoltura. Ad Orfeo si legherà poi l'Orfismo, un'espressione oscura e difficile del pensiero filosofico.

Nel corso delle feste dionisiache, o baccanali, si era soliti sacrificare un caprone, e il rito sacrificale era accompagnato da canti corali e da battute che in forma di dialogo venivano scambiate dai sacerdoti. A questo aspetto del rituale i pensatori greci riconducono l'origine della tragedia (individuando l'etimologia, nel termine tragedia "il canto del capro"), destinata nella Grecia classica a diventare una delle forme più alte e complesse di poesia.