CAPITOLO III

POLITICHE DI SOSTEGNO ALLA RICERCA E ALL’INNOVAZIONE NEL SISTEMA PRODUTTIVO

Alle politiche volte a favorire attività di ricerca e di innovazione viene riconosciuto un ruolo sempre più importante e strategico nello sviluppo delle economie nazionali. Si avverte la necessità di potenziare gli strumenti pubblici di intervento nel settore, di articolare in maniera più funzionale il sistema della ricerca pubblica, di intensificare i rapporti tra ricerca pubblica e privata. L’attenzione rivolta a queste forme di politica è vista da alcuni come un modo per compensare la riduzione dei margini di manovra delle politiche macroeconomiche e industriali tradizionali.[1].

Il ruolo più vasto e complesso assegnato alle politiche tecnologiche ha portato anche a rivedere le misure di intervento: quelle più collaudate sono di natura discrezionale o programmatica, e consistono in incentivi e sovvenzioni alle imprese impegnate in attività di ricerca o innovative; si sta cercando ora di mettere a punto strumenti nuovi, automatici e permanenti, come ad esempio il credito d’imposta e la defiscalizzazione delle spese di ricerca, che favoriscano l’attitudine ad innovare da parte delle imprese.

Ancora, anche grazie all’approccio dei sistemi d’innovazione, è stata messa in luce l’importanza delle istituzioni, delle infrastrutture, delle relazioni tra i diversi soggetti coinvolti nei processi innovativi. E’ stato di conseguenza evidenziato il potenziale di forme di intervento più pervasive, che vadano oltre il fattore di sovvenzione, che garantiscano alle imprese l’accesso ad una pubblica amministrazione più efficiente, e la disponibilità sul territorio di un valido sistema di ricerca pubblico e di meccanismi diretti al trasferimento tecnologico che promuovano anche la mobilità di ricercatori tra strutture pubbliche e private. Si tratta di fornire un supporto integrato alle politiche tecnologiche tradizionali.

Inoltre, anche in sede europea (Libro verde sull’innovazione), si sta ponendo particolare attenzione a politiche cosiddette di contesto, che cerchino di rendere l’ambito in cui le imprese operano il più possibile favorevole alle innovazioni, garantendo condizioni macroeconomiche tali da incentivare il ricorso imprenditoriale ad investimenti innovativi e di ricerca.

L’operatore pubblico avverte, dunque, il bisogno di una gamma di strumenti nuovi, più incisivi e più funzionali alle esigenze tecnologiche del sistema economico in cui va ad operare.

È necessario però tener conto delle specifiche caratteristiche del nostro tessuto produttivo.

Uno dei problemi in questo senso è la distanza tra il mondo della ricerca e le pmi. Diversamente dalle grandi imprese, la maggior parte delle pmi non ha contatti avviati ed efficaci con Università e centri di ricerca, che così non possono agevolmente interpretare i loro bisogni tecnologici.

Eppure questa fascia di imprese rappresenta una realtà molto consistente del nostro panorama industriale, e produce una quota rilevante del PIL nazionale (il 60% nel 1994). Perciò, la mancanza di efficienti veicoli di comunicazione tra le pmi da una parte e la strutture di ricerca dall’altra, è da considerarsi lacuna piuttosto grave, da colmare al più presto.

In tal senso, iniziative particolarmente significative possono essere quelle mirate al monitoraggio del tessuto di pmi, come ad esempio l’Osservatorio sulle piccole e medie imprese istituito presso il Mediocredito Centrale e la Road map della ricerca dell’innovazione, pensata dal Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, volta a tracciare un quadro dei modelli innovativi operanti nelle pmi italiane e rilevare le loro esigenze tecnologiche. Tale attività di monitoraggio dovrebbe delineare più chiaramente la fisionomia di questa struttura di produzione che costituisce una delle caratteristiche più tipiche dell’economia italiana, e allo stesso tempo colmare una carenza del nostro Paese nel campo della previsione tecnologica, finora svolta al di fuori di una logica organica e capace di produrre effetti operativi nelle politiche di ricerca.

 

In Italia

La politica pubblica di sostegno all’innovazione è, nel nostro Paese, una novità degli ultimi decenni. Durante la ricostruzione e il boom economico del dopoguerra, negli anni ’60 e ’70, è stata praticamente assente. Mentre altri Paesi supportavano lo sviluppo dell’industria elettronica, l’operatore pubblico italiano interveniva in produzioni caratterizzate da tecnologie mature o economie di scala, come la siderurgia, e tralasciava i settori hi-tech. Le prime iniziative programmate in questo campo, con le leggi 1089 del 1968 e 675 del 1977, oltre che della scarsità di risorse stanziate, soffrivano anche della mancanza di un disegno di intervento preciso.[2]

In seguito l’intervento pubblico si è concentrato in settori determinati, come l’industria elettronica a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 e la biotecnologia nella seconda metà del decennio scorso.

Possiamo distinguere tra strumenti tradizionali di sostegno diretto e strumenti automatici, più recentemente introdotti. Un’ulteriore distinzione va fatta tra interventi di tipo “orizzontale”, che riguardano potenzialmente tutte le imprese (l.46/1982) ed altri ad azione specifica, predisposti per le pmi (leggi 1329/1965, 317/1991).

 

Strumenti tradizionali di sostegno diretto

Attualmente, la politica pubblica di sostegno all’innovazione si muove su vari piani, che seguono l’articolarsi del processo innovativo. Al livello della ricerca di base abbiamo i Programmi Finalizzati del CNR, lanciati nel 1975, che includono una vasta gamma di campi di ricerca (ambiente, tecnologie avanzate, energia e così via). Dopo un periodo iniziale in cui le linee guida erano stabilite in ambito accademico, si è seguito un approccio bottom-up: il problema che si pone è quello di coinvolgere anche le imprese in un approccio cooperativo. Per questo è necessario che centri di ricerca, Università ed industria trovino obiettivi comuni ed unificanti.

Più a valle nel processo innovativo, negli stadi di applicazione e sviluppo, il sostegno pubblico alla ReS industriale avviene attraverso misure come quelle previste dalla la legge 46 del 1982, che attualmente costituisce il principale quadro di riferimento per le politiche tecnologiche in Italia. Il suo obiettivo è facilitare la costante evoluzione delle tecnologie e la loro applicazione nei processi produttivi, nonché agevolare i meccanismi di trasferimento tecnologico verso le piccole e medie imprese.

La legge prevede importanti strumenti quali il Fondo per la ricerca applicata (istituito con la legge 109 del 1968, rivisto nell’ 82), il Fondo per l’innovazione tecnologica ed i Programmi Nazionali di Ricerca. Essa individua azioni bottom up, in cui sono le imprese a proporre i progetti, assecondando cosi le esigenze imprenditoriali; ma interviene anche con azioni top down, come nel caso dei Piani Nazionali di Ricerca, nei quali è l’apparato pubblico ad individuare le priorità di sviluppo. Sono previsti anche meccanismi intermedi, per raccordare i risultati della ricerca pubblica con quelli raggiunti dalle imprese.

Il Fondo per la ricerca applicata è gestito dall’IMI sotto la direzione del Ministero per la Ricerca scientifica e tecnologica. È rivolto a fornire un sostegno finanziario a progetti di ricerca promossi dalle imprese industriali ed dai loro consorzi, dagli enti pubblici economici che svolgono attività produttiva e da società di ricerca costituite con i mezzi del Fondo. Ad usufruirne sono state per molto tempo principalmente le grandi imprese (FIAT, Olivetti, aziende del gruppo IRI): minore è stato l’accesso al fondo da parte delle pmi. Il motivo è stato ravvisato nelle pesanti procedure burocratiche previste dal dettato legislativo: lo conferma l’inversione di tendenza avutasi nel 1995 con l’adozione di meccanismi semplificati per l’accesso ai finanziamenti da parte delle pmi, a seguito della quale si è avuto lo “sblocco” del Fondo. Le richieste di finanziamento sono passate da 1.325 miliardi del 1995 a 3.000 miliardi nel 1996: il livello di impegno del Fondo a favore delle pmi è salito dal 15,9% al 25%. La legge 46 si è rivelata insomma uno strumento articolato ma anche agile e flessibile ad esigenze diverse.

A differenza del Fondo per la Ricerca Applicata, il Fondo per l’Innovazione Tecnologica è gestito dal Ministero dell’Industria senza il tramite di un intermediario finanziario. Mentre il primo è rivolto alla ricerca di nuovi prodotti, metodologie, processi, il secondo si concentra sulle applicazioni dei risultati della ricerca attraverso attività preparatorie all’innovazione quali la progettazione, la sperimentazione, lo sviluppo e la preindustrializzazione.

Il Fondo per l’Innovazione Tecnologica è stato creato inizialmente per il sostegno a determinati settori, come l’elettronico, il chimico, il siderurgico, l’aeronautico, l’automobilistico, ed è stato poi esteso ad altri, quali l’agroalimentare e la meccanica. Le procedure previste sono più snelle e meno rigidi i criteri di selezione rispetto a quelli inizialmente previsti per il Fondo per la Ricerca Applicata. Anche per questo l’efficacia dell’intervento nei confronti delle piccole e medie imprese è risultata, in un primo tempo, maggiore.

Alla fine del 1996 il Fondo ha assunto impegni complessivamente per 8.398 miliardi, approvando 3.249 programmi di cui 1961 realizzati da pmi, alle quali sono stati destinati 2.151 miliardi. Gli stanziamenti effettivi erano 6.012 e sono giacenti per l’istruttoria più di 800 progetti. È in fase di studi una riforma del Fondo che permetta di abbreviare i tempi dell’istruttoria a 6 mesi e di semplificare le procedure per iniziative di minor dimensione, in coerenza con quanto già fatto per il Fondo di Ricerca Applicata.

I due Fondi hanno senz’altro contribuito ad accrescere la capacità tecnologiche e di ricerca del sistema innovativo italiano. Soffrono però della mancanza di coordinamento (la gestione del primo è assegnata all’IMI sotto la direzione del Ministero per la Ricerca, e quella del secondo al Ministero per l’Industria).

Quanto ai Programmi Nazionali di Ricerca, operano, come si è detto, in un’ottica top down: è il Ministero per la Ricerca Scientifica e Tecnologica a stabilire le linee di condotta (avvalendosi eventualmente dell’apporto del CNR) ed a sottoporre le iniziative al CIPI. Una larga parte degli stanziamenti legati a questi programmi è devoluta ad Università e agenzie di ricerca governative; rilevanti anche le quote destinate a campi come la farmaceutica e la biotecnologia.

 

Strumenti fiscali automatici

Oltre a questi strumenti di intervento diretto e discrezionale, lo Stato predispone altre misure di tipo permanente, consistenti in automatismi fiscali che incentivano le imprese ad investire in ricerca ed innovazione. Tali strumenti agiscono in maniera “neutrale”, lasciando libera scelta degli obiettivi ai produttori, che interpretano il mercato e la sua evoluzione.

Il sostegno automatico attraverso mezzi fiscali, perciò, favorisce strategie aziendali di adeguamento continuo della produzione al progredire della tecnologia, un rapporto più simbiotico tra sviluppo economico e tecnologico, stimolando le innovazioni di tipo incrementale-diffusivo, che aggiornano continuamente la competitività dei prodotti.

Va ricordato poi che l’intervento fiscale ha effetti di “ritorno” del mancato gettito fiscale: se nell’immediato fa diminuire gli introiti dello Stato, contribuisce nel medio termine a far crescere la redditività delle imprese e, quindi, le entrate fiscali.

Nelle forme in cui sono in uso attualmente, questi strumenti prevedono meccanismi di sgravio (credito d’imposta) sulla base dei consuntivi dei costi di ReS sostenuti dalle imprese all’anno precedente; costi che comprendono, oltre a quelli relativi a ricerca base ed applicativa, anche quelli per lo sviluppo sperimentale, attività diretta al perfezionamenti dei risultati delle fasi meno pratiche della ricerca e più prossima all’introduzione dell’innovazione concreta. Un modo, dunque, non solo per coinvolgere le imprese in attività di ricerca che possono loro apparire poco remunerative, ma anche per evidenziare e favorire le loro attitudini innovative.

I modi per attuare questo tipo di politiche possono consistere nell’applicazione del credito d’imposta, pari ad una percentuale, variabile secondo le dimensioni dell’impresa, da applicare alle spese di ReS sostenute nell’esercizio; nell’applicazione di un credito d’imposta pari ad una percentuale relativa all’incremento delle spese per ReS sostenute nell’esercizio, rispetto alla media della spesa dell’ultimo triennio (così da “premiare” le imprese che aumentano il loro impegno di ricerca); nella defiscalizzazione delle spese di ricerca presso le Università o gli istituti pubblici di ricerca (e questo potrebbe incentivare il cofinanziamento privato della ricerca pubblica).

Un esempio già operante nella nostra legislazione di questo tipo di strumenti è la legge 317 del 1991, che prevede il credito d’imposta per le imprese che spendono in ricerca ed investimenti innovativi, e della quale si parlerà più diffusamente nel seguito.

Le politiche a favore delle pmi

Come già accennato, le piccole e medie imprese, che costituiscono una voce importante nel complesso produttivo italiano, sono piuttosto distanti dal mondo della ricerca.

Le ragioni sono tante. Ad ostacolare un maggiore impegno nella ReS da parte di questi operatori sono principalmente motivi finanziari: le attività di ricerca sono costose, rischiose ed i risultati arrivano in tempi a volte troppo lunghi. Anche per questo le piccole imprese, quando innovano, preferiscono ricorrere generalmente ad altri canali, come l’acquisto di brevetti e know-how, l’intensificazione delle produzioni di prova, dell’engineering, l’acquisto di tecnologia incorporata nei macchinari. A parte poche eccezioni, raramente le pmi si rendono protagoniste di innovazioni radicali legate ad un impegno intenso nella ricerca: hanno maturato, in compenso, una grande capacità di adattarsi e venire incontro alle esigenze del mercato con miglioramenti tecnologici dei prodotti e dei processi. Il loro campo d’azione, come sottolineato in precedenza, è più spesso quello dell’innovazione incrementale, e questo permette loro di sostenere continuamente la loro competitività sul mercato.

L’operatore pubblico ha in qualche misura assecondato, nel tempo, questa tendenza favorendo le imprese di piccole dimensioni che miravano all’applicazione immediata di nuove tecnologie. Solo in tempi più recenti si sta cercando di coinvolgere questo tipo di aziende in un discorso più vasto, che ne stimoli l’impegno nella ricerca e ne favorisca la comunicazione con gli altri attori del sistema innovativo.

Le politiche pubbliche adottate nei confronti delle piccole e medie imprese possono essere raggruppate in due tipi: quelle volte a favorire l’adozione di beni capitali (con sovvenzioni dirette, prestiti agevolati o incentivazione fiscale) e quelle mirate a sviluppare delle infrastrutture tecnologiche locali.[3]

Politiche di sostegno all’adozione di beni capitali

Esse consistono in una serie di strumenti predisposti a mezzo di leggi dello Stato per raggiungere il più alto numero possibile di potenziali adottatori di nuove tecnologie incorporate.

La prima misura prevista in questo senso è stata la legge 1329 del 1962 (legge Sabatini) che si è rivelata uno strumento abbastanza flessibile per le esigenze delle pmi: essa prevede, nel caso di acquisti di macchinari, la possibilità di pagamenti differiti entro cinque anni, attraverso le agevolazioni di credito concesse dal Mediocredito Centrale. Le procedure di accesso a tali agevolazioni sono relativamente semplici ed hanno reso questo strumento piuttosto efficace: nel 1987, il Mediocredito Centrale aveva distribuito oltre 400 miliardi di lire per più di 30.000 operazioni di acquisto di beni capitali.

A supporto e completamento della legge Sabatini, è stata adottata un’altra misura dello stesso genere nel 1976: il dpr. 902, che prevede agevolazioni di prestito collegate a due tipi di parametri: la collocazione geografica dell’impresa richiedente (Nord o Sud dell’Italia) ed il livello tecnologico dell’area specifica in cui l’impresa opera. Il programma si è rivelato però di natura complicata e, in particolare è emersa la difficoltà di individuare le aree da considerare insufficientemente sviluppate. Il risultato è stato che la legge ha finanziato i progetti di modernizzazione tecnologica di imprese collocate prevalentemente nel Centro-Nord, senza raggiungere il vero obiettivo del legislatore, cioè l’articolazione degli interventi nell’intero Paese.

La legge 64 del 1986, nell’ambito di un programma generale di intervento per lo sviluppo del Mezzogiorno, disponeva specifiche iniziative a favore delle piccole e medie imprese: contributi, incentivi e l’istituzione di appositi fondi, per l’acquisto di servizi reali, tecnologie incorporate e lo sviluppo di progetti di ricerca applicata; conteneva norme in favore dell’instaurazione di nuovi centri di ricerca scientifica e tecnologica, anche collegati con le imprese e realizzati informa consortile e abbassava da 25 a 15 il numero di ricercatori necessario per avere il contributo statale.

Nel 1983 la legge 696 ha previsto l’applicazione di incentivi alla diffusione di nuove tecnologie, con particolare riguardo all’acquisto ed al leasing di macchinari avanzati. La legge era stata prevista come una misura provvisoria ed è rimasta in vigore fino al 1985: ma il decreto n.318 del 1987 ne ha reintrodotto il regime.

Della legge 46 del 1982 si è detto: per molto tempo questo strumento, pur di notevole portata, non ha praticamente toccato le piccole e medie imprese. Grazie però alle semplificazioni applicate nel 1995, l’accesso di questi attori è stato facilitato ed essi hanno dimostrato una certa capacità a proporre iniziative di ricerca.

Anche la legge 317/1991, con lo strumento del credito d’imposta applicato alle spese delle imprese in favore della ricerca e degli investimenti innovativi, percorre la strada dell’incentivazione fiscale, che per alcuni sarebbe più efficace di quella dei sussidi.[4] Inoltre istituisce contributi e finanziamenti agevolati per consorzi tra piccole e medie imprese volti a promuovere lo sviluppo tecnologico e favorisce la creazione di centri per l’innovazione imprenditoriale. La legge 317 riconosce al distretto industriale rilievo giuridico e lo rende termine di riferimento per la politica economica. Infatti l’art. 36 , dopo aver definito formalmente i distretti, statuisce che essi siano debitamente individuati dalle regioni e che queste possono finanziarvi dei progetti innovativi che coinvolgano più imprese, in base ad un contratto di programma stipulato tra i consorzi (di imprese del distretto) e le stesse regioni.

Un altro strumento interessante potrebbe rivelarsi quello introdotto dalla recente legge 196 del 1997, che prevede, a vantaggio delle pmi, una forma di “prestito gratuito” di ricercatori e tecnologi da parte di enti pubblici di ricerca. Le imprese destinatarie possono così avere i vantaggi della collaborazione di personale altamente qualificato senza l’onere dei costi relativi né l’impegno di dover mantenere il rapporto nel tempo (per le piccole imprese la presenza fissa di ricercatori, come la disponibilità di laboratori di ricerca è spesso un tipo di investimento poco accessibile e remunerativo).

 

Politiche per lo sviluppo di infrastrutture locali

Quanto alle politiche volte a favorire lo sviluppo di infrastrutture tecnologiche locali, esse raccordano le iniziative statali ad quelle locali e decentralizzate. Questa dovrebbe essere una delle forme più articolate di supporto integrato delle politiche dirette di sovvenzione e di quelle indirette di incentivazione.

Sono stati approntati vari programmi per lo sviluppo di centri e strutture di ricerca, sperimentazione, addestramento di personale, consulenza tecnica. Fra le iniziative più interessanti i parchi tecnologici come il Tecnotex di Biella, l’Area Science Park di Trieste e Tecnopolis a Bari, il più grande parco scientifico dell’Italia meridionale[5]. Tuttavia i parchi scientifici sono un tipo di intervento, che, nel tempo è stato soggetto a varie critiche: se ne parlerà in maniera più dettagliata nel capitolo successivo.

Si è parlato di eccesso di offerta favorito dalla recente disponibilità di finanziamento da parte del MURST e della Comunità Europea. come evidenziato da Sterlacchini e Alessandrini, “nel 1994 sono stati finanziati 13 parchi tecnologici nelle regioni del Centro-Sud (dalle Marche alla Sardegna e, attualmente, altri parchi hanno completato la fase di progettazione e sono in attesa di finanziamenti in molte province del Centro-Nord. Si sta rischiando, di conseguenza, di appesantire il “sistema nazionale dell’innovazione” con strutture che attingono a risorse limitate prima ancora di aver dimostrato la loro effettiva utilità a scapito di altre iniziative”.[6]

Altre politiche sono state volte a supportare la creazione di centri settoriali per il trasferimento tecnologico e l’assistenza tecnica all’industria locale: sono centri che svolgono ricerca sperimentale, engineering, e forniscono servizi di consulenza. In genere sono promossi dalle regioni, dalle camere di commercio, a volte da istituti di ricerca, con la collaborazione di associazioni industriali ed aziende private. Tali iniziative si concentrano soprattutto nelle Marche in Emilia ed in Lombardia.

La cooperazione tra imprese per la diffusione di nuove tecnologie ha avuto un certo successo a livello locale. In vari casi, i governi locali hanno supportato lo scambio di esperienze tecnologiche, l’utilizzo di servizi tecnici avanzati. Tra il 1985 ed il 1987 il sostegno pubblico è stato garantito a 50 di queste iniziative, che coinvolgevano 400 imprese.

Interessanti sono poi gli accordi di collaborazione tra istituiti di ricerca, agenzie pubbliche, associazioni industriali e grandi aziende pubbliche lo scopo dei quali è favorire il trasferimento di conoscenza scientifica e tecnologica: anche queste iniziative ricevono il sostegno pubblico. Un esempio è la legge 34 del 1985 della regione Lombardia, che, oltre al supporto all’introduzione di innovazioni nelle piccole e medie imprese, prevede incentivi per contratti di ricerca tra Università e pmi. Un caso analogo nella provincia autonoma di Trento, dove è stata promulgata una legge che promuove la cooperazione tra industria e Università.

Con riferimento all’ambito nazionale, la cooperazione tra imprese da una parte e istituti di ricerca dall’altra sta maturando anche per marito del sostegno pubblico ad iniziative di collaborazione nella ReS, che negli anni ‘80 è andato crescendo. I principali protagonisti di queste iniziative sono stati l’ENEA (cooperazione con Università ed imprese nel campo energetico), il CNR, l’INFN (programmi per lo sfruttamento commerciale dei risultati delle ricerche svolte in collaborazione con aziende hi-tech), l’ISS (collaborazione con imprese nell’ambito dei Progetti finalizzati del CNR e dei piani nazionali di ricerca del MURST, oltre che nel campo del testing di nuovi farmaci).

Politiche per i network di imprese innovative

I distretti industriali si presentano come network innovativi, anche quelli – e sono la maggior parte – impegnati in settori tradizionali, perché affrontano, spesso con successo, il problema di modernizzare produzioni a tecnologia matura.

Come già accennato, questa realtà ha ottenuto solo di recente l’attenzione della legislazione economica (l.317/1991). Il nostro sistema non prevede misure ad hoc per questi complessi di imprese. Certamente essi richiedono strumenti di intervento “strutturali” più che “individuali”.

Gli studiosi che hanno analizzato il problema indicano alcuni criteri guida per le politiche rivolte a questi soggetti:

a) regolamentare l’entrata (ammissione) e l’uscita (esclusione) dal network;

b) promuovere un processo di selezione innovativa tra gli agenti;

c)favorire la conoscenza comune ed i processi di apprendimento che caratterizzano il network diffondendo la conoscenza base attraverso le istituzioni educative, le Università e i programmi di formazione specifica.[7]

La forza di questi sistemi risiede spesso nella loro capacità di intercomunicazione : per questo un potenziamento dell’attitudine innovativa può venire dalla creazione di centri di servizi che favoriscono i contatti tra le imprese impegnate negli stessi settori, fungendo da liason office[8] e da “agente collettivo” che compie un monitoraggio sulle potenzialità tecnologiche dell’area, individua i problemi dei singoli soggetti e canalizza le informazioni al fine di risolverli.

Strutture di questo genere sono sorte in Italia nelle zone in cui più diffusi sono i distretti industriali, per iniziativa o delle autorità locali o delle stesse imprese. Si tratta di:

a) agenzie regionali per lo sviluppo tecnologico, che gestiscono vari servizi senza specificazione settoriale, promuovendo il trasferimento tecnologico;

b) centri interaziendali, che prestano servizi specializzati mirati a vari settori (es. certificazione e controllo di qualità);

c) centri interaziendali per servizi a settori specifici, come il CITER e altri centri in Emilia (v. capitolo seguente);

d) centri di servizi integrati che agiscono su un intero territorio, come i Business innovation centers.

Si tratta di strumenti di politica intermedi tra quelli tradizionali, predisposti per le singole imprese e la più generica fornitura di infrastrutture efficienti: un tipo di intervento che, assecondando una caratteristica particolare del nostro sistema produttivo ne può esaltare le potenzialità innovative.

 

La rilevanza delle politiche tecnologiche per le imprese italiane

Per quel che riguarda la ricezione di questi interventi da parte delle imprese, è stato osservato[9][9] che le misure meglio accolte nel sistema industriale italiano sono i sussidi per la ReS ed i programmi di spesa pubblica (v. Tabella 1). Un dato significativo se confrontato a quelli di altri partner in Europa, che si sono dichiarati più favorevoli a programmi di assistenza tecnica, consulenza brevettuale ed al supporto alle Università ed ai centri di ricerca. Si evince che in Italia le imprese avvertono di meno il proprio ruolo all’interno del sistema innovativo: manca loro la visione d’insieme che permetterebbe di comprendere i vantaggi che azioni di contesto come il sostegno alla ricerca ufficiale fanno ricadere sul sistema nel suo complesso e sulla produzione[10][10].

Una conferma viene dall’analisi dei dati risultanti dall’indagine ISTAT del 1995 sull’innovazione tecnologica: le 7.553 imprese innovatrici censite hanno dichiarato a gran maggioranza gli interventi pubblici non hanno avuto rilievo nell’introduzione delle innovazioni. Il 60% delle aziende non dà importanza  ai finanziamenti pubblici, mentre addirittura l’85% non considera i finanziamenti UE ed il 74% non utilizza gli incentivi finanziari indiretti. Quanto ad altre misure di “sistema”, come servizi tecnologici e di ricerca forniti da strutture pubbliche, il 90% circa dei destinatari le considera irrilevanti. Tuttavia, fa notare Pianta, “l’analisi delle risposte per classe dimensionale e per settore delle imprese innovatrici mostra che gli interventi di politica tecnologica sono ritenuti rilevanti in misura maggiore dalle imprese di grandi dimensioni e da quelle dei settori ad alta tecnologia (verso i quali sono indirizzate anche le commesse pubbliche).”

Nonostante questi segnali, si auspica da più parti un cambiamento di rotta delle politiche tecnologiche, che le porti ad agire sul sistema nel suo complesso piuttosto che sui casi singoli. C’è da chiedersi se, per quel che riguarda le imprese italiane, tale cambiamento ne accentuerà la già scarsa ricettività, o le stimolerà a maturare una coscienza di se stesse come “sistema d’innovazione” (v.Tabella 2).

L’importanza delle politiche di contesto

L’approccio tradizionale delle politiche tecnologiche resta quello legato a misure particolari, a sovvenzioni ed incentivi concessi alle imprese che svolgono attività di ricerca e di innovazione. Ma la complessità dei processi innovativi sta portando ad un’ approccio nuovo, che privilegia misure generali, atte ad agire sul contesto produttivo ed a favorirne indirettamente la competitività tecnologica. È la direzione del Libro verde sull’innovazione della Commissione europea e delle più recenti raccomandazioni OCSE.

Il Libro verde insiste, più che sulle condizioni specifiche per la realizzazione di innovazioni, sulle regole di funzionamento dei mercati e sull’importanza di avere un quadro economico stabile.

Viene sottolineato il ruolo della concorrenza come “regola del gioco”, motore di promozione dell’innovazione e strumento per contrastare le posizioni dominanti (che d’altra parte si cerca di non demonizzare, dato che restrizioni temporanee della concorrenza possono favorire l’introduzione di innovazioni, mentre posizioni dominanti che perdurano nel tempo diminuiscono la pressione sulle parti in causa e lo stimolo ad innovare). In quest’ottica si tracciano gli indirizzi per la disciplina degli aiuti di Stato alle imprese (che devono operare in modo orizzontale, senza privilegiare talune imprese su altre), per gli accordi di cooperazione e di trasferimento tecnologico (cui possono essere assegnate delle esenzioni) e si promuove una protezione efficace ed adeguata per la protezione della proprietà intellettuale.

L’instaurarsi di condizioni macroeconomiche stabili, inoltre, può favorire tendenze innovative. Lo sviluppo dell’Unione economica e monetaria, conformemente al Trattato di Maastricht, dovrebbe eliminare le  distorsioni concorrenziali dovute a fattori monetari. Si sottolinea la necessità della riduzione dei tassi d’interesse reali, che scoraggiano le imprese ad investire nel lungo termine, allontanandole dall’attività di ricerca e sviluppo.

Anche il recente rapporto OCSE su tecnologia e occupazione evidenzia il ruolo di primaria importanza che hanno le condizioni che consentono alle forze di mercato di produrre i risultati migliori.[11]. Fra le strategie suggerite ci sono:

·il potenziamento degli strumenti di creazione, accesso e distribuzione di conoscenza;

·la promozione di cambiamenti organizzativi per una gestione più efficace della conoscenza stessa (ambiente fiscale e regole di contabilità che favoriscano investimenti in ReS ed attività innovative da parte delle imprese, regolamentazione di fenomeni come la cooperazione tra imprese in questo campo);

· lo sviluppo e la qualificazione delle risorse umane;

· un ruolo più partecipe dell’operatore pubblico nello stimolo all’innovazione, non solo attraverso sovvenzioni ed incentivi ai produttori, ma anche con la domanda diretta di beni e servizi ad alto contenuto tecnologico;

· l’apertura di nuove prospettive di mercato, la lotta alle posizioni dominanti, la creazione di strumenti creditizi accessibili alle imprese che vogliano compiere investimenti di lungo termine come quelli di ricerca, misura, questa particolarmente importante per permettere la realizzazione del potenziale innovativo delle piccole imprese che trovano il loro maggiore ostacolo nelle difficoltà di finanziamento.

Osservazioni

Il raggio d’azione delle politiche tecnologiche possibili varia, dunque, dalla specificità di misure collaudate come le sovvenzioni dirette alle imprese, alla coerenza del quadro fiscale nel promuovere l’innovazione nel tessuto produttivo, al coordinamento delle iniziative di politica scientifica rivolte ai centri di ricerca con le esigenze tecnologiche dei soggetti che ne utilizzano i risultati.

L’incisività della loro azione è di volta in volta diversa, anche tenendo presente la loro influenza sul modello di specializzazione del Paese.

Per le politiche tradizionali di sussidio alle imprese innovative, si può dire che siano uno strumento neutro nei confronti delle tendenze presentate dal sistema industriale: nel meccanismo delle agevolazioni, se le risorse non sono razionate, l’offerta si adegua essenzialmente alla domanda, sicché una politica innovativa condotta con questi sistemi non è particolarmente attiva nell’indurre modificazioni nel modello di specializzazione produttiva.

Quanto alle politiche volte a fornire infrastrutture tecnologiche locali e sostegno integrato all’innovazione, esse potrebbero svolgere un ruolo potenzialmente più attivo. Del loro modo di agire e dell’efficacia della loro presenza sui sistemi produttivi locali si parlerà più diffusamente nel capitolo successivo.

Innegabile, infine, l’importanza delle politiche di contesto. Si tratta però di misure che possono dare stabilità all’insieme e solo indirettamente aumentare gli incentivi delle imprese a svolgere ricerca e ad innovare. Una politica che stimoli gli agenti economici ad essere competitivi sul piano tecnologico va necessariamente accompagnata da strumenti più mirati.

Tabella1: Politiche pubbliche a sostegno dell’innovazione

Totale Auto Chimica Elettronica Meccanica Farmacia
Italia
Sussidi 3.50 4.00 3.10 3.40 3.70 4.30
Spesa Pubbl 3.00 3.40 2.20 1.80 2.70 2.80
Supp Ric 2.20 1.80 1.80 1.60 2.70 2.60
Cons Brev 1.70 2.50 1.30 1.50 1.80 2.30
Assist Tecn 1.90 2.00 1.50 1.50 2.20 2.00
Cooper 2.80 3.50 2.00 3.30 2.80 3.50
Inf Tecn 2.30 2.60 2.00 1.70 2.80 2.60
Media totale 2.49 2.83 1.99 2.11 2.67 2.87

Europa

Sussidi 0.80 0.88 0.84 0.82 0.70 0.70
Spesa Pubbl 0.70 0.74 0.77 1.22  0.81 0.86
Supp Ric 1.32 1.72 1.50 1.81 0.93 1.54
Cons Brev 1.24 1.04 1.62 1.73 1.28 1.04
Assist Tecn 1.21 1.20 1.33 1.73 1.05 1.10
Cooper 1.04 0.89 1.40 0.97 0.89 0.91
Inf Tecn 0.91 0.96 0.90 1.24 0.75 0.81
Media totale 0.99 0.99 1.13 1.24 0.88 0.96

Fonte: ricerca PACE 1996

·DOMANDA: qual è l’importanza dei seguenti tipi di politiche o programmi del suo Paese o della CEE nel supportare le capacità innovative della sua unità?

·ITALIA : Valori 0-5 (0: min – 5: max) EUROPA (Valore EUROPA/Valore ITALIA)

·SUSSIDI: Sussidi (sconti fiscali o prestiti agevolati per le ReS)

·SPESA PUBBL: Programmi di spesa pubblica (difesa, ambiente, sanità, ecc.)

·SUPP RIC: Sostegno pubblico ad Università o a ist. pubblici di ricerca

·CONS BREV: consulenza per la ricerca brevettuale

·ASSIST TECN: altre informazioni o programmi di assistenza tecnica

· COOPER: programmi che incoraggiano modalità di ricerca cooperativa tra le imprese

· INF TECN: agenzie che forniscono inf. Tecniche su innovazioni in altri Paesi.

Tabella 2: numero di imprese innovatrici secondo il grado di importanza attribuito ai diversi tipi di intervento pubblico per le innovazioni tecnologiche introdotte nel periodo 1990-92

Tipi di intervento pubblico

Imprese con punteggio non rilevante

Imprese con punteggio rilevante

Poco importante

Moderatamente importante

Molto importante

Cruciale

Somma

Punteggio medio

 

Valori assoluti

Finanziam. Di Amm. Pubbliche

4532

486

875

1222

438

1660

2.5

Finanziam. CEE

6432

275

339

386

121

507

2.3

Incentivi finanziari indiretti

5605

505

507

630

306

936

2.4

Servizi di ricerca di strutture pubbliche

6850

361

227

94

21

115

1.7

Servizi tecnologici da strutture pubbliche

6661

461

273

139

19

158

1.7

Commesse pubbliche di ricerca

7100

206

142

75

30

105

1.8

Commesse pubbliche di fornitura

6933

237

169

146

68

214

2.1

Altro

7261

33

64

109

86

195

2.8

 

Valori percentuali

Finanziam. Di Amm. Pubbliche

60.0

6.4

11.6

16.2

5.8

22.0

100.0

Finanziam. CEE

85.2

3.6

4.5

5.1

1.6

6.7

100.0

Incentivi finanziari indiretti

74.2

6.7

6.7

8.3

4.1

12.4

100.0

Servizi di ricerca di strutture pubbliche

90.7

4.8

3.4

1.2

0.3

1.5

100.0

Servizi tecnologici da strutture pubbliche

88.2

6.1

3.6

1.8

0.3

2.1

100.0

Commesse pubbliche di ricerca

94.0

2.7

1.9

1.0

0.4

1.4

100.0

Commesse pubbliche di fornitura

91.9

3.1

2.2

1.9

0.9

2.8

100.0

Altro

96.3

0.4

0.8

1.4

1.1

2.5

100.0

Fonte: ISTAT ‘95



[1]PIANTA: “Innovazione e occupazione: nuove direzioni per la ricerca e le politiche” in “Tecnologia e occupazione”, CNR-ISRDS-OCSE, 1996, p.73.

[2] MALERBA “The national innovation systems: Italy” in NELSON: “National systems of innovation”, 1993, pp.251-253.

[3]MALERBA, 1993, op.cit.,241.

[4]ALESSANDRINI, STERLACCHINI: “Ricerca, formazione e rapporti con l’industria: i problemi irrisolti dell’Università italiana” in Economia e politica industriale, n.88, 1995, p.48.

[5]MALERBA, 1993, op.cit., p.242.

[6] ALESSANDRINI, STERLACCHINI, 1995, op.cit., p.46.

[7] BIANCHI, BELLINI, op.cit., p.492.

[8] MAGGIONI, op. cit., p.161.

[9]Ricerca PACE, 1996

[10]MALERBA, GAVETTI, 1996, op.cit, p.139.

[11]OCSE, “Tecnologia, produttività, e creazione di occupazione”, 1996.