La tesi ha come scopo l’analisi delle politiche volte al sostegno dell’attività innovativa e di ricerca nelle imprese. Per cui è stato necessario tener conto innanzitutto della struttura economica su cui tali politiche incidono.

L’analisi del sistema industriale italiano (perché il quadro della ricerca è circoscritto essenzialmente alla manifattura) costituisce perciò la prima parte della tesi: dopo la descrizione del profilo di specializzazione tecnologica del Paese e dell’evoluzione storico-economica che ha portato ad averla, ho cercato di inquadrare il sistema innovativo nazionale, che si è rivelato distinto di due distinti subsistemi innovativi: quello delle grandi imprese, che costituiscono il core innovativo-tecnologico, conformemente alla tradizione teorica schumpeteriana e il tessuto delle piccole e medie imprese che ha sviluppato un’attitudine sua propria all’innovazione.

Nonostante le limitazioni intrinseche alla dimensione, in queste imprese si è registrata una certa vivacità e flessibilità tecnologica. Resta in ogni caso il problema dell’incontro con il mondo della ricerca, specialmente per questi soggetti, la cui domanda di ricerca è spesso latente e non ben definita.

Per quel che riguarda più specificamente l’innovazione, l’aspetto su cui ho cercato di soffermarmi è stato quello dei canali di diffusione delle nuove tecnologie nel tessuto produttivo, del trasferimento tecnologico. E data la peculiarità del sistema produttivo italiano, ho rivolto particolare attenzione alle politiche atte a creare un “contesto” nel quale venga favorito l’accesso delle imprese ai risultati della ricerca e alla loro applicazione economica, l’innovazione, appunto. Tra questi canali di trasferimento tecnologico ho rivolto particolare attenzione ai Parchi Scientifici e tecnologici, cioè a quelle strutture che hanno l’obiettivo di far incontrare il sistema della ricerca con quello produttivo, sviluppando un legame con il territorio, le sue istituzioni e le sue risorse (sia economiche che umane: i network produttivi sono anche reti in cui si forma capitale umano).

Il risultato dell’analisi ha portato a delle specificazioni sull’identità stessa del Parco scientifico: il Parco, nella sua concezione iniziale (si pensi ad aree come Silicon Valley, route 128) deve essere una struttura atta a fare ricerca e ad applicarne i risultati nella produzione: ora, tenuto conto delle peculiarità del sistema produttivo italiano, la creazione di Parchi, che è stata una forma di politica industriale perseguita soprattutto al sud e nelle aree depresse, può effettivamente avere risultati positivi dove esistano almeno le basi di un “network tecnologico”: la presenza di centri di ricerca avviati, buone istituzioni formative, imprenditorialità vivace…qui il Parco può avere una funzione di Catalizzatore di potenzialità già esistenti. Ma dove tutto ciò manche si rischia di costruire cattedrali nel deserto, o di declassare il Parco a strumento di erogazione di fondi ad aree depresse.

 

Distretti

Secondo Marshall perché un distretto si formi è necessario che le diverse fasi del processo possano essere svolte in stabilimenti distinti: in questo modo il processo di produzione può essere organizzato sia nella forma verticalmente integrata (tradizionale), sia in una forma “disintegrata” o coordinata orizzontalmente, cioè nel distretto.

La conseguenza di questa forma organizzativa è il sorgere di economie esterne alla singola impresa, ma interne al distretto, tali da consentire ai singoli operatori (che sono generalmente di piccole dimensioni) di restare sul mercato competitivamente.

Le caratteristiche di un distretto, con riferimento alla scuola italiana dei distretti (Becattini, Brusco) sono:

q       un ambito territoriale abbastanza ristretto, non invariabile nel tempo, ben connesso da vie di comunicazione interne

q       una popolazione di famiglie (radicamento) che vivono e lavorano in tale ambito

q       una popolazione di imprese manifatturiere piccole e medio-piccole indipendenti più una popolazione di gruppi di imprese ognuna specializzata in qualche fase del processo produttivo che caratterizza il distretto come complesso

q       una rete di relazioni commerciali con l’esterno riguardo all’acquisto di materie prime, macchine, per cui si crea un’economia esterna data dai vantaggi dell’acquisto di gruppo, e alla vendita, e qui si hanno i vantaggi della distribuzione di gruppo.

q       la presenza di una “cultura” tipica del luogo (valore del lavoro, del risparmio; atteggiamento verso il rischio) e di una rete istituzionale (usi commerciali, associazionismo economico, presenza di istituti di formazione)

q       il senso di appartenenza e di identità che da tutti questi elementi consegue, la presenza di un’immagine unitaria e di caratteri tipici riconoscibili dall’esterno.