La Comunità Cristiana Evangelica di Via Glauco, 8 (CT)
e la tradizione religiosa metodista
Capitolo primo. Gli
evangelici in Italia.
1. Origini
antiche: i valdesi.
3. Il
rinnovamento viene dall’estero.
5. Per una
collocazione giuridica.
6.
Confessioni, chiese, movimenti o sette?
Capitolo secondo. L’importanza
della Riforma inglese.
2. Il
Calvinismo in Inghilterra.
Capitolo terzo. Identifichiamo
Via Glauco.
5.
‘Imitatori’ dei primi cristiani.
Capitolo quarto. Le
origini della Comunità.
3. Alla
ricerca di qualcosa di più.
4. ‘Cristiani non a parole ma a fatti...’.
Capitolo quinto. La
‘parentesi’ Chiesa del Nazareno.
4.
Cambiamenti nell’organizzazione interna.
5.
Integrazione e collaborazione.
8. Modalità e
motivazioni del distacco.
Capitolo sesto. Consolidamento.
1. Struttura
interna: dai ‘dipartimenti’ai ‘settori’.
4. Attività
esterne: Acicastello.
5. Attività
esterne: le missioni.
6. Un nuovo
orizzonte: il Nepal.
Capitolo settimo. La
vita all’esterno di Via Glauco.
1.
Collaborazione con gruppi internazionali.
2. Il
Comitato pastorale di Catania.
3. Altri
contatti di Via Glauco.
7. Rapporti
con la confessione dominante.
Capitolo ottavo. Descrizione
della comunità.
La comunità evangelica di
Via Glauco non appartiene ad alcuna denominazione ufficiale riconosciuta dallo
Stato italiano ma, nello svolgimento della propria vita esterna ed interna,
cioè pubblica e privata, si sottomette non a norme o dottrine imposte[1], spesso da organismi
culturalmente ed attitudinalmente lontani dalla realtà locale, bensì soltanto a
ciò che la Parola di Dio, nelle sue varie forme d’espressione, comunica al
singolo credente ed alla collettività.
Nel definirsi, Via Glauco
adopera soltanto i termini ‘Comunità cristiana evangelica’, senza altre
specificazioni. Nonostante essa non sia l’unica comunità a presentare questi
caratteri (stando a recenti stime, in Italia circa 20.000 credenti sono riuniti
in forme religiose ‘libere’ di questo tipo - chiese, scuole bibliche, missioni,
emittenti radiofoniche)[2], tale aspetto, vale a dire
la libertà da qualsiasi etichetta, è forse ciò che incuriosisce di più chi le
vive attorno: la confessione dominante, perché non usa ad un’autonomia
concepita in questi termini; il restante mondo evangelico catanese, per quel
volto della comunità, così insolito, che le circostanze e le esperienze hanno
determinato. Infine, le persone con cui ogni giorno ci si incontra e con cui si
vive, si lavora, e nelle quali si può riscontrare, il più delle volte,
un’imbarazzante confusione su tutto ciò che non è cattolicesimo.
La comunità è il prodotto di
varie forze distinte, tra cui particolare importanza hanno la tradizione
evangelica di matrice anglosassone da un lato e l’esperienza spirituale,
personale e comune, dall’altro. C’è infatti una storia di motivi e derivazioni
che accomunano il panorama evangelico italiano a quello inglese e americano.
Il movimento evangelico
italiano, anche nel suo momento più fiorente, quello risorgimentale, deve
moltissimo ai movimenti inglesi di ‘risveglio’, sia perché molti italiani si
convertirono all’evangelismo mentre erano in esilio e, nuovamente in patria,
contribuirono all’evangelizzazione protestante del Paese; sia perché molte
chiese risvegliate europee inviarono i loro missionari ad operare nella nostra
penisola. Soprattutto sul piano religioso, nel resto d’Europa si reputava che
per secoli gli italiani fossero rimasti “chiusi entro gli schemi duri di una
intransigente uniformità cattolica […]. Gli inglesi, convinti della importanza
di un pluralismo anche religioso, di una capacità di dissenso in ogni campo, come
base di una autentica democrazia, ritenevano che […] occorresse aprire gli
animi ad una prospettiva diversa, con alternative in grado di educare al
non-conformismo, alla opposizione autentica, allo spirito del dissenso.”[3] All’inizio del XX secolo
risalgono le chiese pentecostali fondate da italiani che, emigrati nel Nuovo
Mondo, erano tornati in patria portando con sé una nuova vitalità religiosa;
proseguendo nel periodo post-bellico, la testimonianza e gli aiuti economici,
che pervenivano da parte delle chiese americane alle consorelle italiane, hanno
avuto un ruolo imprescindibile nello sviluppo di queste ultime.
Nel caso della chiesa
catanese, questo legame continua con un predicatore inglese, Philiph Wiles, che
nei primi anni ’70 fonda (per la verità ‘riforma’), con un gruppo di credenti
uscenti dall’ambiente pentecostale propriamente detto, una vera e propria
chiesa alla cui formazione - dottrinale, spirituale ed etica - attende. Il
gruppo inizialmente si riunisce in un garage; in seguito darà vita ad una fra
le più numerose presenze evangeliche del panorama catanese. Uniche ed
irripetibili sono le persone da cui la comunità è composta e le loro
esperienze, come anche il momento storico e il luogo geografico in cui essa è
nata ed opera (Catania negli ultimi trent’anni del XX secolo). Durante gli
anni, nel pensiero della comunità si possono riscontrare dei mutamenti, delle
differenze riguardanti il modo di porsi verso l’esterno o di considerare
determinati aspetti del vivere, così com’è possibile vedere un’evoluzione nel
cammino dell’uomo con Dio nel corso di tutta la Bibbia e dell’intera storia
umana.
Oltre a pubblicazioni di
interesse specifico per lo studio di forme di cristianesimo vicine a Via Glauco
quanto a teologia ed organizzazione ecclesiologica, sono stati consultati i
documenti conservati dalla stessa comunità, relativi all’attività da
essa svolta nel corso dei suoi oltre vent’anni di esistenza. Non è semplice
trovare degli atti perché, purtroppo, una caratteristica comune a molte chiese
‘libere’ è quella di non possedere un archivio ordinato ed aggiornato. In
misura notevole il materiale è stato pertanto ricavato da apposite interviste
ai protagonisti delle vicende che qui di seguito sono raccontate. Il tempo
passa, però, e porta via anche i ricordi: di conseguenza, la ricostruzione
storica potrebbe essere lacunosa per quanto riguarda alcuni periodi. Soltanto
il pastore della comunità ha sempre scritto un diario, che è stato la fonte di
informazioni più ricca a cui attingere per tutto il tempo che va dagli inizi
dell’‘opera’ (primi anni ‘80) all’anno di aggregazione alla Chiesa del Nazareno
(1994). Da quella data in poi è possibile identificare con maggior facilità le
vicende storiche e lo sviluppo spirituale del gruppo di Via Glauco: i verbali delle
assemblee e delle riunioni comunitarie (retaggio nazareno) e le lettere
circolari trimestrali, oltre ai fogli di informazione e comunicazione ad uso
interno delle comunità, recano menzione di tutte le attività svolte, riportano
le date degli eventi e le riflessioni dei responsabili sullo sviluppo
dell’opera. Il lavoro svolto è stato dunque per larga parte di compilazione, ma
anche di ricerca di archivio.
Attraverso lo studio e la
meditazione, collettiva e individuale, ed il confronto con la vita cristiana
genuina dei primi convertiti e dei fautori dei vari risvegli, che a quegli
stessi primi discepoli guardavano come a degli esempi, i credenti di Via Glauco
hanno maturato un volto comunitario che è comune a tutte quelle realtà
genuinamente cristiane che, nei secoli, hanno cercato di mantenere vitale
l’esperienza di essere stati ‘rinnovati’ in conformità al carattere ed agli
insegnamenti di Gesù Cristo.
1. Origini antiche: i valdesi.
Secondo quanto afferma
Giorgio Spini, “attraverso una delle sue componenti essenziali, il popolo delle
Valli Valdesi, il protestantesimo italiano rivendica origini più remote della
Riforma protestante stessa, risalenti sino ai movimenti di rinascita
evangelica del Medioevo. Non si tratta di una rivendicazione riducibile entro
termini nazionali, visto che il movimento valdese del Medioevo sorse di là
dalle Alpi e si diffuse in gran parte dell’Europa, dalla Francia e l’Italia
alla Germania ed alla Boemia. Non si tratta neppure di una rigida continuità
dottrinale, visto che le posizioni dei valdesi del Medioevo non erano identiche
a quelle che i valdesi assunsero in seguito alla loro unione con la Riforma del
sec. XVI. Si tratta piuttosto della rivendicazione di una continuità nella
predicazione dell’Evangelo e nell’obbedienza alla sola Parola di Dio,
simboleggiata dal nome stesso dei valdesi. Attraverso quel simbolo, i
protestanti italiani di oggi si pongono nel solco di predicatori dell’Evangelo
che poterono essere chiamati, al loro tempo, i ‘Poveri di Lione’ o i ‘Poveri di
Lombardia’; dunque di un Evangelo, che non si limitava a tradursi in qualche
formula dottrinale, ma investiva l’uomo nella sua piena realtà, nella concretezza
della sua situazione storica.”[4]
Queste istanze, comuni, nel Medioevo, a vari ‘movimenti pauperistici’,
valsero ai valdesi la condanna come eretici nel Concilio di Verona del 1184. La
loro diffusione, tuttavia, continuò, tanto che in Calabria, ad esempio,
costituirono una ricca colonia, espandendosi soprattutto tra gli esponenti
delle classi sociali inferiori. A causa delle intensificate azioni repressive,
però, i valdesi si rifugiarono più tardi nelle valli alpine che ancora oggi
vengono designate col loro nome. Da lì continuarono i contatti con il resto
d’Italia ed anche con la Svizzera e la Germania costituendo, più tardi,
elementi di collegamento con i movimenti riformistici dei secoli XII e XIII,
come i ‘fraticelli’ italiani e gli hussiti boemi[5].
Nei primi decenni del XVI secolo Lutero sviluppava la propria teologia;
tra il 1530 e il 1550, ebbe luogo nella penisola italiana una notevole
penetrazione delle nuove idee luterane e iniziarono a circolare i libri dei
protagonisti storici della Riforma.
Gli italiani che, costretti dalle circostanze a fare una scelta,
simpatizzarono per i riformatori, quando non furono ricondotti alla ragione dal
tribunale dell’Inquisizione o mandati al rogo, subirono spesso l’esilio.
Tuttavia, non tutti gli esuli per ragioni di fede fecero proprie le ortodossie
‘riformate’: alcuni si riunirono in comunità di tipo più ‘libero’. I valdesi,
invece, accettarono la variante svizzera della Riforma con il Sinodo di
Chanforan del 1532; da allora inviarono i pastori ad acquisire la necessaria
formazione teologica presso l’Accademia calvinista di Ginevra. Dal loro centro
operativo, le Valli Valdesi, i pastori si mossero poi verso il resto d’Italia
per evangelizzarla. Il Duca Emanuele
Filiberto di Savoia, nel contesto di una riconquista dell’Europa al
cattolicesimo, presupposta dal trattato di Cateau-Cambrésis del 1559,
intraprese diverse campagne militari contro di loro finché, con il trattato di
Cavour del 1561, ne limitò la zona di residenza e d’influenza religiosa a una
piccola porzione di territorio alpino. La condizione di emarginazione dei
valdesi continuò fino al 1848, anno in cui, con le “Lettere patenti albertine”,
vennero loro riconosciuti tutti i diritti civili e politici, seppure non ancora
la facoltà di svolgere liberamente attività d’insegnamento e di culto.
Avendo aderito alla Riforma secondo il modello della chiesa ginevrina
nel 1566 con il Sinodo di Anversa, i valdesi avevano intanto adottato la stessa
organizzazione e confessione di fede dei calvinisti. Istituirono più tardi la
Tavola Valdese come proprio ente rappresentativo e organo di coordinamento.
2. Repressione.
Ridotti i valdesi alla semi-impotenza e repressi i pochi
protestanti convertiti, in Italia la Riforma non potè avere sbocchi consistenti
anche per altri motivi: il Papato, oltre che sulle azioni repressive, si
concentrò sulla riforma interna della Chiesa cattolica; inoltre non ci fu, fra
gli Stati egemoni in Italia, alcuno che avesse particolari interessi a
combattere contro la Chiesa; infine, la crisi politica e morale italiana, che
aprì la strada al dominio spagnolo, ostacolò la formazione di movimenti
collettivi, facilitando tutt’al più forme di contestazione di tipo
soggettivistico.
Dopo quasi due secoli di silenzio pressoché totale di reale
fervore religioso - se si escludono poche forme o figure, peraltro non tutte
‘evangeliche’ nel senso riformato del termine, come Giordano Bruno, Paolo
Sarpi, il lucchese Giovanni Diodati, traduttore della Bibbia in italiano, il
giansenismo – si deve aspettare il periodo risorgimentale per assistere al
rifiorire della carica vitale dell’evangelismo italiano.
3. Il rinnovamento viene dall’estero.
Oltre ai valdesi, durante i secoli XVII e XVIII gli unici
rappresentanti del protestantesimo ‘ammessi’ in Italia erano gli stranieri
residenti nella penisola. Ad essi fu accordata, nel XIX secolo, la possibilità
di svolgere i propri culti in alcune cappelle autorizzate, ad esempio a
Bergamo, Genova, Napoli[6], non di rado frequentate anche da italiani.
Di nuovo, come nel ‘500, l’impulso rinnovatore verrà
dall’estero, ma stavolta si chiamerà ‘risveglio’. La breccia aperta a
cannonate a Porta Pia nel 1870
significò anche, per gli evangelici, una breccia nell’Italia, fino ad allora
inespugnabile patria del cattolicesimo. Entrano così nella penisola le Bibbie
in lingua italiana e le missioni evangeliche di origine anglosassone. Giungono
per primi i metodisti, poi i battisti – entrambi prima nella variante inglese,
poi americana di stampo episcopale; dopo ancora l’Esercito della Salvezza.
Grazie a questi, come scrive Giorgio Tourn, “si andò delineando, nel volgere di
pochi anni, il nuovo volto dell’evangelismo italiano, modellato ad immagine del
mondo protestante mondiale, specie anglosassone, con le sue contraddizioni, ma
anche la sua vitalità e la sua ricchezza di iniziative […]. I missionari
anglo-americani”, continua Tourn, “con scarsa conoscenza delle vicende
religiose del paese, s’impegnarono a creare comunità sul tipo di quelle lasciate
in patria. Non di rado però ebbero alla loro testa uomini di eccezionali doti
organizzative e imprenditoriali, che si legarono profondamente all’opera
evangelica nella penisola.”[7] Le origini risvegliate di questi movimenti mettevano in primo piano,
nell’esperienza di fede, la conversione individuale, con forti accenti
spontaneistici. Essi si organizzarono in piccoli gruppi di credenti ferventi e
impegnati, che poco o nulla avevano a che fare con l’ideale risorgimentale di
una rivoluzione spirituale dell’Italia.
Fra i valdesi, invece, il risveglio ebbe inizio grazie alla
predicazione del pastore svizzero Félix Neff (1797-1829), favorito dalle
strette relazioni dei credenti delle Valli con le chiese svizzere, con cui
condividevano la lingua francese. I valdesi erano assidui frequentatori dei
culti domenicali ed avevano un atteggiamento riverente nei riguardi della
chiesa, ma quest’adesione era più un fatto di costume e tradizione che di reale
motivazione di fede.
Nei primi anni del 1900 arrivarono in Italia i primi
esponenti del movimento pentecostale, ad opera di immigrati italiani di Chicago
che, avendo sperimentato il dono della xenoglossia[8], diffusero quel messaggio in altre parti d’America e, successivamente,
tornarono in Italia al solo scopo di svolgervi un’attività evangelistica. La
prima chiesa pentecostale sorge a Roma intorno al 1910, e il movimento si
diffonde al punto che, allo scoppio della prima guerra mondiale, si contano in
Italia una decina di comunità pentecostali[9], e nel 1928, data dell’Assemblea costitutiva delle Chiese pentecostali
italiane, le comunità sono già circa novanta.
Nel 1929, anno dei Patti Lateranensi in cui fu emanata la legge che
‘promuoveva’ i culti acattolici da “tollerati” ad “ammessi”, anche i pentecostali
avrebbero potuto costituirsi in associazione legalmente riconosciuta, ma non lo
fecero. La diffusione del movimento non fu bene accolta dal regime fascista,
che iniziò la repressione già nel 1931 con arresti, incursioni poliziesche,
perizie psichiatriche. Considerati “nocivi all’integrità fisica e psichica della razza”,
secondo quanto recitava la Circolare ministeriale n. 600/158 del 6 aprile 1935,
emanata dal Sottosegretario al Ministero dell’interno G. Buffarini-Guidi, i
pentecostali furono oggetto di durissime repressioni. La circolare non fu
revocata nemmeno alla caduta del fascismo, e neanche dopo l’appello per la
libertà religiosa, lanciato nel 1948 da parte del Consiglio Federale delle
Chiese evangeliche, portavoce, in quella occasione, di avventisti,
pentecostali, Chiesa dei Fratelli ed Esercito della Salvezza.
Gli stessi pentecostali, già denominati Assemblee di Dio, avevano
inoltrato nel 1948 la domanda al Ministero dell’Interno per ottenere il
riconoscimento giuridico del loro ente di culto, ma non ricevettero risposta
alcuna ai numerosi ricorsi; solo nel 1954 vennero a conoscenza del fatto che la
Corte di Cassazione ed il Ministero ritenevano illegale la Circolare
Buffarini-Guidi, pur non trovando necessario revocarla – il documento rimase in
vigore fino al 1955[10] e solo nel 1959 i pentecostali ottennero il riconoscimento della
personalità giuridica.
5. Per una collocazione giuridica.
È importante inquadrare la
posizione delle confessioni religiose protestanti all’interno dell’ordinamento
politico italiano, che si rifà ai due principi costituzionali fondamentali che
sono la libertà di coscienza e la libertà di religione, intesa in senso sia
individuale sia collettivo.
Tutte le confessioni religiose minoritarie sono protette
dall’art.8 della Costituzione italiana, che assicura loro l’esistenza, la
libertà davanti alla legge ed il diritto di organizzarsi secondo i propri
statuti, purché non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. Esso
prevede poi la stipula di ‘Intese’ che regolino i rapporti delle confessioni
con lo Stato.
Come spiegano concisamente S. Ferrari e G. B. Varnier, la
legge 1159 del 1929 regola le confessioni che hanno ottenuto il riconoscimento
come ‘culto ammesso’; altre hanno conseguito la personalità giuridica in base
all’art.16 delle preleggi al Codice civile. Infine, “un numero infinito di
confessioni – ma sono di gran lunga la maggioranza – ha assunto la figura
giuridica di associazione non riconosciuta, come previsto dagli artt.36-38 del
Codice civile […]. Come associazioni non riconosciute esse sfuggono a qualsiasi
tipo di controllo (non esiste un registro delle associazioni non riconosciute e
per costituirne una è sufficiente un atto notarile) […]. Le persone che hanno
assunto obbligazioni per conto dell’associazione (per esempio stipulando un
contratto di locazione) ne rispondono personalmente, cioè con il proprio
patrimonio.”[11]
La crescita numerica e la raggiunta stabilità sarebbero i motivi per
cui, da associazione non riconosciuta, la nuova confessione passa alla
richiesta del riconoscimento come ‘culto ammesso’. Per ottenere ciò è però
necessario un decreto del Presidente della Repubblica e l’iter giuridico
non è semplice né breve. Il riconoscimento dà diritto alla piena capacità
giuridica, oltre all’equiparazione alle istituzioni di beneficienza ed
istruzione, il che permette di beneficiare di tutte le agevolazioni fiscali
previste per queste ultime. Il privilegio effettivo di questa conquista è
tuttavia una tappa obbligata per l’ottenimento di un’altra, più alta, cioè la
stipulazione di un’Intesa con lo Stato[12].
L’Intesa consente ad una confessione religiosa di essere disciplinata
dalle norme contenute nell’Intesa stessa, cioè da una regolamentazione autonoma
pensata dal gruppo religioso in prima persona, e che non potrà subire modifiche
unilateralmente da parte dello Stato. Essa non ha solo lo scopo di garantire la
libertà, ma contiene implicitamente in sé una possibilità di ‘intervento’[13] o, in altre parole, “il [loro] diritto…può avere rilevanza negli ordinamenti
dei paesi europei”[14]: in particolare, i rappresentanti delle confessioni che hanno
stipulato un’Intesa possono insegnare religione nelle scuole pubbliche; la
confessione stessa, inoltre, ha diritto di percepire le quote ad essa devolute
dai contribuenti tramite l’otto per mille del gettito dell’IRPEF.
I valdesi-metodisti ed i pentecostali italiani hanno firmato l’Intesa
con lo Stato rispettivamente nel 1984 e nel 1986, ma attualmente sono sei le
confessioni religiose ad avere stipulato l’accordo (anche, in ordine
cronologico, ebrei, avventisti, battisti e luterani)[15].
Esiste poi una Commissione delle Chiese evangeliche per i rapporti con
lo Stato, di cui fanno parte quasi tutte le denominazioni evangeliche
riconosciute, che si occupa di salvaguardare i principi di libertà religiosa,
soprattutto per ciò che concerne la stipulazione delle Intese e l’insegnamento
religioso nella scuola.
Nonostante questo sistema di collaborazione con le confessioni
religiose, l’Italia mantiene una tendenza essenzialmente separatista
nell’ambito dei rapporti tra lo Stato e le Chiese. Tale indirizzo, generalmente
condiviso e perseguito dalle confessioni protestanti, è “volto a distinguere
l’ordine dello Stato da quello delle confessioni religiose, garantendo la
neutralità dello Stato stesso in materia religiosa, l’indipendenza, l’autonomia
e l’uguaglianza di trattamento dei culti…”[16]. L’Italia ha lasciato da parte recentemente (1984), con la revisione
del Concordato del 1929 con la Chiesa cattolica, la posizione privilegiata della
religione cattolica in quanto Religione di Stato, e si avvia verso la piena
realizzazione di uno Stato laico.
6. Confessioni, chiese, movimenti o sette?
I termini ‘chiesa’, ‘culto’, ‘confessione religiosa’ vengono spesso
usati indifferentemente, senza chiedersi quale sia il concetto specifico che
ognuno di essi traduce. Questo comporta spesso un’errata attribuzione di
caratteristiche all’una o all’altra realtà, ed una certa confusione nel
riferirsi ad esse.
Secondo un approccio ‘sociologico’, la scelta del termine da
usare “è motivata anche dal diverso
approccio scientifico in base al quale si tenta di inquadrare e qualificare un
così complesso fenomeno, definendolo, di volta in volta, secondo le sue valenze
psicologiche (in quanto rapporto fra gruppo e società), antropologiche (di
ricerca del soprannaturale e dei suoi modelli interpretativi), psicologici (nel
rapporto del singolo che aderisce al gruppo), storiche (di inquadramento del
fenomeno in una visione complessiva dell’evoluzione della società), teologiche
(ove si ricercano eventuali confini fra correnti maggioritarie e minoritarie,
tra ortodossie e settarismi di chiese e di culti) o, infine, giuridiche (di
definizione di una fede religiosa).” [17]
Anche nell’ambito del diritto ecclesiastico, i termini sono a
ragione differenziati e distinti: per ‘chiesa’, ad esempio, si intende “una
comunità religiosa organizzata”,
“stabile e istituzionalizzata, dotata di amministrazione, di clero
gerarchico, di un rituale ben definito”[18], oltre all’idea di una moltitudine di credenti; ma questa definizione
non è applicabile in modo incondizionato a tutte le realtà religiose. Rispetto
alla definizione generale ‘culto’, ad esempio, la quale prescinde dal grado di
istituzionalizzazione raggiunto dal gruppo, ma contiene una valenza alquanto
negativa, indicando a volte credenze vaghe e dottrinalmente imprecise, il
termine ‘confessione’ presuppone sempre un’organizzazione stabile con un
ordinamento anche minimo. ‘Movimento’, ancora, non ha connotazioni qualitative
ma “bene sottolinea questa tendenza continua a introdurre cambiamenti o a
inventare nuove manifestazioni come riflesso dei mutamenti della sensibilità e
delle idee religiose”[19]. Il termine è tuttora usato per riferirsi, ad esempio, al
pentecostalismo.
Doverosa la riflessione sul termine ‘setta’. La setta era
anticamente, nell’età apostolica, il gruppo dissidente ereticale, scismatico,
in rottura con la tradizione ecclesiastica e il termine, di conseguenza, aveva
un valore esclusivamente negativo. Nonostante la rilettura sociologica avviata
da Ernst Troeltsch (1865-1923), che attribuiva alle sette, medioevali e di
estrazione protestante, la caratteristica di aver conservato il vero spirito
appassionato e genuino del cristianesimo, anche oggi, quando un italiano
ricorre a questo termine, lo fa attribuendogli inconsciamente la valenza
negativa di eretico, deviato.
Alle confessioni evangeliche in Italia ci si è rivolti per
anni utilizzando l’appellativo di ‘sette’, con tutto il bagaglio di accezioni
svantaggiose. Al commento di un testo del 1945, specificamente dedicato
all’analisi delle ‘sette protestanti’ (“Il Protestantesimo, corpo senza
vertebre, diventa facilmente scissiparo…”)[20] va accostato quello di un libro del 1960, che analizza il fenomeno
delle sette in generale; nel corso di un’esposizione riguardante il mondo
protestante e lo ‘sbriciolamento’ che lo ha caratterizzato, l’autore così si
esprime: “Ogni setta porta in sé i germi della divisione […]. Se per la
comodità del termine, usiamo la parola ‘setta’ indifferentemente […] è evidente
che non intendiamo confonderle [le confessioni], né soprattutto dare a questa
parola un senso inutilmente peggiorativo. Sarebbe ingiusto mettere nello
stesso calderone i valdesi e gli esagitati adepti di qualche gruppo
pentecostale.” [21]
Per dirla con Giorgio Tourn, “questo giudizio è stato, e
resta, del tutto improprio dal punto di vista sia sociologico sia
ecclesiale…anche se, date le condizioni ambientali di ostilità, alcuni tratti
settari, l’isolamento, la mancanza di dialogo, la chiusura, sono stati forse a
volte presenti. Si è sempre trattato invece di comunità cristiane nella piena
accezione del termine, radicate nella tradizione della fede cristiana di cui
hanno serbato i caratteri essenziali.”[22]
Con il veloce trasformarsi
delle realtà sociali intorno a noi, la realtà protestante è oggi rivalutata.
Tuttavia, sempre nell’ambito di pubblicazioni specialistiche, si può citare il
caso, molto recente (1997), di una panoramica delle minoranze religiose in
Italia[23] che si fregia di includere importanti realtà come le comunità
ebraiche, ortodosse e islamiche, nella quale i pentecostali non figurano nella
sezione dedicata ai ‘Cristiani evangelici’ bensì, senz’altri chiarimenti, tra i
‘Gruppi religiosi di ispirazione cristiana’.
La riforma inglese si distingue dalle
altre per un insieme di intenti ed eventi, analizzando i quali è possibile
sostenere che non si sia trattato di una vera e propria ‘riforma’. Non è stato,
cioè, un rinnovamento della chiesa in senso dottrinale, morale, liturgico a
caratterizzare la nascita della Church of England quanto, più
propriamente, uno ‘scisma’, ovvero una divisione volontaria e programmatica
dalla chiesa di Roma, giustificata da motivazioni teologiche, ma prodotta da
esigenze squisitamente politiche.
Il fatto che la teologia non
ne sia stata la primaria ragione non significa però che gli aspetti dottrinali
vi abbiano avuto complessivamente poca importanza. I temi più propriamente
‘protestanti’ che la Church of England fece propri, contro la
corrispondente posizione cattolica, sono soprattutto il concetto di
giustificazione per fede e la questione della reale presenza di Cristo
nell’eucaristia.
Per quel che concerne la giustificazione, dobbiamo ricordare le
affermazioni di Lutero in proposito: al contrario di Agostino, che sosteneva
una giustificazione ‘interna’ e potente nell’intimo umano, il monaco tedesco
propendeva per una giustificazione ‘esterna’, cioè ‘imputata’ al credente il
quale, in virtù d’essa, viene ‘considerato’ giusto davanti a Dio. Nel
successivo sviluppo della teologia luterana attuato da Filippo Melantone
(1497-1560), a questa giustificazione come atto esterno veniva accostata una
‘rigenerazione interna’: è questo il processo tramite il quale Dio conduce
l’uomo a ‘diventare’ giusto.
La riforma inglese adottò in un primo momento la versione agostiniana,
che fu la dottrina ufficiale fino alla morte di Enrico VIII. Dopo quella data,
a causa dell’indirizzo palesemente protestante che l’arcivescovo di Canterbury
Thomas Cranmer (1489-1556) intendeva dare alla chiesa d’Inghilterra, vennero
progressivamente mutuate da Melantone le definizioni di giustizia e
giustificazione, ma mai in modo inequivocabile attestata l’‘imputazione’ di
tale giustizia.
La questione della presenza reale o simbolica di Cristo nel pane e nel
vino eucaristici assunse i caratteri luterani di consustanziazione, cioè
di concreta unione in quegli elementi del vero corpo e del vero sangue di Gesù,
prima, e zwingliani, di ricordo del sacrificio di Gesù e simbolo del cibarsi
spiritualmente di Lui, dopo. Più tardi ancora, con il Settlement of religion
elisabettiano, furono adottate tutte e due le concezioni in una fusione che
placava le dispute accontentando i sostenitori dell’una e dell’altra.
Secondo Alister McGrath, poiché Elisabetta I aveva decretato che in
Inghilterra sarebbe esisitita una sola chiesa cristiana, non c’era bisogno di
prestare attenzione alle questioni dottrinali in quanto, se uno degli scopi
della dottrina è quello di distinguere, di certo nel paese non c’era nulla da
cui la Chiesa d’Inghilterra dovesse distinguersi[24]. Il sistema dottrinale dell’anglicanesimo è rimasto, eccetto che per
pochi fondamentali temi, sostanzialmente immutato. I Trentanove Articoli
del 1563, compendio della dottrina della chiesa anglicana, sono volutamente
elusivi, al punto da prestarsi ad entrambe le interpretazioni protestante e
cattolica[25].
2. Il Calvinismo in Inghilterra.
La presenza protestante riformata in Inghilterra era rappresentata dai
sostenitori del radicalismo morale proprio del calvinismo, ripensato però nei
termini, apparentemente contraddittori, della libertà personale e dell’assoluta
ubbidienza a Dio: i puritani e i quaccheri. Entrambi i gruppi volevano una
‘purificazione’ morale e strutturale della chiesa che partisse dall’esperienza
rigeneratrice operata dallo Spirito Santo nell’intimo di ciascun credente. La
loro teologia è descritta in modo tanto poetico quanto acuto da Perry Miller:
“Essi chiamavano Dio la ragione ultima di tutte le cose, chiamavano Eden il sogno di una possibile armonia tra l’uomo e l’ambiente, denominavano peccato il fatto reale della disarmonia stessa, grazia divina il momento dell’illuminazione, fede lo sforzo di vivere secondo quell’illuminazione e dannazione l’incapacità di rimanervi fedeli.”[26]
Se quella puritana era una fede di tipo
agostiniano, lo schema teologico è in realtà quello calvinista, seppur riletto
dalla mente di Teodoro di Beza (1519-1605) soprattutto per quanto riguarda gli
insegnamenti specifici dell’elezione divina e dell’espiazione che si ha
attraverso il sacrificio di Cristo.
Senza entrare nei dettagli della questione se l’elezione sia stata
decisa da Dio prima o dopo la caduta dell’umanità, la dottrina si può così
riassumere: poiché, dopo il peccato, l’uomo è totalmente depravato ed incapace
di salvarsi da solo, Dio ha eletto, unicamente sulle basi della propria grazia
e per nulla dei meriti umani, alcuni uomini alla salvezza, e solo per questi
ultimi è morto. Essi sono irresistibilmente attratti dalla grazia e, anche se
volessero, non potrebbero distaccarsene. Da qui si passa facilmente alla
dottrina della giustificazione, che ha molto di agostiniano e calviniano:
l’uomo, tramite la grazia di Dio, è giustificato, cioè assolto dai peccati e
dichiarato giusto agli occhi di Dio. Poi la grazia “penetra di sé l’essere
umano e vi genera – o ‘rigenera’, se vogliamo tenere conto della natura originaria
di Adamo - la capacità di rispondere all’invito [a nuova vita]”[27]: ha inizio il processo che porterà l’uomo a divenire simile a Cristo.
I puritani inoltre, facendo riferimento
all’Antico Testamento, credevano nel ‘nuovo patto’ tra Dio e gli uomini e, in
quanto scelti da Dio, se ne consideravano i beneficiari esclusivi, il ‘nuovo
popolo eletto’. Tale convinzione si rafforzò allorché, sia per sfuggire alle
persecuzioni di cui erano fatti oggetto in patria, sia per fondare “un luogo
ove gli uomini che avevano ritrovato la vera condizione umana potessero vivere
secondo le norme che essa imponeva”[28], il nuovo Israele partì alla volta dell’americana ‘nuova Terra
promessa’.
P. Miller osservava che “nella Nuova Inghilterra la morale era fondata
non tanto sui decreti di Dio quanto sui termini del contratto e la volontà
umana era impegnata non tanto per paura del Signore quanto per rispetto della
parola data. L’uomo, come essere razionale e logico, in possesso di tutte le
facoltà, studioso della natura e delle arti liberali, poteva scorgere l’intima
giustizia della legge che si era impegnato a rispettare e non poteva protestare
se gli veniva richiesto di osservarla”[29]. Ciò significa che all’interno del gruppo si verificò una progressiva
rivalutazione delle facoltà razionali umane e, parallelamente, una lenta
diminuzione dell’attitudine emotiva della fede, talché essi si sforzavano di
armonizzare i due tipi di conoscenza, spirituale e razionale, di cui erano
depositari (quando in precedenza la tendenza prevalente era stata quella di
svilire l’umana ragione).
La ‘vera riforma’
all’interno della Chiesa confessante inglese, cioè il rinnovamento della
stessa, si verificò nel XVII secolo con il movimento di risveglio che fa capo
ai fratelli John (1703-1791) e Charles (1707-1788) Wesley.
I metodisti provenivano dalla Chiesa anglicana ma, di là da questa, si proponevano di mantenere fedeltà all’ortodossia tradizionale emersa, nel corso della storia, dai concili della cristianità. Essi credevano, oltre che nei principi fondamentali del protestantesimo (la Scrittura come unica autorità, la salvezza per grazia mediante la sola fede e il sacerdozio universale dei credenti), nella condizione comune di peccato dell’umanità e nell’opera redentrice di Gesù Cristo.
Per quanto riguardava la salvezza e la predestinazione, la linea wesleyana del metodismo faceva propria la dottrina arminiana, che del resto nel secolo XVIII era prevalente nell’ambito dell’anglicanesimo, e che fu poi definitivamente condannata nel 1618. Jakob Arminius (1560-1609) si era opposto alla dottrina calvinista della redenzione particolare, sostenendo invece che la predestinazione si riferisse al decreto divino generale, e che il sacrificio di Cristo fosse universalmente valido, per tutti gli uomini e non solo per gli eletti. Conseguenza ne è che tutti coloro che credono saranno salvati (in ultima analisi, un gruppo limitato di persone), ma il sacrificio di Cristo è tuttavia ‘dedicato’ ad ogni uomo.
La madre di Wesley,
Susanna, la cui influenza sul figlio fu eccezionale, in una lettera gli
esponeva in questi termini la propria idea sulla predestinazione: “Credo
fermamente che Dio dall’eternità abbia eletto alcuni alla vita eterna, ma
ritengo umilmente che questa elezione sia fondata sulla sua preconoscenza,
secondo quanto è scritto in Romani 8,29-30[30] […]. ‘Quelli’, che Dio nella sua eterna
prescienza vide che avrebbero fatto un giusto uso delle loro capacità ed
avrebbero accettato la grazia offerta, ‘ha predestinati’, adottati come suoi
figli, come suo particolare tesoro.”[31]
Wesley era convinto che il credente ‘ricevesse’ il sacrificio che lo redime, e dovesse poi studiarsi di rimanere saldo nella condizione di redento. Per questo trapiantò l’accurato esercizio di una vita cristiana diligente, che aveva caratterizzato i membri del suo Holy Club (tra i quali erano frequenti digiuni e communion services), nell’organizzazione in gruppi dei suoi convertiti. I credenti furono riuniti in little companies o bands (le classi), costituite da un numero di fedeli “no fewer than five” e “no more than ten”[32] e condotte da un leader. Varie classi formavano una society (oggi potremmo dire una fellowship, una ‘comunità’); le societies componevano i circuits, e questi ultimi i districts. I membri di ciascuna classe si incontravano settimanalmente per pregare insieme e confessarsi l’un l’altro i propri errori e le proprie mancanze; questa pratica si rivelò efficace perché, conoscendosi ogni giorno meglio, essi si affezionassero l’uno all’altro ed imparassero a soccorrersi, incoraggiarsi ed edificarsi reciprocamente. La cura pastorale era facilitata dal fatto che si trattasse di piccoli gruppi: i leaders avevano il compito di visitare i fedeli, esortarli, riprenderli all’occorrenza. Per stimolare anche tra i pastori un’unione come quella nata tra i fedeli, fu istituita una Conferenza annuale.
Notevolissime erano le opere sociali, il cosiddetto social gospel: i metodisti visitavano spesso i carcerati, insegnavano loro a leggere, pagavano i loro debiti e trovavano loro un impiego per quando fossero usciti di prigione. Frequentemente distribuivano cibo, vestiario e medicine ai poveri; fondarono e gestirono scuole ed ospedali. Attraverso gli aspetti spirituali, alla gente era data la capacità di supplire alle difficoltà economiche.
Molto forte è, nel
metodismo, l’esortazione all’edificazione personale ed all’interiorizzazione
delle verità di fede. La comprensione esclusivamente razionale di tali verità
non basta, infatti, a fare di un uomo un cristiano: tutto ciò che Cristo
insegna deve essere effettivamente sperimentato dal credente; solo in questo
modo egli sarà realmente libero.
Del resto, una fortissima esperienza personale di fede aveva provato
Wesley stesso durante un incontro dei fratelli moravi[33]. Per quanto rettamente avesse condotto la propria vita, egli aveva
bisogno di un ‘tocco’ speciale. Facendo proprie le parole dell’apostolo Paolo
nell’epistola ai Romani, egli stesso racconta nel proprio Journal:
“La sera andai, molto
riluttante, in una comunità in Aldersgate Street. Qualcuno stava leggendo la
prefazione di Lutero alla Lettera ai Romani. Alle nove meno un quarto
circa, mentre quello descriveva il cambiamento che Dio opera nel cuore mediante
la fede in Cristo, sentii il mio cuore stranamente riscaldato. Sentii che
confidavo in Cristo, solo in Cristo per la salvezza, ed ebbi la certezza che
Egli aveva tolto di mezzo i miei peccati, i miei, e mi aveva
salvato, me, dalla legge del peccato e della morte.”[34]
Un ulteriore punto fermo della dottrina era che il credente, per la testimonianza dello Spirito Santo in lui, dovesse avere l’intima certezza della propria salvezza. Questa “assurance”, di cui testimonia Wesley e che i metodisti consideravano fondamentale nell’esperienza di fede, è la fonte dalla quale provengono la libertà e la letizia spirituale che caratterizzano l’esistenza del cristiano vivificato dallo Spirito Santo, oltre che la vita comunitaria ed il culto. Quest’ultimo è, infatti, in parte liturgico e in parte spontaneo, caratterizzato da letture bibliche, preghiere semplici ed estemporanee ed inni, spesso concatenati, che concretizzano l’eredità culturale del metodismo. Charles e John Wesley furono innografi produttivi; le loro composizioni avevano lo scopo di conservare e tramandare la dottrina ed incoraggiare e edificare i fedeli.
Un enorme peso per l’evangelizzazione caratterizzava l’indole di Wesley, ed egli fu un instancabile predicatore itinerante, viaggiando per molte miglia a cavallo, fino a tarda età. A lui si deve inoltre la crescente importanza che i predicatori laici conquistarono nell’opera religiosa poiché, non potendo fare affidamento su un corpo di ministri regolarmente ordinati, a causa dell’opposizione della Chiesa di stato, per la maggior parte laici erano i suoi collaboratori.
I metodisti davano infine grandissima importanza alle dottrine che si riferivano all’azione dello Spirito Santo nei credenti, in particolare alla ‘nuova nascita’, o rigenerazione, ed alla brama per il raggiungimento della ‘perfezione’, o santificazione. Ricongiunto dall’amore di Dio al suo creatore e Padre, l’uomo riacquista il senso della condizione divina e pura che gli era propria, e brama di ricostituirla: dal momento in cui viene rigenerato o ‘nasce di nuovo’, egli tende, per l’amore verso Dio che è santo, a ‘santificarsi’, vale a dire ad essere rinnovato, interiormente, all’immagine della Sua giustizia e santità. Gesù stesso, nel Sermone sul monte, esorta “Voi dunque siate perfetti, com’è perfetto il Padre vostro, che è nei cieli” (Matteo 5,48). Ad un tale mutamento del cuore e della mente, prodotto dallo Spirito, corrisponde la cosiddetta ‘perfezione cristiana’: ‘frutti’ di santità visibili nella vita del credente (“in tutta la vostra condotta”, recita I Pietro 1,15).
Alla santificazione progressiva di tutta la vita, seguirà una
santificazione totale, o glorificazione, quando l’uomo sarà liberato per sempre
da “questo corpo di morte” (Romani 7,24). Le opere
scritte da J. Wesley su questi soggetti sono Brief Thoughts on Christian
Perfection (1763) e A Plain Account of Christian Perfection (1765).
La santità è diventata l’enfasi predominante di alcuni movimenti di risveglio del secolo XIX, non solo d’ispirazione metodista. Bisogna infatti ricordare che la santità era stata predicata da alcuni gruppi di anabattisti e, in Inghilterra, da importanti personaggi come Jeremy Taylor (1613-1667), autore di The Rule and Exercise of Holy Living (un manuale del 1650 sulla condotta che un cristiano deve tenere nella vita di tutti i giorni, tanto in privato quanto in pubblico), Holy Dying (1651) e The Golden Grove (1655), e William Law con la sua opera A Serious Call to a Devout and Holy Life (1728). J. Wesley, al pari dei suoi successori evangelicals, ne fu fortemente influenzato.
Nella prima metà dell’800 la dottrina della santità fu adottata da un gruppo di calvinisti americani che faceva capo all’evangelista Charles G. Finney (1792-1875); per l’enfasi della sua predicazione sul pentimento e la santificazione, egli stesso affermava di aver operato una sintesi di calvinismo e metodismo[35]. Finney, tuttavia, è ricordato per essere stato il teorico del ‘risveglio organizzato’, cioè prodotto tramite mezzi a ciò finalizzati e sfruttato per la ‘realizzazione dei disegni divini’.
Ma è in ambiente metodista che, in America, la santificazione
ha avuto la più vasta eco, dando luogo al proliferare di numerosi
sotto-movimenti accomunati dall’enfasi wesleyana sulla perfezione. Dopo la
guerra civile, infatti, la fede e le verità bibliche furono progressivamente
neglette. Perfino le denominazioni religiose più ferventi attraversavano un
periodo di apatia ed indifferenza. Qualcuno iniziò a reagire a questo crescente
formalismo, e a reclamare il ritorno ad una heart religion che
soddisfacesse non soltanto il bisogno di certezze spirituali ma anche i bisogni
emotivi, psicologici, finanche materiali della gente.
Di
quel vasto fenomeno che è l’American Holiness Movement, il fenomeno
detto del ‘Pentecostalismo’ è quello che ha avuto fino ad oggi il più ampio
riscontro, soprattutto a causa del carattere spontaneo e vivace che ne
caratterizza il culto: canto[36] corale molto entusiastico, con battiti di mani ad accompagnarne il
ritmo; testimonianze spontanee dei membri che affermano pubblicamente come Dio
ha risposto a delle preghiere o ha concesso delle vittorie spirituali;
preghiere innalzate a voce alta in modo istintivo, talvolta eclatante;
frequenti ‘amen’ e ‘alleluia’ di assenso alle parole del predicatore.
I pentecostali enfatizzano molto, oltre al parlare in lingue e al dono
di profezia, la dottrina della guarigione divina che, sostengono, Cristo ha già
provveduto sulla Croce ed è data a chiunque, per fede, la chieda e creda che
l’ha già ricevuta in Gesù. Questo è un aspetto di ciò che è definito una ‘vita
vittoriosa’, caratterizzata dalla gioia, la pace e la potenza dello Spirito
Santo.
L’ evangelical party sorse all’inizio del XIX secolo in seno alla Chiesa anglicana con l’intento di operarne una riforma dall’interno. La figura più importante del gruppo fu William Wilberforce (1759-1833); membro del Parlamento e fortemente impegnato in grandi opere filantropiche, il suo nome è legato in particolar modo all’abolizione del commercio schiavistico e all’emancipazione degli schiavi nelle colonie britanniche.
L’impegno contro le disparità sociali fu il segno distintivo di questo tipo di evangelismo di stampo metodista, ma altre caratteristiche erano una grande semplicità nello svolgimento del culto e una partecipazione attiva alla vita della comunità.
La Chiesa anglicana è stata profondamente influenzata, soprattutto
negli ultimi vent'anni, da un evangelicalism risorgente fra le sue
stesse fila. Alister McGrath nel suo
recente libro L'evangelicalismo ed il
futuro del Cristianesimo, afferma: “L’Evangelicalismo non è altro che il cristianesimo storico. I suoi
articoli di fede corrispondono alle dottrine centrali delle chiese cristiane
che sono state trasmesse attraverso i secoli…Con una vigorosa difesa delle basi
bibliche, legittimità teologica e rilevanza spirituale di queste dottrine,
l'evangelicalismo ha dimostrato essere in possesso di tutti i diritti di essere
il portabandiera del cristianesimo storico ortodosso.”
Più strutturate oppure più libere, organizzate a tipo assembleare o
quasi spontaneistiche, le comunità religiose hanno sempre cercato di realizzare
il concetto apostolico di unione e libertà fraterna di uomini e donne. In
quanto ‘comunità’, Via Glauco è un insieme di credenti che cercano
insieme il loro cammino di fede. L’atto di riunirsi è un elemento fondamentale della vita collettiva: è
condivisione della fede e aiuto reciproco nella distretta.
Tutti coloro che il Padre ha strappato al potere del male, e fatto
rinascere ‘dall’alto’ (Giovanni 3,7), partecipano della redenzione e
della remissione dei peccati; della riconciliazione, operata da Cristo nella
propria morte. Questi vengono accolti in seno alla chiesa (ekklēsía),
appartengono ad essa e, grazie all’opera rinnovatrice di Cristo,
vivono nuove esistenze (2 Corinzi
5,17). Questo non significa che siano sottratti alla propria collocazione
sociale: la nuova appartenenza non comporta la perdita di quella precedente, ma
semplicemente dischiude un’altra dimensione. Dei “santi”, come l’apostolo
Paolo chiama i membri della ekklēsía
riprendendo la terminologia che l’Antico Testamento usava per la comunità di
Dio (1 Corinzi 1,2; Filippesi 1,1; Romani 1,7),
fanno parte tutti coloro che Dio chiama, ai quali dona la fede e la cui appartenenza
alla nuova vita è contrassegnata col battesimo (Romani 6,3ss). Il
battesimo, che testimonia il ripristinato legame del singolo con Cristo, e la
cena del Signore, in cui prende forma corporale la comunione con Lui, sono
eventi che si concretano sia localmente sia nell’insieme della chiesa
universale.
Tale concezione della comunità è stata espressa dall’apostolo Paolo con
l’immagine della ekklēsía come
‘corpo’ (Romani 12,lss; l Corinzi 12,12-27) e della sua
costruzione, o edificazione, che ne conferma la sostanza. Essa illustra che appartenere
a Cristo significa divenire membra di un organismo in cui ciascuno detiene una
funzione specifica, in cui tutti dipendono gli uni dagli altri nel dare e nel
ricevere, nel far fruttare i doni ricevuti per i compiti da svolgere
all’interno della comunità e per il compimento della missione verso l’esterno.
In ciò non esiste alcuna gerarchia, ma il concetto è talmente ampio da
abbracciare tanto i doni di governo ed organizzazione quanto la guarigione
degli infermi, la glossolalia[37] e il discernimento degli spiriti (1 Corinzi 12,l4ss; Romani
12,4ss). Queste ultime sono manifestazioni dello Spirito Santo, che è presente
nella ‘chiesa-corpo’; ed è nell’incontro e nella convivenza dei membri della
comunità che tutti questi doni si sviluppano e si concretizzano.
Nelle Scritture, la ekklēsía
è sempre definita dal suo volto concreto; la sua vita, come i doni che la
contraddistinguono, non possono né devono essere necessariamente uniformi. In
Cristo le differenze rimangono; perdono però il loro carattere disgregante, che
impedisce il ‘fare comunità’ (cfr. Galati 3,27ss). Di conseguenza, è
sempre una sola ed unica chiesa quella che si incontra: ‘una’, perché
uno è il suo Signore.
2. La Riforma.
In un paese a maggioranza cattolica com’è l’Italia, quando ci si trova
davanti ad un edificio denominato ‘chiesa evangelica’ ci si chiede cosa ciò
voglia intendere realmente[38]. Nel caso di Via Glauco, la comunità si definisce ‘evangelica’ sia per
l’appartenenza all’universo religioso che rinviene le proprie origini
nell’evento ‘storico’ della Riforma protestante del 1500, sia per il ruolo
primario attribuito al Vangelo, come Parola di Dio, nella vita del credente.
Del resto il principio di sola Scriptura, com’è noto, così come
fu elaborato da Martin Lutero (1483-1546), è uno dei concetti alle origini
della Riforma protestante, quello che portò il monaco alla grande opera di
traduzione delle Scritture in lingua tedesca. Si tratta di un ritorno
all’esaltazione della Parola di Dio, trasmessa nella Bibbia e interpretata
grazie alla rivelazione dello Spirito Santo; assunta come somma autorità in
fatto di fede e di comportamento in tutti gli aspetti della vita, in
contrapposizione agli artifici ed ai comandamenti umani che regolavano la vita
cristiana. Scrittura non nel senso di Vangelo soltanto, ma di tutta la Bibbia, tanto l’Antico quanto
il Nuovo Testamento; le parole dei profeti sono lette e valutate alla stregua
di quelle degli apostoli.
Leggendo le Scritture, e in particolare l’epistola di Paolo ai Romani,
Lutero maturò la convinzione che nell’uomo non abita alcun bene e che egli può
essere salvato unicamente dalla grazia di Dio mediante la sola fede in Cristo.
La denuncia della gratuità della salvezza mise in crisi il sistema
cattolico delle opere meritorie e delle indulgenze, con le ben note conseguenze
economiche e sociali.
Lutero non intendeva affermare che ognuno fosse sacerdote di se stesso,
libero e sovrano nell’interpretazione delle Scritture; sosteneva semplicemente
che la responsabilità sacerdotale spetta alla comunità cristiana nel suo
insieme, senza distinzione fra clero e laici, e che ogni credente deve, nel
quadro di questa comunità, esaminare la vita della chiesa in base alla
Scrittura.[39] La vita della chiesa ma anche la propria vita, chiamata ad essere
conforme ai principi biblici. Nessun evangelico può ignorare questo termine di
riferimento per la sua vita e la sua ricerca spirituale. L’aspetto della
Scrittura è strettamente connesso con quello, ugualmente importante, del sacerdozio
universale: la responsabilità di
ogni credente. Dall’esterno, essa può essere giudicata come un estremo
egocentrismo; in realtà è un appello all’arbitrio del singolo credente.
L’innegabile conseguenza morale è l’abolizione della tradizionale distinzione
tra clero e laici. Il singolo è chiamato in causa nella realizzazione del piano
eterno di Dio, e non fa differenza la posizione sociale in questa vocazione
universale.
Questi ed altri sono gli incontestati elementi ‘riformati’ comuni, che
rendono l’impianto della fede protestante, malgrado la maggiore propensione al
frazionamento rispetto al Cattolicesimo, più compatto di quanto non sembri.
3. I «risvegli».
La parola “risveglio” (revival) esprime
una componente spirituale
caratteristica del mondo protestante, e cioè il sorgere di movimenti che
si oppongono alla secolarizzazione del protestantesimo storico, alla mancanza
di fervore missionario, proponendo un recupero dell’attività religiosa ed
insistendo sull’incontro con Gesù Cristo come indispensabile esperienza
personale, che spinge alla missione. Essi prendono le mosse dalle chiese
‘moltitudiniste’, i cui membri vivono il cristianesimo in modo formale, senza
che la vita personale ne rispecchi le idee e i cambiamenti e il rinnovamento
che la vera fede implica. Questi episodi sono stati recentemente definiti[40] secondo protestantesimo, in
contrapposizione ad un primo
protestantesimo “storico”,
rappresentato dalle comunità nate direttamente dalla Riforma storica (luterane,
calviniste e perfino anglicane) e ad un terzo (le confessioni originate
dagli sviluppi del secondo), ciascuno dei quali insiste su un
tipo particolare di esperienza, che non annulla quelle precedenti, ma le
reinterpreta e le integra.
La protesta nel mondo luterano produsse il pietismo, nel mondo
riformato il battismo (che portò alla diffusione della pratica di battezzare
gli adulti all’atto della conversione, anche se già battezzati da piccoli) e,
in quello anglicano, il metodismo. Il pietismo si organizzò attorno alla figura
di Philip Jacob Spener (1635-1705). Nei suoi Pia Desideria (1675) egli
constatava la corruzione della Chiesa evangelica ed insisteva sull’importanza
della prassi biblica e dei frutti che devono seguire l’atto di fede affinché
questo sia completo ed efficace. Particolare importanza era data alla
‘conversione’, la metanoia dei
Vangeli, un’esperienza interiore, caratterizzata da una intensa emozione, punto
di partenza della rigenerazione poiché muta l’orientamento della vita del
credente. ‘Convertirsi’ significa da un lato riscoprire la realtà salvifica di
Cristo e, dall’altro, abbandonare i costumi propri della vita ‘mondana’, legata
cioè alle suggestioni del mondo, alle inclinazioni ‘carnali’.
Il risveglio di matrice tedesca non è considerato alla stregua di
quello di estrazione anglosassone, nonostante vi abbia avuto una parte
innegabile grazie all’influenza dei Fratelli Moravi, la chiesa sorta
dall’attività del conte di Zinzendorf .
John Wesley, fondatore del Metodismo, conobbe i Fratelli quando era già
un pastore anglicano, durante la traversata verso le colonie del Nuovo Mondo, e
ne fu profondamente impressionato. Tramite loro entrò in contatto col pietismo
e con l’esperienza luterana, che rivisse in modo personale la sera del 24 maggio
1738. A quella data egli stesso faceva risalire la propria conversione[41]. Insieme al fratello Charles e a George Whitefield (1714-1770),
fondatori del gruppo di edificazione spirituale che divenne noto col nomignolo
di Holy Club, si dedicò all’ambiziosa impresa di evangelizzare
l’Inghilterra non con dottrine nuove, ma con le semplici e fondamentali verità
del Vangelo: il peccato dell’umanità, il bisogno di ravvedersi, il perdono e la
riconciliazione con Dio tramite l’accettazione per fede del sacrificio di
Cristo, valido per ogni essere umano.
Il risveglio affonda profondamente le proprie radici nella figura di
Cristo. Non l’appartenenza alla chiesa garantisce la salvezza, ma l’incontro e
la relazione personale del credente con Cristo, vissuta in termini molto
individualistici e psicologici, ma mai astratti. Il rinnovamento della vita
personale, la ricerca di un’etica corrispondente all’insegnamento di Gesù, si
traducono nella santificazione come rinnovamento quotidiano dell’esperienza con
Lui e dell’apprendimento della Sua vita in funzione del raggiungimento della
perfezione cristiana.
E’ impegno contro
l’alcolismo, il fumo, la ‘mondanità’ della vita che si spinge sino al rifiuto
degli spettacoli frivoli, delle letture inutili.
C’è tutta una serie di movimenti “risvegliati” minori nel corso del
secondo ‘800 o dei primi decenni del secolo XX. Tra questi, i vari movimenti
“di santità” (holiness), cui appartengono anche la Chiesa del Nazareno,
gli Avventisti e la corrente pentecostale-carismatica.
4. I Pentecostali.
Il pentecostalismo rappresenta il maggiore movimento di risveglio
nella storia del cristianesimo. Esso nasce con i fenomeni di glossolalia
di Topeka (Kansas, USA) nel 1901 e di Azusa Street, a Los Angeles, California
nel 1906. All’inizio dichiara di non essere interessato alla costituzione di
denominazioni e di strutture, e anzi ne contesta la necessità. In seguito dà
vita alle Assemblee di Dio ed alle Chiese Apostoliche.
A partire dal secondo dopoguerra si assiste ad una vera e propria
esplosione del pentecostalismo delle Assemblee di Dio in Italia, in particolare
nel meridione, con la costituzione di centinaia di comunità. Duramente
perseguitati sotto il regime fascista, i Pentecostali sono adesso la minoranza
religiosa più numerosa presente in Italia.[42]
La tipica dottrina pentecostale insegna che il battesimo dello Spirito
Santo, identificato con l’esperienza descritta in Atti 2, è il ‘segno’
della rigenerazione del credente, la quale non si palesa con un qualsiasi
carisma, ma solo e sempre con la manifestazione del parlare in lingue. Il
battesimo dello Spirito Santo si differenzia da altri due che lo precedono:
battesimo del corpo di Cristo (1 Corinzi 12,13) che comporta la
nuova nascita, e che viene testimoniato con il battesimo in acqua (Matteo
28,18ss). Per alcuni pentecostali, senza il segno delle lingue non avviene la
rinascita del credente.
La maggioranza dei membri di Via Glauco, seppure di estrazione pentecostale,
ha maturato, già al tempo della fondazione della comunità, una peculiare
posizione dottrinale a questo riguardo. Circa il battesimo dello Spirito Santo,
essi credono che sia l’atto divino in virtù del quale la natura umana corrotta
(il peccato originale) muore ed il credente nasce di nuovo dallo Spirito Santo,
il quale entra ad abitare nel suo cuore avendolo giustificato (Romani
3,21-24), adottato (Giovanni 1,12, 13) e separato dal peccato (Romani
6,4-11). Infatti non possono coesistere due nature, una malvagia e l’altra
rigenerata dallo Spirito. Avendo ricevuto un cuore puro, il credente inizia un
cammino di santificazione che lo condurrà alla formazione di un carattere
maturo ad immagine di Cristo. Ciò si esterna nella conversione, cioè quel cambiamento
della mente e della condotta che risponde alla totale adesione della libera
volontà dell’uomo a quella di Dio.
Circa il dono delle lingue, cioè la manifestazione spirituale di
parlare in un linguaggio sconosciuto a chi lo proferisce, la linea dottrinale
di Via Glauco insegna che esso non è il ‘segno’, cioè l’evidenza, del battesimo
dello Spirito Santo, perché quest’ultimo è inteso come nuova nascita. Esso non
è necessario alla salvezza, né è dato a tutti ma, come tutti gli altri doni o
carismi, è elargito liberamente da Dio ai credenti per l’edificazione della
chiesa. Può avere due diverse funzioni: la prima (Atti 2) è quella di
annunciare il Vangelo in un linguaggio comprensibile all’uditorio senza bisogno
di interpretazione. La seconda funzione (1 Corinzi 14) è quella
di edificazione del singolo credente e della chiesa. Nel primo caso, esso non
deve essere manifestato pubblicamente ma solo nella comunione privata con Dio.
Quando, invece, esso è dato per l’edificazione della chiesa, può essere esercitato
nell’assemblea, ma deve essere sempre seguito dall’interpretazione.
5. ‘Imitatori’ dei primi cristiani.
Come per la chiesa primitiva, lo Spirito Santo è per i fratelli di Via
Glauco una realtà attuale. È frequente l’invocazione della sua guida, della sua
consolazione nei momenti di sconforto (nel Vangelo di Giovanni Gesù si
riferisce ripetutamente allo Spirito Santo come al ‘Consolatore’).
Il divino deve essere sperimentato tramite un incontro personale, non
necessariamente ‘accecante’ come per l’apostolo Paolo (Atti 9,27), ma
senz’altro sconvolgente, perché la vita, da quel momento, non può più essere la
stessa. ‘Avere conosciuto Gesù’ è l’evento che accomuna i ‘fratelli’; essi
intraprendono una vita segnata dalla preghiera e dall’unità (Atti 1,13),
caratterizzata dalla costante comunione e dalla semplicità dei rapporti
reciproci e della vita religiosa (Atti 2,42-47).
I locali di culto sono spogli di immagini ed altari; sono spesso, come
nel caso di Via Glauco, ex fabbriche o depositi. Quel che importa non è il
senso estetico e spettacolare del ‘culto’, ma l’adorazione di Dio come stile di
vita. L’esempio dell’apostolo Paolo, la sua vita cambiata dallo Spirito di Dio
e la sua predicazione, il suo coraggio nell’annunciare la nuova realtà di grazia
e di perdono, sono una sfida quotidiana nell’evangelizzazione della società.
Ciò che è detto dei primi cristiani, in particolare come essi abbondassero in
buone opere (Atti 9,36; 11,29), ha seminato in molti membri la passione
per la missione.
La comunità pratica il battesimo in acqua agli adulti che lo richiedono
(anche se già battezzati da bambini), in quanto nelle Scritture non c’è un solo
caso di battesimo di infanti; inoltre, esso è impartito non come dispensazione
di salvezza, ma come testimonianza volontaria di fede (Atti 8,36-38).
Esso viene svolto in un’atmosfera di grande gioia e semplicità: i battezzanti,
in accappatoio bianco, vengono immersi in mare nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo, tra i canti festosi dei fratelli e gli sguardi curiosi
degli astanti.
In grande considerazione, seppur condivisa con grande semplicità, è
tenuta la Cena del Signore (il ‘rompere il pane’ di Atti 2,42; 20,7);
essa viene servita indifferentemente dagli uomini e dalle donne. La dottrina a
cui la comunità si riferisce a questo proposito è quella zwingliana: il pane ed
il vino (davvero tali) sono simboli del corpo e del sangue di Gesù; non è una
Messa bensì la commemorazione (“un memoriale”) del sacrificio espiatorio di
Cristo, da celebrarsi fino alla prossima venuta di Lui.
La struttura governativa di Via Glauco[43] mira all’ideale di un corpo di anziani e diaconi e alla presenza di
tutti i doni carismatici per l’edificazione della chiesa, ma può anche essere
considerata ‘congregazionalista’ per l’importanza attribuita al sacerdozio
universale dei credenti. L’anzianato (episkopê), nel senso di guida
spirituale, non è negato alle donne. Il celibato dei pastori non è praticato.
La Comunità Cristiana
Evangelica di Via Glauco, 8 - Catania nasce come ‘Via Caruso, 6’[44],
in seno alla comunità libera pentecostale di Via Pietro Mascagni, 64 - Catania,
da cui si sarebbe, dopo qualche tempo, definitivamente distaccata per
continuare autonomamente l’opera di testimonianza iniziata nel 1974. Il
responsabile della chiesa di Via Mascagni, Philiph Wiles, nato nel 1921,
originario di Richmond, Surrey, era un battista. Reclutato durante la II Guerra
mondiale nella marina inglese, aveva conosciuto la triste realtà italiana
sbarcando in Sicilia e successivamente a Dibione. Già durante la guerra aveva
condiviso la propria fede con degli italiani e, tornato in Inghilterra, maturò
la consapevolezza di una chiamata per l’evangelizzazione dell’Italia.
Trasferitosi con la moglie Margaret a Udine nel 1951, al seguito della missione
battista inglese ‘Spezia Mission’, intraprese il ministero di evangelista e
predicatore itinerante. A Udine Wiles riunì in casa propria un gruppo di
credenti conosciuti durante la guerra e, successivamente, fondò con loro una
chiesa che ancora oggi è fra le più prospere della città. Nel 1958, grazie ai
contatti con una famiglia di fedeli italo-americani, conobbe e aderì alle
Assemblee di Dio in Italia (ADI, i Pentecostali riconosciuti). Nei primi anni
‘70 se ne distaccò per condurre indipendentemente la testimonianza. Nel 1974 un
gruppo di credenti pentecostali di Catania, che aveva conosciuto grazie ai
numerosi viaggi missionari, lo pregò di venire ad assumerne la guida
spirituale. Trasferitosi a Catania, Wiles iniziò a riunirsi con loro nel garage
di una delle famiglie, i Ciaccio; di lì a breve fu fondata la chiesa di Via
Mascagni.
Nel gruppo che aveva invitato
Philiph Wiles a venire come pastore, c’era anche Carmelo Ciaccio. I suoi
genitori avevano ricevuto la testimonianza evangelica nel 1950 da amici di
famiglia, i Di Francia, che risiedevano a Vittoria (RG). Questi erano stati a
propria volta evangelizzati da alcuni parenti, tornati in Italia dopo aver
vissuto da emigranti in America ed avervi conosciuto la fede evangelica. I Di
Francia diedero alla famiglia Ciaccio l’indirizzo della chiesa pentecostale a
Catania: Via De Felice.
Carmelo
aveva diciotto anni quando con un amico, all’uscita del cinema di Via De
Felice, di fronte al luogo di culto, entrò in chiesa per aspettare la madre.
Sentì le parole del predicatore come rivolte a sé soltanto, e accettò il
Vangelo che in quel momento gli veniva presentato: Gesù, venuto per ritrovare
le pecore smarrite. La famiglia Ciaccio è una delle famiglie da più tempo
coinvolte nell’opera evangelica catanese: il figlio di Carmelo, Davide, sarà il
pastore di Via Glauco.
3. Alla ricerca di qualcosa di più.
L’anno di nascita ufficiale
di Via Glauco è il 1983. La sua storia ha però inizio qualche tempo prima.
All’inizio del 1982, alcuni membri di Via Mascagni attraversavano un periodo di
insoddisfazione profonda, se non addirittura di crisi spirituale.
Racconta[45]
Carla Sueri, una delle persone che diedero vita alla comunità: “A quel tempo
provavamo un forte senso di vuoto: dopo un culto, uscivamo dalla chiesa
inappagati, come se non potessimo ricevere benedizioni o, piuttosto, come se
quello che ricevevamo non fosse esattamente ciò di cui avevamo bisogno per la
nostra crescita spirituale. Per caso, scoprimmo che vivevamo contemporaneamente
le stesse esperienze”.
Insieme decisero di riunirsi
una volta a settimana in casa di una di loro, Rosina Di Gregorio, per pregare e
leggere la Bibbia, per parlare insieme dei problemi e delle aspettative di
ciascuno, e continuarono a vedersi regolarmente per circa un anno. Continua
Carla: “Avevamo in comune il desiderio di crescere e vivere più concretamente
la fede; ciò che ci spingeva ad andare avanti era senza dubbio molto forte e
andava oltre ciò che noi pensavamo; infatti avevamo idee anche abbastanza
differenti su certi argomenti”.
Nel gennaio 1983 partecipò
ad una di queste riunioni Philiph Wiles. In quell’occasione egli invitò il
gruppo ad aprire un locale di culto nel quartiere di Ognina, dove Carla e il
marito, Ernesto Barnobi, si erano trasferiti da pochi mesi; in quella zona
infatti non esistevano comunità; inoltre, altre famiglie residenti
nel rione avrebbero potuto unirsi al gruppo. La modalità comune, allora,
circa la localizzazione delle comunità, era definita ‘visione dei granai’ da
una rivelazione spirituale che il pastore Wiles aveva ricevuto in forma di
visione. Secondo lui, dalla comunità madre sarebbero dovute uscire, col tempo,
delle comunità-granaio, dislocate nei vari quartieri della città perché la
testimonianza fosse più incisiva. In questo modo erano già nate, nel passato,
le comunità di S. Agata Li Battiati e di Via S. Cannizzaro, presenti in
località geograficamente distanti l’una dall’altra. Le due comunità erano
condotte da giovani pastori che, insieme a Wiles, fondatore dell’‘opera’,
componevano il cosiddetto ‘Corpo Ministeriale’ di Via Mascagni, cioè un
collegio di anziani che condividevano la responsabilità spirituale e il governo
della comunità. Essi erano stati scelti da Wiles, che vedeva in loro dei validi
elementi con cui condividere il ministero, e che li aveva presentati ai fedeli
affinché pregassero per loro a titolo di approvazione e di conferma.
Alla proposta di Wiles, il
gruppo di preghiera accettò di dar vita ad un’altra comunità a patto che,
appena possibile, fosse loro mandato un pastore. Già dalla settimana successiva
le riunioni si tennero in una casa nel nuovo quartiere e iniziarono le ricerche
di un locale presso cui tenere gli incontri.
Il 3 Marzo 1983 Davide
Ciaccio, uno dei giovani responsabili di Via Mascagni, si recò con Santo
Cantarella, presso la cui casa ora avevano luogo le riunioni di preghiera, a
vedere un possibile locale di culto in Via A. Caruso, 6. L’edificio era,
evidentemente, adatto allo scopo poiché, appena quattro giorni dopo, fu versata
la caparra per prenderlo in affitto. Iniziarono allora i lavori di
ristrutturazione per rendere l’ambiente, fino ad allora deposito di una
fabbrica di materassi, idoneo alle esigenze del gruppo. Come solitamente
avveniva in questi casi, i lavori vennero eseguiti durante il tempo libero dai
fratelli, aiutati da altri di comunità consorelle. Alla fine dei lavori, anche
la famiglia di Vittorio Cantarella, che vi aveva partecipato attivamente, si
unì al gruppo pioniere.
L’inaugurazione ufficiale
della neonata comunità di Via Caruso avvenne il 4 giugno 1983; il giorno dopo,
una domenica, ebbe luogo il primo culto nel nuovo locale: la predica,
incentrata su Esodo 23,30, annunciava per la neonata comunità un futuro
benedetto.
Ebbe così ufficialmente
inizio la vita della nuova comunità. Ad occuparsi dell’organizzazione interna
era Ernesto Barnobi. All’inizio si svolgevano solo due riunioni, cioè il culto
domenicale (per la predicazione si alternavano vari anziani di Via
Mascagni) e una riunione di preghiera,
mentre per lo studio della Bibbia si continuò a frequentare la chiesa madre per
più di un anno.
La comunità interruppe
comunque quasi subito le attività interne per collaborare con la comunità madre
al montaggio, nel quartiere Monte Po, della ‘Tenda della Salute’ - un ampio
tendone sotto cui ogni sera si svolgevano delle riunioni evangelistiche
all’aperto, secondo l’usanza diffusa negli ambienti evangelici anglosassoni
nell’800 - e per la visita alle comunità catanesi del missionario inglese
Norman Meeten, uomo il cui esempio di umiltà e servizio ha da sempre toccato
profondamente la vita della comunità. Originario di Bath, Meeten era stato
presidente della Christian Union e predicatore nella scuola privata ‘Monkton
Combe’, dove studiava per diventare un ministro della Chiesa Anglicana. Fu un
prete anglicano per sei anni, dal 1959 al 1965 ma, come egli stesso afferma, la
sua ‘conversione’ avvenne solo nel 1962, a Liverpool. Da quel momento maturò le
posizioni teologiche che lo indussero ad abbandonare l’anglicanesimo. Con
modalità simili alle origini della cellula di preghiera in Via Glauco, fondò a
Barnstone, nei pressi di Liverpool, una fellowship, l’odierno ‘The
Longcroft’. Philiph Wiles la visitò nel 1975 e invitò Norman predicare a Catania. I rapporti che nacquero
furono tali che nel 1978 il Corpo Ministeriale di Via Mascagni con una lettera
nominò Norman anziano ex officio della comunità.
Il 29 ottobre 1983 ebbe
luogo la ‘presentazione ufficiale’, da parte degli anziani dell’opera, di
Davide Ciaccio quale pastore della comunità: i fedeli pregarono per lui perché
Dio lo guidasse e sostenesse nel ministero.
Egli rivestiva dei compiti
di responsabilità in Via Mascagni già dal 1980, ma la sua vocazione risale a
molto tempo prima. Il pastore Wiles, infatti, quando Davide era ancora quattordicenne,
aveva ricevuto da Dio una ‘rivelazione profetica’, secondo cui il ragazzo
avrebbe ‘servito il Signore’, intendendo con ciò che si sarebbe dedicato
pienamente al lavoro per Dio. Sedicenne, era stato affiancato a un pastore che
curava la comunità di Via S. Cannizzaro; dal 1980 ne era stato il responsabile
insieme ad un altro giovane, Enzo Paci, ma effettivamente la presenza di due
guide lì non era più strettamente necessaria. Egli racconta: “Quando mi fu
proposta da Wiles la conduzione spirituale di Via Glauco, sentivo già che il
mio lavoro in Via Cannizzaro era concluso; anch’io avevo il desiderio di
‘qualcosa di più’, così accettai quasi subito”.
Iniziarono così a delinearsi
con maggior chiarezza la struttura e la fisionomia della nuova comunità, e a
regolarizzarsi le attività. Nel mese di Dicembre venne distribuita al vicinato
una lettera di auguri per Natale da parte della comunità.
Una comunità nascente annota
con gioia e commozione le date riguardanti i suoi primi passi, come fa una madre
col suo bambino; una data molto felice è il giorno 8 aprile 1984, in cui la
giovane Mimma Sotera ricevette il battesimo[46]
in acqua, il primo della storia di Via Caruso, nella vasca da bagno in casa di
Santo Cantarella, circondata dall’affetto dei fratelli[47].
La semplicità e la prosaicità, forse, dell’ambiente nulla tolgono alla
grandezza dell’evento: una persona che confessa pubblicamente la propria fede
in Gesù Cristo.
Pochi giorni dopo, il 13
aprile, i fratelli trovarono nella cassetta per le lettere un messaggio: “Cara
comunità, siamo tre simpatizzanti e avremmo il desiderio di venire presso la
comunità...”. Era stato scritto da tre amiche che abitavano nelle vicinanze
della comunità, divenutene poi membri; in seguito, alle giovani autrici della
lettera si unirono i rispettivi mariti. Nell’estate del 1986 il gruppo di Via
Caruso organizzò anche una tenda di evangelizzazione in Via Teseo a Catania, a
pochi metri dal locale di culto. Ogni sera vi si tenevano delle riunioni
all’aperto in cui il messaggio predicato era per lo più incentrato sul soggetto
di Cristo venuto sulla Terra per salvare l’umanità, e sulla necessità di tutti
di accettare il Suo sacrificio per ottenere salvezza.
6. ‘Cristiani non a parole ma a fatti...’.
La comunità cresceva, anche
numericamente, e sviluppava una fisionomia propria. Emerse da subito un
carattere peculiare del gruppo: la voglia di vivere con genuinità e spontaneità
i rapporti fraterni e le ‘cose del Signore’.
Per Davide Ciaccio non fu
difficile tracciare un percorso da seguire insieme; racconta: “Scoprii presto
che le mie aspettative e quelle dei fratelli di cui d’allora in poi avrei
dovuto assumere la cura pastorale erano molto vicine. Davo grande importanza
soprattutto al fatto di vivere la fede non come se appartenessimo ad
un’istituzione, ma ad una famiglia, e ci tenevo che i rapporti interpersonali
tra i membri della comunità fossero sinceri e saldi. Per questa ragione, in
quel periodo erano molto comuni attività come le ‘agàpi’ in cui ci si
ritrovava per mangiare insieme, o le ‘riunioni comunitarie’, in cui il dialogo
costituiva l’elemento più importante”. Dopo un breve periodo di adattamento e
conoscenza reciproca, infatti, erano pian piano venuti fuori quei motivi di
insoddisfazione che avevano portato il gruppo iniziale al punto attuale.
Durante le riunioni comunitarie si discuteva insieme e si cercavano nella
Scrittura le risposte agli interrogativi di ciascuno. L’abitudine di
incontrarsi per riunioni di questo tipo distingue tuttora la comunità.
Commentava Carla Sueri in quel periodo: “Il Signore … ha permesso e voluto che
ci conoscessimo profondamente gli uni gli altri anche per mezzo di riunioni e
culti poco formali, ma guidati dal Suo Spirito”[48].
“Un altro aspetto molto importante”,
continua Davide “era quello di voler vivere una spiritualità vera e non una
religiosità sterile e improduttiva; sapevamo che la fede non doveva essere
vissuta solo come un’esperienza personale e fine a se stessa, ma per gli altri;
avevamo la consapevolezza di essere stati chiamati ad essere cristiani veri,
‘cristiani non a parole ma a fatti, impegnati in tutti i campi in cui vi è
necessità di manifestare la luce di Cristo’[49]”. Appariva
inoltre sempre più evidente la spinta a identificare la vittoria del cristiano
con la libertà dal peccato, e non solo dalle malattie o dai problemi della vita
quotidiana; a non considerare la sofferenza come qualcosa di esclusivamente
negativo, ma come un’esperienza tramite la quale Dio può modellare il credente a
propria immagine. Infine, “un altro aspetto basilare per me era il fatto di
raggiungere il giusto equilibrio tra interiorità ed esteriorità: le realtà
evangeliche fino a quel momento avevano predicato sobrietà e decoro, ed era
giusto, ma non ha senso la bella facciata imbiancata se, dentro, il cuore non è
altrettanto bianco; anteponevo perciò al decoro l’importanza della conversione
come cambiamento di vita, che si riflette in tutti gli aspetti del vivere,
anche in quelli più esteriori come l’abbigliamento o altro”.
Dalle discussioni durante le
riunioni vennero fuori due tendenze abbastanza nette: una voleva una comunità
che enfatizzasse il rapporto estatico con il divino, l’altra cercava una vita
di fede dove la conversione come purezza di vita fosse la cosa più evidente. Il
desiderio più grande del pastore era allora che l’esistenza di queste due anime
nella comunità non rappresentasse un ostacolo per la vita spirituale, ma che
ciascuno imparasse ad accettare l’altro senza giudicarne l’opinione. Negli anni
si arrivò infatti, se non a delle conclusioni dottrinali comuni, di sicuro ad
una convivenza basata sull’amore e sulla tolleranza. Soprattutto, venne
enfatizzata sempre più la consacrazione totale di ogni credente nella
predisposizione al sacrificio e al dono di sé.
A ciò corrispose la nascita di un desiderio forte di essere di
aiuto a chi si trovava in condizioni di disagio, di difficoltà, di indigenza.
Era una voglia di impegnarsi per l’altro, che si manifestò nella pratica con
l’organizzazione di attività di volontariato. visite agli anziani nelle case di
cura e alle persone in ospedale; distribuzioni notturne, in collaborazione con
l’Esercito della Salvezza, di coperte e un pasto caldo a chi viveva sulle
strade. Era una voglia di condivisione che aveva la propria espressione nelle
numerosissime agàpi di quel periodo.
In una di queste occasioni
fu proiettato in comunità un film sulle condizioni delle popolazioni del terzo
mondo; nacque così anche una lunga collaborazione con un missionario, il
fratello Navarra, che prestava servizio presso un lebbrosario a Zinder, in
Niger. Per potere aiutare economicamente quei popoli si cercò di non
conformarsi alla mentalità consumistica, anzi di risparmiare, anche sul
vestiario: risalgono ad allora le ‘bancarelle’ di abiti, usati ma in buone
condizioni, che i membri portavano in comunità e scambiavano l’uno con l’altro;
i capi che non trovavano nuovi ‘possessori’ venivano donati alle persone più
bisognose.
Nel frattempo, erano
avvenuti degli episodi di incompatibilità con la comunità madre. All’interno
del Corpo Ministeriale erano nate due correnti distinte riguardanti l’enfasi
data a certi aspetti dottrinali, soprattutto quello del battesimo nello Spirito
Santo[50]:
una, nettamente protesa verso tendenze pentecostali, identificava il segno delle
lingue come la prova evidente della presenza dello Spirito Santo nel credente.
L’altra, pur credendo e praticando il parlare in lingue, non lo considerava il
contrassegno visibile della rigenerazione operata dallo Spirito Santo, in
quanto attribuiva questa qualità specifica al ‘frutto dello Spirito', come è
definito dall’apostolo Paolo in Galati 5,22. Quest’ultima era la
convinzione che i responsabili delle comunità-granaio, che erano anche tra i
componenti del Corpo Ministeriale di Via Mascagni, condividevano. Essi si
distaccarono quindi dalla comunità madre nel 1986.
Conseguentemente al
distacco, la posizione dottrinale della comunità dovette necessariamente essere
definita. Furono fatte apposite riunioni in cui, alla luce dei principi
dottrinali dei movimenti più diffusi, venne chiarita la motivazione della
recente separazione, per ‘scrupolosità’ nei confronti del popolo, non sempre
consapevole dell’entità di certi aspetti.
Contemporaneamente, la
crescita numerica della comunità aveva fatto nascere il bisogno di cercare un
edificio più vasto nelle vicinanze, che fu trovato in Via Glauco nell’estate
del 1987 e fu inaugurato in settembre. Poco dopo essersi trasferiti nel nuovo
locale, però, quasi metà dei membri lasciò il proprio posto in comunità per
tornare in Via Mascagni, spinta anche dalle ormai evidenti differenze circa le
reciproche posizioni dottrinali. Fu questo un momento di grande difficoltà, in
cui i membri che rimasero si ritrovarono soli ad affrontare dei grandi
problemi. La gestione di una comunità libera è per vari aspetti difficile:
poiché non esiste alcuna istituzione superiore a cui fare riferimento, sono i
membri stessi a dover sostenere gli impegni pratici (contratti di affitto,
utenza dei servizi di erogazione di energia elettrica o acqua corrente). Per
tutte le spese si attinge alla cassa comunitaria, alimentata dalle offerte dei
membri.
Il nuovo locale, affittato
per contenere il numero crescente di membri, comportava l’onere di una somma
mensile non indifferente, che ora i pochi rimasti si trovavano a dover
corrispondere. Molti posti di responsabilità erano vuoti a motivo dei fratelli
che se ne erano andati. C’era da fare i conti col morale basso, che rendeva
estremamente difficile andare avanti. Si sarebbero dovute riorganizzare le
attività, puntando sulle potenzialità del gruppo rimasto ma i membri,
scoraggiati dalle circostanze e con una grande ferita nel cuore, non riuscivano
a far fronte alle pressanti esigenze della comunità; lasciarono quindi che
tutte le responsabilità rimanessero sulle spalle del pastore. Questi, però,
oltre alle responsabilità di guida spirituale, aveva adesso anche un proprio
lavoro secolare, intrapreso nel 1985 per rispondere alle esigenze che la visione
di una maggiore presenza nella società implicava. Adempiere ai propri compiti
diventava quindi per lui sempre più difficile.
La comunità continuò a
trascinarsi per più di un anno in una condizione di mediocrità. Finalmente, nella
primavera del 1989, il pastore corse ai rimedi perché sentiva avvicinarsi un
punto di rottura.
In specifiche riunioni, alle
quali partecipava anche il fratello Norman Meeten, Davide Ciaccio mise in
chiaro le proprie vedute riguardo la propria chiamata e quella dei membri. Egli
esortò i fratelli ad assumersi delle responsabilità, senza attendere per questo
alcuna investitura da parte del pastore, presentando anzi come fondamentale
l’aspetto vocazionale, che da allora è un punto fermo nella ricerca collettiva
e singola dei credenti di Via Glauco. Si tratta della consapevolezza di
appartenere al ‘corpo di Cristo’[51],
come scrisse Paolo ai Corinzi, per la chiamata rivolta da Cristo stesso
all’uomo, e non da un uomo ai propri simili; la conseguenza è la ricerca del
compito
specifico affidato da Dio ad ognuno, per mettere a frutto quei talenti
che Egli ha dato a tutti.
Si viaggerà da allora ancor
di più verso l’ideale di un governo comunitario non gerarchico ma pluralistico;
l’enfasi è grande sul fatto che non esistano talenti più preziosi o uomini più
capaci di altri: è Dio che dà i talenti e le capacità, e “distribuisce i suoi
doni a ciascuno in particolare come vuole”.[52]
Così ripresero le attività e
le iniziative: Davide affermava in quel periodo “Dio ha parlato alla Sua
chiesa, […] chiamandola ad una chiara risposta affinché non siamo un popolo di
uditori ma facitori della Parola”[53].
Slancio e passione gradualmente crebbero negli anni seguenti, grazie anche alle
proficue visite dei predicatori inglesi Norman Meeten e Keith Greener; il
pastore olandese Mark De Jong propose uno studio sulla famiglia e l’educazione
dei figli adolescenti. Ogni settimana la comunità si incontrava per delle
riunioni di dialogo. Lo studio biblico e la preghiera acquistarono importanza:
due volte alla settimana, la mattina, si svolgevano incontri di preghiera in
casa; due fratelli visitavano i membri per pregare con loro. Accanto allo
studio comunitario del venerdì e a delle specifiche classi di approfondimento,
prese il via una nuova iniziativa: la ‘Sala di lettura’, in una stanza del
locale dove era possibile leggere e consultare della letteratura cristiana e
fare degli studi, personali o di gruppo. Nacque di conseguenza l’attività della
‘biblioteca’: iniziò con donazioni di libri da parte dei fratelli e, negli anni
successivi, si sviluppò tanto da diventare indispensabile. Oggi comprende circa
trecento titoli di opere di vario genere.
Il 18 luglio 1993 fu
pubblicato un articolo della comunità sul quotidiano ‘La Sicilia’; diceva che
gli evangelici “Vogliono testimoniare che c’è ancora chi pensa che è possibile
salvarsi dalla presente bufera ed aprirsi a un mondo migliore.”
Via Glauco preparò anche
delle evangelizzazioni all’aperto in P.zza Nettuno a Catania, in P.zza Castello
ad Acicastello e, in collaborazione con altre chiese catanesi, una campagna
evangelistica al Giardino Comunale V. Bellini di Catania, svolta nel maggio
1994. L’attività giovanile ebbe in quel periodo un forte impulso, grazie anche
alle attività teatrali come la drammatizzazione nel ’93 di un racconto di C. S.
Lewis, Le lettere di Berlicche, e la messa in scena nel ’94 di un lavoro
sul razzismo, La pelle di Dio.
L’interesse per le persone
disagiate spinse ad iniziative nuove, come la creazione di una specifica ‘cassa
pro-assistenza’, l’adozione a distanza di due bambini indiani, e il
‘salvadanaio’, cioè l’impegno di risparmiare quotidianamente una piccola somma
per potere, a fine anno, fare un ‘regalo di Natale’ a chi ne avesse bisogno.
L’iniziativa, nata nel 1994, ha avuto un discreto ‘successo’e si ripete
annualmente fino ad oggi.
Nel 1988, alcuni pastori
appartenenti a varie chiese evangeliche di Catania e diversi rappresentanti di
Associazioni missionarie presenti sul territorio espressero il desiderio di
stare insieme per avere comunione fraterna e per programmare insieme delle
attività evangelistiche per la proclamazione della Parola di Dio. Iniziarono
dunque a riunirsi mensilmente nella sede della Libreria Evangelica di Catania,
in P.zza del Risorgimento, 6.
Col passare del tempo, il
gruppo iniziale, di cui facevano parte anche Davide Ciaccio e Philiph Wiles, si
ampliò gradualmente comprendendo anche rappresentanti di chiese non ‘libere’,
fra cui Giovanni Cereda, pastore della Chiesa del Nazareno[54].
Davide Ciaccio e Giovanni
Cereda instaurarono da subito una cordiale amicizia. I loro contatti si
tradussero in saltuarie visite reciproche delle due comunità. A Natale, per
esempio, si organizzavano talora feste ed occasioni d’intrattenimento come agàpi, recite, canti. La conoscenza
reciproca andò avanti per molto tempo, anche se solo una parte dei credenti di
Via Glauco raggiunse una più profonda confidenza con i fratelli ‘nazareni’.
Davide aveva da sempre
ammirato gli scopi e l’organizzazione della Chiesa, e per quasi un anno aveva
verificato silenziosamente le basi di una possibile integrazione. Solo alla
fine del 1993 decise di proporre alla comunità di Via Glauco la possibilità di
associarsi alla Chiesa del Nazareno.
La questione, accennata
durante una riunione comunitaria, fu ampiamente discussa in seguito. Le motivazioni
addotte da Davide si incentravano per lo più su aspetti di unità, dopo tanta
divisione, di condivisione di vedute e di vastità di contatti, che avrebbero
potuto solo giovare a Via Glauco. Per discutere esaurientemente l’argomento,
Davide fornì ad ogni membro una relazione scritta sulla Chiesa del Nazareno,
comprendente dei cenni storici, gli articoli di fede e l’organizzazione.
Fu deciso che si sarebbero
svolte tre specifiche riunioni, durante le quali ciascun membro, dopo aver
letto accuratamente la relazione e passato del tempo in preghiera, avrebbe
potuto manifestare perplessità e chiedere chiarimenti circa la Chiesa; infine,
avrebbe espresso il proprio parere a riguardo dell’eventuale adesione. Chi non
avesse partecipato a nessuna delle tre riunioni, non esprimendosi neanche col
responsabile, e senza fornire valida giustificazione, sarebbe stato considerato
‘non interessato’, e non sarebbe stato in seguito consultato. Con molta
chiarezza, Davide affermò che solo un parere favorevole unanime sarebbe stato
la condizione necessaria per l’adesione e che, dunque, se anche una sola
persona avesse espresso parere contrario, l’adesione sarebbe stata rimandata
fino a quando, e se, questa persona avesse cambiato idea. Davide non mancò di
ribadire questi concetti anche nei tre giorni dell’assemblea, che furono il 12,
13 e 14 gennaio 1994. Inoltre affermò che, se dopo l’aggregazione la comunità
si fosse sentita limitata nella propria libertà, si sarebbe senz’altro
distaccata dalla Chiesa del Nazareno in qualunque momento.
Durante quelle riunioni,
come si legge nel relativo verbale, parteciparono ed espressero il loro parere
in totale 36 su 49 membri effettivi di Via Glauco.
Quell’occasione fu anche un
modo perché la posizione dottrinale di Via Glauco fosse nuovamente delineata
con chiarezza. La maggioranza dei fratelli manifestò delle perplessità circa il
contenuto di tre articoli di fede in particolare, riguardanti il peccato
originale, la differenza tra ‘santificazione’e ‘rigenerazione’ e il dono delle lingue,
o glossolalia. All’interno degli
stessi membri di Via Glauco non c’era stata, sin già dalla separazione da Via
Mascagni, assoluta concomitanza d’idee, soprattutto a riguardo di aspetti
carismatici come il dono delle lingue. Eppure la comunità aveva finora vissuto
questa situazione con rispetto e amore.
Le differenze riscontrate
non furono considerate motivi pregiudiziali all’adesione: i membri decisero
pertanto di mettere per iscritto il loro pensiero, presentarlo alla Chiesa del
Nazareno e verificarne la risposta e la disponibilità. Otto membri, compreso
Davide Ciaccio, si riunirono il 17 gennaio per stendere la lettera che doveva
evidenziare le divergenze ed esprimere la richiesta di aggregazione nel
rispetto delle differenze.
Nella sua lettera alla
comunità di Via Glauco, datata 5 febbraio 1994, l’allora DS (District
Superintendent, Sovrintendente distrettuale della Chiesa del Nazareno),
Salvatore Scognamiglio, si definiva ‘gioioso’ dell’intenzione di aggregazione
di Via Glauco, e informava la stessa del fatto che la proposta sarebbe stata
discussa all’interno del Consiglio distrettuale. La lettera comunicava anche la
data in cui due delegazioni delle rispettive chiese si sarebbero incontrate per
approfondire, come concordato, gli aspetti riguardanti le differenze
dottrinali. Durante due incontri, preceduti da un notevole lavoro di ricerca e
sintesi, ci si rese conto come le differenze, esclusa la questione del dono di
lingue, fossero originate più che altro da un diverso modo di intendere e di
adoperare alcuni termini. Il Consiglio distrettuale della Chiesa del Nazareno,
riunitosi il 22 aprile, espresse dunque, grazie anche ai resoconti positivi
sugli incontri delle delegazioni, parere favorevole all’aggregazione di Via
Glauco alla Chiesa del Nazareno.
Alla riunione comunitaria di
Via Glauco del 12 e 13 maggio, i fratelli che avevano partecipato alla
delegazione si fecero carico di spiegare a tutta la comunità come stavano le
cose. Ciò che aveva influito su di loro in modo più positivo era stata la
grande ampiezza di vedute riscontrata nei rappresentanti della Chiesa del
Nazareno. Con la massima serenità incoraggiarono dunque gli altri fratelli
all’adesione, visto anche che qualsiasi dubbio sull’intolleranza nazarena era
stato fugato dall’approvazione di questi all’aggregazione. Di nuovo ogni membro
presente si espresse (stavolta 40 su 49) ed emerse che, pur con qualche riserva
(ancora non del tutto scomparsa), la totalità della comunità si diceva
favorevole all’adesione.
4. Cambiamenti nell’organizzazione interna.
Da chiesa locale libera, Via
Glauco si trasformava in ‘chiesa locale della Chiesa del Nazareno’.
Essa inviò pertanto al
Consiglio distrettuale della Chiesa del Nazareno i dati riguardanti la
composizione e la situazione logistica della comunità. Giunse allo stesso modo
il materiale necessario all’ovvia ‘conversione’ organizzativa: l’immancabile Manuale della Chiesa, con la guida
relativa alle ‘Assemblee locali’ mai svolte prima; istruzioni per i verbali da
archiviare, gli annuari da compilare, le votazioni da effettuare.
La struttura di Via Glauco
prevedeva già, oltre al responsabile, un cassiere; in occasioni particolari,
veniva designato di volta in volta un segretario per verbalizzare. Si
svolgevano inoltre, condotte con serietà e competenza, attività di tradizionale
importanza, come il culto domenicale, riunioni di preghiera e di studio
biblico, incontri dei giovani e attività di insegnamento ai bambini
dall’altrettanto tradizionale nome di Scuola domenicale.
La prima Assemblea annuale
della Chiesa del Nazareno di Via Glauco si svolse il 7 ottobre 1994. Era
presente il Sovrintendente Scognamiglio per supervisionare i lavori. Per prima
cosa fu formato il Consiglio di Chiesa, composto dal Pastore, dal Segretario
locale, dal Tesoriere locale, dai Presidenti locali dei Dipartimenti e da
alcuni Consiglieri. Si dovettero infatti creare vari comitati o ‘dipartimenti’
(questa la terminologia vigente): Gioventù Nazarena Internazionale, o GNI;
Associazione Missionaria Nazarena, o AMN; Ministero della Scuola Domenicale, o
MSD, ognuno con relativa cassa, da amministrare a cura del Tesoriere Locale.
Durante le Assemblee i presidenti dei comitati davano lettura delle proprie
relazioni, riguardanti sia il lavoro svolto durante l’anno che le prospettive
future del Dipartimento. Questa organizzazione si ripeteva, via via più
complessa, a livello distrettuale, nazionale e internazionale. La nomina a dei
compiti specifici si otteneva tramite una votazione a maggioranza, preceduta da
candidature spontanee o proposte, che comunque l’interessato poteva sempre
declinare. Era necessario, ad esempio, eleggere dei ‘delegati’ che
rappresentassero la comunità locale all’Assemblea distrettuale.
Nella propria relazione, il
responsabile sollevò l’annoso problema, evidenziato più volte in precedenza[55],
di non potere assolvere, a causa del lavoro secolare che gli lasciava poco
tempo a disposizione, al ministero pastorale con la dovuta concentrazione e
dedizione. Vi si legge: “Nella comunità si evidenzia sempre di più la necessità
di avere il pastore a tempo pieno o parziale”[56]. Fu affidato
al Consiglio di Chiesa il compito di organizzare la risposta pratica della
comunità. In una riunione comunitaria straordinaria, alla quale la famiglia
pastorale non era presente, fu affrontato il delicato tema del sostentamento
economico del pastore. Ogni membro fu invitato, tramite dei biglietti anonimi,
ad esprimere il proprio parere sull’opportunità del sostentamento economico del
responsabile, e ad indicare una somma minima. Questa sarebbe stata devoluta al
pastore affinché egli potesse lavorare almeno part-time per dedicarsi meglio alla cura spirituale della comunità.
Lo scopo ultimo era di raggiungere, in futuro, il traguardo del tempo pieno.
5. Integrazione e collaborazione.
Il 12 novembre 1994 è la
data dell’Assemblea Distrettuale in cui Via Glauco entrò ufficialmente a far
parte della Chiesa del Nazareno, e che sancì anche la divisione del Distretto
italiano in due. Al Distretto del Sud Italia appartenevano le Comunità di Via
Salvo D’Acquisto e Via Glauco a Catania e il punto di missione di Calatafimi
(TP); quello del Nord Italia comprendeva allora le chiese di Civitavecchia,
Paderno, Firenze, Sarzana, Cuneo e Moncalieri. La divisione sarebbe stata resa
effettiva solo a febbraio 1995, quando si fosse chiuso l’anno finanziario. Con
le nuove disposizioni, Salvatore Scognamiglio ricevette l’incarico di
Sovrintendente del Distretto Nord, e Giovanni Cereda la nomina a Sovrintendente
del Distretto Sud.
Davide Ciaccio allora era un
predicatore distrettuale. Nel 1990, per la necessità che egli riscontrava di
una buona preparazione teologica nel proprio compito di guida spirituale, aveva
iniziato gli studi alla Facoltà Valdese di Teologia. Quando avesse completato
il suo corso, sarebbe stato ordinato ufficialmente Pastore della Chiesa del
Nazareno; fino ad allora egli avrebbe dovuto, ogni anno, chiedere che gli
venisse rinnovata la licenza di predicatore distrettuale.
L’aggregazione non era
passata inosservata nell’ambito evangelico, e chi non ne conosceva bene le
motivazioni e i risultati mostrò di non averla compresa appieno. Per questo
motivo, Davide Ciaccio inviò a tutti i pastori con cui era in contatto una
lettera, in cui ne spiegava le motivazioni.
Egli era infatti molto attivo
nelle relazioni con le altre chiese. In collaborazione con alcuni pastori,
aveva fondato il Centro Culturale Evangelico ed insegnava alla ‘Scuola di
Ministero’ di Catania[57].
In quel primo anno di appartenenza
alla Chiesa del Nazareno le attività si susseguirono in modo frenetico.
Nonostante la poca
familiarità dei nuovi entrati con le procedure nazarene, molti membri di Via
Glauco si impegnarono attivamente, ben 13 di loro ricoprendo cariche distrettuali.
All’interno della comunità di Via Glauco c’erano stati grandi cambiamenti,
anche non strettamente legati all’aggregazione, come la nascita di una cellula
di preghiera. Quest’ultima era localizzata ad Acicastello, in casa dei coniugi
Zappalà, una giovane coppia della comunità che ospitava regolarmente alcuni
conoscenti a cui testimoniava della propria fede nel Signore.
La prima Assemblea
distrettuale del Sud Italia ebbe luogo il 25 novembre 1995 proprio nei locali
di Via Glauco. Erano presenti, come ospiti, anche Enzo Paci e Rosario Longo,
pastori rispettivamente delle comunità di Via A. Pacinotti e S. Agata Li
Battiati. Visto il buon esito dell’esperienza di Via Glauco, essi contemplavano
seriamente la possibilità della propria associazione alla Chiesa del Nazareno,
effettivamente avvenuta dopo qualche mese.
Importante fu anche, in quel
periodo, l’aggiunta di nuovi membri. Alcuni provenivano da altre realtà
evangeliche: ad esempio, un gruppo di membri della comunità di Via Pacinotti,
tra cui il responsabile, Enzo Paci, si unì ai fratelli di Via Glauco per
condurre con loro un cammino di fede che ora li accomunava più che nel passato.
Altri furono frutto di una campagna evangelistica, ‘Ognuno porti uno’, che
aveva visto la comunità impegnata in un grande lavoro di testimonianza esterna.
Oltre a questo, il gruppo dei giovani aveva mostrato un forte coinvolgimento
nell’ambito della comunità: tre giovani erano stati battezzati e molti di essi
avevano assunto degli incarichi anche molto impegnativi nella nuova struttura
comunitaria. Un fortissimo stimolo venne loro dato dalla visita, nel giugno
1995, di un gruppo di Lavoro e Testimonianza (Work & Witness) proveniente dal Point Loma Bible College, istituto
nazareno di S. Diego, California. Insieme a quei 15 studenti poco più che
ventenni, Via Glauco portò a compimento un progetto ambizioso ma di grande
importanza anche per il contesto sociale vicino alla comunità. Via Glauco è una
strada senza sbocco; al termine di essa, separate da un basso muretto, si stendono
le rotaie della linea ferroviaria, da tempo inutilizzate. L’area immediatamente
prima del muretto era allora un vero e proprio immondezzaio: coperta di
cespugli e buia com’era, era regolarmente frequentata da sbandati o da
coppiette, con conseguenze facilmente immaginabili. Dopo che tutte le erbacce
furono estirpate, il terreno venne scavato e livellato; fu costruito poi un
secondo muretto, decorativo, e delle scale. Ciò favorì il passaggio delle
persone residenti alle spalle delle rotaie, le quali erano solite prendere
quella scorciatoia per giungere ai vicini negozi. Fu costruito uno steccato e
furono piantati arbusti e piante: il risultato finale superava di gran lunga le
più rosee aspettative. Alla fine dei lavori il vicinato fu invitato ad un culto
d’inaugurazione all’aperto, davanti alla neonata aiola.
In inverno ebbero luogo,
organizzati dalla Chiesa, una Conferenza evangelistica a S. Severa, Roma, ed un
Convegno giovanile in Olanda. Alcuni membri di Via Glauco vi parteciparono, tra
cui un giovane, Davide Cantarella: questi ed altri avvenimenti, non ultimo la
proficua partecipazione alla ‘Scuola di Ministero’, fecero crescere
gradualmente in Davide il desiderio di andare in missione e di frequentare un
College biblico.
Il 1996 fu un anno
dall’importanza unica per la comunità di Via Glauco. Passò tra grandi dolori e
grandi gioie.
Un gravissimo colpo fu la
perdita di due fratelli: dopo atroci sofferenze, Filippo Di Prima morì di
cancro in primavera. A giugno Benedetto Zappalà perse la vita in un gravissimo
incidente stradale. Aveva 44 anni. La sua scomparsa mise a dura prova
l’equilibrio della comunità stessa. Nonostante la consapevolezza che la morte
in effetti era, per lui, l’inizio di una vita migliore ed eterna, la tragicità
del fatto lasciò tutti profondamente turbati: Benedetto aveva due figli e la
moglie, Angela, aveva saputo solo da pochissimo tempo di essere in attesa del
terzo, mai nato. Per lei il colpo fu durissimo: sconvolta anche dall’estrema
incertezza del proprio avvenire senza il marito, gradualmente si allontanò
dalla comunità.
Benedetto e Angela
ospitavano in casa propria la cellula di preghiera di Acicastello, che da
qualche tempo si cercava di tradurre in una nuova comunità: era stato anche
preso in affitto un piccolo locale in una zona centrale del paese. In una
situazione estremamente difficile com’era quella in cui versava la comunità,
non era semplice decidere cosa fare. Mai si sarebbero voluti vanificare gli
sforzi di Benedetto rinunciando ad Acicastello, così alcuni membri di Via
Glauco si impegnarono ad occuparsi del nuovo ‘punto di predicazione’, come
allora la Chiesa lo definiva.
Tuttavia in quella triste
occasione, una cugina di Benedetto, riconoscendone la genuinità della fede, si
avvicinò alla comunità fino a condividerne con sincerità il cammino spirituale.
La comunità visse anche
tanti momenti in cui gioì immensamente con chi decise di testimoniare
pubblicamente la propria fede scendendo nelle acque battesimali. Due giovani,
Salvatore Scinardo e Letizia Cantarella, si sposarono nell’agosto 1996; il loro
fu il primo matrimonio della comunità. Pochi giorni dopo Davide Cantarella,
fratello di Letizia, partì per Buesingen, in Germania, per frequentarvi un
College biblico nazareno, in risposta alla propria visione missionaria.
Tuttavia, in questo periodo
Davide Ciaccio notava con rammarico il chiaro delinearsi, all’interno della
comunità, di un gruppo portante e profondamente impegnato, opposto ad un altro
che, invece, viveva “ai margini della comunità”; si augurava pertanto di vedere
presto “la comunità al cento per cento vivere nella vita dello Spirito”[58].
8. Modalità e motivazioni del distacco.
Davide Ciaccio, pur avendo
concluso i propri studi teologici, non era stato ancora ufficialmente ordinato
Pastore; anzi, per tutto il 1996 la comunità inviò delle raccomandazioni ai
Sovrintendenti superiori per sollecitare il riconoscimento delle credenziali di
anziano di Davide all’interno della Chiesa del Nazareno. Queste raccomandazioni
avrebbero dovuto trovare risposta in occasione dell’Assemblea distrettuale del
30 Novembre 1996, quando Davide sarebbe stato ordinato Pastore.
L’Assemblea ebbe luogo in
Via Salvo D’Acquisto; i lavori iniziarono il sabato con i convegni dei
Dipartimenti, durante i quali sarebbero state lette le relazioni dei Presidenti
locali di ciascun Dipartimento e discusse le proposte da avanzare all’Assemblea
vera e propria, prevista per l’indomani.
I membri del Consiglio di
Chiesa di Via Glauco avevano preparato delle mozioni da presentare
all’Assemblea, in cui lamentavano la mancanza di contatti e di comunione tra i
due distretti, e dicendosi convinti che ciò andasse “a scapito dell’unità della
Chiesa del Nazareno in Italia per non dire della Chiesa stessa, ed anche di un
proficuo arricchimento dato dalla diversità dei ministeri e dei doni che pur
esistono nella Chiesa del Nazareno in Italia[59]”.
Lasciavano quindi all’Assemblea il compito di promuovere degli incontri per il
superamento dei problemi relativi: il neonato Distretto del Sud-Italia
lamentava evidenti problemi ed insufficienze, allora attribuiti all’incertezza
dovuta all’inesperienza. Per riflettere sull’efficacia del lavoro svolto,
veniva proposto un congresso per gennaio 1997 dal titolo “Lo stato e le prospettive a breve ed a medio termine del distretto
Sud-Italia”, i cui scopi principali dovevano essere: fissare le unità
governative (pastori e Consiglio Distrettuale); dimensionare gli organi
operativi (Comitati, Enti, ecc.); delineare la politica di collegamento tra le
comunità componenti il Distretto, di sviluppo dello stesso e di rapporti con
l’esterno (altre denominazioni, Cattolici). Altre mozioni presentate dal
Consiglio Distrettuale all’Assemblea riguardavano l’ordinazione a Pastore di
Davide Ciaccio, il rilascio della licenza di predicatori distrettuali per Enzo
Paci e Rosario Longo, e il prolungamento delle cariche distrettuali da annuali
a biennali.
In vista dell’ordinazione a
Pastore, prima dell’Assemblea Davide Ciaccio aveva dovuto compilare e firmare
dei moduli in cui gli si chiedeva se aderisse pienamente alla dottrina della Chiesa. Egli fece presente che
l’adesione di Via Glauco era avvenuta secondo particolari modalità proprio
riguardanti la posizione dottrinale della comunità e la pratica della glossolalia,
e che questa non era cambiata da allora.
All’Assemblea, la mozione
per la sua ordinazione a Pastore non fu accolta, per motivi di non assoluta
conformità dottrinale; rimandata la discussione in altra sede, l’ordinazione fu
sostituita con la licenza di predicatore. Come conseguenza immediata, quasi
tutti i membri di Via Glauco i cui nomi figuravano nella lista dei candidati a
mansioni distrettuali, uscenti o proposti, ritirarono la candidatura. Quella
bocciatura stava a significare, per Via Glauco, l’intenzione nazarena di
un’assimilazione graduale della comunità, contraria ai principi iniziali di
‘convivenza nel rispetto delle differenze’. Le mozioni e i progetti vennero
accantonati.
Con la speranza che l’evento
fosse “da ricondurre ad una serie di equivoci” e che si giungesse al più presto
a un chiarimento per poter continuare a lavorare insieme, il Consiglio di
Chiesa di Via Glauco inviò esauriente documentazione sulla modalità
dell’adesione e degli ultimi avvenimenti alla chiesa centrale in Kansas City affinché
il problema sorto trovasse una soluzione. Intanto la comunità esaminò il
problema come era solita fare: con una riunione di dialogo comunitario, dove fu
chiaro che l’annessione, come la intendeva la Chiesa, non sarebbe mai avvenuta.
Per tutta risposta, alcuni responsabili territoriali della Chiesa, in visita a
Catania come predicatori, confermarono di aver confidato in una completa
assimilazione, che non escludeva la sospensione della pratica del dono delle
lingue.
Via Glauco sapeva che, qualora
si fosse sentita sopraffatta nella propria identità, sarebbe tornata sui propri
passi, e così fece. Si distaccò dalla Chiesa del Nazareno nei primi mesi del
1997.
Per conoscenza, Davide
Ciaccio inviò ai pastori una seconda lettera che li informava dell’avvenuto
distacco. I rapporti fra le due chiese, comunque, continuarono, in virtù
dell’appartenenza di entrambi i pastori Cereda e Ciaccio al Comitato pastorale
di Catania.
1. Struttura interna: dai ‘dipartimenti’ai ‘settori’.
Riprendersi, dopo il
distacco dalla Chiesa del Nazareno, non fu facile per la comunità di Via
Glauco. Quel che restava del cammino comune non era molto, ma non era di poco
conto: la permanenza in Germania del giovane Davide Cantarella per la propria
formazione spirituale; il grosso impegno di mantenere il locale di Acicastello,
che le comunità catanesi avevano preso contando sull’appoggio economico che
l’organizzazione forniva loro per le opere missionarie, e che Via Glauco aveva
voluto continuare ad assumersi.
La traccia più evidente del
recente passato è l’organizzazione interna. La struttura che per circa tre anni
aveva caratterizzato Via Glauco in quanto appartenente alla Chiesa del
Nazareno, si era rivelata fruttuosa per il decentramento amministrativo,
soprattutto per l’organizzazione di attività come quelle missionarie o
giovanili. Essa fu dunque mantenuta all’interno della comunità, anche se certi
aspetti subirono delle modifiche.
Nel corso di tre serate
comunitarie, svoltesi dal 9 al 11 settembre 1997, Davide Ciaccio suggerì nuove
disposizioni per il proseguimento dell’opera. Innanzi tutto, riprendere a
svolgere gli impegni essendo giustificati da un’attitudine di volontarietà e
disponibilità. Meglio ancora, per scoprire o verificare la vocazione di
ciascuno. Ogni membro avrebbe dovuto avere la consapevolezza del servizio, la
maturità di comprendere se fosse o no nel posto giusto ed, eventualmente,
l’umiltà di riporre l’opera svolta nelle mani di chi dimostrasse maggiori
iclinazioni per quel lavoro. Delle votazioni si sarebbe di nuovo fatto a meno,
tranne che nei casi in cui fossero state ritenute indispensabili.
La struttura nazarena fu
convertita in una serie di ‘settori’ riguardanti tutti gli aspetti della vita
comunitaria, ciascuno dei quali avrebbe avuto un responsabile e dei
collaboratori. Questi gli otto settori proposti: la cura pastorale,
l’amministrazione, i giovani, l’insegnamento, la musica, le cellule di
preghiera in casa, le missioni e l’evangelizzazione, la segreteria e i rapporti
con l’esterno. Importante, all’interno di ciascun settore, doveva essere la
‘riproduzione’ della vocazione del leader nei riguardi dei compagni di
lavoro; ciò allo scopo di favorire il sorgere di ministeri. I responsabili dei
settori e il pastore si sarebbero incontrati periodicamente per
l’organizzazione della vita comunitaria. Tutto ciò avrebbe permesso a Davide
Ciaccio di avere più tempo per dedicarsi alla cura pastorale.
La prima preoccupazione, in
ordine di tempo, dei settori fu quella di darsi un’organizzazione cosciente dei
bisogni e delle aspettative della comunità: i primi quattro incontri dei
responsabili furono dedicati, fra l’altro, ad un ‘corso di organizzazione
personale e collettiva’.
L’obiettivo primario dietro
qualsiasi forma di struttura interna restava il raggiungimento di un governo
comunitario collegiale, un gruppo di anziani e diaconi secondo l’ideale
neotestamentario. Nell’idea originaria, infatti, i settori non avrebbero dovuto
avere una funzione unicamente organizzativa, ma si sperava che potessero essere
il trampolino di lancio perché altri, oltre a Davide Ciaccio, arrivassero alla
consapevolezza di una vocazione per la condivisione delle responsabilità.
Questo concetto fu chiaramente espresso non solo nel corso delle riunioni
comunitarie, ma fu anche un Leit-motiv nelle riunioni dei responsabili
di settore. Essi insomma sarebbero dovuti pervenire, col tempo, a una certa
chiarezza riguardo la propria vocazione, e lavorare in vista di divenire delle
guide spirituali per la comunità.
In questo contesto, per
l’attività di cura spirituale svolta costantemente nel corso di tanti anni,
Carla Sueri fu dichiarata ufficialmente diaconessa: durante un culto domenicale
il popolo pregò per lei a mo’ di approvazione e gratitudine a Dio. La comunità
non ama i titoli, e quest’evento fu precisamente il riconoscimento del
servizio di diaconia svolto da Carla.
All’inizio, i settori ebbero una partenza entusiastica, ma
col tempo si è potuto assistere ad un calo, sia nell’impegno pratico che,
soprattutto, nel raggiungimento dell’ideale vocazionale.
Il gruppo è fatto di persone che vogliono servire Dio e la
comunità, ma c’è bisogno di qualcosa di più: c’è bisogno che la responsabilità
sia condivisa, e che la comunità approvi chi riveste compiti di guida. Non è
indispensabile l’intervento del pastore nell’organizzazione del singolo, perché
ogni responsabile, in quanto conoscitore della comunità nella stessa misura del
pastore, dovrebbe poter agire autonomamente nel rispetto della chiamata,
propria e della collettività. Quando avesse chiari la visione e l’indirizzo,
ciascun responsabile dovrebbe prendere in mano una ‘fetta di comunità’.
La caratteristica della comunità, di non ‘appioppare’ compiti
e di basarsi sulla volontarietà, d’altro canto, comporta forse il rischio che
il popolo non venga spronato abbastanza a muoversi; che, troppo abituate alla
comunità, le persone non arrivino a comprendere che occorre ‘qualcosa di più’.
La situazione comunitaria è tale che coesistono un gruppo portante
(responsabili e collaboratori per l’appunto) ed una maggioranza che resta ai
margini. La carenza di persone che ‘facciano’ spinge i primi ad assumersi quei
compiti che altrimenti nessuno farebbe. Gli impegni di chi sta in prima linea,
dunque, sono tali e tanti che è quasi inevitabile che qualcosa ci vada di mezzo
– fatalmente, l’elemento più importante: la vocazione. Le attività
tradizionalmente svolte all’interno della comunità hanno subito, negli ultimi
anni, un ridimensionamento. I credenti sembravano essersi ripiegati su se
stessi, aspettando tempi migliori.
Del gruppo iniziale di
responsabili, due persone hanno dichiarato di aver maturato la consapevolezza
della chiamata. Gli altri continuano a lavorare in ogni caso, perché
considerano il servizio un aspetto basilare della vita cristiana, e per non
privare la comunità di un elemento organizzativo che ha comunque una grande
importanza. Inoltre perché, col tempo, la chiamata potrebbe maturare. Le guide
spirituali della comunità, dunque, sono ancora, in parte, latenti.
Durante la riunione dei
responsabili dei settori del mese di gennaio 1998 si affrontò, non per la prima
volta ma stavolta con maggior serietà, l’argomento dell’opportunità di definire
ufficialmente l’identità della comunità e il suo rapporto con lo Stato. Si
decise in quella sede di creare un comitato che formulasse delle indicazioni
per la stesura di uno Statuto e se ne facesse portavoce nei confronti della
comunità. Questo gruppo, formato da quattro persone, prese in esame innanzi
tutto l’eventualità di aderire ad alcune Alleanze o Federazioni Evangeliche già
esistenti, ma decise che sarebbe stato consigliabile entrare a farne parte
avendo un’identità già stabilita. Vennero dunque esaminati gli Statuti di
numerose Chiese, Associazioni ed Enti Morali per decidere il tipo di fisionomia
da dare alla comunità e gli aspetti pratici da risolvere. Dopo la stesura di
una bozza, i lavori furono interrotti per studiare la Circolare del Ministero
delle Finanze, emanata in data 26 giugno 1999 e avente per oggetto le
disposizioni riguardanti le ONLUS (Organizzazioni Non Lucrative di Utilità
Sociale). Nell’autunno 2000 la bozza creata è stata ripresa ed è attualmente
studiata da un nuovo comitato, stavolta composto da dieci persone, in
particolare il pastore, un rappresentante di ogni settore, due fra i membri
fondatori ed altri due membri effettivi.
4. Attività esterne: Acicastello.
Il punto di missione di
Acicastello[60] è,
geograficamente, abbastanza vicino a Via Glauco. La presenza evangelica nel
paese è sempre stata molto esigua, talché Via Glauco vi ha svolto un’opera per
certi aspetti pionieristica. Nel corso degli anni, le iniziative intraprese al
servizio del paese sono state molteplici.
Il locale mantenuto dalla
comunità fino a tutto il 2000 è sito in Via Manganelli, 14. All’interno si
svolgevano riunioni di preghiera, di culto, incontri di giovani, discussioni su
argomenti di etica ed attualità (alcuni soggetti: ecologia, libertà, lavoro,
eutanasia).
Un’attività esclusivamente
estiva era il ‘Cocktail House’, variazione sul tema dei Coffee Houses
anglosassoni. Il locale, arredato per lo scopo con tavolini e sedie, fungeva da
luogo di ritrovo informale, dove agli ospiti venivano offerti gratuitamente
bibite analcoliche, gelati, dolciumi, insieme ad un intrattenimento musicale o,
più di rado, teatrale. I fratelli e le sorelle, in queste occasioni, si
‘improvvisavano’ camerieri, barman, lavapiatti.
Sempre in estate, nella
piazza centrale sono state svolte evangelizzazioni ed attività culturali. Nel
’97 si è tenuta una Mostra della Bibbia in collaborazione con la Società
Biblica Italiana (SBI), che ha fornito il materiale per l’esposizione (pannelli,
fotografie, Bibbie in lingua italiana e in lingue straniere, edizioni
scientifiche e riproduzioni anastatiche di testi antichi) e le dispense per la
preparazione del personale. Essa illustrava la storia del testo biblico ed
offriva ai visitatori l’opportunità di una maggiore familiarità con esso.
Poiché molti visitatori, interessati, chiedevano se fosse possibile acquistare
i testi, l’anno successivo la comunità ha organizzato una mostra-vendita di
letteratura cristiana, grazie stavolta all’aiuto della Crociata del Libro
Cristiano (CLC). La collaborazione con la Società Missionaria Evangelica
Italiana (SMEI) e con Nepal Leprosy Trust ha portato invece, nei due anni
successivi, all’organizzazione di un mercatino di artigianato nepalese, oggetti
fabbricati da persone guarite dalla lebbra dopo le cure ricevute nel
lebbrosario di Lalgadh in Nepal.
Sono stati presi dei
contatti con le prime personalità civiche del paese e con gli assistenti
sociali, in quanto il lavoro che si intende fare va un po’ oltre le tappe
tradizionali. Durante alcune riunioni di preghiera, infatti, tramite il carisma
spirituale della profezia[61],
Carla Sueri comunicò che l’opera ad Acicastello non avrebbe incarnato le
caratteristiche che ciascuno, secondo l’immaginario collettivo evangelico, si
aspettava che avrebbe avuto.
Nella primavera del 1999, un
membro di Via Glauco, Roberto Rizzo, ha portato a termine un progetto molto
importante per la penetrazione nel tessuto sociale del paese; per un approccio
migliore, soprattutto il meno invasivo possibile. Dopo accurate ricerche, ha
redatto un testo, ad uso della comunità, dal titolo ‘Acicastello. Storia,
leggenda, poesia e…altro’. Roberto ne descrive, nella premessa, lo scopo,
cioè “concentrare tutti gli sforzi per conoscere in profondità le persone che
vivono la loro quotidianità su questo territorio…perché nacque in me forte il
desiderio di conoscerli profondamente per meglio comprenderli, affinché potessi
annunciare loro la Buona Novella.”
Tuttavia, l’impegno della
comunità ad Acicastello non gode della partecipazione di tutti i membri:
nonostante i ripetuti appelli a una maggiore sensibilizzazione, una parte della
chiesa è rimasta estranea all’attività. Ciò ha avuto delle conseguenze
riscontrabili anche dal lato economico, tant’è che, per le difficoltà
nell’affrontare le spese, si è reso necessario un ridimensionamento del lavoro,
per cui la comunità farà a meno del locale ad Acicastello dal mese di marzo
2001.
5. Attività esterne: le missioni.
L’aspetto missionario all’interno
delle comunità è stato presente sin dall’inizio; in particolare, le visite del
missionario inglese Norman Meeten, il quale da diversi anni visitava
regolarmente i paesi dell’estremo oriente, in particolare India, Nepal,
Singapore, fornirono alle attività un notevole incremento. La comunità
contribuì infatti, tramite i contatti di Norman, alla costruzione di un
lebbrosario a Lalgadh, nel sud del Nepal, all’adozione a distanza di diversi
bambini e al sostegno economico di alcuni missionari locali. Da allora Norman
Meeten ha visitato regolarmente le comunità catanesi seminando in alcuni membri
l’interesse per la missione.
Il settore ‘Missione ed
evangelizzazione’, attivato già durante il periodo nazareno, è di certo uno dei
più importanti della comunità, in quanto la rappresenta all’esterno. Enzo Paci
ne è stato il responsabile per circa tre anni; in seguito ha sentito l’urgenza
di dedicarsi al ministero itinerante, che considera la propria specifica
vocazione. Uno degli scopi primari, come più volte espresso dal capo-settore
nelle relazioni alle riunioni comunitarie, è quello di non fermarsi ad una
conoscenza del problema della missione in senso lato e dei missionari, ma che
molti possano entrare nel vivo del ‘grande mandato’, cioè “andare per tutto il
mondo e predicare il Vangelo ad ogni creatura” (Marco 16, 15).
Per un periodo di circa un
anno, oltre ad Acicastello, alcuni membri di Via Glauco hanno svolto opere di
evangelizzazione nelle località di Randazzo e Caltanissetta. Per difficoltà più
che altro logistiche, le attività sono state sospese e i contatti lasciati ad
altre realtà evangeliche maggiormente presenti in zona.
Per un po’ di tempo, alle
missioni è stata dedicata mensilmente una riunione specifica in chiesa tra
quelle di preghiera infrasettimanali; in seguito essa è entrata a far parte del
progetto delle cellule di preghiera in casa.
Le attività che la comunità
sponsorizza, sono molteplici: oltre a incrementare un’apposita cassa per le
missioni e a riempire annualmente alcuni salvadanai, i membri sostengono due
bambini indiani che hanno adottato a distanza, più Bablù, piccolo nepalese di
cui si occupa unicamente la cassa della Scuola domenicale. In passato, infatti,
le offerte raccolte durante tutto l’anno scolastico dai bambini della Scuola
Domenicale erano poi utilizzate per dei regalini utili ai bambini stessi della
Scuola. Dal 1997 i bambini hanno invece deciso di aiutare, nel loro piccolo,
chi sta peggio di loro. Così, grazie ai contatti del settore Missioni, hanno
adottato Bablù. Quando le entrate non sono sufficienti per la copertura
dell’importo necessario, si ricorre al ‘Momento dolce’, cioè una vendita di
dolci fatti in casa, che puntualmente completa e fa anzi sovrabbondare la busta
per Bablù.
6. Un nuovo orizzonte: il Nepal.
Dopo diversi episodi isolati
e individuali di esperienze missionarie, nel 1997, da un’idea di Davide Ciaccio
ed Enzo Paci, nasce la S.M.E.I. La Società ha coordinato e intensificato i
rapporti fraterni in altre nazioni e, in particolare, ha concretizzato la
presenza di Via Glauco in Nepal, dove alcuni missionari inglesi avevano
iniziato un’opera con la costruzione di un ospedale per i lebbrosi, alla cui
costruzione Via Glauco partecipò economicamente.
Solo nell’autunno del ’98 fu
organizzato il primo viaggio per andare a visitare quel lebbrosario, per vedere
l’opera e incoraggiare i missionari impegnati. Per i membri della comunità che
parteciparono, il viaggio fu fonte di esperienze spirituali ma anche di
consapevolezza sociale: incontrarono molte persone e visitarono luoghi prima
d’ora visti solo in TV o di cui avevano solo sentito parlare. I viaggi
avvennero tramite aereo, auto, bus, a piedi, in jeep, non sempre sicuri
e confortevoli. Nel 1999 si organizzò il secondo viaggio in Nepal, di tre
settimane, e questa volta i contatti con le chiese ed alcuni missioni locali
furono al primo posto. I fratelli visitarono persone nei villaggi, videro da
vicino la vita all’interno dei quartieri poveri di Katmandu, visitarono una
grande chiesa evangelica locale che conta più di 2000 membri, e una casa di
accoglienza, il centro “Bishram Griha” di Katmandu. Questa struttura, sorta nel
1998, accoglie donne nepalesi sottratte allo sfruttamento e alla prostituzione;
vendute come schiave in India dai genitori, spesso dai mariti, molte di esse
sono affette da AIDS. Il personale del Centro le cura ed insegna loro ad essere
autosufficienti attraverso un lavoro. Per sostenere questa attività la SMEI ha
adottato in varie occasioni l’idea della
vendita dei dolci; ad esempio, nel 1999 è stata più volte organizzata
all’interno dello spaccio del carcere di Catania.
Nel 2000 è stato organizzato
il terzo viaggio, sempre di tre settimane, che ha racchiuso un più ampio raggio
d’azione: sono stati visitati villaggi e chiese in differenti luoghi della
nazione, condividendo la Parola di Dio, incoraggiando i leader delle chiese
locali, incontrando anche i bambini che diverse famiglie italiane hanno
adottato a distanza (attualmente i bambini adottati in Nepal sono ben 35).
Poiché il Cristianesimo è illegale nel paese, durante quest’ultimo viaggio Enzo
Paci e il fratello che lo accompagnava hanno rischiato di essere arrestati
dalla polizia nepalese: il 28 ottobre, per puro caso, non hanno potuto
partecipare ad una riunione cristiana nel corso della quale la polizia ha fatto
irruzione nel locale arrestando i partecipanti e condannandoli a sei anni di
reclusione.
1. Collaborazione con gruppi internazionali.
Via Glauco è una delle
moltissime (oltre centocinquanta) chiese evangeliche di varia estrazione
denominazionale presenti sul territorio della provincia di Catania.
Nel corso degli anni sono
state promosse alcune iniziative per una maggiore conoscenza e collaborazione
fra le chiese stesse, ad esempio la campagna evangelistica alla Villa comunale
di Catania del 1994 con la partecipazione del predicatore Gaetano Sottile,
presidente dell’associazione Italia Per Cristo (IPC). Gli incontri, registrati,
furono successivamente utilizzati per un
ulteriore progetto: per quasi un anno, le riunioni evangelistiche furono
trasmesse la domenica mattina dall’emittente televisiva locale Videotre.
Oltre a prendere parte alle
iniziative promosse da IPC, ad esempio varie ‘Marce per Gesù’ o ‘Giubileo
2000’, Via Glauco e le altre chiese hanno spesso collaborato con i gruppi
evangelistici itineranti ‘Cristo è la risposta’. Quest’opera mondiale iniziò
negli Stati Uniti nel 1971, quando Bill Lowery, fondatore della missione, e la
sua famiglia iniziarono a viaggiare con una piccola tenda attraverso gli U.S.A.
Era il periodo della Jesus Revolution e molti giovani, delusi dalla vita
che conducevano, trovarono una svolta per la propria vita nel servizio di Gesù,
e diedero inizio ad un gruppo mobile permanente che, dopo un paio d’anni, fu in
grado di inviare una cinquantina di missionari anche in Europa. Lo scopo
prioritario della missione, oltre all’evangelizzazione, è infatti la formazione
di discepoli che predichino il Vangelo fino all’estremità della Terra. Ci sono
gruppi in Svezia, Finlandia, Olanda e Ucraina; dal 1975 il movimento è presente
anche in Italia e, oltre alla formazione di un secondo gruppo nel nostro Paese,
è stato in grado di fondarne altri in America meridionale e Asia minore. Il
Gruppo svolge un’attività evangelistica itinerante spostandosi per la penisola
con un grande tendone (capace di contenere fino a 2000 persone) per le riunioni
serali, oltre ai containers e alle roulottes dove i membri vivono; essi
organizzano manifestazioni all’aperto di vario genere per la proclamazione del
Vangelo (concerti, cortei, visite in ospedali, scuole, prigioni). L’aiuto
sociale è esplicato anche attraverso il centro fisso del Gruppo per aiuto a
tossicodipendenti situato nella Valle del Sele. La loro opera ha contribuito
notevolmente a ché i rapporti fra le varie comunità di Catania divenissero più
saldi.
2. Il Comitato pastorale di Catania.
I contatti periodici del
Comitato pastorale a Catania sono nati nel 1988. I pastori coinvolti hanno
sviluppato, con il tempo, una vera e propria associazione riconosciuta, il
Comitato delle Chiese e Missioni Cristiane Evangeliche (CCMCE), sorto nel
1995.
Da quella data, sono state
promosse varie iniziative comuni; fra le più recenti, che hanno registrato la
partecipazione pressoché globale delle chiese rappresentate, la riunione al
Palacatania del 29 maggio 1999: un culto di adorazione, nel corso del
quale è stata svolta la Santa Cena e a cui sono intervenuti l’allora Sindaco di
Catania, on. Enzo Bianco e un delegato del Presidente della Provincia regionale
di Catania, on. Nello Musumeci. Già nel 1997 l’on. Musumeci aveva ricevuto una
delegazione di pastori e rappresentanti di associazioni evangeliche
appartenenti al Comitato. Egli aveva definito l’invito “un atto dovuto, perché
insieme, anche se con ruoli chiaramente diversi, lavoriamo tutti verso il
raggiungimento degli stessi obiettivi, vale a dire il bene della comunità
civile che rappresentiamo e serviamo”[62].
La più recente attività comune è stata un’evangelizzazione sotto una grande
tenda in settembre 2000.
Il Comitato comprende
attualmente dodici organismi, tra chiese e associazioni missionarie e
culturali.
3. Altri contatti di Via Glauco.
Via Glauco, dal canto suo, manteneva
già profondi rapporti con altre comunità: a parte quelle di S. Agata li
Battiati e Via Cannizzaro (poi Via A. Pacinotti), con cui condivideva le
origini ed organizzava le visite del fratello Meeten, particolarmente forti
sono i rapporti con le comunità di Via Lucarelli a Bari, Via Napoli a
Montesarchio (BN) e con la Comunità ‘Traguardo’ per il recupero dei
tossicodipendenti a Terracina (LA).
I pastori delle tre comunità
catanesi iniziarono negli ultimi anni ’80 a promuovere delle iniziative mirate
ad una maggiore unità delle chiese locali, e successivamente allargarono la
proposta alle altre comunità. Le riunioni sono verbalizzate: il primo incontro
per discutere tali aspetti avvenne il 28 novembre 1987. Gli scopi erano così
sintetizzati: scambi di visite ministeriali, costituzione di un gruppo di
anziani comune per l’analisi di problemi importanti, costituzione di case
editrici, giornali, campeggi; il tutto nel rispetto della piena autonomia di
ogni comunità, che restava anche arbitra del grado di partecipazione al
comitato stesso. Fu anche deciso che il
fratello Meeten sarebbe stato considerato, dalle tre comunità catanesi, alla
stregua di un anziano. Forte era inizialmente la preoccupazione di evitare di acquisire
un’identità che somigliasse ad una denominazione o, in ogni caso, di essere
facilmente identificati come tale. A questo scopo, negli anni furono invitati
alla collaborazione anche altri pastori, tra cui il pastore della Chiesa del
Nazareno Giovanni Cereda e alcuni esponenti di una comunità a Palermo. Le
riunioni si svolsero, per lo più con cadenza semestrale, alternativamente nelle
varie città e, oltre ai resoconti delle attività di ciascuna chiesa,
prevedevano un tempo per la preghiera e l’adorazione e il trattamento di un
tema di comune interesse (ad esempio, ‘Il ruolo della donna nella chiesa e sue
eventuali limitazioni’, ‘Maggioranza o unanimità nel governo della chiesa’).
Le tre comunità di Catania
organizzarono, negli anni, anche dei convegni, per indicare le basi della loro
linea di pensiero e incrementare la coscienza spirituale dei credenti. Il primo, svoltosi nel 1991, aveva come
titolo ‘Metodologie a confronto con le Scritture’; nel maggio ’92 fu la volta
del convegno ‘Esaminando la voce profetica’; nel’93 un altro seminario su ‘Gli
adolescenti’ fu condotto dal fratello olandese Mark De Jong in novembre, mentre
Norman Meeten espose a giugno il tema ‘La missione’ e a dicembre ‘Il ministero
dello Spirito Santo’; successivamente, durante la parentesi nazarena, Giancarlo
Rinaldi relazionò su ‘Metodismo e santificazione’, mentre nel maggio ‘97 ebbero
luogo due giorni di conferenza sul tema ‘La Riforma protestante. Lutero,
Calvino, Zwingli’.
Più volte, nel corso dei
loro incontri, i pastori affermarono l’esigenza di ufficializzare i rapporti e
l’iniziativa stessa, con la sottoscrizione di un regolamento interno e la
nomina di un coordinatore. Gli sviluppi sono stati la fondazione e l’adesione
ad una vera e propria associazione.
La S.M.E.I., ideata nel
marzo del 1997, nasce ufficialmente il 6 ottobre dello stesso anno. Come
racconta il Presidente dell’associazione, Enzo Paci, “essa sorge da una forte
convinzione interiore, dettata dal Signore e raccolta a sua volta dai soci
fondatori, circa il bisogno di condividere la visione missionaria in mezzo alla
Chiesa dei Signore, e di essere una risposta alla Sua istanza che diceva:
«Pregate il padrone della messe che spinga altri operai nella messe» (Matteo
9:37,38). Avere una visione o essere missionari non ha a che fare solo con
l’enunciazione di un messaggio, ma all’origine di tutto sta un’esistenza
personale che ricalca le orme di Cristo, e che evidenzia il Suo carattere, i
Suoi metodi, i Suoi scopi. Per questo la SMEI vuole avere anche una funzione,
ove possibile, formativa nei confronti di quanti hanno la vocazione e la
volontà ma non hanno quegli elementi basilari e conoscitivi che li mettano in
grado di servire in modo consapevole e proficuo”.
I fondatori hanno voluto
dedicare questa Società a Norman Meeten, in quanto questi rappresenta, per
loro, un esempio vivente e un’ispirazione continua per quanto riguarda il
lavoro missionario e il sentimento che deve accompagnare coloro che svolgono
questo servizio.
La S.M.E.I. è partita
inizialmente con un nucleo di soci fondatori che ammontava a quattro. Alla data
della Terza Assemblea (maggio 2000) il numero dei Soci era di 99, di cui 43
Missionari e 55 Sostenitori, oltre al fratello Meeten, socio Onorario. Sono
attivi 3 fondi: Fondo per il sostegno dei Missionari S.M.E.I. a tempo pieno;
Fondo per le Adozioni a Distanza, che prevede una somma pari a £.350.000 annue
per ciascun bambino (il numero dei bambini adottati è attualmente di 81, più un
pastore nepalese, per sponsorizzare il quale occorrono £.1.800.000 annue); Fondo
per la Costruzione o ristrutturazione di edifici evangelici adibiti ad opere
socialmente utili. E’ stato attivato un Dipartimento per la Solidarietà che si
preoccupa di intervenire, nei modi e nei tempi adeguati, per il soccorso
umanitario con la raccolta e la distribuzione di viveri di prima necessità, in
situazioni come terremoti, inondazioni, guerre, ecc.
La Società è rappresentata,
in Inghilterra, in una Conferenza annuale mondiale, nella quale s’incontrano leader
di Associazioni provenienti da tutte le parti del mondo. Recenti sono invece i
contatti con l’associazione mondiale Christian Solidarity International (CSI)
per la libertà di religione e l’aiuto ai credenti perseguitati.
Afferma Enzo Paci,
presidente dell’Associazione: “Crediamo che l’aspetto ‘missionario’ rappresenti
uno dei pilastri su cui poggia la vita della chiesa locale, e che non si possa
prescindere dal grande mandato che Gesù Cristo stesso ha lasciato ai suoi
discepoli, e quindi anche a noi. Se oggi possiamo essere d’aiuto e testimonianza
in altre nazioni, e non solo in Nepal, se possiamo testimoniare praticamente
l’amore di Dio al mondo lo dobbiamo grazie anche a coloro che hanno risposto in
modo incondizionato alla vocazione loro rivolta dal Signore risorto”.
I rapporti di Via Glauco con
le realtà evangeliche circostanti sono rappresentati, oltre che dalla
partecipazione del responsabile al Comitato pastorale e di Enzo Paci alla SMEI,
da una specifica lettera circolare che viene redatta e inviata trimestralmente a
circa 70 indirizzi di chiese, missionari, associazioni in Italia e all’estero.
Di questo e di altri tipi di
comunicazioni è responsabile il reparto segreteria della comunità, il quale ha
il compito, fra l’altro, di informare e invitare le chiese a speciali incontri,
come Riunioni missionarie, concerti, rappresentazioni teatrali, e di comunicare
all’interno iniziative, appuntamenti, scadenze. Questa funzione è espletata
anche da La Bacheca, il bollettino interno della comunità. L’idea,
lanciata durante l’assemblea comunitaria annuale del settembre ’99, ha
concretamente preso forma in occasione di una scampagnata e immediatamente dato
i suoi frutti: il primo numero reca la data del 10 ottobre 1999.
6. L’insegnamento.
La formazione teologica è
considerata molto importante all’interno della comunità. Nel 1995 i fratelli
Davide e Daniele Ciaccio hanno fondato il Centro Culturale Evangelico e,
nell’ambito di quello, la ‘Scuola di Ministero’, una scuola biblica
interdenominazionale per la preparazione teologica dei singoli credenti, volta
ad un più efficace lavoro nella chiesa locale. Vari pastori, appartenenti a
diverse realtà evangeliche, vi hanno svolto, negli anni, compiti di
insegnamento e amministrazione. Diversi membri di Via Glauco hanno frequentato
la Scuola fin dagli inizi, e molti
hanno terminato il Corso quadriennale.
Altri membri hanno invece
intrapreso un corso di studio biblico per corrispondenza del Corso Intensivo
Teologico per Esterni della Chiesa del Nazareno.
Davide Cantarella, il
giovane studente al College biblico nazareno in Germania, ha terminato il
proprio corso quadriennale di studi in religione e missione nel giugno 1999. Al
college ha conosciuto Tanya Araktcheeva, una studentessa moscovita. I due
ragazzi si sono sposati nell’autunno 2000 e si sono trasferiti a Mosca, dove
espletano attualmente il proprio servizio missionario.
7. Rapporti con la confessione dominante.
Nel 1988, una delegazione
dei membri della vicina parrocchia di Via Messina proposero ai credenti di Via
Caruso di intraprendere uno studio biblico comune. L’attività non ebbe seguito
perché la proposta restò tale. Furono infatti svolti alcuni incontri di studio
insieme, che però furono interrotti e non più ripresi.
Davide Ciaccio, nell’ambito
dei propri studi teologici, ha intrapreso a frequentare un Master di ‘Vita
cristiana’ presso l’Istituto Teologico S. Paolo di Catania.
E’ alle prime pagine degli Atti
degli Apostoli che si guarda quando si vuole indicare il modello perfetto
di Chiesa al quale aspirare. Ma, già dalle Scritture, andando avanti di poche
pagine, si osserva come quel modello essenziale ed efficace si deteriorò
presto, dovendo affrontare tutti i problemi legati ad una crescita abnorme;
problemi che, in buona parte, si sono succeduti fino ai giorni nostri, e a
cui altri se ne sono aggiunti.
Il panorama mondiale delle
Chiese cristiane si presenta oggi diviso in tre grandi blocchi: la Chiesa
Cattolica, la Chiesa Ortodossa, la Chiesa Riformata. Nemici dichiarati nei
secoli passati, i rappresentanti di queste Chiese sono oggi impegnati a
lavorare insieme nel movimento ecumenico nel tentativo di sanare, almeno in
parte, le ferite provocate dalle divisioni e potere così dare una testimonianza
più fedele al modello indicato dal loro capo, Gesù Cristo. Tale modello parla
di unità nello Spirito, di comunione di intenti, di diversità di doni messi al
servizio dell’Evangelo, di solidarietà fattiva nei confronti del mondo
bisognoso di giustizia. Questo non vuol dire che tutte le Chiese debbano essere
uguali nelle strutture, nell’organizzazione, nelle capacità d’azione, nelle
enfasi dottrinali.
La Storia ha tracciato
solchi profondi, l’evoluzione tecnologica e le conoscenze scientifiche
sperimentate ed acquisite hanno cambiato il nostro modo di vivere e di
intendere la vita intorno a noi e sarebbe quindi illusorio pensare di ritornare
al semplice e unitario modello della Chiesa primitiva. Occorre realisticamente
pensare che, così come in una comunità locale ogni membro ha la sua funzione,
così nel mondo ogni Chiesa, ciascun movimento, ogni comunità abbia il proprio
ministero da mettere al servizio del Vangelo. Ognuno può e deve vivere la
propria fede nell’ambito religioso che gli è più congeniale ma, senza
disistimare gli altri, deve partecipare attivamente a quelle iniziative che,
mettendo insieme i doni che Dio ha dato alla sua Chiesa, potranno con più
efficacia annunciare il regno di Dio.
A Catania esiste un comitato
ecumenico, di cui però Via Glauco non fa parte.
Via Glauco è composta in
totale da 121 membri ‘registrati’ di cui 66 sono effettivi e 55 catecumeni;
almeno 30 sono frequentatori più o meno saltuari. La differenza tra ‘effettivo’
e ‘catecumeno’ è una scelta del singolo che, manifestando la volontà di essere
effettivo, dichiara esplicitamente il proprio impegno e affetto nei confronti
della comunità.
L’età media dei membri
effettivi è di 35 anni; i membri più giovani hanno 22 anni, i più anziani 77.
Dei 66 membri effettivi, 26 sono uomini e 40 sono donne. Fra le donne, 20 sono
casalinghe, 4 sono pensionate, 4 studentesse; delle 16 che svolgono un lavoro,
6 sono collaboratrici domestiche, 6 sono impiegate, il resto lavora in proprio.
Fra gli uomini, 6 sono pensionati, 2 sono missionari a tempo pieno, 1 è
disoccupato; tra quelli che lavorano, 5 sono impiegati, 3 sono operai, 2 sono
artigiani, il resto svolge un’attività commerciale in proprio. Due membri sono
laureati, 25 sono diplomati, 15 sono in possesso della Licenza media inferiore;
quasi tutto il resto dei membri è in possesso della Licenza elementare.
I membri risiedono, nella
stragrande maggioranza, a Catania, ma solo in pochi nelle vicinanze del locale
di culto.
I Settori in cui la comunità
è divisa dal 1997 sono:
1) Cura pastorale e Diaconia, svolti
soprattutto sotto forma di visite.
2) Giovani; questo settore mira a far
pervenire i giovani alla consapevolezza della propria identità cristiana tramite
la preghiera, studi biblici, discussioni, e a promuovere la comunione fraterna,
anche nei confronti di giovani appartenenti ad altre realtà evangeliche.
3) Missioni ed evangelizzazione, comprende
tutte le iniziative e i contatti volti a sviluppare la visione e le opere
missionarie all’interno della comunità.
4) Musica;
è il settore più ‘presente’, nel senso che non c’è attività comunitaria che
faccia a meno di momenti musicali. La musica è considerata un elemento
indispensabile del culto, in quanto eleva lo spirito verso un’attitudine di
adorazione e di questa costituisce un momento corale imprescindibile. I
musicisti impegnati sono alla ricerca di uno specifico ministero, che nelle
Scritture è riconosciuto, tra gli altri, ad Asaf, a Kenaniah e al re Davide (1
Cronache 15,19-22; 2 Samuele 2,1-4; 23,1).
5) Scuola biblica; consiste in classi di
studio, principalmente per bambini ma, in passato, anche per adulti, queste
ultime con lezioni in dialetto siciliano. Vengono insegnate storie del Vecchio
e del Nuovo Testamento, che fungono da illustrazione per i più importanti
insegnamenti dottrinali.
6) Segreteria; si
occupa della redazione dei verbali di assemblea e delle riunioni dei
responsabili, di aggiornare la corrispondenza, delle comunicazioni interne,
dell’archivio comunitario, dell’aggiornamento dei nominativi e indirizzi dei
membri. All’interno esiste un sotto-settore, la biblioteca, nastroteca e
videoteca, che si occupa del prestito di materiale librario e audiovisivo
dietro tesseramento mensile.
7) Amministrazione:
è un comitato che si occupa di gestire le finanze comunitare, del cui andamento
deve periodicamente informare la comunità. Non è un ‘portafogli’, ma un occhio
attento ai bisogni comunitari.
È possibile
suddividere le casse in due tipi: ‘casse comunitarie’ e ‘casse di settore’;
queste ultime corrispondono ai settori principali in cui è suddivisa la
comunità; i responsabili propongono come impiegare i fondi, tuttavia
l’Amministrazione approva in base alle esigenze più urgenti. Esse sono:
a) cassa
del settore Missioni, alimentata dalle offerte missionarie mensili, svolte la domenica o
durante le cellule di preghiera, e dai ‘salvadanai’; il suo scopo è quello di
dare un aiuto economico a vari fratelli o associazioni missionarie, e di
ringraziare con un’offerta i fratelli missionari che vengono in visita;
b) cassa
del settore giovani,
formata dalle offerte raccolte durante le riunioni; i giovani stessi decidono
come impiegare al meglio la somma (negli anni hanno contribuito attivamente al
progetto S.M.E.I. a favore dei bambini di Chernobyl e al mantenimento economico
del locale di Acicastello).
c) cassa
del settore Scuola biblica, incrementata
dalle offerte degli alunni e delle monitrici, con cui si sostiene Bablù, il
bambino adottato a distanza.
d) cassa
del settore musica,
alimentata dalle offerte dei membri stessi del settore per le piccole spese
come libri o spartiti musicali;
e) cassa
della biblioteca,
basata sul tesseramento mensile, con cui si acquista nuovo materiale
audiovisivo e librario;
Le ‘casse comunitarie’ sono invece sostenute dalle
offerte di tutti i membri della comunità:
a)
la cassa ‘comunitaria’ per eccellenza, quella di Via Glauco,
beneficia soprattutto delle offerte domenicali;
da essa si attinge per pagare l’affitto, le varie utenze (luce, acqua, ecc.), i
prodotti per la pulizia e di cancelleria e per le spese extra come, ad esempio,
quelle per i progetti evangelistici.
b) il salario pastorale; per
sostenere questa cassa i membri si sono impegnati[63]
a donare una somma minima mensile, un punto di partenza verso il raggiungimento
del servizio a tempo pieno da parte del pastore.
c) pro-assistenza, progettata per dare un
piccolo aiuto a chi attraversa un difficile momento finanziario. Questa cassa
si finanzia tramite offerte specifiche e si è rivelata anche un significativ o
mezzo di testimonianza infatti, grazie ad essa, sono stati sostenuti sia
fratelli sia conoscenti o vicini.
Il Culto, svolto
la domenica mattina, ha una struttura semplice e, all’occorrenza,
stravolgibile. Gli ingredienti, in ordine di importanza, sono la Parola di Dio,
generalmente condivisa sottoforma di predicazione, momenti di preghiera,
lettura biblica e canto; saltuariamente viene svolta la Santa Cena, o la
preghiera per i malati accompagnata dall’unzione (Giacomo 5,14-15);
seguono l’offerta e gli annunci o comunicazioni comunitarie. La predicazione è
in genere a cura del pastore, ma altre cinque persone condividono la Parola di
Dio con i fedeli; per predicare non c’è bisogno di una specifica licenza, ma
chiunque può trasmettere all’assemblea ciò che Dio gli ha rivelato circa le
Scritture.
Per circa tre
anni, il martedì sera sono state svolte le Cellule di preghiera nelle case.
Inizialmente cinque, dislocate in altrettanti quartieri della città, più una ad
Acireale, dove risiede un gruppo di credenti affiliati alla comunità, sono
state oggi riassorbite dalla riunione generale di preghiera in Via Glauco. Esse
sono state una valida occasione per migliorare i rapporti fraterni e
l’esercizio dei ministeri, in un clima di spontaneità e familiarità.
All’interno di questa attività si sono succeduti vari momenti: la ricerca della
voce profetica, in cui si è cercato di analizzare il momento contingente e il
messaggio specifico di Dio per la comunità; l’adorazione, con la condivisione
della Santa Cena; la preghiera per gli altri, in particolare i non credenti o i
malati; il ‘pensiero cristiano’, che identificava la linea della chiesa circa
vari argomenti di etica o attualità; il ‘piccolo passo’, una sorta di
confessione pubblica, ma nel senso di condividere con i fratelli un aspetto
della vita in cui si riconosce di essere mancanti o di avere sperimentato una
crescita con l’aiuto del Signore. Il venerdì sera ha luogo lo Studio biblico,
il cui tema è scelto di volta in volta in base alle esigenze del momento
comunitario.
Saltuariamente
si tengono anche delle riunioni di dialogo, che negli anni sono state utili
strumenti di comunione fraterna e benedizione divina, al pari delle agàpi.
La gestione interna della comunità
comprende anche un turno di pulizia settimanale per i locali di Via Glauco.
Alcuni fratelli inoltre si occupano di mantenere efficiente tutto ciò che
richiede assistenza tecnica, ad esempio gli impianti elettrici o i bagni.
Se è innegabile l’influenza
anglosassone nella nascita e nello sviluppo della comunità religiosa fin qui
analizzata, è altrettanto innegabile che gli aspetti caratteristici di una
certa teologia inglese, come l’enfasi sugli aspetti dottrinali inerenti alla
santificazione, la semplicità e spontaneità del culto, l’importanza di una vita
‘metodica’ e disciplinata di preghiera e lettura della Bibbia che traduce la
comunione personale con il divino, siano stati rielaborati e rivissuti in modo
personale dalla comunità catanese e, ciò che è più importante, da ogni singolo
membro.
L’ascendente del
protestantesimo inglese ed americano è sempre stata evidente soprattutto perché
in comunità sono invitati a predicare ministri prevalentemente inglesi o
americani (all’inizio la cerchia di conoscenze del fondatore, poi vari altri
pastori conosciuti allargando quella stessa cerchia; successivamente i
reverendi nazareni). I contatti sviluppati nel passato sono stati mantenuti da
Via Glauco ed anzi, per certi delicati aspetti dottrinali che hanno avuto una
parte fondamentale nella sua storia, quei contatti sono proprio la fonte cui
attribuire quei tratti caratteristici di cui la comunità ha assunto
progressivamente consapevolezza.
La scelta della Chiesa del
Nazareno come denominazione cui affiliarsi rispecchia alcune caratteristiche
del modo di sentire di Via Glauco. Oltre all’enfasi sugli aspetti psicologici e
spirituali che afferiscono agli eventi della giustificazione e della
santificazione, cardini della teologia wesleyana, la Chiesa è una confessione
dichiaratamente ‘non fanatica’. La decisione di eliminare dal proprio nome la
dicitura ‘pentecostale’ per non essere assimilata a quel ramo esageratamente
‘entusiasta’ del protestantesimo è, in fondo, simile a quella compiuta da Via
Glauco nei confronti della chiesa da cui ha avuto origine. In questo modo, il
gruppo prende le distanze dalla più recente teologia pentecostale, che sembra
tendere verso l’enthusiasm[64] inteso come fanatismo religioso.
Possiamo a buon diritto
considerare Via Glauco come una comunità di tendenze evangelicali2,
soprattutto per quanto riguarda l’enfasi data a certi motivi dottrinali e la
tendenza alla ‘transdenominazionalità’, il non ritenersi, cioè, gli unici
detentori della verità. Un altro aspetto palesemente ‘evangelical’ di Via Glauco è il ruolo fondamentale attribuito al
rapporto del credente con Cristo. Egli è accettato, come ricorre molto spesso
nel linguaggio devoto dei ‘fratelli’, come ‘personale Signore e Salvatore’. Con
l’approfondimento del concetto di ‘nuova nascita’, visto sempre più nella
dimensione della ‘croce’, è stato dato molto più valore alla santificazione in
tutti gli aspetti della vita, piuttosto che alle manifestazioni entusiastiche o
all’aspetto cultuale fine a sé stesso, se non addirittura vissuto come momento
esaltante, che ‘dà la carica’ per la settimana.
L’evangelicalismo respinge
l’idea di equiparare la chiesa con un solo corpo ecclesiastico: la vera chiesa
si trova dovunque l’Evangelo venga autenticamente predicato ed autenticamente
ricevuto. Il fatto che Via Glauco abbia cercato una denominazione già esistente
in cui potersi inserire ha avuto alla base la motivazione di non voler dare vita
ad un’ennesima denominazione - l’appartenenza alla quale è un aspetto del tutto
secondario. Secondo i credenti della comunità, il criterio per cui si è salvati
non ha nulla a che fare con il gruppo o con la chiesa che si frequenta, ma con
il fatto che uno abbia udito l’Evangelo e risposto favorevolmente ad esso. Gli
aspetti, per così dire, ‘marginali’ rispetto alla salvezza, sono
complessivamente opinabili, purché non si faccia dell’esperienza personale una
dottrina. La preoccupazione maggiore della comunità è di essere, e rimanere,
ispirata soltanto da una tradizione molto più antica e accreditata di quella
riformata: lo stile di vita della chiesa primitiva e dei primi discepoli, che
seguirono in ogni cosa le orme del Maestro.
The English-speaking religious culture has undeniably exerted its
influence on the beginning and development of the religious community analysed
up to this point. Yet every member of it has personally experience of the
typical aspects of a certain English vein of theology, that the Catanesi
fellowship has acquired. Such aspects are the stress upon the doctrinal points
concerning sanctification; the spontaneousness and simplicity of worship and,
most of all, the importance conferred to a ‘methodical’ and regular prayer and
Bible-reading life, which conveys the believer’s personal communion with the
Divinity.
The fellowship’s component
parts, aims and motivations will be described, as well as the distinctive
features which are the result of its manifestly Protestant tradition, both the
Magisterial one and the recent movements, especially those affected by
Revivalism. In particular, the elements will be highlighted, which Via Glauco
shares with the English and American Evangelical tradition.
The ascendancy of English and American Protestantism is an element,
acquired by the fellowship even before its birth. The evidence of the
preference for contacts of English extraction is given by the fact that the
ministers who were invited to preach at the church were prevalently English or
American.
The ‘affection’ goes on,
intimately, by the deep assent to certain demands of a spirituality based
solely on the spontaneous and genuine interiorization of the Gospel of Christ;
objectively, by the involvement with the Church of the Nazarene, a confession
of ‘Methodist’ origins, born in the United States, that the fellowship of “V.G.” joined coming in touch, apart from
many American preachers, with a great amount of literature of Revivalism.
The work starts from analysing the degree of penetration of the
Protestant Reformation in Italy in order to provide the cultural base on which
every Evangelical confession, except the Waldensian one, existing on the
Italian peninsula, is grafted. The Protestant confessions, actually, are
‘imported’ mostly from the Anglo-Saxon (English or American) setting.
Therefore, a short survey of the Reformation in England and of its evolution
follows, which dwells upon the movements of Revivalism, as this is the
closest matrix to the spiritual life and identity of the group of Via Glauco.
The way this Anglo-Saxon
matrix produced, eventually, elaborations and transformations - that is, not
passive copies – by the light of one’s personal experiences, is the topic of
the second part of the exposition. What has been described is the ‘official’
fellowship line, but it does not prevent each member from retaining his own
possible different position (Pentecostal, Nazarene, etc.) about the question.
In other words, it does not prevent the various forms of theological thought
that “V.G.” has represented during its life from coexisting. The fact that the
group of “V.G.” looked for an already-existing denomination to become member of
is explained by the choice of not wanting to create the umpteenth denomination.
The group of “V.G.” can quite rightly be considered as a fellowship of
‘evangelical’ tendencies - and nearer to the most recent Protestantism of the
English school. The believers who gather there are conscious of being a unicum:
the doctrinal beliefs they follow and, most of all, their way of ‘making a
fellowship’, maybe are not unique, but undoubtedly rare. Above all, what is
rare is managing with enforcing the ideas of respect and tolerance the Apostle
Paul meant when he exhorted the faithful to welcome, instead of judging, one
another (Romans 14, 13; 15, 7). These are the principles that the
brethren of “V.G.” try to follow,
wanting to be inspired, in their faith life, only by a tradition much more
ancient and trustworthy than the ‘Protestant’ one: that of the original church
of the first disciples, who followed their Master’s footsteps in everything.
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La sacra
Bibbia. La Nuova Diodati, Brindisi, La Buona Novella Editrice, 1991.
Documenti conservati nell’Archivio della Comunità di Via Glauco, 8 (CT).
Verbali delle
riunioni mensili del Consiglio di Chiesa della Comunità di Via Glauco: dal
09/01/1997 al 02/09/1997.
Verbali delle
riunioni mensili dei responsabili di settore della Comunità di Via Glauco: dal
27/10/1997 al 21/09/1999.
Verbali delle assemblee annuali della Comunità,
comprendenti le relazioni pastorali, le relazioni dei presidenti dei
Dipartimenti e i bilanci finanziari: dal 1997 al 2000.
Corrispondenza varia con altre Comunità catanesi e
italiane.
Circolari informative trimestrali: da ottobre 1996
a ottobre 2000.
Resoconti finanziari, ricevute di pagamenti: da
marzo 1993 a dicembre 2000.
Articoli
giornalistici sulla comunità apparsi sul quotidiano La Sicilia del
18/07/1993; 06/04/1999; 04/01/2001.
Locandine e depliant
di iniziative socio-culturali promosse dalla comunità di Via Glauco.
Contratti di
locazione locali di Via Glauco, 8 a Catania e di Via Manganelli, 11 ad
Acicastello (CT).
La Bacheca
– Bollettino interno settimanale della Comunità Cristiana Evangelica di Via
Glauco, 8 (CT): a partire dal 10/10/1999.
Albo battesimi in acqua: da aprile 1984 a ottobre
1997.
Chiesa del
Nazareno Cristiana Evangelica:
Verbale della riunione comunitaria
del 12-14/01/1994 comprendente la relazione sulla Chiesa del Nazareno, durante
la quale si discusse sulla possibilità dell’adesione.
Lettera di richiesta di ingresso
indirizzata alla Chiesa da parte di Via Glauco.
Lettera di risposta del DS S.
Scognamiglio, contenente comunicazione delle date per gli incontri di confronto
dottrinale.
Verbale degli incontri della
delegazione nazarena con una rappresentanza della comunità di Via Glauco per il
confronto dottrinale.
Lettera con cui si comunicava
l’accettazione di Via Glauco all’interno della Chiesa del Nazareno Cristiana
Evangelica; richiesta di invio dati.
Verbali delle riunioni mensili del
Consiglio di Chiesa locale: dal 11/10/1994 al 07/11/1996.
Annuari,
bilanci, verbali delle assemblee distrettuali.
Copia
della documentazione circa l’attività di Via Glauco all’Interno della Chiesa del Nazareno
Cristiana Evangelica, inviata alla Chiesa madre di Kansas City, Kansas, U.S.A.,
per definire la posizione della Chiesa nei confronti della comunità catanese
dopo la II Assemblea distrettuale del Sud-Italia.
Lettera di dimissioni della Comunità
di Via Glauco dalla Chiesa del Nazareno Cristiana Evangelica.
Lettera di accettazione delle
dimissioni di Via Glauco da parte della Chiesa del Nazareno Cristiana
Evangelica.
Capitolo primo. Gli evangelici in Italia.
1.
Origini antiche: i valdesi.
3.
Il rinnovamento viene dall’estero.
5.
Per una collocazione giuridica.
6.
Confessioni, chiese, movimenti o sette?
Capitolo secondo. L’importanza
della Riforma inglese.
2.
Il Calvinismo in Inghilterra.
Capitolo terzo. Identifichiamo
Via Glauco.
5.
‘Imitatori’ dei primi cristiani.
Capitolo quarto. Le origini
della Comunità.
3.
Alla ricerca di qualcosa di più.
4. 5. 6. 7. 8. 9.
2. Una nuova comunità.
4. ‘Cristiani non a parole ma a fatti...’.
Capitolo quinto. La
‘parentesi’ Chiesa del Nazareno.
4.
Cambiamenti nell’organizzazione interna.
5.
Integrazione e collaborazione.
8.
Modalità e motivazioni del distacco.
Capitolo sesto. Consolidamento.
1.
Struttura interna: dai ‘dipartimenti’ai ‘settori’.
4.
Attività esterne: Acicastello.
5.
Attività esterne: le missioni.
6.
Un nuovo orizzonte: il Nepal.
Capitolo settimo. La vita
all’esterno di Via Glauco.
1.
Collaborazione con gruppi internazionali.
2.
Il Comitato pastorale di Catania.
3.
Altri contatti di Via Glauco.
7.
Rapporti con la confessione dominante. 43
Capitolo ottavo. Descrizione
della comunità.
[1] G. Bouchard, Chiese e movimenti evangelici nel nostro tempo, Torino, 1992, p. 8.
[2] V. Marano, I Cristiani Evangelici, in S. Ferrari e G. B. Varnier (a cura di) Le minoranze religiose in italia, Cinisello Balsamo (Milano), 1997, p. 83.
[3] Paolo Angeleri, Non conformisti a Padova - Centotrentaquattro anni di metodismo nella città del Santo, Premessa. L’opera non è pubblicata, ma riprodotta in proprio per la circolazione interna della chiesa Evangelica Metodista, Corso Milano 6, Padova. Alcuni stralci sono disponibili sul sito internet http://digilander.iol.it/frankz/metodismo. htm
[4] G. Spini, I protestanti in Italia, Marchirolo (Varese), 1965, p. 5.
[5] Le dottrine del boemo Jan Hus (1371-1415) riprendevano le idee dell’inglese John Wyclif (1324-1384) e dei ‘lollardi’ - condanna della mondanità della Chiesa, autorità delle Sacre Scritture al di là della mediazione ecclesiastica - affermando il principio della superiorità della tradizione evangelica su quella dogmatica e disciplinare imposta dalle gerarchie ecclesiastiche, avanzando la tesi della disobbedeinza all’autorità che tradisce il messaggio evangelico. Hus fu bruciato vivo e i suoi seguaci repressi.
[6] D. Maselli, Breve storia dell’altra chiesa in Italia, Napoli, 1971, p. 22; V. Marano, I Cristiani Evangelici, in S. Ferrari e G. B. Varnier (a cura di), op. cit., pp. 66, 67.
[7] G. Tourn, Italiani e protestantesimo. Un incontro impossibile? Torino, 1997, pp. 146-147.
[8] Parlare lingue straniere: si tratta di una particolare manifestazione, per la quale alcune persone vengono trasportate dallo Spirito Santo a ringraziare e glorificare Dio in una lingua a loro stessi incomprensibile.
[9] E. Stretti, Il Movimento pentecostale, Torino, 1998, p. 27.
[10] Cit. da E. Stretti, op. cit., pp. 28; 58.
[11] S. Ferrari e G. B. Varnier, Introduzione a S. Ferrari e G. B. Varnier (a cura di), op. cit., pp. 8-9.
[12] Ibidem, p. 10
[13] G. Bouchard, Premessa a AAVV, Chiese e Stato nell’Italia che cambia, Torino, 1998, p. 7.
[14] F. Margiotta Broglio, Il fenomeno religioso nel sistema giuridico dell’Unione Europea,in F. Margiotta Broglio, C. Mirabelli e F. Onida, Religioni e sistemi giuridici. Introduzione al diritto ecclesiastico comparato, Bologna, 1997, p. 94.
[15] S. Ferrari e G. B. Varnier, op. cit., vedi le sezioni riguardanti le singole confessioni; F. Margiotta Broglio, Il fenomeno religioso , cit., p. 217.
[17] G. Senin Artina, Introduzione a I nuovi movimenti religiosi, in S. Ferrari e G. B. Varnier (a cura di), op. cit., pp. 161-162.
15 F. Margiotta Broglio, Il fenomeno religioso , cit., p. 101.
[21] M. Colinon, Il fenomeno delle sette nel XX secolo, Catania, 1960, pp. 8-10 (corsivo mio).
[22] G. Tourn, op. cit., p. 185.
[23] S. Ferrari- G. B. Varnier (a cura di), op. cit., pp. 60-103; 105-131.
[24] A. E. McGrath, Teologia cristiana, Torino, 1999, p. 90.
[25] Ciò tentò di fare John H. Newman (1801-1890), la figura più notevole del Movimento di Oxford. Nel 1841, in un opuscolo dal titolo Tract 90, interpretò i Trentanove Articoli non più come formulazione di un protestantesimo essenzialmente anticattolico, ma anzi da un punto di vista fondamentalmente cattolico.
[26] P. Miller, Lo Spirito della Nuova Inghilterra – Il Seicento, Bologna, 1962, p. 17.
[27]Ibidem, p. 40.
[28] T. Bonazzi, Il sacro esperimento, Bologna, 1970, p. 13.
[29] P. Miller, op. cit., p. 496-497.
[30] “Poichè quelli che egli ha preconosciuti, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figlio, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli. E quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati; quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati”.
[31] Cit. in B. Miller, John Wesley, Roma,
1997, p. 106.
[32] J. Wesley, The Journal of the Rev. John Wesley, A.M.,
London, 1909, I, pp. 458s.
[33] Dopo che la Boemia fu ricattolicizzata nel 1600, un piccolo gruppo di fedeli, che avevano partecipato all’Unità dei fratelli predicata da J. Hus, si ritrovò in Germania sotto la guida del conte Nikolaus L. von Zinzendorf (1700-1760), e fondò una comunità chiamata Herrnhut, ‘protezione divina’, basata sul desiderio di una vita evangelica autentica e semplice, che si manifestasse in tutti gli aspetti della vita. Nel 1738 J. Wesley conobbe a Oxford il moravo Peter Bohler, che voleva fondare nella città una comunità sull’esempio di quella tedesca, e da lui imparò che la salvezza doveva essere sperimentata come un rapporto personale con Dio, piuttosto che come una serie di riti assolti per senso del dovere.
[34] “In the evening I went very unwillingly to a society in Aldersgate Street, where one was reading Luther’s preface to the Epistle to the Romans. Abuot a quarter before nine, while he was describing the change which God works in the heart through faith in Christ, I felt my heart strangely warmed. I felt I did trust in Christ, Christ alone for salvation, and an assurance was given me that he had taken away my sins, even mine, and saved me from the law of sin and death”. J. Wesley, op. cit., I, pp. 475-476. Il corsivo è di J. Wesley.
[35] U. Gastaldi, I movimenti di risveglio nel mondo protestante – Dal “Great Awakenning” ai “revivals” del nostro secolo, Torino, 1989, p. 64.
[36] La Contemporary gospel music è diffusissima nelle comunità evangeliche di qualsiasi nazionalità ed estrazione: la fonte è principalmente americana, ma le traduzioni sono fiorenti in ogni lingua.
[37] Dono delle
lingue; è il ‘segno’ dell’inizio dell’era della salvezza, conferito ai
discepoli il giorno di Pentecoste (Atti degli Apostoli, 2).
[38] Cfr. Massimo Introvigne, I Protestanti,Torino 1998, pp. 46-48, secondo cui, per quanto riguarda l’espressione «evangelico», è possibile distinguere fra quattro diversi significati: il primo, diffuso soprattutto nei paesi a maggioranza cattolica e in quelli di lingua tedesca, è semplicemente quello di sinonimo di «protestante» (contrapposto a «cattolico»), in quanto il protestante farebbe riferimento al Vangelo, alla sola Scriptura. Un secondo significato di «evangelico» si riferisce a comunità vicine all’entusiasmo dei tempi evangelici. Recentemente, inoltre, si è affermato nella lingua inglese l’uso di evangelical (talora tradotto in italiano «evangelicale») come sinonimo di «conservatore», contrapposto a liberal o «ecumenico»; in questo terzo significato, «evangelico» è stato usato a lungo come sinonimo di «fondamentalista», con riferimento alla polemica dei conservatori contro il Consiglio Mondiale delle Chiese. Per finire, il termine, in particolare nell’America latina, è usato come sinonimo di «pentecostale».
[39] G. Bouchard, Chiese e movimenti evangelici nel nostro tempo, op. cit. p.17.
[41] Vd. Capitolo secondo, p. 19.
[42] Il quotidiano La Sicilia se ne è occupato, con riferimento alla presenza della denominazione sul territorio catanese, in un articolo dal titolo L’esercito dei Pentecostali, datato 6 aprile 1999.
[44]
Nell’ambiente
evangelico libero è diffusa l’usanza di identificare le diverse comunità facendo
riferimento, per comodità, all’indirizzo della sede; più di rado al nome del
responsabile.
[45] Intervista rilasciata direttamente all’autrice.
[46] Circa le idee della comunità sul battesimo vd. Capitolo terzo, p. 30.
[47] L’usanza di chiamarsi ‘fratello’ e ‘sorella’ ha origini antichissime (vd. Atti 6,3; II Tessalonicesi 3,1). Il termine trova giustificazione nelle parole di Gesù (Matteo 12,50) e di Paolo (Romani 8,14-17): la comunanza dei credenti, fondata sull’agàpe e sulla fede, è intesa come famiglia di Dio.
[48] ‘Foto di Gruppo’ -
Periodico Cristiano curato dalle Comunità Evangeliche di Catania associate a
Via Mascagni 64, III, n. 4, p. 6.
[49] ‘Foto di Gruppo’, IV, n. 10, p. 10.
[50] Vd. Capitolo terzo, pp. 28ss.
[51]I Corinzi 12, 27.
[53] Via Glauco, Relazione del Pastore, 1993.
[54] La Chiesa del Nazareno è il
risultato dell’unione di tre denominazioni (la Chiesa del Nazareno di Los
Angeles, California; l’associazione delle Chiese Pentecostali d’America e la
Chiesa di Cristo di Santità) le quali, in considerazione di una sostanziale
cunità di fede, si fusero, negli ultimi anni dell’800, in una nuova
denominazione dal nome di ‘Chiesa Pentecostale del Nazareno’. In seguito
l’aggettivo ‘pentecostale’ fu cancellato. Le sue origini teologiche possono
essere rintracciate nella predicazione di John Wesley. Essa è diffusa in tutto
il mondo ed è presente in Italia dal 1948.
[55] Nella relazione di fine anno del 1993 Davide Ciaccio aveva rivolto un accorato appello alla comunità affinché potesse lavorare almeno a tempo parziale.
[56]Chiesa del Nazareno di Via Glauco, 8 (CT) , Assemblea annuale 1994, Relazione pastorale.
[57] Vd. Capitolo settimo, p. 65.
[58]Chiesa del Nazareno di Via Glauco, 8 (CT), Assemblea annuale 1996, Relazione pastorale.
[59] Chiesa del Nazareno, Assemblea Distrettuale Sud-Italia 1996, Mozione presentata dal Consiglio di Chiesa di Via Glauco.
[61] Gr. projhteίa, prophētéia, attività, dono, parola, detto profetico. Nelle comunità paoline il profeta aveva il compito di esortare, consolare, edificare la comunità (I Corinzi 14,3), comunicare conoscenze e segreti (I Corinzi 13, 2) durante il servizio religioso (I Corinzi 14, 23s). C. H. Peisker, voce Profeta in AA.VV., Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, Bologna, 19914, p. 1437.
[62]S. Loria, ‘Evangelici alla Provincia’ in La Provincia di Catania. Organo ufficiale della Provincia regionale, XV, n. 4, p. 36.
[63] Vd. Capitolo secondo, pag. 24.
[64]
Da notare la permanente accezione di ‘entusiastico’ attribuita, nell’inglese
moderno, al termine evangelical, che
è l’equivalente dell’italiano ‘evangelico’ nel senso di ‘conforme agli
insegnamenti del Vangelo’. ‘Evangelical’ in Collins Cobuild Englìsh Dictionary, London, 1995.
2
L’aggettivo ‘evangelicale’ oggi è giunto ad indicare il “grande
movimento cristiano, specialmente nell’ambito della teologia di lingua inglese
americana, che sottolinea in particolare l’autorità della Scrittura e il valore
della morte espiatrice di Cristo”. A. E. McGrath, Teologia cristiana, Torino,
1999, p. 570.