Sommario iniziale

 

La Comunità Cristiana Evangelica di Via Glauco, 8 (CT)

e la tradizione religiosa  metodista

 

  Errore. Il segnalibro non è definito.

 

Introduzione  4

 

Capitolo primo. 7Gli evangelici in Italia. 7

1. Origini antiche: i valdesi. 7

2. Repressione. 8

3. Il rinnovamento viene dall’estero. 8

4. Il Novecento. 9

5. Per una collocazione giuridica. 9

6. Confessioni, chiese, movimenti o sette?  10

 

Capitolo secondo. L’importanza della Riforma inglese. 13

1. Gli aspetti teologici. 13

2. Il Calvinismo in Inghilterra. 14

3. Il Metodismo. 15

4. I ‘Movimenti di Santità’. 16

5. Gli Evangelicals. 17

 

Capitolo terzo. Identifichiamo Via Glauco. 18

1. Comunità. 18

2. La Riforma. 18

3. I «risvegli»  19

4. I Pentecostali. 20

5. ‘Imitatori’ dei primi cristiani. 21

 

Capitolo quarto. Le origini della Comunità. 23

1. Un predicatore inglese. 23

2. Altri ‘testimoni’. 23

3. Alla ricerca di qualcosa di più. 23

2. Una nuova comunità. 24

3. Piccole comunità crescono. 25

4.  ‘Cristiani non a parole ma a fatti...’. 25

5. Transizione. 26

6. Difficoltà. 27

7. Ripresa. 27

 

Capitolo quinto. La ‘parentesi’ Chiesa del Nazareno. 29

1. Contatti. 29

2. Progetti di adesione. 29

3. L’ingresso. 30

4. Cambiamenti nell’organizzazione interna. 30

5. Integrazione e collaborazione. 31

6. Crescita della Chiesa. 32

7. L’anno 1996. 33

8. Modalità e motivazioni del distacco. 33

 

Capitolo sesto. Consolidamento. 35

1. Struttura interna: dai ‘dipartimenti’ai ‘settori’. 35

2. Esito dei ‘settori’. 36

3. Lo Statuto: un progetto. 36

4. Attività esterne: Acicastello. 37

5. Attività esterne: le missioni. 38

6. Un nuovo orizzonte: il Nepal. 38

 

Capitolo settimo. La vita all’esterno di Via Glauco. 40

1. Collaborazione con gruppi internazionali. 40

2. Il Comitato pastorale di Catania. 40

3. Altri contatti di Via Glauco. 41

4. La S. M. E. I. 41

5. Altri contatti. 42

6. L’insegnamento. 43

7. Rapporti con la confessione dominante. 43

8. L’ecumenismo. 43

 

 

 

Capitolo ottavo. Descrizione della comunità. 45

1. Membri. 45

2. Settori. 45

3. Finanze. 46

4. Attività. 46

 

Conclusione. 48

Bibliografia. 51

 

 

Introduzione

 

 

La comunità evangelica di Via Glauco non appartiene ad alcuna denominazione ufficiale riconosciuta dallo Stato italiano ma, nello svolgimento della propria vita esterna ed interna, cioè pubblica e privata, si sottomette non a norme o dottrine imposte[1], spesso da organismi culturalmente ed attitudinalmente lontani dalla realtà locale, bensì soltanto a ciò che la Parola di Dio, nelle sue varie forme d’espressione, comunica al singolo credente ed alla collettività.

Nel definirsi, Via Glauco adopera soltanto i termini ‘Comunità cristiana evangelica’, senza altre specificazioni. Nonostante essa non sia l’unica comunità a presentare questi caratteri (stando a recenti stime, in Italia circa 20.000 credenti sono riuniti in forme religiose ‘libere’ di questo tipo - chiese, scuole bibliche, missioni, emittenti radiofoniche)[2], tale aspetto, vale a dire la libertà da qualsiasi etichetta, è forse ciò che incuriosisce di più chi le vive attorno: la confessione dominante, perché non usa ad un’autonomia concepita in questi termini; il restante mondo evangelico catanese, per quel volto della comunità, così insolito, che le circostanze e le esperienze hanno determinato. Infine, le persone con cui ogni giorno ci si incontra e con cui si vive, si lavora, e nelle quali si può riscontrare, il più delle volte, un’imbarazzante confusione su tutto ciò che non è cattolicesimo. 

La comunità è il prodotto di varie forze distinte, tra cui particolare importanza hanno la tradizione evangelica di matrice anglosassone da un lato e l’esperienza spirituale, personale e comune, dall’altro. C’è infatti una storia di motivi e derivazioni che accomunano il panorama evangelico italiano a quello inglese e americano.

Il movimento evangelico italiano, anche nel suo momento più fiorente, quello risorgimentale, deve moltissimo ai movimenti inglesi di ‘risveglio’, sia perché molti italiani si convertirono all’evangelismo mentre erano in esilio e, nuovamente in patria, contribuirono all’evangelizzazione protestante del Paese; sia perché molte chiese risvegliate europee inviarono i loro missionari ad operare nella nostra penisola. Soprattutto sul piano religioso, nel resto d’Europa si reputava che per secoli gli italiani fossero rimasti “chiusi entro gli schemi duri di una intransigente uniformità cattolica […]. Gli inglesi, convinti della importanza di un pluralismo anche religioso, di una capacità di dissenso in ogni campo, come base di una autentica democrazia, ritenevano che […] occorresse aprire gli animi ad una prospettiva diversa, con alternative in grado di educare al non-conformismo, alla opposizione autentica, allo spirito del dissenso.”[3] All’inizio del XX secolo risalgono le chiese pentecostali fondate da italiani che, emigrati nel Nuovo Mondo, erano tornati in patria portando con sé una nuova vitalità religiosa; proseguendo nel periodo post-bellico, la testimonianza e gli aiuti economici, che pervenivano da parte delle chiese americane alle consorelle italiane, hanno avuto un ruolo imprescindibile nello sviluppo di queste ultime.

Nel caso della chiesa catanese, questo legame continua con un predicatore inglese, Philiph Wiles, che nei primi anni ’70 fonda (per la verità ‘riforma’), con un gruppo di credenti uscenti dall’ambiente pentecostale propriamente detto, una vera e propria chiesa alla cui formazione - dottrinale, spirituale ed etica - attende. Il gruppo inizialmente si riunisce in un garage; in seguito darà vita ad una fra le più numerose presenze evangeliche del panorama catanese. Uniche ed irripetibili sono le persone da cui la comunità è composta e le loro esperienze, come anche il momento storico e il luogo geografico in cui essa è nata ed opera (Catania negli ultimi trent’anni del XX secolo). Durante gli anni, nel pensiero della comunità si possono riscontrare dei mutamenti, delle differenze riguardanti il modo di porsi verso l’esterno o di considerare determinati aspetti del vivere, così com’è possibile vedere un’evoluzione nel cammino dell’uomo con Dio nel corso di tutta la Bibbia e dell’intera storia umana.

Oltre a pubblicazioni di interesse specifico per lo studio di forme di cristianesimo vicine a Via Glauco quanto a teologia ed organizzazione ecclesiologica, sono stati consultati i documenti conservati dalla stessa comunità, relativi all’attività da essa svolta nel corso dei suoi oltre vent’anni di esistenza. Non è semplice trovare degli atti perché, purtroppo, una caratteristica comune a molte chiese ‘libere’ è quella di non possedere un archivio ordinato ed aggiornato. In misura notevole il materiale è stato pertanto ricavato da apposite interviste ai protagonisti delle vicende che qui di seguito sono raccontate. Il tempo passa, però, e porta via anche i ricordi: di conseguenza, la ricostruzione storica potrebbe essere lacunosa per quanto riguarda alcuni periodi. Soltanto il pastore della comunità ha sempre scritto un diario, che è stato la fonte di informazioni più ricca a cui attingere per tutto il tempo che va dagli inizi dell’‘opera’ (primi anni ‘80) all’anno di aggregazione alla Chiesa del Nazareno (1994). Da quella data in poi è possibile identificare con maggior facilità le vicende storiche e lo sviluppo spirituale del gruppo di Via Glauco: i verbali delle assemblee e delle riunioni comunitarie (retaggio nazareno) e le lettere circolari trimestrali, oltre ai fogli di informazione e comunicazione ad uso interno delle comunità, recano menzione di tutte le attività svolte, riportano le date degli eventi e le riflessioni dei responsabili sullo sviluppo dell’opera. Il lavoro svolto è stato dunque per larga parte di compilazione, ma anche di ricerca di archivio.

Attraverso lo studio e la meditazione, collettiva e individuale, ed il confronto con la vita cristiana genuina dei primi convertiti e dei fautori dei vari risvegli, che a quegli stessi primi discepoli guardavano come a degli esempi, i credenti di Via Glauco hanno maturato un volto comunitario che è comune a tutte quelle realtà genuinamente cristiane che, nei secoli, hanno cercato di mantenere vitale l’esperienza di essere stati ‘rinnovati’ in conformità al carattere ed agli insegnamenti di Gesù Cristo.

 

 


 

Capitolo primo.

Gli evangelici in Italia.


 

 

1. Origini antiche: i valdesi.

         

          Secondo quanto afferma Giorgio Spini, “attraverso una delle sue componenti essenziali, il popolo delle Valli Valdesi, il protestantesimo ita­liano rivendica origini più remote della Riforma prote­stante stessa, risalenti sino ai movimenti di rinascita evangelica del Medioevo. Non si tratta di una rivendicazione riducibile entro termini nazionali, visto che il movimento valdese del Medioevo sorse di là dalle Alpi e si diffuse in gran parte del­l’Europa, dalla Francia e l’Italia alla Germania ed alla Boemia. Non si tratta neppure di una rigida continuità dottrinale, visto che le posizioni dei valdesi del Medioevo non erano identiche a quelle che i valdesi assunsero in seguito alla loro unione con la Riforma del sec. XVI. Si tratta piuttosto della rivendi­cazione di una continuità nella predicazione dell’Evangelo e nell’obbedienza alla sola Parola di Dio, simboleggiata dal nome stesso dei valdesi. Attraverso quel simbolo, i protestanti italiani di oggi si pongono nel solco di predicatori dell’Evangelo che poterono essere chiamati, al loro tempo, i ‘Poveri di Lione’ o i ‘Poveri di Lombardia’; dunque di un Evangelo, che non si limitava a tradursi in qualche formula dottrinale, ma investiva l’uomo nella sua piena realtà, nella concretezza della sua situazione storica.”[4]

Queste istanze, comuni, nel Medioevo, a vari ‘movimenti pauperistici’, valsero ai valdesi la condanna come eretici nel Concilio di Verona del 1184. La loro diffusione, tuttavia, continuò, tanto che in Calabria, ad esempio, costituirono una ricca colonia, espandendosi soprattutto tra gli esponenti delle classi sociali inferiori. A causa delle intensificate azioni repressive, però, i valdesi si rifugiarono più tardi nelle valli alpine che ancora oggi vengono designate col loro nome. Da lì continuarono i contatti con il resto d’Italia ed anche con la Svizzera e la Germania costituendo, più tardi, elementi di collegamento con i movimenti riformistici dei secoli XII e XIII, come i ‘fraticelli’ italiani e gli hussiti boemi[5].

Nei primi decenni del XVI secolo Lutero sviluppava la propria teologia; tra il 1530 e il 1550, ebbe luogo nella penisola italiana una notevole penetrazione delle nuove idee luterane e iniziarono a circolare i libri dei protagonisti storici della Riforma.

Gli italiani che, costretti dalle circostanze a fare una scelta, simpatizzarono per i riformatori, quando non furono ricondotti alla ragione dal tribunale dell’Inquisizione o mandati al rogo, subirono spesso l’esilio. Tuttavia, non tutti gli esuli per ragioni di fede fecero proprie le ortodossie ‘riformate’: alcuni si riunirono in comunità di tipo più ‘libero’. I valdesi, invece, accettarono la variante svizzera della Riforma con il Sinodo di Chanforan del 1532; da allora inviarono i pastori ad acquisire la necessaria formazione teologica presso l’Accademia calvinista di Ginevra. Dal loro centro operativo, le Valli Valdesi, i pastori si mossero poi verso il resto d’Italia per evangelizzarla.  Il Duca Emanuele Filiberto di Savoia, nel contesto di una riconquista dell’Europa al cattolicesimo, presupposta dal trattato di Cateau-Cambrésis del 1559, intraprese diverse campagne militari contro di loro finché, con il trattato di Cavour del 1561, ne limitò la zona di residenza e d’influenza religiosa a una piccola porzione di territorio alpino. La condizione di emarginazione dei valdesi continuò fino al 1848, anno in cui, con le “Lettere patenti albertine”, vennero loro riconosciuti tutti i diritti civili e politici, seppure non ancora la facoltà di svolgere liberamente attività d’insegnamento e di culto.

Avendo aderito alla Riforma secondo il modello della chiesa ginevrina nel 1566 con il Sinodo di Anversa, i valdesi avevano intanto adottato la stessa organizzazione e confessione di fede dei calvinisti. Istituirono più tardi la Tavola Valdese come proprio ente rappresentativo e organo di coordinamento.

 

 

2. Repressione.

 

        Ridotti i valdesi alla semi-impotenza e repressi i pochi protestanti convertiti, in Italia la Riforma non potè avere sbocchi consistenti anche per altri motivi: il Papato, oltre che sulle azioni repressive, si concentrò sulla riforma interna della Chiesa cattolica; inoltre non ci fu, fra gli Stati egemoni in Italia, alcuno che avesse particolari interessi a combattere contro la Chiesa; infine, la crisi politica e morale italiana, che aprì la strada al dominio spagnolo, ostacolò la formazione di movimenti collettivi, facilitando tutt’al più forme di contestazione di tipo soggettivistico.

        Dopo quasi due secoli di silenzio pressoché totale di reale fervore religioso - se si escludono poche forme o figure, peraltro non tutte ‘evangeliche’ nel senso riformato del termine, come Giordano Bruno, Paolo Sarpi, il lucchese Giovanni Diodati, traduttore della Bibbia in italiano, il giansenismo – si deve aspettare il periodo risorgimentale per assistere al rifiorire della carica vitale dell’evangelismo italiano.

 

3. Il rinnovamento viene dall’estero.

 

Oltre ai valdesi, durante i secoli XVII e XVIII gli unici rappresentanti del protestantesimo ‘ammessi’ in Italia erano gli stranieri residenti nella penisola. Ad essi fu accordata, nel XIX secolo, la possibilità di svolgere i propri culti in alcune cappelle autorizzate, ad esempio a Bergamo, Genova, Napoli[6], non di rado frequentate anche da italiani.

        Di nuovo, come nel ‘500, l’impulso rinnovatore verrà dall’estero, ma stavolta si chiamerà ‘risveglio’. La breccia aperta a cannonate  a Porta Pia nel 1870 significò anche, per gli evangelici, una breccia nell’Italia, fino ad allora inespugnabile patria del cattolicesimo. Entrano così nella penisola le Bibbie in lingua italiana e le missioni evangeliche di origine anglosassone. Giungono per primi i metodisti, poi i battisti – entrambi prima nella variante inglese, poi americana di stampo episcopale; dopo ancora l’Esercito della Salvezza. Grazie a questi, come scrive Giorgio Tourn, “si andò delineando, nel volgere di pochi anni, il nuovo volto dell’evangelismo italiano, modellato ad immagine del mondo protestante mondiale, specie anglosassone, con le sue contraddizioni, ma anche la sua vitalità e la sua ricchezza di iniziative […]. I missionari anglo-americani”, continua Tourn, “con scarsa conoscenza delle vicende religiose del paese, s’impegnarono a creare comunità sul tipo di quelle lasciate in patria. Non di rado però ebbero alla loro testa uomini di eccezionali doti organizzative e imprenditoriali, che si legarono profondamente all’opera evangelica nella penisola.”[7] Le origini risvegliate di questi movimenti mettevano in primo piano, nell’esperienza di fede, la conversione individuale, con forti accenti spontaneistici. Essi si organizzarono in piccoli gruppi di credenti ferventi e impegnati, che poco o nulla avevano a che fare con l’ideale risorgimentale di una rivoluzione spirituale dell’Italia.

Fra i valdesi, invece, il risveglio ebbe inizio grazie alla predicazione del pastore svizzero Félix Neff (1797-1829), favorito dalle strette relazioni dei credenti delle Valli con le chiese svizzere, con cui condividevano la lingua francese. I valdesi erano assidui frequentatori dei culti domenicali ed avevano un atteggiamento riverente nei riguardi della chiesa, ma quest’adesione era più un fatto di costume e tradizione che di reale motivazione di fede.

       

4. Il Novecento.

 

        Nei primi anni del 1900 arrivarono in Italia i primi esponenti del movimento pentecostale, ad opera di immigrati italiani di Chicago che, avendo sperimentato il dono della xenoglossia[8], diffusero quel messaggio in altre parti d’America e, successivamente, tornarono in Italia al solo scopo di svolgervi un’attività evangelistica. La prima chiesa pentecostale sorge a Roma intorno al 1910, e il movimento si diffonde al punto che, allo scoppio della prima guerra mondiale, si contano in Italia una decina di comunità pentecostali[9], e nel 1928, data dell’Assemblea costitutiva delle Chiese pentecostali italiane, le comunità sono già circa novanta.

Nel 1929, anno dei Patti Lateranensi in cui fu emanata la legge che ‘promuoveva’ i culti acattolici da “tollerati” ad “ammessi”, anche i pentecostali avrebbero potuto costituirsi in associazione legalmente riconosciuta, ma non lo fecero. La diffusione del movimento non fu bene accolta dal regime fascista, che iniziò la repressione già nel 1931 con arresti, incursioni poliziesche, perizie psichiatriche. Considerati “nocivi all’integrità fisica e psichica della razza”, secondo quanto recitava la Circolare ministeriale n. 600/158 del 6 aprile 1935, emanata dal Sottosegretario al Ministero dell’interno G. Buffarini-Guidi, i pentecostali furono oggetto di durissime repressioni. La circolare non fu revocata nemmeno alla caduta del fascismo, e neanche dopo l’appello per la libertà religiosa, lanciato nel 1948 da parte del Consiglio Federale delle Chiese evangeliche, portavoce, in quella occasione, di avventisti, pentecostali, Chiesa dei Fratelli ed Esercito della Salvezza.

Gli stessi pentecostali, già denominati Assemblee di Dio, avevano inoltrato nel 1948 la domanda al Ministero dell’Interno per ottenere il riconoscimento giuridico del loro ente di culto, ma non ricevettero risposta alcuna ai numerosi ricorsi; solo nel 1954 vennero a conoscenza del fatto che la Corte di Cassazione ed il Ministero ritenevano illegale la Circolare Buffarini-Guidi, pur non trovando necessario revocarla – il documento rimase in vigore fino al 1955[10] e solo nel 1959 i pentecostali ottennero il riconoscimento della personalità giuridica.

 

5. Per una collocazione giuridica.

 

      È importante inquadrare la posizione delle confessioni religiose protestanti all’interno dell’ordinamento politico italiano, che si rifà ai due principi costituzionali fondamentali che sono la libertà di coscienza e la libertà di religione, intesa in senso sia individuale sia collettivo.

        Tutte le confessioni religiose minoritarie sono protette dall’art.8 della Costituzione italiana, che assicura loro l’esistenza, la libertà davanti alla legge ed il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, purché non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. Esso prevede poi la stipula di ‘Intese’ che regolino i rapporti delle confessioni con lo Stato.

        Come spiegano concisamente S. Ferrari e G. B. Varnier, la legge 1159 del 1929 regola le confessioni che hanno ottenuto il riconoscimento come ‘culto ammesso’; altre hanno conseguito la personalità giuridica in base all’art.16 delle preleggi al Codice civile. Infine, “un numero infinito di confessioni – ma sono di gran lunga la maggioranza – ha assunto la figura giuridica di associazione non riconosciuta, come previsto dagli artt.36-38 del Codice civile […]. Come associazioni non riconosciute esse sfuggono a qualsiasi tipo di controllo (non esiste un registro delle associazioni non riconosciute e per costituirne una è sufficiente un atto notarile) […]. Le persone che hanno assunto obbligazioni per conto dell’associazione (per esempio stipulando un contratto di locazione) ne rispondono personalmente, cioè con il proprio patrimonio.”[11]

La crescita numerica e la raggiunta stabilità sarebbero i motivi per cui, da associazione non riconosciuta, la nuova confessione passa alla richiesta del riconoscimento come ‘culto ammesso’. Per ottenere ciò è però necessario un decreto del Presidente della Repubblica e l’iter giuridico non è semplice né breve. Il riconoscimento dà diritto alla piena capacità giuridica, oltre all’equiparazione alle istituzioni di beneficienza ed istruzione, il che permette di beneficiare di tutte le agevolazioni fiscali previste per queste ultime. Il privilegio effettivo di questa conquista è tuttavia una tappa obbligata per l’ottenimento di un’altra, più alta, cioè la stipulazione di un’Intesa con lo Stato[12].

L’Intesa consente ad una confessione religiosa di essere disciplinata dalle norme contenute nell’Intesa stessa, cioè da una regolamentazione autonoma pensata dal gruppo religioso in prima persona, e che non potrà subire modifiche unilateralmente da parte dello Stato. Essa non ha solo lo scopo di garantire la libertà, ma contiene implicitamente in sé una possibilità di ‘intervento’[13] o, in altre parole, “il [loro] diritto…può avere rilevanza negli ordinamenti dei paesi europei”[14]: in particolare, i rappresentanti delle confessioni che hanno stipulato un’Intesa possono insegnare religione nelle scuole pubbliche; la confessione stessa, inoltre, ha diritto di percepire le quote ad essa devolute dai contribuenti tramite l’otto per mille del gettito dell’IRPEF.

I valdesi-metodisti ed i pentecostali italiani hanno firmato l’Intesa con lo Stato rispettivamente nel 1984 e nel 1986, ma attualmente sono sei le confessioni religiose ad avere stipulato l’accordo (anche, in ordine cronologico, ebrei, avventisti, battisti e luterani)[15].

Esiste poi una Commissione delle Chiese evangeliche per i rapporti con lo Stato, di cui fanno parte quasi tutte le denominazioni evangeliche riconosciute, che si occupa di salvaguardare i principi di libertà religiosa, soprattutto per ciò che concerne la stipulazione delle Intese e l’insegnamento religioso nella scuola.

Nonostante questo sistema di collaborazione con le confessioni religiose, l’Italia mantiene una tendenza essenzialmente separatista nell’ambito dei rapporti tra lo Stato e le Chiese. Tale indirizzo, generalmente condiviso e perseguito dalle confessioni protestanti, è “volto a distinguere l’ordine dello Stato da quello delle confessioni religiose, garantendo la neutralità dello Stato stesso in materia religiosa, l’indipendenza, l’autonomia e l’uguaglianza di trattamento dei culti…”[16]. L’Italia ha lasciato da parte recentemente (1984), con la revisione del Concordato del 1929 con la Chiesa cattolica, la posizione privilegiata della religione cattolica in quanto Religione di Stato, e si avvia verso la piena realizzazione di uno Stato laico.

 

6. Confessioni, chiese, movimenti o sette?  

                                                                                                                                                                                                       

I termini ‘chiesa’, ‘culto’, ‘confessione religiosa’ vengono spesso usati indifferentemente, senza chiedersi quale sia il concetto specifico che ognuno di essi traduce. Questo comporta spesso un’errata attribuzione di caratteristiche all’una o all’altra realtà, ed una certa confusione nel riferirsi ad esse.

        Secondo un approccio ‘sociologico’, la scelta del termine da usare  “è motivata anche dal diverso approccio scientifico in base al quale si tenta di inquadrare e qualificare un così complesso fenomeno, definendolo, di volta in volta, secondo le sue valenze psicologiche (in quanto rapporto fra gruppo e società), antropologiche (di ricerca del soprannaturale e dei suoi modelli interpretativi), psicologici (nel rapporto del singolo che aderisce al gruppo), storiche (di inquadramento del fenomeno in una visione complessiva dell’evoluzione della società), teologiche (ove si ricercano eventuali confini fra correnti maggioritarie e minoritarie, tra ortodossie e settarismi di chiese e di culti) o, infine, giuridiche (di definizione di una fede religiosa).” [17]

        Anche nell’ambito del diritto ecclesiastico, i termini sono a ragione differenziati e distinti: per ‘chiesa’, ad esempio, si intende “una comunità religiosa organizzata”,  “stabile e istituzionalizzata, dotata di amministrazione, di clero gerarchico, di un rituale ben definito”[18], oltre all’idea di una moltitudine di credenti; ma questa definizione non è applicabile in modo incondizionato a tutte le realtà religiose. Rispetto alla definizione generale ‘culto’, ad esempio, la quale prescinde dal grado di istituzionalizzazione raggiunto dal gruppo, ma contiene una valenza alquanto negativa, indicando a volte credenze vaghe e dottrinalmente imprecise, il termine ‘confessione’ presuppone sempre un’organizzazione stabile con un ordinamento anche minimo. ‘Movimento’, ancora, non ha connotazioni qualitative ma “bene sottolinea questa tendenza continua a introdurre cambiamenti o a inventare nuove manifestazioni come riflesso dei mutamenti della sensibilità e delle idee religiose”[19]. Il termine è tuttora usato per riferirsi, ad esempio, al pentecostalismo.

        Doverosa la riflessione sul termine ‘setta’. La setta era anticamente, nell’età apostolica, il gruppo dissidente ereticale, scismatico, in rottura con la tradizione ecclesiastica e il termine, di conseguenza, aveva un valore esclusivamente negativo. Nonostante la rilettura sociologica avviata da Ernst Troeltsch (1865-1923), che attribuiva alle sette, medioevali e di estrazione protestante, la caratteristica di aver conservato il vero spirito appassionato e genuino del cristianesimo, anche oggi, quando un italiano ricorre a questo termine, lo fa attribuendogli inconsciamente la valenza negativa di eretico, deviato.

        Alle confessioni evangeliche in Italia ci si è rivolti per anni utilizzando l’appellativo di ‘sette’, con tutto il bagaglio di accezioni svantaggiose. Al commento di un testo del 1945, specificamente dedicato all’analisi delle ‘sette protestanti’ (“Il Protestantesimo, corpo senza vertebre, diventa facilmente scissiparo…”)[20] va accostato quello di un libro del 1960, che analizza il fenomeno delle sette in generale; nel corso di un’esposizione riguardante il mondo protestante e lo ‘sbriciolamento’ che lo ha caratterizzato, l’autore così si esprime: “Ogni setta porta in sé i germi della divisione […]. Se per la comodità del termine, usiamo la parola ‘setta’ indifferentemente […] è evidente che non intendiamo confonderle [le confessioni], né soprattutto dare a questa parola un senso inutilmente peggiorativo. Sarebbe ingiusto mettere nello stesso calderone i valdesi e gli esagitati adepti di qualche gruppo pentecostale.” [21]

        Per dirla con Giorgio Tourn, “questo giudizio è stato, e resta, del tutto improprio dal punto di vista sia sociologico sia ecclesiale…anche se, date le condizioni ambientali di ostilità, alcuni tratti settari, l’isolamento, la mancanza di dialogo, la chiusura, sono stati forse a volte presenti. Si è sempre trattato invece di comunità cristiane nella piena accezione del termine, radicate nella tradizione della fede cristiana di cui hanno serbato i caratteri essenziali.”[22]

          Con il veloce trasformarsi delle realtà sociali intorno a noi, la realtà protestante è oggi rivalutata. Tuttavia, sempre nell’ambito di pubblicazioni specialistiche, si può citare il caso, molto recente (1997), di una panoramica delle minoranze religiose in Italia[23] che si fregia di includere importanti realtà come le comunità ebraiche, ortodosse e islamiche, nella quale i pentecostali non figurano nella sezione dedicata ai ‘Cristiani evangelici’ bensì, senz’altri chiarimenti, tra i ‘Gruppi religiosi di ispirazione cristiana’.


Capitolo secondo

L’importanza della Riforma inglese.

 

 

1.  Gli aspetti teologici.

 

        La riforma inglese si distingue dalle altre per un insieme di intenti ed eventi, analizzando i quali è possibile sostenere che non si sia trattato di una vera e propria ‘riforma’. Non è stato, cioè, un rinnovamento della chiesa in senso dottrinale, morale, liturgico a caratterizzare la nascita della Church of England quanto, più propriamente, uno ‘scisma’, ovvero una divisione volontaria e programmatica dalla chiesa di Roma, giustificata da motivazioni teologiche, ma prodotta da esigenze squisitamente politiche.

          Il fatto che la teologia non ne sia stata la primaria ragione non significa però che gli aspetti dottrinali vi abbiano avuto complessivamente poca importanza. I temi più propriamente ‘protestanti’ che la Church of England fece propri, contro la corrispondente posizione cattolica, sono soprattutto il concetto di giustificazione per fede e la questione della reale presenza di Cristo nell’eucaristia.

Per quel che concerne la giustificazione, dobbiamo ricordare le affermazioni di Lutero in proposito: al contrario di Agostino, che sosteneva una giustificazione ‘interna’ e potente nell’intimo umano, il monaco tedesco propendeva per una giustificazione ‘esterna’, cioè ‘imputata’ al credente il quale, in virtù d’essa, viene ‘considerato’ giusto davanti a Dio. Nel successivo sviluppo della teologia luterana attuato da Filippo Melantone (1497-1560), a questa giustificazione come atto esterno veniva accostata una ‘rigenerazione interna’: è questo il processo tramite il quale Dio conduce l’uomo a ‘diventare’ giusto.

La riforma inglese adottò in un primo momento la versione agostiniana, che fu la dottrina ufficiale fino alla morte di Enrico VIII. Dopo quella data, a causa dell’indirizzo palesemente protestante che l’arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer (1489-1556) intendeva dare alla chiesa d’Inghilterra, vennero progressivamente mutuate da Melantone le definizioni di giustizia e giustificazione, ma mai in modo inequivocabile attestata l’‘imputazione’ di tale giustizia.

La questione della presenza reale o simbolica di Cristo nel pane e nel vino eucaristici assunse i caratteri luterani di consustanziazione, cioè di concreta unione in quegli elementi del vero corpo e del vero sangue di Gesù, prima, e zwingliani, di ricordo del sacrificio di Gesù e simbolo del cibarsi spiritualmente di Lui, dopo. Più tardi ancora, con il Settlement of religion elisabettiano, furono adottate tutte e due le concezioni in una fusione che placava le dispute accontentando i sostenitori dell’una e dell’altra.

Secondo Alister McGrath, poiché Elisabetta I aveva decretato che in Inghilterra sarebbe esisitita una sola chiesa cristiana, non c’era bisogno di prestare attenzione alle questioni dottrinali in quanto, se uno degli scopi della dottrina è quello di distinguere, di certo nel paese non c’era nulla da cui la Chiesa d’Inghilterra dovesse distinguersi[24]. Il sistema dottrinale dell’anglicanesimo è rimasto, eccetto che per pochi fondamentali temi, sostanzialmente immutato. I Trentanove Articoli del 1563, compendio della dottrina della chiesa anglicana, sono volutamente elusivi, al punto da prestarsi ad entrambe le interpretazioni protestante e cattolica[25].

 

2. Il Calvinismo in Inghilterra.

         

La presenza protestante riformata in Inghilterra era rappresentata dai sostenitori del radicalismo morale proprio del calvinismo, ripensato però nei termini, apparentemente contraddittori, della libertà personale e dell’assoluta ubbidienza a Dio: i puritani e i quaccheri. Entrambi i gruppi volevano una ‘purificazione’ morale e strutturale della chiesa che partisse dall’esperienza rigeneratrice operata dallo Spirito Santo nell’intimo di ciascun credente. La loro teologia è descritta in modo tanto poetico quanto acuto da Perry Miller:

 

“Essi chiamavano Dio la ragione ultima di tutte le cose, chiamavano Eden il sogno di una possibile armonia tra l’uomo e l’ambiente, denominavano peccato il fatto reale della disarmonia stessa, grazia divina il momento dell’illuminazione, fede lo sforzo di vivere secondo quell’illuminazione e dannazione l’incapacità di rimanervi fedeli.”[26]

 

        Se quella puritana era una fede di tipo agostiniano, lo schema teologico è in realtà quello calvinista, seppur riletto dalla mente di Teodoro di Beza (1519-1605) soprattutto per quanto riguarda gli insegnamenti specifici dell’elezione divina e dell’espiazione che si ha attraverso il sacrificio di Cristo.

Senza entrare nei dettagli della questione se l’elezione sia stata decisa da Dio prima o dopo la caduta dell’umanità, la dottrina si può così riassumere: poiché, dopo il peccato, l’uomo è totalmente depravato ed incapace di salvarsi da solo, Dio ha eletto, unicamente sulle basi della propria grazia e per nulla dei meriti umani, alcuni uomini alla salvezza, e solo per questi ultimi è morto. Essi sono irresistibilmente attratti dalla grazia e, anche se volessero, non potrebbero distaccarsene. Da qui si passa facilmente alla dottrina della giustificazione, che ha molto di agostiniano e calviniano: l’uomo, tramite la grazia di Dio, è giustificato, cioè assolto dai peccati e dichiarato giusto agli occhi di Dio. Poi la grazia “penetra di sé l’essere umano e vi genera – o ‘rigenera’, se vogliamo tenere conto della natura originaria di Adamo - la capacità di rispondere all’invito [a nuova vita]”[27]: ha inizio il processo che porterà l’uomo a divenire simile a Cristo.

        I puritani inoltre, facendo riferimento all’Antico Testamento, credevano nel ‘nuovo patto’ tra Dio e gli uomini e, in quanto scelti da Dio, se ne consideravano i beneficiari esclusivi, il ‘nuovo popolo eletto’. Tale convinzione si rafforzò allorché, sia per sfuggire alle persecuzioni di cui erano fatti oggetto in patria, sia per fondare “un luogo ove gli uomini che avevano ritrovato la vera condizione umana potessero vivere secondo le norme che essa imponeva”[28], il nuovo Israele partì alla volta dell’americana ‘nuova Terra promessa’.

P. Miller osservava che “nella Nuova Inghilterra la morale era fondata non tanto sui decreti di Dio quanto sui termini del contratto e la volontà umana era impegnata non tanto per paura del Signore quanto per rispetto della parola data. L’uomo, come essere razionale e logico, in possesso di tutte le facoltà, studioso della natura e delle arti liberali, poteva scorgere l’intima giustizia della legge che si era impegnato a rispettare e non poteva protestare se gli veniva richiesto di osservarla”[29]. Ciò significa che all’interno del gruppo si verificò una progressiva rivalutazione delle facoltà razionali umane e, parallelamente, una lenta diminuzione dell’attitudine emotiva della fede, talché essi si sforzavano di armonizzare i due tipi di conoscenza, spirituale e razionale, di cui erano depositari (quando in precedenza la tendenza prevalente era stata quella di svilire l’umana ragione).

 

3. Il Metodismo.

      

       La ‘vera riforma’ all’interno della Chiesa confessante inglese, cioè il rinnovamento della stessa, si verificò nel XVII secolo con il movimento di risveglio che fa capo ai fratelli John (1703-1791) e Charles (1707-1788) Wesley.

      I metodisti provenivano dalla Chiesa anglicana ma, di là da questa, si proponevano di mantenere fedeltà all’ortodossia tradizionale emersa, nel corso della storia, dai con­cili della cristianità. Essi credevano, oltre che nei principi fondamentali del protestantesimo (la Scrittura come unica autorità, la salvezza per grazia mediante la sola fede e il sacerdozio universale dei credenti), nella condizione comune di peccato dell’umani­tà e nell’opera redentrice di Gesù Cristo.

        Per quanto riguardava la salvezza e la predestinazione, la linea wesleyana del metodismo faceva propria la dottrina arminiana, che del resto nel secolo XVIII era prevalente nell’ambito dell’an­glicanesimo, e che fu poi definitivamente condannata nel 1618. Jakob Arminius (1560-1609) si era opposto alla dottrina calvinista della redenzione particolare, sostenendo invece che la predestinazione si riferisse al decreto divino generale, e che il sacrificio di Cristo fosse universalmente valido, per tutti gli uomini e non solo per gli eletti. Conseguenza ne è che tutti coloro che credono saranno salvati (in ultima analisi, un gruppo limitato di persone), ma il sacrificio di Cristo è tuttavia ‘dedicato’ ad ogni uomo.

        La madre di Wesley, Susanna, la cui influenza sul figlio fu eccezionale, in una lettera gli esponeva in questi termini la propria idea sulla predestinazione: “Credo fermamente che Dio dall’eternità abbia eletto alcuni alla vita eterna, ma ritengo umilmente che questa elezione sia fondata sulla sua preconoscenza, secondo quanto è scritto in Romani 8,29-30[30] […]. ‘Quelli’, che Dio nella sua eterna prescienza vide che avrebbero fatto un giusto uso delle loro capacità ed avrebbero accettato la grazia offerta, ‘ha predestinati’, adottati come suoi figli, come suo particolare tesoro.”[31]

        Wesley era convinto che il credente ‘ricevesse’ il sacrificio che lo redime, e dovesse poi studiarsi di rimanere saldo nella condizione di redento. Per questo trapiantò l’accurato esercizio di una vita cristiana diligente, che aveva caratterizzato i membri del suo Holy Club (tra i quali erano frequenti digiuni e communion services), nell’organizzazione in gruppi dei suoi convertiti. I credenti furono riuniti in little companies o bands (le classi), costituite da un numero di fedeli “no fewer than five” e “no more than ten”[32] e condotte da un leader. Varie classi formavano una society (oggi potremmo dire una fellowship, una ‘comunità’); le societies componevano i circuits, e questi ultimi i districts. I membri di ciascuna classe si incontravano settimanalmente per pregare insieme e confessarsi l’un l’altro i propri errori e le proprie mancanze; questa pratica si rivelò efficace perché, conoscendosi ogni giorno meglio, essi si affezionassero l’uno all’altro ed imparassero a soccorrersi, incoraggiarsi ed edificarsi reciprocamente. La cura pastorale era facilitata dal fatto che si trattasse di piccoli gruppi: i leaders avevano il compito di visitare i fedeli, esortarli, riprenderli all’occorrenza. Per stimolare anche tra i pastori un’unione come quella nata tra i fedeli, fu istituita una Conferenza annuale.

        Notevolissime erano le opere sociali, il cosiddetto social gospel: i metodisti visitavano spesso i carcerati, insegnavano loro a leggere, pagavano i loro debiti e trovavano loro un impiego per quando fossero usciti di prigione. Frequentemente distribuivano cibo, vestiario e medicine ai poveri; fondarono e gestirono scuole ed ospedali. Attraverso gli aspetti spirituali, alla gente era data la capacità di supplire alle difficoltà economiche.

       Molto forte è, nel metodismo, l’esortazione all’edificazione personale ed all’in­teriorizzazione delle verità di fede. La comprensione esclusivamente razionale di tali verità non basta, infatti, a fare di un uomo un cristiano: tutto ciò che Cristo insegna deve essere effettivamente sperimentato dal credente; solo in questo modo egli sarà realmente libero.

Del resto, una fortissima esperienza personale di fede aveva provato Wesley stesso durante un incontro dei fratelli moravi[33]. Per quanto rettamente avesse condotto la propria vita, egli aveva bisogno di un ‘tocco’ speciale. Facendo proprie le parole dell’apostolo Paolo nell’epistola ai Romani, egli stesso racconta nel proprio Journal:

 

La sera andai, molto riluttante, in una comunità in Aldersgate Street. Qualcuno stava leggendo la prefazione di Lutero alla Lettera ai Romani. Alle nove meno un quarto circa, mentre quello descriveva il cambiamento che Dio opera nel cuore mediante la fede in Cristo, sentii il mio cuore stranamente riscaldato. Sentii che confidavo in Cristo, solo in Cristo per la salvezza, ed ebbi la certezza che Egli aveva tolto di mezzo i miei peccati, i miei, e mi aveva salvato, me, dalla legge del peccato e della morte.”[34]

 

      Un ulteriore punto fermo della dottrina era che il credente, per la testimo­nianza dello Spirito Santo in lui, dovesse avere l’intima certezza della propria salvezza. Questa “assurance”, di cui testimonia Wesley e che i metodisti conside­ravano fondamentale nell’esperienza di fede, è la fonte dalla quale provengono la libertà e la letizia spirituale che caratterizzano l’esistenza del cristiano vivificato dallo Spirito Santo, oltre che la vita comunitaria ed il culto. Quest’ultimo è, infatti, in parte liturgico e in parte spontaneo, caratterizzato da letture bibliche, preghiere semplici ed estemporanee ed inni, spesso concatenati, che concretizzano l’eredità culturale del metodismo. Charles e John Wesley furono innografi produttivi; le loro composizioni avevano lo scopo di conservare e tramandare la dottrina ed incoraggiare e edificare i fedeli.

      Un enorme peso per l’evangelizzazione caratterizzava l’indole di Wesley, ed egli fu un instancabile predicatore itinerante, viaggiando per molte miglia a cavallo, fino a tarda età. A lui si deve inoltre la crescente importanza che i predicatori laici conquistarono nell’opera religiosa poiché, non potendo fare affidamento su un corpo di ministri regolarmente ordinati, a causa dell’opposizione della Chiesa di stato, per la maggior parte laici erano i suoi collaboratori.

      I metodisti davano infine grandissima impor­tanza alle dottrine che si riferivano all’azione dello Spirito San­to nei credenti, in particolare alla ‘nuova nascita’, o rigenerazione, ed alla brama per il raggiungimento della ‘perfezione’, o santifi­cazione. Ricongiunto dall’amore di Dio al suo creatore e Padre, l’uomo riacquista il senso della condizione divina e pura che gli era propria, e brama di ricostituirla: dal momento in cui viene rigenerato o ‘nasce di nuovo’, egli tende, per l’amore verso Dio che è santo, a ‘santificarsi’, vale a dire ad essere rinnovato, interiormente, all’immagine della Sua giustizia e santità. Gesù stesso, nel Sermone sul monte, esorta “Voi dunque siate perfetti, com’è perfetto il Padre vostro, che è nei cieli” (Matteo 5,48). Ad un tale mutamento del cuore e della mente, prodotto dallo Spirito, corrisponde la cosiddetta ‘perfezione cristiana’: ‘frutti’ di santità visibili nella vita del credente (“in tutta la vostra condotta”, recita I Pietro 1,15).

       Alla santificazione progressiva di tutta la vita, seguirà una santificazione totale, o glorificazione, quando l’uomo sarà liberato per sempre da “questo corpo di morte” (Romani 7,24). Le opere scritte da J. Wesley su questi soggetti sono Brief Thoughts on Christian Perfection (1763) e A Plain Account of Christian Perfection (1765).

 

4. I ‘Movimenti di Santità’.

 

        La santità è diventata l’enfasi predominante di alcuni movimenti di risveglio del secolo XIX, non solo d’ispirazione metodista. Bisogna infatti ricordare che la santità era stata predicata da alcuni gruppi di anabattisti e, in Inghilterra, da importanti personaggi come Jeremy Taylor (1613-1667), autore di The Rule and Exercise of Holy Living (un manuale del 1650 sulla condotta che un cristiano deve tenere nella vita di tutti i giorni, tanto in privato quanto in pubblico), Holy Dying (1651) e The Golden Grove (1655), e William Law con la sua opera A Serious Call to a Devout and Holy Life (1728). J. Wesley, al pari dei suoi successori evangelicals, ne fu fortemente influenzato.

        Nella prima metà dell’800 la dottrina della santità fu adottata da un gruppo di calvinisti americani che faceva capo all’evangelista Charles G. Finney (1792-1875); per l’enfasi della sua predicazione sul pentimento e la santificazione, egli stesso affermava di aver operato una sintesi di calvinismo e metodismo[35]. Finney, tuttavia, è ricordato per essere stato il teorico del ‘risveglio organizzato’, cioè prodotto tramite mezzi a ciò finalizzati e sfruttato per la ‘realizzazione dei disegni divini’.

        Ma è in ambiente metodista che, in America, la santificazione ha avuto la più vasta eco, dando luogo al proliferare di numerosi sotto-movimenti accomunati dall’enfasi wesleyana sulla perfezione. Dopo la guerra civile, infatti, la fede e le verità bibliche furono progressivamente neglette. Perfino le denominazioni religiose più ferventi attraversavano un periodo di apatia ed indifferenza. Qualcuno iniziò a reagire a questo crescente formalismo, e a reclamare il ritorno ad una heart religion che soddisfacesse non soltanto il bisogno di certezze spirituali ma anche i bisogni emotivi, psicologici, finanche materiali della gente.

        Di quel vasto fenomeno che è l’American Holiness Movement, il fenomeno detto del ‘Pentecostalismo’ è quello che ha avuto fino ad oggi il più ampio riscontro, soprattutto a causa del carattere spontaneo e vivace che ne caratterizza il culto: canto[36] corale molto entusiastico, con battiti di mani ad accompagnarne il ritmo; testimonianze spontanee dei membri che affermano pubblicamente come Dio ha risposto a delle preghiere o ha concesso delle vittorie spirituali; preghiere innalzate a voce alta in modo istintivo, talvolta eclatante; frequenti ‘amen’ e ‘alleluia’ di assenso alle parole del predicatore.

          I pentecostali enfatizzano molto, oltre al parlare in lingue e al dono di profezia, la dottrina della guarigione divina che, sostengono, Cristo ha già provveduto sulla Croce ed è data a chiunque, per fede, la chieda e creda che l’ha già ricevuta in Gesù. Questo è un aspetto di ciò che è definito una ‘vita vittoriosa’, caratterizzata dalla gioia, la pace e la potenza dello Spirito Santo.

5. Gli Evangelicals.

 

        L’ evangelical party sorse all’inizio del XIX secolo in seno alla Chiesa anglicana con l’intento di operarne una riforma dall’interno. La figura più importante del gruppo fu William Wilberforce (1759-1833); membro del Parlamento e fortemente impegnato in grandi opere filantropiche, il suo nome è legato in particolar modo all’abolizione del commercio schiavistico e all’emancipazione degli schiavi nelle colonie britanniche.

        L’impegno contro le disparità sociali fu il segno distintivo di questo tipo di evangelismo di stampo metodista, ma altre caratteristiche erano una grande semplicità nello svolgimento del culto e una partecipazione attiva alla vita della comunità.

          La Chiesa anglicana è stata profondamente influenzata, soprattutto negli ultimi vent'anni, da un evangelicalism risorgente fra le sue stesse fila. Alister McGrath nel suo recente libro L'evangelicalismo ed il futuro del Cristianesimo, afferma: “L’Evangelicalismo non è altro che il cristianesimo storico. I suoi articoli di fede corrispondono alle dottrine centrali delle chiese cristiane che sono state trasmesse attraverso i secoli…Con una vigorosa difesa delle basi bibliche, legittimità teologica e rilevanza spirituale di queste dottrine, l'evangelicalismo ha dimostrato essere in possesso di tutti i diritti di essere il portabandiera del cristianesimo storico ortodosso.”


Capitolo terzo.

Identifichiamo Via Glauco.

 

 

1. Comunità.

 

Più strutturate oppure più libere, organizzate a tipo assembleare o quasi spontaneistiche, le comunità religiose hanno sempre cercato di realizzare il concetto apostolico di unione e libertà fraterna di uomini e donne. In quanto ‘comunità’, Via Glauco è un insieme di credenti che cercano insieme il loro cammino di fede. L’atto di riunirsi è un elemento fondamentale della vita collettiva: è condivisione della fede e aiuto reciproco nella distretta.

Tutti coloro che il Padre ha strappato al potere del male, e fatto rinascere ‘dall’alto’ (Giovanni 3,7), partecipano della redenzione e della remissione dei peccati; della riconciliazione, operata da Cristo nella propria morte. Questi vengono accolti in seno alla chiesa (ekklēsía), appartengono ad essa e, grazie all’opera rinnovatrice di Cristo, vivono  nuove esistenze (2 Corinzi 5,17). Questo non significa che siano sottratti alla propria collocazione sociale: la nuova appartenenza non comporta la perdita di quella precedente, ma semplicemente dischiude un’altra dimen­sione. Dei “santi”, come l’apostolo Paolo chiama i membri della ekklēsía riprendendo la terminologia che l’Antico Testamento usa­va per la comunità di Dio (1 Corinzi 1,2; Filippesi 1,1; Romani 1,7), fanno parte tutti coloro che Dio chiama, ai quali dona la fede e la cui appar­tenenza alla nuova vita è contrassegnata col battesimo (Romani 6,3ss). Il battesimo, che testimonia il ripristinato legame del singolo con Cristo, e la cena del Signore, in cui prende forma corporale la comunione con Lui, sono eventi che si concretano sia localmente sia nel­l’insieme della chiesa universale.

Tale concezione della comunità è stata espressa dall’apostolo Paolo con l’immagine della ekklēsía come ‘corpo’ (Romani 12,lss; l Corinzi 12,12-27) e della sua costruzione, o edificazione, che ne conferma la sostanza. Essa illustra che appartenere a Cristo significa divenire membra di un orga­nismo in cui ciascuno detiene una funzione specifica, in cui tutti dipen­dono gli uni dagli altri nel dare e nel ricevere, nel far fruttare i doni rice­vuti per i compiti da svolgere all’interno della comunità e per il compi­mento della missione verso l’esterno. In ciò non esiste alcuna gerarchia, ma il concetto è talmente ampio da abbracciare tanto i doni di governo ed organizzazione quanto la guarigione degli infermi, la glos­solalia[37] e il discernimento degli spiriti (1 Corinzi 12,l4ss; Romani 12,4ss). Queste ultime sono manifestazioni dello Spirito Santo, che è pre­sente nella ‘chiesa-corpo’; ed è nell’incontro e nella convivenza dei membri della comunità che tutti questi doni si sviluppano e si concretizzano.

Nelle Scritture, la ekklēsía è sempre definita dal suo volto concreto; la sua vita, co­me i doni che la contraddistinguono, non possono né devono essere necessariamente uniformi. In Cristo le differenze rimangono; perdono però il loro carattere disgregante, che impedisce il ‘fare comunità’ (cfr. Galati 3,27ss). Di conseguenza, è sempre una sola ed unica chiesa quella che si incontra: ‘una’, perché uno è il suo Signore.

 

 

2. La Riforma.

 

In un paese a maggioranza cattolica com’è l’Italia, quando ci si trova davanti ad un edificio denominato ‘chiesa evangelica’ ci si chiede cosa ciò voglia intendere realmente[38]. Nel caso di Via Glauco, la comunità si definisce ‘evangelica’ sia per l’appartenenza all’universo religioso che rinviene le proprie origini nell’evento ‘storico’ della Riforma protestante del 1500, sia per il ruolo primario attribuito al Vangelo, come Parola di Dio, nella vita del credente.

Del resto il principio di sola Scriptura, com’è noto, così come fu elaborato da Martin Lutero (1483-1546), è uno dei concetti alle origini della Riforma protestante, quello che portò il monaco alla grande opera di traduzione delle Scritture in lingua tedesca. Si tratta di un ritorno all’esaltazione della Parola di Dio, trasmessa nella Bibbia e interpretata grazie alla rivelazione dello Spirito Santo; assunta come somma autorità in fatto di fede e di comportamento in tutti gli aspetti della vita, in contrapposizione agli artifici ed ai comandamenti umani che regolavano la vita cristiana. Scrittura non nel senso di Vangelo soltanto, ma di tutta la Bibbia, tanto l’Antico quanto il Nuovo Testamento; le parole dei profeti sono lette e valutate alla stregua di quelle degli apostoli.

Leggendo le Scritture, e in particolare l’epistola di Paolo ai Romani, Lutero maturò la convinzione che nell’uomo non abita alcun bene e che egli può essere salvato unicamente dalla grazia di Dio mediante la sola fede in Cristo. La denuncia della gratuità della salvezza mise in crisi il sistema cattolico delle opere meritorie e delle indulgenze, con le ben note conseguenze economiche e sociali.

Lutero non intendeva affermare che ognuno fosse sacerdote di se stesso, libero e sovrano nell’interpretazione delle Scritture; sosteneva semplicemente che la responsabilità sacerdotale spetta alla comunità cristiana nel suo insieme, senza distinzione fra clero e laici, e che ogni credente deve, nel quadro di questa comunità, esaminare la vita della chiesa in base alla Scrittura.[39] La vita della chiesa ma anche la propria vita, chiamata ad essere conforme ai principi biblici. Nessun evangelico può ignorare questo termine di riferimento per la sua vita e la sua ricerca spirituale. L’aspetto della Scrittura è strettamente connesso con quello, ugualmente importante, del sacerdozio universale: la responsabilità di ogni credente. Dall’esterno, essa può essere giudicata come un estremo egocentrismo; in realtà è un appello all’arbitrio del singolo credente. L’innegabile conseguenza morale è l’abolizione della tradizionale distinzione tra clero e laici. Il singolo è chiamato in causa nella realizzazione del piano eterno di Dio, e non fa differenza la posizione sociale in questa vocazione universale.

Questi ed altri sono gli incontestati elementi ‘riformati’ comuni, che rendono l’impianto della fede protestante, malgrado la maggiore propensione al frazionamento rispetto al Cattolicesimo, più compatto di quanto non sembri.

 

3. I «risvegli».

 

La parola “risveglio” (revival) esprime una componente spirituale caratteristica del mondo protestante, e cioè il sorgere di movimenti che si oppongono alla secolarizzazione del protestantesi­mo storico, alla mancanza di fervore missionario, proponendo un recupero dell’attività religiosa ed insistendo sull’incontro con Gesù Cristo co­me indispensabile esperienza personale, che spinge alla missione. Essi prendono le mosse dalle chiese ‘moltitudiniste’, i cui membri vivono il cristianesimo in modo formale, senza che la vita personale ne rispecchi le idee e i cambiamenti e il rinnovamento che la vera fede implica. Questi episodi sono stati recentemente definiti[40] secondo protestantesimo, in contrapposizione ad un primo protestantesimo “storico”, rappresentato dalle comunità nate direttamente dalla Riforma storica (lu­terane, calviniste e perfino an­glicane) e ad un terzo (le confessioni originate dagli sviluppi del secondo), ciascuno dei quali insiste su un tipo particolare di esperienza, che non annulla quelle prece­denti, ma le reinterpreta e le integra.

La protesta nel mondo luterano produsse il pietismo, nel mondo riformato il battismo (che portò alla diffusione della pratica di battezzare gli adulti all’atto della conversione, anche se già battezzati da piccoli) e, in quello anglicano, il metodismo. Il pietismo si organizzò attorno alla figura di Philip Jacob Spener (1635-1705). Nei suoi Pia Desideria (1675) egli constatava la corruzione della Chiesa evangelica ed insisteva sull’importanza della prassi biblica e dei frutti che devono seguire l’atto di fede affinché questo sia completo ed efficace. Particolare importanza era data alla ‘conversione’, la metanoia dei Vangeli, un’esperienza interiore, caratterizzata da una intensa emozione, punto di partenza della rigenerazione poiché muta l’orientamento della vita del credente. ‘Convertirsi’ significa da un lato riscoprire la realtà salvifica di Cristo e, dall’altro, abbandonare i costumi propri della vita ‘mondana’, legata cioè alle suggestioni del mondo, alle inclinazioni ‘carnali’.

Il risveglio di matrice tedesca non è considerato alla stregua di quello di estrazione anglosassone, nonostante vi abbia avuto una parte innegabile grazie all’influenza dei Fratelli Moravi, la chiesa sorta dall’attività del conte di Zinzendorf .

John Wesley, fondatore del Metodismo, conobbe i Fratelli quando era già un pastore anglicano, durante la traversata verso le colonie del Nuovo Mondo, e ne fu profondamente impressionato. Tramite loro entrò in contatto col pietismo e con l’esperienza luterana, che rivisse in modo personale la sera del 24 maggio 1738. A quella data egli stesso faceva risalire la propria conversione[41]. Insieme al fratello Charles e a George Whitefield (1714-1770), fondatori del gruppo di edificazione spirituale che divenne noto col nomignolo di Holy Club, si dedicò all’ambiziosa impresa di evangelizzare l’Inghilterra non con dottrine nuove, ma con le semplici e fondamentali verità del Vangelo: il peccato dell’umanità, il bisogno di ravvedersi, il perdono e la riconciliazione con Dio tramite l’accettazione per fede del sacrificio di Cristo, valido per ogni essere umano.

Il risveglio affonda profondamente le proprie radici nella figura di Cristo. Non l’appartenenza alla chiesa garantisce la salvezza, ma l’incontro e la relazione personale del credente con Cristo, vissuta in termini molto individualistici e psicologici, ma mai astratti. Il rinnovamento della vita personale, la ricerca di un’etica corrispondente all’insegnamento di Gesù, si traducono nella santificazione come rinnovamento quotidiano dell’esperienza con Lui e dell’apprendimento della Sua vita in funzione del raggiungimento della perfezione cristiana.

E’ impegno contro l’alcolismo, il fumo, la ‘mondanità’ della vita che si spinge sino al rifiuto degli spettacoli frivoli, delle letture inutili.

C’è tutta una serie di movimenti “risvegliati” minori nel corso del secondo ‘800 o dei primi decenni del secolo XX. Tra questi, i vari movimenti “di santità” (holiness), cui appartengono anche la Chiesa del Nazareno, gli Avventisti e la corrente pentecostale-carismatica.

 

 

 

4. I Pentecostali.

 

Il pentecostalismo rappresenta il maggiore movi­mento di risveglio nella storia del cristianesimo. Esso nasce con i fenomeni di glossolalia di Topeka (Kansas, USA) nel 1901 e di Azusa Street, a Los Angeles, California nel 1906. All’inizio dichiara di non essere interessato alla costituzione di denominazioni e di strutture, e anzi ne contesta la necessità. In seguito dà vita alle Assemblee di Dio ed alle Chiese Apostoliche.

A partire dal secondo dopoguerra si assiste ad una vera e propria esplosione del pentecostalismo delle Assemblee di Dio in Italia, in particolare nel meridione, con la costituzione di centinaia di comunità. Duramente perseguitati sotto il regime fascista, i Pentecostali sono adesso la minoranza religiosa più numerosa presente in Italia.[42]

La tipica dottrina pentecostale insegna che il battesimo dello Spirito Santo, identificato con l’esperienza descritta in Atti 2, è il ‘segno’ della rigenerazione del credente, la quale non si palesa con un qualsiasi carisma, ma solo e sempre con la manifestazione del parlare in lingue. Il battesimo dello Spirito Santo si differenzia da altri due che lo precedono: battesimo del corpo di Cristo (1 Corinzi 12,13) che comporta la nuova nascita, e che viene testimo­niato con il battesimo in acqua (Matteo 28,18ss). Per alcuni pentecostali, senza il segno delle lingue non avviene la rinascita del credente.

La maggioranza dei membri di Via Glauco, seppure di estrazione pentecostale, ha maturato, già al tempo della fondazione della comunità, una peculiare posizione dottrinale a questo riguardo. Circa il battesimo dello Spirito Santo, essi credono che sia l’atto divino in virtù del quale la natura umana corrotta (il peccato originale) muore ed il credente nasce di nuovo dallo Spirito Santo, il quale entra ad abitare nel suo cuore avendolo giustificato (Romani 3,21-24), adottato (Giovanni 1,12, 13) e separato dal peccato (Romani 6,4-11). Infatti non possono coesistere due nature, una malvagia e l’altra rigenerata dallo Spirito. Avendo ricevuto un cuore puro, il credente inizia un cammino di santificazione che lo condurrà alla formazione di un carattere maturo ad immagine di Cristo. Ciò si esterna nella conversione, cioè quel cambiamento della mente e della condotta che risponde alla totale adesione della libera volontà dell’uomo a quella di Dio.

Circa il dono delle lingue, cioè la manifestazione spirituale di parlare in un linguaggio sconosciuto a chi lo proferisce, la linea dottrinale di Via Glauco insegna che esso non è il ‘segno’, cioè l’evidenza, del battesimo dello Spirito Santo, perché quest’ultimo è inteso come nuova nascita. Esso non è necessario alla salvezza, né è dato a tutti ma, come tutti gli altri doni o carismi, è elargito liberamente da Dio ai credenti per l’edificazione della chiesa. Può avere due diverse funzioni: la prima (Atti 2) è quella di annunciare il Vangelo in un linguaggio comprensibile all’uditorio senza bisogno di interpretazione. La seconda funzione (1 Corinzi 14) è quella di edificazione del singolo credente e della chiesa. Nel primo caso, esso non deve essere manifestato pubblicamente ma solo nella comunione privata con Dio. Quando, invece, esso è dato per l’edificazione della chiesa, può essere esercitato nell’assemblea, ma deve essere sempre seguito dall’interpretazione.            

 

5. ‘Imitatori’ dei primi cristiani.

 

Come per la chiesa primitiva, lo Spirito Santo è per i fratelli di Via Glauco una realtà attuale. È frequente l’invocazione della sua guida, della sua consolazione nei momenti di sconforto (nel Vangelo di Giovanni Gesù si riferisce ripetutamente allo Spirito Santo come al ‘Consolatore’).

Il divino deve essere sperimentato tramite un incontro personale, non necessariamente ‘accecante’ come per l’apostolo Paolo (Atti 9,27), ma senz’altro sconvolgente, perché la vita, da quel momento, non può più essere la stessa. ‘Avere conosciuto Gesù’ è l’evento che accomuna i ‘fratelli’; essi intraprendono una vita segnata dalla preghiera e dall’unità (Atti 1,13), caratterizzata dalla costante comunione e dalla semplicità dei rapporti reciproci e della vita religiosa (Atti 2,42-47).

I locali di culto sono spogli di immagini ed altari; sono spesso, come nel caso di Via Glauco, ex fabbriche o depositi. Quel che importa non è il senso estetico e spettacolare del ‘culto’, ma l’adorazione di Dio come stile di vita. L’esempio dell’apostolo Paolo, la sua vita cambiata dallo Spirito di Dio e la sua predicazione, il suo coraggio nell’annunciare la nuova realtà di grazia e di perdono, sono una sfida quotidiana nell’evangelizzazione della società. Ciò che è detto dei primi cristiani, in particolare come essi abbondassero in buone opere (Atti 9,36; 11,29), ha seminato in molti membri la passione per la missione.

La comunità pratica il battesimo in acqua agli adulti che lo richiedono (anche se già battezzati da bambini), in quanto nelle Scritture non c’è un solo caso di battesimo di infanti; inoltre, esso è impartito non come dispensazione di salvezza, ma come testimonianza volontaria di fede (Atti 8,36-38). Esso viene svolto in un’atmosfera di grande gioia e semplicità: i battezzanti, in accappatoio bianco, vengono immersi in mare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, tra i canti festosi dei fratelli e gli sguardi curiosi degli astanti.

In grande considerazione, seppur condivisa con grande semplicità, è tenuta la Cena del Signore (il ‘rompere il pane’ di Atti 2,42; 20,7); essa viene servita indifferentemente dagli uomini e dalle donne. La dottrina a cui la comunità si riferisce a questo proposito è quella zwingliana: il pane ed il vino (davvero tali) sono simboli del corpo e del sangue di Gesù; non è una Messa bensì la commemorazione (“un memoriale”) del sacrificio espiatorio di Cristo, da celebrarsi fino alla prossima venuta di Lui.

La struttura governativa di Via Glauco[43] mira all’ideale di un corpo di anziani e diaconi e alla presenza di tutti i doni carismatici per l’edificazione della chiesa, ma può anche essere considerata ‘congregazionalista’ per l’importanza attribuita al sacerdozio universale dei credenti. L’anzianato (episkopê), nel senso di guida spirituale, non è negato alle donne. Il celibato dei pastori non è praticato.

    


Capitolo quarto.

Le origini della Comunità.

 

1. Un predicatore inglese.

 

La Comunità Cristiana Evangelica di Via Glauco, 8 - Catania nasce come ‘Via Caruso, 6’[44], in seno alla comunità libera pentecostale di Via Pietro Mascagni, 64 - Catania, da cui si sarebbe, dopo qualche tempo, definitivamente distaccata per continuare autonomamente l’opera di testimonianza iniziata nel 1974. Il responsabile della chiesa di Via Mascagni, Philiph Wiles, nato nel 1921, originario di Richmond, Surrey, era un battista. Reclutato durante la II Guerra mondiale nella marina inglese, aveva conosciuto la triste realtà italiana sbarcando in Sicilia e successivamente a Dibione. Già durante la guerra aveva condiviso la propria fede con degli italiani e, tornato in Inghilterra, maturò la consapevolezza di una chiamata per l’evangelizzazione dell’Italia. Trasferitosi con la moglie Margaret a Udine nel 1951, al seguito della missione battista inglese ‘Spezia Mission’, intraprese il ministero di evangelista e predicatore itinerante. A Udine Wiles riunì in casa propria un gruppo di credenti conosciuti durante la guerra e, successivamente, fondò con loro una chiesa che ancora oggi è fra le più prospere della città. Nel 1958, grazie ai contatti con una famiglia di fedeli italo-americani, conobbe e aderì alle Assemblee di Dio in Italia (ADI, i Pentecostali riconosciuti). Nei primi anni ‘70 se ne distaccò per condurre indipendentemente la testimonianza. Nel 1974 un gruppo di credenti pentecostali di Catania, che aveva conosciuto grazie ai numerosi viaggi missionari, lo pregò di venire ad assumerne la guida spirituale. Trasferitosi a Catania, Wiles iniziò a riunirsi con loro nel garage di una delle famiglie, i Ciaccio; di lì a breve fu fondata la chiesa di Via Mascagni.

 

2. Altri ‘testimoni’.

       

Nel gruppo che aveva invitato Philiph Wiles a venire come pastore, c’era anche Carmelo Ciaccio. I suoi genitori avevano ricevuto la testimonianza evangelica nel 1950 da amici di famiglia, i Di Francia, che risiedevano a Vittoria (RG). Questi erano stati a propria volta evangelizzati da alcuni parenti, tornati in Italia dopo aver vissuto da emigranti in America ed avervi conosciuto la fede evangelica. I Di Francia diedero alla famiglia Ciaccio l’indirizzo della chiesa pentecostale a Catania: Via De Felice.

        Carmelo aveva diciotto anni quando con un amico, all’uscita del cinema di Via De Felice, di fronte al luogo di culto, entrò in chiesa per aspettare la madre. Sentì le parole del predicatore come rivolte a sé soltanto, e accettò il Vangelo che in quel momento gli veniva presentato: Gesù, venuto per ritrovare le pecore smarrite. La famiglia Ciaccio è una delle famiglie da più tempo coinvolte nell’opera evangelica catanese: il figlio di Carmelo, Davide, sarà il pastore di Via Glauco.

 

3. Alla ricerca di qualcosa di più.

 

L’anno di nascita ufficiale di Via Glauco è il 1983. La sua storia ha però inizio qualche tempo prima. All’inizio del 1982, alcuni membri di Via Mascagni attraversavano un periodo di insoddisfazione profonda, se non addirittura di crisi spirituale.

Racconta[45] Carla Sueri, una delle persone che diedero vita alla comunità: “A quel tempo provavamo un forte senso di vuoto: dopo un culto, uscivamo dalla chiesa inappagati, come se non potessimo ricevere benedizioni o, piuttosto, come se quello che ricevevamo non fosse esattamente ciò di cui avevamo bisogno per la nostra crescita spirituale. Per caso, scoprimmo che vivevamo contemporaneamente le stesse esperienze”.

Insieme decisero di riunirsi una volta a settimana in casa di una di loro, Rosina Di Gregorio, per pregare e leggere la Bibbia, per parlare insieme dei problemi e delle aspettative di ciascuno, e continuarono a vedersi regolarmente per circa un anno. Continua Carla: “Avevamo in comune il desiderio di crescere e vivere più concretamente la fede; ciò che ci spingeva ad andare avanti era senza dubbio molto forte e andava oltre ciò che noi pensavamo; infatti avevamo idee anche abbastanza differenti su certi argomenti”.

Nel gennaio 1983 partecipò ad una di queste riunioni Philiph Wiles. In quell’occasione egli invitò il gruppo ad aprire un locale di culto nel quartiere di Ognina, dove Carla e il marito, Ernesto Barnobi, si erano trasferiti da pochi mesi; in quella zona infatti non esistevano comunità; inoltre, altre famiglie  residenti  nel rione avrebbero potuto unirsi al gruppo. La modalità comune, allora, circa la localizzazione delle comunità, era definita ‘visione dei granai’ da una rivelazione spirituale che il pastore Wiles aveva ricevuto in forma di visione. Secondo lui, dalla comunità madre sarebbero dovute uscire, col tempo, delle comunità-granaio, dislocate nei vari quartieri della città perché la testimonianza fosse più incisiva. In questo modo erano già nate, nel passato, le comunità di S. Agata Li Battiati e di Via S. Cannizzaro, presenti in località geograficamente distanti l’una dall’altra. Le due comunità erano condotte da giovani pastori che, insieme a Wiles, fondatore dell’‘opera’, componevano il cosiddetto ‘Corpo Ministeriale’ di Via Mascagni, cioè un collegio di anziani che condividevano la responsabilità spirituale e il governo della comunità. Essi erano stati scelti da Wiles, che vedeva in loro dei validi elementi con cui condividere il ministero, e che li aveva presentati ai fedeli affinché pregassero per loro a titolo di approvazione e di conferma.

 

4. Una nuova comunità.

 

Alla proposta di Wiles, il gruppo di preghiera accettò di dar vita ad un’altra comunità a patto che, appena possibile, fosse loro mandato un pastore. Già dalla settimana successiva le riunioni si tennero in una casa nel nuovo quartiere e iniziarono le ricerche di un locale presso cui tenere gli incontri.

Il 3 Marzo 1983 Davide Ciaccio, uno dei giovani responsabili di Via Mascagni, si recò con Santo Cantarella, presso la cui casa ora avevano luogo le riunioni di preghiera, a vedere un possibile locale di culto in Via A. Caruso, 6. L’edificio era, evidentemente, adatto allo scopo poiché, appena quattro giorni dopo, fu versata la caparra per prenderlo in affitto. Iniziarono allora i lavori di ristrutturazione per rendere l’ambiente, fino ad allora deposito di una fabbrica di materassi, idoneo alle esigenze del gruppo. Come solitamente avveniva in questi casi, i lavori vennero eseguiti durante il tempo libero dai fratelli, aiutati da altri di comunità consorelle. Alla fine dei lavori, anche la famiglia di Vittorio Cantarella, che vi aveva partecipato attivamente, si unì al gruppo pioniere.

L’inaugurazione ufficiale della neonata comunità di Via Caruso avvenne il 4 giugno 1983; il giorno dopo, una domenica, ebbe luogo il primo culto nel nuovo locale: la predica, incentrata su Esodo 23,30, annunciava per la neonata comunità un futuro benedetto.

Ebbe così ufficialmente inizio la vita della nuova comunità. Ad occuparsi dell’organizzazione interna era Ernesto Barnobi. All’inizio si svolgevano solo due riunioni, cioè il culto domenicale (per la predicazione si alternavano vari anziani di Via Mascagni)  e una riunione di preghiera, mentre per lo studio della Bibbia si continuò a frequentare la chiesa madre per più di un anno.

La comunità interruppe comunque quasi subito le attività interne per collaborare con la comunità madre al montaggio, nel quartiere Monte Po, della ‘Tenda della Salute’ - un ampio tendone sotto cui ogni sera si svolgevano delle riunioni evangelistiche all’aperto, secondo l’usanza diffusa negli ambienti evangelici anglosassoni nell’800 - e per la visita alle comunità catanesi del missionario inglese Norman Meeten, uomo il cui esempio di umiltà e servizio ha da sempre toccato profondamente la vita della comunità. Originario di Bath, Meeten era stato presidente della Christian Union e predicatore nella scuola privata ‘Monkton Combe’, dove studiava per diventare un ministro della Chiesa Anglicana. Fu un prete anglicano per sei anni, dal 1959 al 1965 ma, come egli stesso afferma, la sua ‘conversione’ avvenne solo nel 1962, a Liverpool. Da quel momento maturò le posizioni teologiche che lo indussero ad abbandonare l’anglicanesimo. Con modalità simili alle origini della cellula di preghiera in Via Glauco, fondò a Barnstone, nei pressi di Liverpool, una fellowship, l’odierno ‘The Longcroft’. Philiph Wiles la visitò nel 1975 e invitò Norman  predicare a Catania. I rapporti che nacquero furono tali che nel 1978 il Corpo Ministeriale di Via Mascagni con una lettera nominò Norman anziano ex officio della comunità.

 

5. Piccole comunità crescono.

 

Il 29 ottobre 1983 ebbe luogo la ‘presentazione ufficiale’, da parte degli anziani dell’opera, di Davide Ciaccio quale pastore della comunità: i fedeli pregarono per lui perché Dio lo guidasse e sostenesse nel ministero.

Egli rivestiva dei compiti di responsabilità in Via Mascagni già dal 1980, ma la sua vocazione risale a molto tempo prima. Il pastore Wiles, infatti, quando Davide era ancora quattordicenne, aveva ricevuto da Dio una ‘rivelazione profetica’, secondo cui il ragazzo avrebbe ‘servito il Signore’, intendendo con ciò che si sarebbe dedicato pienamente al lavoro per Dio. Sedicenne, era stato affiancato a un pastore che curava la comunità di Via S. Cannizzaro; dal 1980 ne era stato il responsabile insieme ad un altro giovane, Enzo Paci, ma effettivamente la presenza di due guide lì non era più strettamente necessaria. Egli racconta: “Quando mi fu proposta da Wiles la conduzione spirituale di Via Glauco, sentivo già che il mio lavoro in Via Cannizzaro era concluso; anch’io avevo il desiderio di ‘qualcosa di più’, così accettai quasi subito”.

Iniziarono così a delinearsi con maggior chiarezza la struttura e la fisionomia della nuova comunità, e a regolarizzarsi le attività. Nel mese di Dicembre venne distribuita al vicinato una lettera di auguri per Natale da parte della comunità.

Una comunità nascente annota con gioia e commozione le date riguardanti i suoi primi passi, come fa una madre col suo bambino; una data molto felice è il giorno 8 aprile 1984, in cui la giovane Mimma Sotera ricevette il battesimo[46] in acqua, il primo della storia di Via Caruso, nella vasca da bagno in casa di Santo Cantarella, circondata dall’affetto dei fratelli[47]. La semplicità e la prosaicità, forse, dell’ambiente nulla tolgono alla grandezza dell’evento: una persona che confessa pubblicamente la propria fede in Gesù Cristo.

Pochi giorni dopo, il 13 aprile, i fratelli trovarono nella cassetta per le lettere un messaggio: “Cara comunità, siamo tre simpatizzanti e avremmo il desiderio di venire presso la comunità...”. Era stato scritto da tre amiche che abitavano nelle vicinanze della comunità, divenutene poi membri; in seguito, alle giovani autrici della lettera si unirono i rispettivi mariti. Nell’estate del 1986 il gruppo di Via Caruso organizzò anche una tenda di evangelizzazione in Via Teseo a Catania, a pochi metri dal locale di culto. Ogni sera vi si tenevano delle riunioni all’aperto in cui il messaggio predicato era per lo più incentrato sul soggetto di Cristo venuto sulla Terra per salvare l’umanità, e sulla necessità di tutti di accettare il Suo sacrificio per ottenere salvezza.

 

6. ‘Cristiani non a parole ma a fatti...’.

 

La comunità cresceva, anche numericamente, e sviluppava una fisionomia propria. Emerse da subito un carattere peculiare del gruppo: la voglia di vivere con genuinità e spontaneità i rapporti fraterni e le ‘cose del Signore’.

Per Davide Ciaccio non fu difficile tracciare un percorso da seguire insieme; racconta: “Scoprii presto che le mie aspettative e quelle dei fratelli di cui d’allora in poi avrei dovuto assumere la cura pastorale erano molto vicine. Davo grande importanza soprattutto al fatto di vivere la fede non come se appartenessimo ad un’istituzione, ma ad una famiglia, e ci tenevo che i rapporti interpersonali tra i membri della comunità fossero sinceri e saldi. Per questa ragione, in quel periodo erano molto comuni attività come le ‘agàpi’ in cui ci si ritrovava per mangiare insieme, o le ‘riunioni comunitarie’, in cui il dialogo costituiva l’elemento più importante”. Dopo un breve periodo di adattamento e conoscenza reciproca, infatti, erano pian piano venuti fuori quei motivi di insoddisfazione che avevano portato il gruppo iniziale al punto attuale. Durante le riunioni comunitarie si discuteva insieme e si cercavano nella Scrittura le risposte agli interrogativi di ciascuno. L’abitudine di incontrarsi per riunioni di questo tipo distingue tuttora la comunità. Commentava Carla Sueri in quel periodo: “Il Signore … ha permesso e voluto che ci conoscessimo profondamente gli uni gli altri anche per mezzo di riunioni e culti poco formali, ma guidati dal Suo Spirito”[48].

“Un altro aspetto molto importante”, continua Davide “era quello di voler vivere una spiritualità vera e non una religiosità sterile e improduttiva; sapevamo che la fede non doveva essere vissuta solo come un’esperienza personale e fine a se stessa, ma per gli altri; avevamo la consapevolezza di essere stati chiamati ad essere cristiani veri, ‘cristiani non a parole ma a fatti, impegnati in tutti i campi in cui vi è necessità di manifestare la luce di Cristo’[49]”. Appariva inoltre sempre più evidente la spinta a identificare la vittoria del cristiano con la libertà dal peccato, e non solo dalle malattie o dai problemi della vita quotidiana; a non considerare  la  sofferenza come qualcosa di esclusivamente negativo, ma come un’esperienza tramite la quale Dio può modellare il credente a propria immagine. Infine, “un altro aspetto basilare per me era il fatto di raggiungere il giusto equilibrio tra interiorità ed esteriorità: le realtà evangeliche fino a quel momento avevano predicato sobrietà e decoro, ed era giusto, ma non ha senso la bella facciata imbiancata se, dentro, il cuore non è altrettanto bianco; anteponevo perciò al decoro l’importanza della conversione come cambiamento di vita, che si riflette in tutti gli aspetti del vivere, anche in quelli più esteriori come l’abbigliamento o altro”.

Dalle discussioni durante le riunioni vennero fuori due tendenze abbastanza nette: una voleva una comunità che enfatizzasse il rapporto estatico con il divino, l’altra cercava una vita di fede dove la conversione come purezza di vita fosse la cosa più evidente. Il desiderio più grande del pastore era allora che l’esistenza di queste due anime nella comunità non rappresentasse un ostacolo per la vita spirituale, ma che ciascuno imparasse ad accettare l’altro senza giudicarne l’opinione. Negli anni si arrivò infatti, se non a delle conclusioni dottrinali comuni, di sicuro ad una convivenza basata sull’amore e sulla tolleranza. Soprattutto, venne enfatizzata sempre più la consacrazione totale di ogni credente nella predisposizione al sacrificio e al dono di sé.

 A ciò corrispose la nascita di un desiderio forte di essere di aiuto a chi si trovava in condizioni di disagio, di difficoltà, di indigenza. Era una voglia di impegnarsi per l’altro, che si manifestò nella pratica con l’organizzazione di attività di volontariato. visite agli anziani nelle case di cura e alle persone in ospedale; distribuzioni notturne, in collaborazione con l’Esercito della Salvezza, di coperte e un pasto caldo a chi viveva sulle strade. Era una voglia di condivisione che aveva la propria espressione nelle numerosissime agàpi di quel periodo.

In una di queste occasioni fu proiettato in comunità un film sulle condizioni delle popolazioni del terzo mondo; nacque così anche una lunga collaborazione con un missionario, il fratello Navarra, che prestava servizio presso un lebbrosario a Zinder, in Niger. Per potere aiutare economicamente quei popoli si cercò di non conformarsi alla mentalità consumistica, anzi di risparmiare, anche sul vestiario: risalgono ad allora le ‘bancarelle’ di abiti, usati ma in buone condizioni, che i membri portavano in comunità e scambiavano l’uno con l’altro; i capi che non trovavano nuovi ‘possessori’ venivano donati alle persone più bisognose.

 

7. Transizione.

 

Nel frattempo, erano avvenuti degli episodi di incompatibilità con la comunità madre. All’interno del Corpo Ministeriale erano nate due correnti distinte riguardanti l’enfasi data a certi aspetti dottrinali, soprattutto quello del battesimo nello Spirito Santo[50]: una, nettamente protesa verso tendenze pentecostali, identificava il segno delle lingue come la prova evidente della presenza dello Spirito Santo nel credente. L’altra, pur credendo e praticando il parlare in lingue, non lo considerava il contrassegno visibile della rigenerazione operata dallo Spirito Santo, in quanto attribuiva questa qualità specifica al ‘frutto dello Spirito', come è definito dall’apostolo Paolo in Galati 5,22. Quest’ultima era la convinzione che i responsabili delle comunità-granaio, che erano anche tra i componenti del Corpo Ministeriale di Via Mascagni, condividevano. Essi si distaccarono quindi dalla comunità madre nel 1986.

Conseguentemente al distacco, la posizione dottrinale della comunità dovette necessariamente essere definita. Furono fatte apposite riunioni in cui, alla luce dei principi dottrinali dei movimenti più diffusi, venne chiarita la motivazione della recente separazione, per ‘scrupolosità’ nei confronti del popolo, non sempre consapevole dell’entità di certi aspetti.

 

8. Difficoltà.

 

Contemporaneamente, la crescita numerica della comunità aveva fatto nascere il bisogno di cercare un edificio più vasto nelle vicinanze, che fu trovato in Via Glauco nell’estate del 1987 e fu inaugurato in settembre. Poco dopo essersi trasferiti nel nuovo locale, però, quasi metà dei membri lasciò il proprio posto in comunità per tornare in Via Mascagni, spinta anche dalle ormai evidenti differenze circa le reciproche posizioni dottrinali. Fu questo un momento di grande difficoltà, in cui i membri che rimasero si ritrovarono soli ad affrontare dei grandi problemi. La gestione di una comunità libera è per vari aspetti difficile: poiché non esiste alcuna istituzione superiore a cui fare riferimento, sono i membri stessi a dover sostenere gli impegni pratici (contratti di affitto, utenza dei servizi di erogazione di energia elettrica o acqua corrente). Per tutte le spese si attinge alla cassa comunitaria, alimentata dalle offerte dei membri.

Il nuovo locale, affittato per contenere il numero crescente di membri, comportava l’onere di una somma mensile non indifferente, che ora i pochi rimasti si trovavano a dover corrispondere. Molti posti di responsabilità erano vuoti a motivo dei fratelli che se ne erano andati. C’era da fare i conti col morale basso, che rendeva estremamente difficile andare avanti. Si sarebbero dovute riorganizzare le attività, puntando sulle potenzialità del gruppo rimasto ma i membri, scoraggiati dalle circostanze e con una grande ferita nel cuore, non riuscivano a far fronte alle pressanti esigenze della comunità; lasciarono quindi che tutte le responsabilità rimanessero sulle spalle del pastore. Questi, però, oltre alle responsabilità di guida spirituale, aveva adesso anche un proprio lavoro secolare, intrapreso nel 1985 per rispondere alle esigenze che la visione di una maggiore presenza nella società implicava. Adempiere ai propri compiti diventava quindi per lui sempre più difficile.

 

9. Ripresa.

 

La comunità continuò a trascinarsi per più di un anno in una condizione di mediocrità. Finalmente, nella primavera del 1989, il pastore corse ai rimedi perché sentiva avvicinarsi un punto di rottura.

In specifiche riunioni, alle quali partecipava anche il fratello Norman Meeten, Davide Ciaccio mise in chiaro le proprie vedute riguardo la propria chiamata e quella dei membri. Egli esortò i fratelli ad assumersi delle responsabilità, senza attendere per questo alcuna investitura da parte del pastore, presentando anzi come fondamentale l’aspetto vocazionale, che da allora è un punto fermo nella ricerca collettiva e singola dei credenti di Via Glauco. Si tratta della consapevolezza di appartenere al ‘corpo di Cristo’[51], come scrisse Paolo ai Corinzi, per la chiamata rivolta da Cristo stesso all’uomo, e non da un uomo ai propri simili; la conseguenza è la ricerca del compito                                       specifico affidato da Dio ad ognuno, per mettere a frutto quei talenti che Egli ha dato a tutti.

Si viaggerà da allora ancor di più verso l’ideale di un governo comunitario non gerarchico ma pluralistico; l’enfasi è grande sul fatto che non esistano talenti più preziosi o uomini più capaci di altri: è Dio che dà i talenti e le capacità, e “distribuisce i suoi doni a ciascuno in particolare come vuole”.[52]

Così ripresero le attività e le iniziative: Davide affermava in quel periodo “Dio ha parlato alla Sua chiesa, […] chiamandola ad una chiara risposta affinché non siamo un popolo di uditori ma facitori della Parola”[53]. Slancio e passione gradualmente crebbero negli anni seguenti, grazie anche alle proficue visite dei predicatori inglesi Norman Meeten e Keith Greener; il pastore olandese Mark De Jong propose uno studio sulla famiglia e l’educazione dei figli adolescenti. Ogni settimana la comunità si incontrava per delle riunioni di dialogo. Lo studio biblico e la preghiera acquistarono importanza: due volte alla settimana, la mattina, si svolgevano incontri di preghiera in casa; due fratelli visitavano i membri per pregare con loro. Accanto allo studio comunitario del venerdì e a delle specifiche classi di approfondimento, prese il via una nuova iniziativa: la ‘Sala di lettura’, in una stanza del locale dove era possibile leggere e consultare della letteratura cristiana e fare degli studi, personali o di gruppo. Nacque di conseguenza l’attività della ‘biblioteca’: iniziò con donazioni di libri da parte dei fratelli e, negli anni successivi, si sviluppò tanto da diventare indispensabile. Oggi comprende circa trecento titoli di opere di vario genere.

Il 18 luglio 1993 fu pubblicato un articolo della comunità sul quotidiano ‘La Sicilia’; diceva che gli evangelici “Vogliono testimoniare che c’è ancora chi pensa che è possibile salvarsi dalla presente bufera ed aprirsi a un mondo migliore.”

Via Glauco preparò anche delle evangelizzazioni all’aperto in P.zza Nettuno a Catania, in P.zza Castello ad Acicastello e, in collaborazione con altre chiese catanesi, una campagna evangelistica al Giardino Comunale V. Bellini di Catania, svolta nel maggio 1994. L’attività giovanile ebbe in quel periodo un forte impulso, grazie anche alle attività teatrali come la drammatizzazione nel ’93 di un racconto di C. S. Lewis, Le lettere di Berlicche, e la messa in scena nel ’94 di un lavoro sul razzismo, La pelle di Dio.

L’interesse per le persone disagiate spinse ad iniziative nuove, come la creazione di una specifica ‘cassa pro-assistenza’, l’adozione a distanza di due bambini indiani, e il ‘salvadanaio’, cioè l’impegno di risparmiare quotidianamente una piccola somma per potere, a fine anno, fare un ‘regalo di Natale’ a chi ne avesse bisogno. L’iniziativa, nata nel 1994, ha avuto un discreto ‘successo’e si ripete annualmente fino ad oggi.


Capitolo quinto.

La ‘parentesi’ Chiesa del Nazareno.

 

 

1. Contatti.

 

Nel 1988, alcuni pastori appartenenti a varie chiese evangeliche di Catania e diversi rappresentanti di Associazioni missionarie presenti sul territorio espressero il desiderio di stare insieme per avere comunione fraterna e per programmare insieme delle attività evangelistiche per la proclamazione della Parola di Dio. Iniziarono dunque a riunirsi mensilmente nella sede della Libreria Evangelica di Catania, in P.zza del Risorgimento, 6.

Col passare del tempo, il gruppo iniziale, di cui facevano parte anche Davide Ciaccio e Philiph Wiles, si ampliò gradualmente comprendendo anche rappresentanti di chiese non ‘libere’, fra cui Giovanni Cereda, pastore della Chiesa del Nazareno[54].

Davide Ciaccio e Giovanni Cereda instaurarono da subito una cordiale amicizia. I loro contatti si tradussero in saltuarie visite reciproche delle due comunità. A Natale, per esempio, si organizzavano talora feste ed occasioni d’intrattenimento come agàpi, recite, canti. La conoscenza reciproca andò avanti per molto tempo, anche se solo una parte dei credenti di Via Glauco raggiunse una più profonda confidenza con i fratelli ‘nazareni’.

 

2. Progetti di adesione.

 

Davide aveva da sempre ammirato gli scopi e l’organizzazione della Chiesa, e per quasi un anno aveva verificato silenziosamente le basi di una possibile integrazione. Solo alla fine del 1993 decise di proporre alla comunità di Via Glauco la possibilità di associarsi alla Chiesa del Nazareno.

La questione, accennata durante una riunione comunitaria, fu ampiamente discussa in seguito. Le motivazioni addotte da Davide si incentravano per lo più su aspetti di unità, dopo tanta divisione, di condivisione di vedute e di vastità di contatti, che avrebbero potuto solo giovare a Via Glauco. Per discutere esaurientemente l’argomento, Davide fornì ad ogni membro una relazione scritta sulla Chiesa del Nazareno, comprendente dei cenni storici, gli articoli di fede e l’organizzazione.

Fu deciso che si sarebbero svolte tre specifiche riunioni, durante le quali ciascun membro, dopo aver letto accuratamente la relazione e passato del tempo in preghiera, avrebbe potuto manifestare perplessità e chiedere chiarimenti circa la Chiesa; infine, avrebbe espresso il proprio parere a riguardo dell’eventuale adesione. Chi non avesse partecipato a nessuna delle tre riunioni, non esprimendosi neanche col responsabile, e senza fornire valida giustificazione, sarebbe stato considerato ‘non interessato’, e non sarebbe stato in seguito consultato. Con molta chiarezza, Davide affermò che solo un parere favorevole unanime sarebbe stato la condizione necessaria per l’adesione e che, dunque, se anche una sola persona avesse espresso parere contrario, l’adesione sarebbe stata rimandata fino a quando, e se, questa persona avesse cambiato idea. Davide non mancò di ribadire questi concetti anche nei tre giorni dell’assemblea, che furono il 12, 13 e 14 gennaio 1994. Inoltre affermò che, se dopo l’aggregazione la comunità si fosse sentita limitata nella propria libertà, si sarebbe senz’altro distaccata dalla Chiesa del Nazareno in qualunque momento.

Durante quelle riunioni, come si legge nel relativo verbale, parteciparono ed espressero il loro parere in totale 36 su 49 membri effettivi di Via Glauco.

Quell’occasione fu anche un modo perché la posizione dottrinale di Via Glauco fosse nuovamente delineata con chiarezza. La maggioranza dei fratelli manifestò delle perplessità circa il contenuto di tre articoli di fede in particolare, riguardanti il peccato originale, la differenza tra ‘santificazione’e ‘rigenerazione’ e il dono delle lingue, o glossolalia. All’interno degli stessi membri di Via Glauco non c’era stata, sin già dalla separazione da Via Mascagni, assoluta concomitanza d’idee, soprattutto a riguardo di aspetti carismatici come il dono delle lingue. Eppure la comunità aveva finora vissuto questa situazione con rispetto e amore.

Le differenze riscontrate non furono considerate motivi pregiudiziali all’adesione: i membri decisero pertanto di mettere per iscritto il loro pensiero, presentarlo alla Chiesa del Nazareno e verificarne la risposta e la disponibilità. Otto membri, compreso Davide Ciaccio, si riunirono il 17 gennaio per stendere la lettera che doveva evidenziare le divergenze ed esprimere la richiesta di aggregazione nel rispetto delle differenze.

 

3. L’ingresso.

 

Nella sua lettera alla comunità di Via Glauco, datata 5 febbraio 1994, l’allora DS (District Superintendent, Sovrintendente distrettuale della Chiesa del Nazareno), Salvatore Scognamiglio, si definiva ‘gioioso’ dell’intenzione di aggregazione di Via Glauco, e informava la stessa del fatto che la proposta sarebbe stata discussa all’interno del Consiglio distrettuale. La lettera comunicava anche la data in cui due delegazioni delle rispettive chiese si sarebbero incontrate per approfondire, come concordato, gli aspetti riguardanti le differenze dottrinali. Durante due incontri, preceduti da un notevole lavoro di ricerca e sintesi, ci si rese conto come le differenze, esclusa la questione del dono di lingue, fossero originate più che altro da un diverso modo di intendere e di adoperare alcuni termini. Il Consiglio distrettuale della Chiesa del Nazareno, riunitosi il 22 aprile, espresse dunque, grazie anche ai resoconti positivi sugli incontri delle delegazioni, parere favorevole all’aggregazione di Via Glauco alla Chiesa del Nazareno.

Alla riunione comunitaria di Via Glauco del 12 e 13 maggio, i fratelli che avevano partecipato alla delegazione si fecero carico di spiegare a tutta la comunità come stavano le cose. Ciò che aveva influito su di loro in modo più positivo era stata la grande ampiezza di vedute riscontrata nei rappresentanti della Chiesa del Nazareno. Con la massima serenità incoraggiarono dunque gli altri fratelli all’adesione, visto anche che qualsiasi dubbio sull’intolleranza nazarena era stato fugato dall’approvazione di questi all’aggregazione. Di nuovo ogni membro presente si espresse (stavolta 40 su 49) ed emerse che, pur con qualche riserva (ancora non del tutto scomparsa), la totalità della comunità si diceva favorevole all’adesione.

 

 

4. Cambiamenti nell’organizzazione interna.

 

Da chiesa locale libera, Via Glauco si trasformava in ‘chiesa locale della Chiesa del Nazareno’.

Essa inviò pertanto al Consiglio distrettuale della Chiesa del Nazareno i dati riguardanti la composizione e la situazione logistica della comunità. Giunse allo stesso modo il materiale necessario all’ovvia ‘conversione’ organizzativa: l’immancabile Manuale della Chiesa, con la guida relativa alle ‘Assemblee locali’ mai svolte prima; istruzioni per i verbali da archiviare, gli annuari da compilare, le votazioni da effettuare.

La struttura di Via Glauco prevedeva già, oltre al responsabile, un cassiere; in occasioni particolari, veniva designato di volta in volta un segretario per verbalizzare. Si svolgevano inoltre, condotte con serietà e competenza, attività di tradizionale importanza, come il culto domenicale, riunioni di preghiera e di studio biblico, incontri dei giovani e attività di insegnamento ai bambini dall’altrettanto tradizionale nome di Scuola domenicale.

La prima Assemblea annuale della Chiesa del Nazareno di Via Glauco si svolse il 7 ottobre 1994. Era presente il Sovrintendente Scognamiglio per supervisionare i lavori. Per prima cosa fu formato il Consiglio di Chiesa, composto dal Pastore, dal Segretario locale, dal Tesoriere locale, dai Presidenti locali dei Dipartimenti e da alcuni Consiglieri. Si dovettero infatti creare vari comitati o ‘dipartimenti’ (questa la terminologia vigente): Gioventù Nazarena Internazionale, o GNI; Associazione Missionaria Nazarena, o AMN; Ministero della Scuola Domenicale, o MSD, ognuno con relativa cassa, da amministrare a cura del Tesoriere Locale. Durante le Assemblee i presidenti dei comitati davano lettura delle proprie relazioni, riguardanti sia il lavoro svolto durante l’anno che le prospettive future del Dipartimento. Questa organizzazione si ripeteva, via via più complessa, a livello distrettuale, nazionale e internazionale. La nomina a dei compiti specifici si otteneva tramite una votazione a maggioranza, preceduta da candidature spontanee o proposte, che comunque l’interessato poteva sempre declinare. Era necessario, ad esempio, eleggere dei ‘delegati’ che rappresentassero la comunità locale all’Assemblea distrettuale.

Nella propria relazione, il responsabile sollevò l’annoso problema, evidenziato più volte in precedenza[55], di non potere assolvere, a causa del lavoro secolare che gli lasciava poco tempo a disposizione, al ministero pastorale con la dovuta concentrazione e dedizione. Vi si legge: “Nella comunità si evidenzia sempre di più la necessità di avere il pastore a tempo pieno o parziale”[56]. Fu affidato al Consiglio di Chiesa il compito di organizzare la risposta pratica della comunità. In una riunione comunitaria straordinaria, alla quale la famiglia pastorale non era presente, fu affrontato il delicato tema del sostentamento economico del pastore. Ogni membro fu invitato, tramite dei biglietti anonimi, ad esprimere il proprio parere sull’opportunità del sostentamento economico del responsabile, e ad indicare una somma minima. Questa sarebbe stata devoluta al pastore affinché egli potesse lavorare almeno part-time per dedicarsi meglio alla cura spirituale della comunità. Lo scopo ultimo era di raggiungere, in futuro, il traguardo del tempo pieno.

 

5. Integrazione e collaborazione.

 

Il 12 novembre 1994 è la data dell’Assemblea Distrettuale in cui Via Glauco entrò ufficialmente a far parte della Chiesa del Nazareno, e che sancì anche la divisione del Distretto italiano in due. Al Distretto del Sud Italia appartenevano le Comunità di Via Salvo D’Acquisto e Via Glauco a Catania e il punto di missione di Calatafimi (TP); quello del Nord Italia comprendeva allora le chiese di Civitavecchia, Paderno, Firenze, Sarzana, Cuneo e Moncalieri. La divisione sarebbe stata resa effettiva solo a febbraio 1995, quando si fosse chiuso l’anno finanziario. Con le nuove disposizioni, Salvatore Scognamiglio ricevette l’incarico di Sovrintendente del Distretto Nord, e Giovanni Cereda la nomina a Sovrintendente del Distretto Sud.

Davide Ciaccio allora era un predicatore distrettuale. Nel 1990, per la necessità che egli riscontrava di una buona preparazione teologica nel proprio compito di guida spirituale, aveva iniziato gli studi alla Facoltà Valdese di Teologia. Quando avesse completato il suo corso, sarebbe stato ordinato ufficialmente Pastore della Chiesa del Nazareno; fino ad allora egli avrebbe dovuto, ogni anno, chiedere che gli venisse rinnovata la licenza di predicatore distrettuale.

L’aggregazione non era passata inosservata nell’ambito evangelico, e chi non ne conosceva bene le motivazioni e i risultati mostrò di non averla compresa appieno. Per questo motivo, Davide Ciaccio inviò a tutti i pastori con cui era in contatto una lettera, in cui ne spiegava le motivazioni.

Egli era infatti molto attivo nelle relazioni con le altre chiese. In collaborazione con alcuni pastori, aveva fondato il Centro Culturale Evangelico ed insegnava alla ‘Scuola di Ministero’ di Catania[57].

 

6. Crescita della Chiesa.

 

In quel primo anno di appartenenza alla Chiesa del Nazareno le attività si susseguirono in modo frenetico.

Nonostante la poca familiarità dei nuovi entrati con le procedure nazarene, molti membri di Via Glauco si impegnarono attivamente, ben 13 di loro ricoprendo cariche distrettuali. All’interno della comunità di Via Glauco c’erano stati grandi cambiamenti, anche non strettamente legati all’aggregazione, come la nascita di una cellula di preghiera. Quest’ultima era localizzata ad Acicastello, in casa dei coniugi Zappalà, una giovane coppia della comunità che ospitava regolarmente alcuni conoscenti a cui testimoniava della propria fede nel Signore.

La prima Assemblea distrettuale del Sud Italia ebbe luogo il 25 novembre 1995 proprio nei locali di Via Glauco. Erano presenti, come ospiti, anche Enzo Paci e Rosario Longo, pastori rispettivamente delle comunità di Via A. Pacinotti e S. Agata Li Battiati. Visto il buon esito dell’esperienza di Via Glauco, essi contemplavano seriamente la possibilità della propria associazione alla Chiesa del Nazareno, effettivamente avvenuta dopo qualche mese.

Importante fu anche, in quel periodo, l’aggiunta di nuovi membri. Alcuni provenivano da altre realtà evangeliche: ad esempio, un gruppo di membri della comunità di Via Pacinotti, tra cui il responsabile, Enzo Paci, si unì ai fratelli di Via Glauco per condurre con loro un cammino di fede che ora li accomunava più che nel passato. Altri furono frutto di una campagna evangelistica, ‘Ognuno porti uno’, che aveva visto la comunità impegnata in un grande lavoro di testimonianza esterna. Oltre a questo, il gruppo dei giovani aveva mostrato un forte coinvolgimento nell’ambito della comunità: tre giovani erano stati battezzati e molti di essi avevano assunto degli incarichi anche molto impegnativi nella nuova struttura comunitaria. Un fortissimo stimolo venne loro dato dalla visita, nel giugno 1995, di un gruppo di Lavoro e Testimonianza (Work & Witness) proveniente dal Point Loma Bible College, istituto nazareno di S. Diego, California. Insieme a quei 15 studenti poco più che ventenni, Via Glauco portò a compimento un progetto ambizioso ma di grande importanza anche per il contesto sociale vicino alla comunità. Via Glauco è una strada senza sbocco; al termine di essa, separate da un basso muretto, si stendono le rotaie della linea ferroviaria, da tempo inutilizzate. L’area immediatamente prima del muretto era allora un vero e proprio immondezzaio: coperta di cespugli e buia com’era, era regolarmente frequentata da sbandati o da coppiette, con conseguenze facilmente immaginabili. Dopo che tutte le erbacce furono estirpate, il terreno venne scavato e livellato; fu costruito poi un secondo muretto, decorativo, e delle scale. Ciò favorì il passaggio delle persone residenti alle spalle delle rotaie, le quali erano solite prendere quella scorciatoia per giungere ai vicini negozi. Fu costruito uno steccato e furono piantati arbusti e piante: il risultato finale superava di gran lunga le più rosee aspettative. Alla fine dei lavori il vicinato fu invitato ad un culto d’inaugurazione all’aperto, davanti alla neonata aiola.

In inverno ebbero luogo, organizzati dalla Chiesa, una Conferenza evangelistica a S. Severa, Roma, ed un Convegno giovanile in Olanda. Alcuni membri di Via Glauco vi parteciparono, tra cui un giovane, Davide Cantarella: questi ed altri avvenimenti, non ultimo la proficua partecipazione alla ‘Scuola di Ministero’, fecero crescere gradualmente in Davide il desiderio di andare in missione e di frequentare un College biblico.

 

7. L’anno 1996.

 

Il 1996 fu un anno dall’importanza unica per la comunità di Via Glauco. Passò tra grandi dolori e grandi gioie.

Un gravissimo colpo fu la perdita di due fratelli: dopo atroci sofferenze, Filippo Di Prima morì di cancro in primavera. A giugno Benedetto Zappalà perse la vita in un gravissimo incidente stradale. Aveva 44 anni. La sua scomparsa mise a dura prova l’equilibrio della comunità stessa. Nonostante la consapevolezza che la morte in effetti era, per lui, l’inizio di una vita migliore ed eterna, la tragicità del fatto lasciò tutti profondamente turbati: Benedetto aveva due figli e la moglie, Angela, aveva saputo solo da pochissimo tempo di essere in attesa del terzo, mai nato. Per lei il colpo fu durissimo: sconvolta anche dall’estrema incertezza del proprio avvenire senza il marito, gradualmente si allontanò dalla comunità.

Benedetto e Angela ospitavano in casa propria la cellula di preghiera di Acicastello, che da qualche tempo si cercava di tradurre in una nuova comunità: era stato anche preso in affitto un piccolo locale in una zona centrale del paese. In una situazione estremamente difficile com’era quella in cui versava la comunità, non era semplice decidere cosa fare. Mai si sarebbero voluti vanificare gli sforzi di Benedetto rinunciando ad Acicastello, così alcuni membri di Via Glauco si impegnarono ad occuparsi del nuovo ‘punto di predicazione’, come allora la Chiesa lo definiva.

Tuttavia in quella triste occasione, una cugina di Benedetto, riconoscendone la genuinità della fede, si avvicinò alla comunità fino a condividerne con sincerità il cammino spirituale.

La comunità visse anche tanti momenti in cui gioì immensamente con chi decise di testimoniare pubblicamente la propria fede scendendo nelle acque battesimali. Due giovani, Salvatore Scinardo e Letizia Cantarella, si sposarono nell’agosto 1996; il loro fu il primo matrimonio della comunità. Pochi giorni dopo Davide Cantarella, fratello di Letizia, partì per Buesingen, in Germania, per frequentarvi un College biblico nazareno, in risposta alla propria visione missionaria.

Tuttavia, in questo periodo Davide Ciaccio notava con rammarico il chiaro delinearsi, all’interno della comunità, di un gruppo portante e profondamente impegnato, opposto ad un altro che, invece, viveva “ai margini della comunità”; si augurava pertanto di vedere presto “la comunità al cento per cento vivere nella vita dello Spirito”[58].

 

8. Modalità e motivazioni del distacco.

 

Davide Ciaccio, pur avendo concluso i propri studi teologici, non era stato ancora ufficialmente ordinato Pastore; anzi, per tutto il 1996 la comunità inviò delle raccomandazioni ai Sovrintendenti superiori per sollecitare il riconoscimento delle credenziali di anziano di Davide all’interno della Chiesa del Nazareno. Queste raccomandazioni avrebbero dovuto trovare risposta in occasione dell’Assemblea distrettuale del 30 Novembre 1996, quando Davide sarebbe stato ordinato Pastore.

L’Assemblea ebbe luogo in Via Salvo D’Acquisto; i lavori iniziarono il sabato con i convegni dei Dipartimenti, durante i quali sarebbero state lette le relazioni dei Presidenti locali di ciascun Dipartimento e discusse le proposte da avanzare all’Assemblea vera e propria, prevista per l’indomani.

I membri del Consiglio di Chiesa di Via Glauco avevano preparato delle mozioni da presentare all’Assemblea, in cui lamentavano la mancanza di contatti e di comunione tra i due distretti, e dicendosi convinti che ciò andasse “a scapito dell’unità della Chiesa del Nazareno in Italia per non dire della Chiesa stessa, ed anche di un proficuo arricchimento dato dalla diversità dei ministeri e dei doni che pur esistono nella Chiesa del Nazareno in Italia[59]”. Lasciavano quindi all’Assemblea il compito di promuovere degli incontri per il superamento dei problemi relativi: il neonato Distretto del Sud-Italia lamentava evidenti problemi ed insufficienze, allora attribuiti all’incertezza dovuta all’inesperienza. Per riflettere sull’efficacia del lavoro svolto, veniva proposto un congresso per gennaio 1997 dal titolo “Lo stato e le prospettive a breve ed a medio termine del distretto Sud-Italia”, i cui scopi principali dovevano essere: fissare le unità governative (pastori e Consiglio Distrettuale); dimensionare gli organi operativi (Comitati, Enti, ecc.); delineare la politica di collegamento tra le comunità componenti il Distretto, di sviluppo dello stesso e di rapporti con l’esterno (altre denominazioni, Cattolici). Altre mozioni presentate dal Consiglio Distrettuale all’Assemblea riguardavano l’ordinazione a Pastore di Davide Ciaccio, il rilascio della licenza di predicatori distrettuali per Enzo Paci e Rosario Longo, e il prolungamento delle cariche distrettuali da annuali a biennali.

In vista dell’ordinazione a Pastore, prima dell’Assemblea Davide Ciaccio aveva dovuto compilare e firmare dei moduli in cui gli si chiedeva se aderisse pienamente alla dottrina della Chiesa. Egli fece presente che l’adesione di Via Glauco era avvenuta secondo particolari modalità proprio riguardanti la posizione dottrinale della comunità e la pratica della glossolalia, e che questa non era cambiata da allora.

All’Assemblea, la mozione per la sua ordinazione a Pastore non fu accolta, per motivi di non assoluta conformità dottrinale; rimandata la discussione in altra sede, l’ordinazione fu sostituita con la licenza di predicatore. Come conseguenza immediata, quasi tutti i membri di Via Glauco i cui nomi figuravano nella lista dei candidati a mansioni distrettuali, uscenti o proposti, ritirarono la candidatura. Quella bocciatura stava a significare, per Via Glauco, l’intenzione nazarena di un’assimilazione graduale della comunità, contraria ai principi iniziali di ‘convivenza nel rispetto delle differenze’. Le mozioni e i progetti vennero accantonati.

Con la speranza che l’evento fosse “da ricondurre ad una serie di equivoci” e che si giungesse al più presto a un chiarimento per poter continuare a lavorare insieme, il Consiglio di Chiesa di Via Glauco inviò esauriente documentazione sulla modalità dell’adesione e degli ultimi avvenimenti alla chiesa centrale in Kansas City affinché il problema sorto trovasse una soluzione. Intanto la comunità esaminò il problema come era solita fare: con una riunione di dialogo comunitario, dove fu chiaro che l’annessione, come la intendeva la Chiesa, non sarebbe mai avvenuta. Per tutta risposta, alcuni responsabili territoriali della Chiesa, in visita a Catania come predicatori, confermarono di aver confidato in una completa assimilazione, che non escludeva la sospensione della pratica del dono delle lingue.

Via Glauco sapeva che, qualora si fosse sentita sopraffatta nella propria identità, sarebbe tornata sui propri passi, e così fece. Si distaccò dalla Chiesa del Nazareno nei primi mesi del 1997.

Per conoscenza, Davide Ciaccio inviò ai pastori una seconda lettera che li informava dell’avvenuto distacco. I rapporti fra le due chiese, comunque, continuarono, in virtù dell’appartenenza di entrambi i pastori Cereda e Ciaccio al Comitato pastorale di Catania.

 

 

 

 


Capitolo sesto.

Consolidamento.

 

 

1. Struttura interna: dai ‘dipartimenti’ai ‘settori’.

 

Riprendersi, dopo il distacco dalla Chiesa del Nazareno, non fu facile per la comunità di Via Glauco. Quel che restava del cammino comune non era molto, ma non era di poco conto: la permanenza in Germania del giovane Davide Cantarella per la propria formazione spirituale; il grosso impegno di mantenere il locale di Acicastello, che le comunità catanesi avevano preso contando sull’appoggio economico che l’organizzazione forniva loro per le opere missionarie, e che Via Glauco aveva voluto continuare ad assumersi.

La traccia più evidente del recente passato è l’organizzazione interna. La struttura che per circa tre anni aveva caratterizzato Via Glauco in quanto appartenente alla Chiesa del Nazareno, si era rivelata fruttuosa per il decentramento amministrativo, soprattutto per l’organizzazione di attività come quelle missionarie o giovanili. Essa fu dunque mantenuta all’interno della comunità, anche se certi aspetti subirono delle modifiche.

Nel corso di tre serate comunitarie, svoltesi dal 9 al 11 settembre 1997, Davide Ciaccio suggerì nuove disposizioni per il proseguimento dell’opera. Innanzi tutto, riprendere a svolgere gli impegni essendo giustificati da un’attitudine di volontarietà e disponibilità. Meglio ancora, per scoprire o verificare la vocazione di ciascuno. Ogni membro avrebbe dovuto avere la consapevolezza del servizio, la maturità di comprendere se fosse o no nel posto giusto ed, eventualmente, l’umiltà di riporre l’opera svolta nelle mani di chi dimostrasse maggiori iclinazioni per quel lavoro. Delle votazioni si sarebbe di nuovo fatto a meno, tranne che nei casi in cui fossero state ritenute indispensabili.

La struttura nazarena fu convertita in una serie di ‘settori’ riguardanti tutti gli aspetti della vita comunitaria, ciascuno dei quali avrebbe avuto un responsabile e dei collaboratori. Questi gli otto settori proposti: la cura pastorale, l’amministrazione, i giovani, l’insegnamento, la musica, le cellule di preghiera in casa, le missioni e l’evangelizzazione, la segreteria e i rapporti con l’esterno. Importante, all’interno di ciascun settore, doveva essere la ‘riproduzione’ della vocazione del leader nei riguardi dei compagni di lavoro; ciò allo scopo di favorire il sorgere di ministeri. I responsabili dei settori e il pastore si sarebbero incontrati periodicamente per l’organizzazione della vita comunitaria. Tutto ciò avrebbe permesso a Davide Ciaccio di avere più tempo per dedicarsi alla cura pastorale.

La prima preoccupazione, in ordine di tempo, dei settori fu quella di darsi un’organizzazione cosciente dei bisogni e delle aspettative della comunità: i primi quattro incontri dei responsabili furono dedicati, fra l’altro, ad un ‘corso di organizzazione personale e collettiva’.

L’obiettivo primario dietro qualsiasi forma di struttura interna restava il raggiungimento di un governo comunitario collegiale, un gruppo di anziani e diaconi secondo l’ideale neotestamentario. Nell’idea originaria, infatti, i settori non avrebbero dovuto avere una funzione unicamente organizzativa, ma si sperava che potessero essere il trampolino di lancio perché altri, oltre a Davide Ciaccio, arrivassero alla consapevolezza di una vocazione per la condivisione delle responsabilità. Questo concetto fu chiaramente espresso non solo nel corso delle riunioni comunitarie, ma fu anche un Leit-motiv nelle riunioni dei responsabili di settore. Essi insomma sarebbero dovuti pervenire, col tempo, a una certa chiarezza riguardo la propria vocazione, e lavorare in vista di divenire delle guide spirituali per la comunità.

In questo contesto, per l’attività di cura spirituale svolta costantemente nel corso di tanti anni, Carla Sueri fu dichiarata ufficialmente diaconessa: durante un culto domenicale il popolo pregò per lei a mo’ di approvazione e gratitudine a Dio. La comunità non ama i titoli, e quest’evento fu precisamente il riconoscimento del servizio di diaconia svolto da Carla.

 

2. Esito dei ‘settori’.

 

        All’inizio, i settori ebbero una partenza entusiastica, ma col tempo si è potuto assistere ad un calo, sia nell’impegno pratico che, soprattutto, nel raggiungimento dell’ideale vocazionale.

        Il gruppo è fatto di persone che vogliono servire Dio e la comunità, ma c’è bisogno di qualcosa di più: c’è bisogno che la responsabilità sia condivisa, e che la comunità approvi chi riveste compiti di guida. Non è indispensabile l’intervento del pastore nell’organizzazione del singolo, perché ogni responsabile, in quanto conoscitore della comunità nella stessa misura del pastore, dovrebbe poter agire autonomamente nel rispetto della chiamata, propria e della collettività. Quando avesse chiari la visione e l’indirizzo, ciascun responsabile dovrebbe prendere in mano una ‘fetta di comunità’.

        La caratteristica della comunità, di non ‘appioppare’ compiti e di basarsi sulla volontarietà, d’altro canto, comporta forse il rischio che il popolo non venga spronato abbastanza a muoversi; che, troppo abituate alla comunità, le persone non arrivino a comprendere che occorre ‘qualcosa di più’. La situazione comunitaria è tale che coesistono un gruppo portante (responsabili e collaboratori per l’appunto) ed una maggioranza che resta ai margini. La carenza di persone che ‘facciano’ spinge i primi ad assumersi quei compiti che altrimenti nessuno farebbe. Gli impegni di chi sta in prima linea, dunque, sono tali e tanti che è quasi inevitabile che qualcosa ci vada di mezzo – fatalmente, l’elemento più importante: la vocazione. Le attività tradizionalmente svolte all’interno della comunità hanno subito, negli ultimi anni, un ridimensionamento. I credenti sembravano essersi ripiegati su se stessi, aspettando tempi migliori.

Del gruppo iniziale di responsabili, due persone hanno dichiarato di aver maturato la consapevolezza della chiamata. Gli altri continuano a lavorare in ogni caso, perché considerano il servizio un aspetto basilare della vita cristiana, e per non privare la comunità di un elemento organizzativo che ha comunque una grande importanza. Inoltre perché, col tempo, la chiamata potrebbe maturare. Le guide spirituali della comunità, dunque, sono ancora, in parte, latenti.

 

3. Lo Statuto: un progetto.

 

Durante la riunione dei responsabili dei settori del mese di gennaio 1998 si affrontò, non per la prima volta ma stavolta con maggior serietà, l’argomento dell’opportunità di definire ufficialmente l’identità della comunità e il suo rapporto con lo Stato. Si decise in quella sede di creare un comitato che formulasse delle indicazioni per la stesura di uno Statuto e se ne facesse portavoce nei confronti della comunità. Questo gruppo, formato da quattro persone, prese in esame innanzi tutto l’eventualità di aderire ad alcune Alleanze o Federazioni Evangeliche già esistenti, ma decise che sarebbe stato consigliabile entrare a farne parte avendo un’identità già stabilita. Vennero dunque esaminati gli Statuti di numerose Chiese, Associazioni ed Enti Morali per decidere il tipo di fisionomia da dare alla comunità e gli aspetti pratici da risolvere. Dopo la stesura di una bozza, i lavori furono interrotti per studiare la Circolare del Ministero delle Finanze, emanata in data 26 giugno 1999 e avente per oggetto le disposizioni riguardanti le ONLUS (Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale). Nell’autunno 2000 la bozza creata è stata ripresa ed è attualmente studiata da un nuovo comitato, stavolta composto da dieci persone, in particolare il pastore, un rappresentante di ogni settore, due fra i membri fondatori ed altri due membri effettivi.

 

4. Attività esterne: Acicastello.

 

Il punto di missione di Acicastello[60] è, geograficamente, abbastanza vicino a Via Glauco. La presenza evangelica nel paese è sempre stata molto esigua, talché Via Glauco vi ha svolto un’opera per certi aspetti pionieristica. Nel corso degli anni, le iniziative intraprese al servizio del paese sono state molteplici.

Il locale mantenuto dalla comunità fino a tutto il 2000 è sito in Via Manganelli, 14. All’interno si svolgevano riunioni di preghiera, di culto, incontri di giovani, discussioni su argomenti di etica ed attualità (alcuni soggetti: ecologia, libertà, lavoro, eutanasia).

Un’attività esclusivamente estiva era il ‘Cocktail House’, variazione sul tema dei Coffee Houses anglosassoni. Il locale, arredato per lo scopo con tavolini e sedie, fungeva da luogo di ritrovo informale, dove agli ospiti venivano offerti gratuitamente bibite analcoliche, gelati, dolciumi, insieme ad un intrattenimento musicale o, più di rado, teatrale. I fratelli e le sorelle, in queste occasioni, si ‘improvvisavano’ camerieri, barman, lavapiatti.

Sempre in estate, nella piazza centrale sono state svolte evangelizzazioni ed attività culturali. Nel ’97 si è tenuta una Mostra della Bibbia in collaborazione con la Società Biblica Italiana (SBI), che ha fornito il materiale per l’esposizione (pannelli, fotografie, Bibbie in lingua italiana e in lingue straniere, edizioni scientifiche e riproduzioni anastatiche di testi antichi) e le dispense per la preparazione del personale. Essa illustrava la storia del testo biblico ed offriva ai visitatori l’opportunità di una maggiore familiarità con esso. Poiché molti visitatori, interessati, chiedevano se fosse possibile acquistare i testi, l’anno successivo la comunità ha organizzato una mostra-vendita di letteratura cristiana, grazie stavolta all’aiuto della Crociata del Libro Cristiano (CLC). La collaborazione con la Società Missionaria Evangelica Italiana (SMEI) e con Nepal Leprosy Trust ha portato invece, nei due anni successivi, all’organizzazione di un mercatino di artigianato nepalese, oggetti fabbricati da persone guarite dalla lebbra dopo le cure ricevute nel lebbrosario di Lalgadh in Nepal.

Sono stati presi dei contatti con le prime personalità civiche del paese e con gli assistenti sociali, in quanto il lavoro che si intende fare va un po’ oltre le tappe tradizionali. Durante alcune riunioni di preghiera, infatti, tramite il carisma spirituale della profezia[61], Carla Sueri comunicò che l’opera ad Acicastello non avrebbe incarnato le caratteristiche che ciascuno, secondo l’immaginario collettivo evangelico, si aspettava che avrebbe avuto.

Nella primavera del 1999, un membro di Via Glauco, Roberto Rizzo, ha portato a termine un progetto molto importante per la penetrazione nel tessuto sociale del paese; per un approccio migliore, soprattutto il meno invasivo possibile. Dopo accurate ricerche, ha redatto un testo, ad uso della comunità, dal titolo ‘Acicastello. Storia, leggenda, poesia e…altro’. Roberto ne descrive, nella premessa, lo scopo, cioè “concentrare tutti gli sforzi per conoscere in profondità le persone che vivono la loro quotidianità su questo territorio…perché nacque in me forte il desiderio di conoscerli profondamente per meglio comprenderli, affinché potessi annunciare loro la Buona Novella.

Tuttavia, l’impegno della comunità ad Acicastello non gode della partecipazione di tutti i membri: nonostante i ripetuti appelli a una maggiore sensibilizzazione, una parte della chiesa è rimasta estranea all’attività. Ciò ha avuto delle conseguenze riscontrabili anche dal lato economico, tant’è che, per le difficoltà nell’affrontare le spese, si è reso necessario un ridimensionamento del lavoro, per cui la comunità farà a meno del locale ad Acicastello dal mese di marzo 2001.

     

5. Attività esterne: le missioni.

 

L’aspetto missionario all’interno delle comunità è stato presente sin dall’inizio; in particolare, le visite del missionario inglese Norman Meeten, il quale da diversi anni visitava regolarmente i paesi dell’estremo oriente, in particolare India, Nepal, Singapore, fornirono alle attività un notevole incremento. La comunità contribuì infatti, tramite i contatti di Norman, alla costruzione di un lebbrosario a Lalgadh, nel sud del Nepal, all’adozione a distanza di diversi bambini e al sostegno economico di alcuni missionari locali. Da allora Norman Meeten ha visitato regolarmente le comunità catanesi seminando in alcuni membri l’interesse per la missione.

Il settore ‘Missione ed evangelizzazione’, attivato già durante il periodo nazareno, è di certo uno dei più importanti della comunità, in quanto la rappresenta all’esterno. Enzo Paci ne è stato il responsabile per circa tre anni; in seguito ha sentito l’urgenza di dedicarsi al ministero itinerante, che considera la propria specifica vocazione. Uno degli scopi primari, come più volte espresso dal capo-settore nelle relazioni alle riunioni comunitarie, è quello di non fermarsi ad una conoscenza del problema della missione in senso lato e dei missionari, ma che molti possano entrare nel vivo del ‘grande mandato’, cioè “andare per tutto il mondo e predicare il Vangelo ad ogni creatura” (Marco 16, 15).

Per un periodo di circa un anno, oltre ad Acicastello, alcuni membri di Via Glauco hanno svolto opere di evangelizzazione nelle località di Randazzo e Caltanissetta. Per difficoltà più che altro logistiche, le attività sono state sospese e i contatti lasciati ad altre realtà evangeliche maggiormente presenti in zona.

Per un po’ di tempo, alle missioni è stata dedicata mensilmente una riunione specifica in chiesa tra quelle di preghiera infrasettimanali; in seguito essa è entrata a far parte del progetto delle cellule di preghiera in casa.

Le attività che la comunità sponsorizza, sono molteplici: oltre a incrementare un’apposita cassa per le missioni e a riempire annualmente alcuni salvadanai, i membri sostengono due bambini indiani che hanno adottato a distanza, più Bablù, piccolo nepalese di cui si occupa unicamente la cassa della Scuola domenicale. In passato, infatti, le offerte raccolte durante tutto l’anno scolastico dai bambini della Scuola Domenicale erano poi utilizzate per dei regalini utili ai bambini stessi della Scuola. Dal 1997 i bambini hanno invece deciso di aiutare, nel loro piccolo, chi sta peggio di loro. Così, grazie ai contatti del settore Missioni, hanno adottato Bablù. Quando le entrate non sono sufficienti per la copertura dell’importo necessario, si ricorre al ‘Momento dolce’, cioè una vendita di dolci fatti in casa, che puntualmente completa e fa anzi sovrabbondare la busta per Bablù.

 

6. Un nuovo orizzonte: il Nepal.

 

Dopo diversi episodi isolati e individuali di esperienze missionarie, nel 1997, da un’idea di Davide Ciaccio ed Enzo Paci, nasce la S.M.E.I. La Società ha coordinato e intensificato i rapporti fraterni in altre nazioni e, in particolare, ha concretizzato la presenza di Via Glauco in Nepal, dove alcuni missionari inglesi avevano iniziato un’opera con la costruzione di un ospedale per i lebbrosi, alla cui costruzione Via Glauco partecipò economicamente.

Solo nell’autunno del ’98 fu organizzato il primo viaggio per andare a visitare quel lebbrosario, per vedere l’opera e incoraggiare i missionari impegnati. Per i membri della comunità che parteciparono, il viaggio fu fonte di esperienze spirituali ma anche di consapevolezza sociale: incontrarono molte persone e visitarono luoghi prima d’ora visti solo in TV o di cui avevano solo sentito parlare. I viaggi avvennero tramite aereo, auto, bus, a piedi, in jeep, non sempre sicuri e confortevoli. Nel 1999 si organizzò il secondo viaggio in Nepal, di tre settimane, e questa volta i contatti con le chiese ed alcuni missioni locali furono al primo posto. I fratelli visitarono persone nei villaggi, videro da vicino la vita all’interno dei quartieri poveri di Katmandu, visitarono una grande chiesa evangelica locale che conta più di 2000 membri, e una casa di accoglienza, il centro “Bishram Griha” di Katmandu. Questa struttura, sorta nel 1998, accoglie donne nepalesi sottratte allo sfruttamento e alla prostituzione; vendute come schiave in India dai genitori, spesso dai mariti, molte di esse sono affette da AIDS. Il personale del Centro le cura ed insegna loro ad essere autosufficienti attraverso un lavoro. Per sostenere questa attività la SMEI ha adottato in varie occasioni  l’idea della vendita dei dolci; ad esempio, nel 1999 è stata più volte organizzata all’interno dello spaccio del carcere di Catania.

Nel 2000 è stato organizzato il terzo viaggio, sempre di tre settimane, che ha racchiuso un più ampio raggio d’azione: sono stati visitati villaggi e chiese in differenti luoghi della nazione, condividendo la Parola di Dio, incoraggiando i leader delle chiese locali, incontrando anche i bambini che diverse famiglie italiane hanno adottato a distanza (attualmente i bambini adottati in Nepal sono ben 35). Poiché il Cristianesimo è illegale nel paese, durante quest’ultimo viaggio Enzo Paci e il fratello che lo accompagnava hanno rischiato di essere arrestati dalla polizia nepalese: il 28 ottobre, per puro caso, non hanno potuto partecipare ad una riunione cristiana nel corso della quale la polizia ha fatto irruzione nel locale arrestando i partecipanti e condannandoli a sei anni di reclusione.

 

 

 


Capitolo settimo.

La vita all’esterno di Via Glauco.

 

 

1. Collaborazione con gruppi internazionali.

 

Via Glauco è una delle moltissime (oltre centocinquanta) chiese evangeliche di varia estrazione denominazionale presenti sul territorio della provincia di Catania.

Nel corso degli anni sono state promosse alcune iniziative per una maggiore conoscenza e collaborazione fra le chiese stesse, ad esempio la campagna evangelistica alla Villa comunale di Catania del 1994 con la partecipazione del predicatore Gaetano Sottile, presidente dell’associazione Italia Per Cristo (IPC). Gli incontri, registrati, furono successivamente utilizzati per un  ulteriore progetto: per quasi un anno, le riunioni evangelistiche furono trasmesse la domenica mattina dall’emittente televisiva locale Videotre.

      Oltre a prendere parte alle iniziative promosse da IPC, ad esempio varie ‘Marce per Gesù’ o ‘Giubileo 2000’, Via Glauco e le altre chiese hanno spesso collaborato con i gruppi evangelistici itineranti ‘Cristo è la risposta’. Quest’opera mondiale iniziò negli Stati Uniti nel 1971, quando Bill Lowery, fondatore della missione, e la sua famiglia iniziarono a viaggiare con una piccola tenda attraverso gli U.S.A. Era il periodo della Jesus Revolution e molti giovani, delusi dalla vita che conducevano, trovarono una svolta per la propria vita nel servizio di Gesù, e diedero inizio ad un gruppo mobile permanente che, dopo un paio d’anni, fu in grado di inviare una cinquantina di missionari anche in Europa. Lo scopo prioritario della missione, oltre all’evangelizzazione, è infatti la formazione di discepoli che predichino il Vangelo fino all’estremità della Terra. Ci sono gruppi in Svezia, Finlandia, Olanda e Ucraina; dal 1975 il movimento è presente anche in Italia e, oltre alla formazione di un secondo gruppo nel nostro Paese, è stato in grado di fondarne altri in America meridionale e Asia minore. Il Gruppo svolge un’attività evangelistica itinerante spostandosi per la penisola con un grande tendone (capace di contenere fino a 2000 persone) per le riunioni serali, oltre ai containers e alle roulottes dove i membri vivono; essi organizzano manifestazioni all’aperto di vario genere per la proclamazione del Vangelo (concerti, cortei, visite in ospedali, scuole, prigioni). L’aiuto sociale è esplicato anche attraverso il centro fisso del Gruppo per aiuto a tossicodipendenti situato nella Valle del Sele. La loro opera ha contribuito notevolmente a ché i rapporti fra le varie comunità di Catania divenissero più saldi.

 

2. Il Comitato pastorale di Catania.

 

I contatti periodici del Comitato pastorale a Catania sono nati nel 1988. I pastori coinvolti hanno sviluppato, con il tempo, una vera e propria associazione riconosciuta, il Comitato delle Chiese e Missioni Cristiane Evangeliche (CCMCE), sorto nel 1995. 

Da quella data, sono state promosse varie iniziative comuni; fra le più recenti, che hanno registrato la partecipazione pressoché globale delle chiese rappresentate, la riunione al Palacatania del 29 maggio 1999: un culto di adorazione, nel corso del quale è stata svolta la Santa Cena e a cui sono intervenuti l’allora Sindaco di Catania, on. Enzo Bianco e un delegato del Presidente della Provincia regionale di Catania, on. Nello Musumeci. Già nel 1997 l’on. Musumeci aveva ricevuto una delegazione di pastori e rappresentanti di associazioni evangeliche appartenenti al Comitato. Egli aveva definito l’invito “un atto dovuto, perché insieme, anche se con ruoli chiaramente diversi, lavoriamo tutti verso il raggiungimento degli stessi obiettivi, vale a dire il bene della comunità civile che rappresentiamo e serviamo”[62]. La più recente attività comune è stata un’evangelizzazione sotto una grande tenda in settembre 2000.

Il Comitato comprende attualmente dodici organismi, tra chiese e associazioni missionarie e culturali.

 

3. Altri contatti di Via Glauco.

 

Via Glauco, dal canto suo, manteneva già profondi rapporti con altre comunità: a parte quelle di S. Agata li Battiati e Via Cannizzaro (poi Via A. Pacinotti), con cui condivideva le origini ed organizzava le visite del fratello Meeten, particolarmente forti sono i rapporti con le comunità di Via Lucarelli a Bari, Via Napoli a Montesarchio (BN) e con la Comunità ‘Traguardo’ per il recupero dei tossicodipendenti a Terracina (LA).

I pastori delle tre comunità catanesi iniziarono negli ultimi anni ’80 a promuovere delle iniziative mirate ad una maggiore unità delle chiese locali, e successivamente allargarono la proposta alle altre comunità. Le riunioni sono verbalizzate: il primo incontro per discutere tali aspetti avvenne il 28 novembre 1987. Gli scopi erano così sintetizzati: scambi di visite ministeriali, costituzione di un gruppo di anziani comune per l’analisi di problemi importanti, costituzione di case editrici, giornali, campeggi; il tutto nel rispetto della piena autonomia di ogni comunità, che restava anche arbitra del grado di partecipazione al comitato stesso.  Fu anche deciso che il fratello Meeten sarebbe stato considerato, dalle tre comunità catanesi, alla stregua di un anziano. Forte era inizialmente la preoccupazione di evitare di acquisire un’identità che somigliasse ad una denominazione o, in ogni caso, di essere facilmente identificati come tale. A questo scopo, negli anni furono invitati alla collaborazione anche altri pastori, tra cui il pastore della Chiesa del Nazareno Giovanni Cereda e alcuni esponenti di una comunità a Palermo. Le riunioni si svolsero, per lo più con cadenza semestrale, alternativamente nelle varie città e, oltre ai resoconti delle attività di ciascuna chiesa, prevedevano un tempo per la preghiera e l’adorazione e il trattamento di un tema di comune interesse (ad esempio, ‘Il ruolo della donna nella chiesa e sue eventuali limitazioni’, ‘Maggioranza o unanimità nel governo della chiesa’).

Le tre comunità di Catania organizzarono, negli anni, anche dei convegni, per indicare le basi della loro linea di pensiero e incrementare la coscienza spirituale dei credenti.  Il primo, svoltosi nel 1991, aveva come titolo ‘Metodologie a confronto con le Scritture’; nel maggio ’92 fu la volta del convegno ‘Esaminando la voce profetica’; nel’93 un altro seminario su ‘Gli adolescenti’ fu condotto dal fratello olandese Mark De Jong in novembre, mentre Norman Meeten espose a giugno il tema ‘La missione’ e a dicembre ‘Il ministero dello Spirito Santo’; successivamente, durante la parentesi nazarena, Giancarlo Rinaldi relazionò su ‘Metodismo e santificazione’, mentre nel maggio ‘97 ebbero luogo due giorni di conferenza sul tema ‘La Riforma protestante. Lutero, Calvino, Zwingli’.

Più volte, nel corso dei loro incontri, i pastori affermarono l’esigenza di ufficializzare i rapporti e l’iniziativa stessa, con la sottoscrizione di un regolamento interno e la nomina di un coordinatore. Gli sviluppi sono stati la fondazione e l’adesione ad una vera e propria associazione.

 

4. La S. M. E. I.

 

La S.M.E.I., ideata nel marzo del 1997, nasce ufficialmente il 6 ottobre dello stesso anno. Come racconta il Presidente dell’associazione, Enzo Paci, “essa sorge da una forte convinzione interiore, dettata dal Signore e raccolta a sua volta dai soci fondatori, circa il bisogno di condividere la visione missionaria in mezzo alla Chiesa dei Signore, e di essere una risposta alla Sua istanza che diceva: «Pregate il padrone della messe che spinga altri operai nella messe» (Matteo 9:37,38). Avere una visione o essere missionari non ha a che fare solo con l’enunciazione di un messaggio, ma all’origine di tutto sta un’esistenza personale che ricalca le orme di Cristo, e che evidenzia il Suo carattere, i Suoi metodi, i Suoi scopi. Per questo la SMEI vuole avere anche una funzione, ove possibile, formativa nei confronti di quanti hanno la vocazione e la volontà ma non hanno quegli elementi basilari e conoscitivi che li mettano in grado di servire in modo consapevole e proficuo”.

I fondatori hanno voluto dedicare questa Società a Norman Meeten, in quanto questi rappresenta, per loro, un esempio vivente e un’ispirazione continua per quanto riguarda il lavoro missionario e il sentimento che deve accompagnare coloro che svolgono questo servizio.

La S.M.E.I. è partita inizialmente con un nucleo di soci fondatori che ammontava a quattro. Alla data della Terza Assemblea (maggio 2000) il numero dei Soci era di 99, di cui 43 Missionari e 55 Sostenitori, oltre al fratello Meeten, socio Onorario. Sono attivi 3 fondi: Fondo per il sostegno dei Missionari S.M.E.I. a tempo pieno; Fondo per le Adozioni a Distanza, che prevede una somma pari a £.350.000 annue per ciascun bambino (il numero dei bambini adottati è attualmente di 81, più un pastore nepalese, per sponsorizzare il quale occorrono £.1.800.000 annue); Fondo per la Costruzione o ristrutturazione di edifici evangelici adibiti ad opere socialmente utili. E’ stato attivato un Dipartimento per la Solidarietà che si preoccupa di intervenire, nei modi e nei tempi adeguati, per il soccorso umanitario con la raccolta e la distribuzione di viveri di prima necessità, in situazioni come terremoti, inondazioni, guerre, ecc.

La Società è rappresentata, in Inghilterra, in una Conferenza annuale mondiale, nella quale s’incontrano leader di Associazioni provenienti da tutte le parti del mondo. Recenti sono invece i contatti con l’associazione mondiale Christian Solidarity International (CSI) per la libertà di religione e l’aiuto ai credenti perseguitati.

Afferma Enzo Paci, presidente dell’Associazione: “Crediamo che l’aspetto ‘missionario’ rappresenti uno dei pilastri su cui poggia la vita della chiesa locale, e che non si possa prescindere dal grande mandato che Gesù Cristo stesso ha lasciato ai suoi discepoli, e quindi anche a noi. Se oggi possiamo essere d’aiuto e testimonianza in altre nazioni, e non solo in Nepal, se possiamo testimoniare praticamente l’amore di Dio al mondo lo dobbiamo grazie anche a coloro che hanno risposto in modo incondizionato alla vocazione loro rivolta dal Signore risorto”.

 

5. Altri contatti.

 

I rapporti di Via Glauco con le realtà evangeliche circostanti sono rappresentati, oltre che dalla partecipazione del responsabile al Comitato pastorale e di Enzo Paci alla SMEI, da una specifica lettera circolare che viene redatta e inviata trimestralmente a circa 70 indirizzi di chiese, missionari, associazioni in Italia e all’estero.

Di questo e di altri tipi di comunicazioni è responsabile il reparto segreteria della comunità, il quale ha il compito, fra l’altro, di informare e invitare le chiese a speciali incontri, come Riunioni missionarie, concerti, rappresentazioni teatrali, e di comunicare all’interno iniziative, appuntamenti, scadenze. Questa funzione è espletata anche da La Bacheca, il bollettino interno della comunità. L’idea, lanciata durante l’assemblea comunitaria annuale del settembre ’99, ha concretamente preso forma in occasione di una scampagnata e immediatamente dato i suoi frutti: il primo numero reca la data del 10 ottobre 1999.

 

 

6. L’insegnamento.

 

La formazione teologica è considerata molto importante all’interno della comunità. Nel 1995 i fratelli Davide e Daniele Ciaccio hanno fondato il Centro Culturale Evangelico e, nell’ambito di quello, la ‘Scuola di Ministero’, una scuola biblica interdenominazionale per la preparazione teologica dei singoli credenti, volta ad un più efficace lavoro nella chiesa locale. Vari pastori, appartenenti a diverse realtà evangeliche, vi hanno svolto, negli anni, compiti di insegnamento e amministrazione. Diversi membri di Via Glauco hanno frequentato la Scuola fin dagli inizi, e  molti hanno terminato il Corso quadriennale.

Altri membri hanno invece intrapreso un corso di studio biblico per corrispondenza del Corso Intensivo Teologico per Esterni della Chiesa del Nazareno.

Davide Cantarella, il giovane studente al College biblico nazareno in Germania, ha terminato il proprio corso quadriennale di studi in religione e missione nel giugno 1999. Al college ha conosciuto Tanya Araktcheeva, una studentessa moscovita. I due ragazzi si sono sposati nell’autunno 2000 e si sono trasferiti a Mosca, dove espletano attualmente il proprio servizio missionario.

 

7. Rapporti con la confessione dominante.

 

Nel 1988, una delegazione dei membri della vicina parrocchia di Via Messina proposero ai credenti di Via Caruso di intraprendere uno studio biblico comune. L’attività non ebbe seguito perché la proposta restò tale. Furono infatti svolti alcuni incontri di studio insieme, che però furono interrotti e non più ripresi.

Davide Ciaccio, nell’ambito dei propri studi teologici, ha intrapreso a frequentare un Master di ‘Vita cristiana’ presso l’Istituto Teologico S. Paolo di Catania.

 

8. L’ecumenismo.

 

E’ alle prime pagine degli Atti degli Apostoli che si guarda quando si vuole indicare il modello perfetto di Chiesa al quale aspirare. Ma, già dalle Scritture, andando avanti di poche pagine, si osserva come quel modello essenziale ed efficace si deteriorò presto, dovendo affrontare tutti i problemi legati ad una crescita abnorme; problemi che, in buona parte, si sono succeduti fino ai giorni nostri, e a cui  altri se ne sono aggiunti.

Il panorama mondiale delle Chiese cristiane si presenta oggi diviso in tre grandi blocchi: la Chiesa Cattolica, la Chiesa Ortodossa, la Chiesa Riformata. Nemici dichiarati nei secoli passati, i rappresentanti di queste Chiese sono oggi impegnati a lavorare insieme nel movimento ecumenico nel tentativo di sanare, almeno in parte, le ferite provocate dalle divisioni e potere così dare una testimonianza più fedele al modello indicato dal loro capo, Gesù Cristo. Tale modello parla di unità nello Spirito, di comunione di intenti, di diversità di doni messi al servizio dell’Evangelo, di solidarietà fattiva nei confronti del mondo bisognoso di giustizia. Questo non vuol dire che tutte le Chiese debbano essere uguali nelle strutture, nell’organizzazione, nelle capacità d’azione, nelle enfasi dottrinali.

La Storia ha tracciato solchi profondi, l’evoluzione tecnologica e le conoscenze scientifiche sperimentate ed acquisite hanno cambiato il nostro modo di vivere e di intendere la vita intorno a noi e sarebbe quindi illusorio pensare di ritornare al semplice e unitario modello della Chiesa primitiva. Occorre realisticamente pensare che, così come in una comunità locale ogni membro ha la sua funzione, così nel mondo ogni Chiesa, ciascun movimento, ogni comunità abbia il proprio ministero da mettere al servizio del Vangelo. Ognuno può e deve vivere la propria fede nell’ambito religioso che gli è più congeniale ma, senza disistimare gli altri, deve partecipare attivamente a quelle iniziative che, mettendo insieme i doni che Dio ha dato alla sua Chiesa, potranno con più efficacia annunciare il regno di Dio.

A Catania esiste un comitato ecumenico, di cui però Via Glauco non fa parte.

 

 


Capitolo ottavo.

Descrizione della comunità.

 

 

1. Membri.

 

Via Glauco è composta in totale da 121 membri ‘registrati’ di cui 66 sono effettivi e 55 catecumeni; almeno 30 sono frequentatori più o meno saltuari. La differenza tra ‘effettivo’ e ‘catecumeno’ è una scelta del singolo che, manifestando la volontà di essere effettivo, dichiara esplicitamente il proprio impegno e affetto nei confronti della comunità.

L’età media dei membri effettivi è di 35 anni; i membri più giovani hanno 22 anni, i più anziani 77. Dei 66 membri effettivi, 26 sono uomini e 40 sono donne. Fra le donne, 20 sono casalinghe, 4 sono pensionate, 4 studentesse; delle 16 che svolgono un lavoro, 6 sono collaboratrici domestiche, 6 sono impiegate, il resto lavora in proprio. Fra gli uomini, 6 sono pensionati, 2 sono missionari a tempo pieno, 1 è disoccupato; tra quelli che lavorano, 5 sono impiegati, 3 sono operai, 2 sono artigiani, il resto svolge un’attività commerciale in proprio. Due membri sono laureati, 25 sono diplomati, 15 sono in possesso della Licenza media inferiore; quasi tutto il resto dei membri è in possesso della Licenza elementare. 

I membri risiedono, nella stragrande maggioranza, a Catania, ma solo in pochi nelle vicinanze del locale di culto.

 

2. Settori.

 

I Settori in cui la comunità è divisa dal 1997 sono:

1) Cura pastorale e Diaconia, svolti soprattutto sotto forma di visite.

2) Giovani; questo settore mira a far pervenire i giovani alla consapevolezza della propria identità cristiana tramite la preghiera, studi biblici, discussioni, e a promuovere la comunione fraterna, anche nei confronti di giovani appartenenti ad altre realtà evangeliche.

3) Missioni ed evangelizzazione, comprende tutte le iniziative e i contatti volti a sviluppare la visione e le opere missionarie all’interno della comunità.

4)   Musica; è il settore più ‘presente’, nel senso che non c’è attività comunitaria che faccia a meno di momenti musicali. La musica è considerata un elemento indispensabile del culto, in quanto eleva lo spirito verso un’attitudine di adorazione e di questa costituisce un momento corale imprescindibile. I musicisti impegnati sono alla ricerca di uno specifico ministero, che nelle Scritture è riconosciuto, tra gli altri, ad Asaf, a Kenaniah e al re Davide (1 Cronache 15,19-22; 2 Samuele 2,1-4; 23,1).

5) Scuola biblica; consiste in classi di studio, principalmente per bambini ma, in passato, anche per adulti, queste ultime con lezioni in dialetto siciliano. Vengono insegnate storie del Vecchio e del Nuovo Testamento, che fungono da illustrazione per i più importanti insegnamenti dottrinali.

6) Segreteria; si occupa della redazione dei verbali di assemblea e delle riunioni dei responsabili, di aggiornare la corrispondenza, delle comunicazioni interne, dell’archivio comunitario, dell’aggiornamento dei nominativi e indirizzi dei membri. All’interno esiste un sotto-settore, la biblioteca, nastroteca e videoteca, che si occupa del prestito di materiale librario e audiovisivo dietro tesseramento mensile.

7)  Amministrazione: è un comitato che si occupa di gestire le finanze comunitare, del cui andamento deve periodicamente informare la comunità. Non è un ‘portafogli’, ma un occhio attento ai bisogni comunitari.

 

3. Finanze.

 

È possibile suddividere le casse in due tipi: ‘casse comunitarie’ e ‘casse di settore’; queste ultime corrispondono ai settori principali in cui è suddivisa la comunità; i responsabili propongono come impiegare i fondi, tuttavia l’Amministrazione approva in base alle esigenze più urgenti. Esse sono:

a)    cassa del settore Missioni, alimentata dalle offerte missionarie mensili, svolte la domenica o durante le cellule di preghiera, e dai ‘salvadanai’; il suo scopo è quello di dare un aiuto economico a vari fratelli o associazioni missionarie, e di ringraziare con un’offerta i fratelli missionari che vengono in visita;

b)   cassa del settore giovani, formata dalle offerte raccolte durante le riunioni; i giovani stessi decidono come impiegare al meglio la somma (negli anni hanno contribuito attivamente al progetto S.M.E.I. a favore dei bambini di Chernobyl e al mantenimento economico del locale di Acicastello).

c)    cassa del settore Scuola biblica, incrementata dalle offerte degli alunni e delle monitrici, con cui si sostiene Bablù, il bambino adottato a distanza.

d)   cassa del settore musica, alimentata dalle offerte dei membri stessi del settore per le piccole spese come libri o spartiti musicali;

e)    cassa della biblioteca, basata sul tesseramento mensile, con cui si acquista nuovo materiale audiovisivo e librario;

Le ‘casse comunitarie’ sono invece sostenute dalle offerte di tutti i membri della comunità:

a)  la cassa ‘comunitaria’ per eccellenza, quella di Via Glauco, beneficia soprattutto delle offerte  domenicali; da essa si attinge per pagare l’affitto, le varie utenze (luce, acqua, ecc.), i prodotti per la pulizia e di cancelleria e per le spese extra come, ad esempio, quelle per i progetti evangelistici.

b)   il salario pastorale; per sostenere questa cassa i membri si sono impegnati[63] a donare una somma minima mensile, un punto di partenza verso il raggiungimento del servizio a tempo pieno da parte del pastore.

c)    pro-assistenza, progettata per dare un piccolo aiuto a chi attraversa un difficile momento finanziario. Questa cassa si finanzia tramite offerte specifiche e si è rivelata anche un significativ o mezzo di testimonianza infatti, grazie ad essa, sono stati sostenuti sia fratelli sia conoscenti o vicini.

 

4. Attività.

 

Il Culto, svolto la domenica mattina, ha una struttura semplice e, all’occorrenza, stravolgibile. Gli ingredienti, in ordine di importanza, sono la Parola di Dio, generalmente condivisa sottoforma di predicazione, momenti di preghiera, lettura biblica e canto; saltuariamente viene svolta la Santa Cena, o la preghiera per i malati accompagnata dall’unzione (Giacomo 5,14-15); seguono l’offerta e gli annunci o comunicazioni comunitarie. La predicazione è in genere a cura del pastore, ma altre cinque persone condividono la Parola di Dio con i fedeli; per predicare non c’è bisogno di una specifica licenza, ma chiunque può trasmettere all’assemblea ciò che Dio gli ha rivelato circa le Scritture.

Per circa tre anni, il martedì sera sono state svolte le Cellule di preghiera nelle case. Inizialmente cinque, dislocate in altrettanti quartieri della città, più una ad Acireale, dove risiede un gruppo di credenti affiliati alla comunità, sono state oggi riassorbite dalla riunione generale di preghiera in Via Glauco. Esse sono state una valida occasione per migliorare i rapporti fraterni e l’esercizio dei ministeri, in un clima di spontaneità e familiarità. All’interno di questa attività si sono succeduti vari momenti: la ricerca della voce profetica, in cui si è cercato di analizzare il momento contingente e il messaggio specifico di Dio per la comunità; l’adorazione, con la condivisione della Santa Cena; la preghiera per gli altri, in particolare i non credenti o i malati; il ‘pensiero cristiano’, che identificava la linea della chiesa circa vari argomenti di etica o attualità; il ‘piccolo passo’, una sorta di confessione pubblica, ma nel senso di condividere con i fratelli un aspetto della vita in cui si riconosce di essere mancanti o di avere sperimentato una crescita con l’aiuto del Signore. Il venerdì sera ha luogo lo Studio biblico, il cui tema è scelto di volta in volta in base alle esigenze del momento comunitario.

Saltuariamente si tengono anche delle riunioni di dialogo, che negli anni sono state utili strumenti di comunione fraterna e benedizione divina, al pari delle agàpi.

La gestione interna della comunità comprende anche un turno di pulizia settimanale per i locali di Via Glauco. Alcuni fratelli inoltre si occupano di mantenere efficiente tutto ciò che richiede assistenza tecnica, ad esempio gli impianti elettrici o i bagni.


Conclusione.

 

 

Se è innegabile l’influenza anglosassone nella nascita e nello sviluppo della comunità religiosa fin qui analizzata, è altrettanto innegabile che gli aspetti caratteristici di una certa teologia inglese, come l’enfasi sugli aspetti dottrinali inerenti alla santificazione, la semplicità e spontaneità del culto, l’importanza di una vita ‘metodica’ e disciplinata di preghiera e lettura della Bibbia che traduce la comunione personale con il divino, siano stati rielaborati e rivissuti in modo personale dalla comunità catanese e, ciò che è più importante, da ogni singolo membro.

L’ascendente del protestantesimo inglese ed americano è sempre stata evidente soprattutto perché in comunità sono invitati a predicare ministri prevalentemente inglesi o americani (all’inizio la cerchia di conoscenze del fondatore, poi vari altri pastori conosciuti allargando quella stessa cerchia; successivamente i reverendi nazareni). I contatti sviluppati nel passato sono stati mantenuti da Via Glauco ed anzi, per certi delicati aspetti dottrinali che hanno avuto una parte fondamentale nella sua storia, quei contatti sono proprio la fonte cui attribuire quei tratti caratteristici di cui la comunità ha assunto progressivamente consapevolezza.

La scelta della Chiesa del Nazareno come denominazione cui affiliarsi rispecchia alcune caratteristiche del modo di sentire di Via Glauco. Oltre all’enfasi sugli aspetti psicologici e spirituali che afferiscono agli eventi della giustificazione e della santificazione, cardini della teologia wesleyana, la Chiesa è una confessione dichiaratamente ‘non fanatica’. La decisione di eliminare dal proprio nome la dicitura ‘pentecostale’ per non essere assimilata a quel ramo esageratamente ‘entusiasta’ del protestantesimo è, in fondo, simile a quella compiuta da Via Glauco nei confronti della chiesa da cui ha avuto origine. In questo modo, il gruppo prende le distanze dalla più recente teologia pentecostale, che sembra tendere verso l’enthusiasm[64] inteso come fanatismo religioso.

Possiamo a buon diritto considerare Via Glauco come una comunità di tendenze evangelicali2, soprattutto per quanto riguarda l’enfasi data a certi motivi dottrinali e la tendenza alla ‘transdenominazionalità’, il non ritenersi, cioè, gli unici detentori della verità. Un altro aspetto palesemente ‘evangelical’ di Via Glauco è il ruolo fondamentale attribuito al rapporto del credente con Cristo. Egli è accettato, come ricorre molto spesso nel linguaggio devoto dei ‘fratelli’, come ‘personale Signore e Salvatore’. Con l’approfondimento del concetto di ‘nuova nascita’, visto sempre più nella dimensione della ‘croce’, è stato dato molto più valore alla santificazione in tutti gli aspetti della vita, piuttosto che alle manifestazioni entusiastiche o all’aspetto cultuale fine a sé stesso, se non addirittura vissuto come momento esaltante, che ‘dà la carica’ per la settimana.

L’evangelicalismo respinge l’idea di equiparare la chiesa con un solo corpo ecclesiastico: la vera chiesa si trova dovunque l’Evangelo venga autenticamente predicato ed autenticamente ricevuto. Il fatto che Via Glauco abbia cercato una denominazione già esistente in cui potersi inserire ha avuto alla base la motivazione di non voler dare vita ad un’ennesima denominazione - l’appartenenza alla quale è un aspetto del tutto secondario. Secondo i credenti della comunità, il criterio per cui si è salvati non ha nulla a che fare con il gruppo o con la chiesa che si frequenta, ma con il fatto che uno abbia udito l’Evangelo e risposto favorevolmente ad esso. Gli aspetti, per così dire, ‘marginali’ rispetto alla salvezza, sono complessivamente opinabili, purché non si faccia dell’esperienza personale una dottrina. La preoccupazione maggiore della comunità è di essere, e rimanere, ispirata soltanto da una tradizione molto più antica e accreditata di quella riformata: lo stile di vita della chiesa primitiva e dei primi discepoli, che seguirono in ogni cosa le orme del Maestro.


Extract.

 

The English-speaking religious culture has undeniably exerted its influence on the beginning and development of the religious community analysed up to this point. Yet every member of it has personally experience of the typical aspects of a certain English vein of theology, that the Catanesi fellowship has acquired. Such aspects are the stress upon the doctrinal points concerning sanctification; the spontaneousness and simplicity of worship and, most of all, the importance conferred to a ‘methodical’ and regular prayer and Bible-reading life, which conveys the believer’s personal communion with the Divinity.

The fellowship’s component parts, aims and motivations will be described, as well as the distinctive features which are the result of its manifestly Protestant tradition, both the Magisterial one and the recent movements, especially those affected by Revivalism. In particular, the elements will be highlighted, which Via Glauco shares with the English and American Evangelical tradition.

The ascendancy of English and American Protestantism is an element, acquired by the fellowship even before its birth. The evidence of the preference for contacts of English extraction is given by the fact that the ministers who were invited to preach at the church were prevalently English or American.

The ‘affection’ goes on, intimately, by the deep assent to certain demands of a spirituality based solely on the spontaneous and genuine interiorization of the Gospel of Christ; objectively, by the involvement with the Church of the Nazarene, a confession of ‘Methodist’ origins, born in the United States, that the fellowship of  “V.G.” joined coming in touch, apart from many American preachers, with a great amount of literature of Revivalism.

The work starts from analysing the degree of penetration of the Protestant Reformation in Italy in order to provide the cultural base on which every Evangelical confession, except the Waldensian one, existing on the Italian peninsula, is grafted. The Protestant confessions, actually, are ‘imported’ mostly from the Anglo-Saxon (English or American) setting. Therefore, a short survey of the Reformation in England and of its evolution follows, which dwells upon the movements of Revivalism, as this is the closest matrix to the spiritual life and identity of the group of Via Glauco.

The way this Anglo-Saxon matrix produced, eventually, elaborations and transformations - that is, not passive copies – by the light of one’s personal experiences, is the topic of the second part of the exposition. What has been described is the ‘official’ fellowship line, but it does not prevent each member from retaining his own possible different position (Pentecostal, Nazarene, etc.) about the question. In other words, it does not prevent the various forms of theological thought that “V.G.” has represented during its life from coexisting. The fact that the group of “V.G.” looked for an already-existing denomination to become member of is explained by the choice of not wanting to create the umpteenth denomination.

The group of “V.G.” can quite rightly be considered as a fellowship of ‘evangelical’ tendencies - and nearer to the most recent Protestantism of the English school. The believers who gather there are conscious of being a unicum: the doctrinal beliefs they follow and, most of all, their way of ‘making a fellowship’, maybe are not unique, but undoubtedly rare. Above all, what is rare is managing with enforcing the ideas of respect and tolerance the Apostle Paul meant when he exhorted the faithful to welcome, instead of judging, one another (Romans 14, 13; 15, 7). These are the principles that the brethren of  “V.G.” try to follow, wanting to be inspired, in their faith life, only by a tradition much more ancient and trustworthy than the ‘Protestant’ one: that of the original church of the first disciples, who followed their Master’s footsteps in everything.

 

 

 

 


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S. Loria, ‘Evangelici alla Provincia’ in La Provincia di Catania. Organo ufficiale della Provincia regionale, XV/4, 1997, p. 36.

 

The Bible. Revised Standard Version, The British & Foreign Bible Society, 19772.

 

New American Standard Bible, Foundation Publication, Anaheim, California, U.S.A., 199511.

 

La sacra Bibbia. La Nuova Diodati, Brindisi, La Buona Novella Editrice, 1991.

 

Documenti conservati nell’Archivio della Comunità di Via Glauco, 8 (CT).

 

Verbali delle riunioni mensili del Consiglio di Chiesa della Comunità di Via Glauco: dal 09/01/1997 al 02/09/1997.

Verbali delle riunioni mensili dei responsabili di settore della Comunità di Via Glauco: dal 27/10/1997 al 21/09/1999.

 

Verbali delle assemblee annuali della Comunità, comprendenti le relazioni pastorali, le relazioni dei presidenti dei Dipartimenti e i bilanci finanziari: dal 1997 al 2000.

 

Corrispondenza varia con altre Comunità catanesi e italiane.

 

Circolari informative trimestrali: da ottobre 1996 a ottobre 2000.

 

Resoconti finanziari, ricevute di pagamenti: da marzo 1993 a dicembre 2000.

 

Articoli giornalistici sulla comunità apparsi sul quotidiano La Sicilia del 18/07/1993; 06/04/1999; 04/01/2001.

 

Locandine e depliant di iniziative socio-culturali promosse dalla comunità di Via Glauco.

 

Contratti di locazione locali di Via Glauco, 8 a Catania e di Via Manganelli, 11 ad Acicastello (CT).

 

La Bacheca – Bollettino interno settimanale della Comunità Cristiana Evangelica di Via Glauco, 8 (CT): a partire dal 10/10/1999.

 

Albo battesimi in acqua: da aprile 1984 a ottobre 1997.

 

Chiesa del Nazareno Cristiana Evangelica:

Verbale della riunione comunitaria del 12-14/01/1994 comprendente la relazione sulla Chiesa del Nazareno, durante la quale si discusse sulla possibilità dell’adesione.

 

Lettera di richiesta di ingresso indirizzata alla Chiesa da parte di Via Glauco.

 

Lettera di risposta del DS S. Scognamiglio, contenente comunicazione delle date per gli incontri di confronto dottrinale.

 

Verbale degli incontri della delegazione nazarena con una rappresentanza della comunità di Via Glauco per il confronto dottrinale.

 

Lettera con cui si comunicava l’accettazione di Via Glauco all’interno della Chiesa del Nazareno Cristiana Evangelica; richiesta di invio dati.

 

Verbali delle riunioni mensili del Consiglio di Chiesa locale: dal 11/10/1994 al 07/11/1996.

 

Annuari, bilanci, verbali delle assemblee distrettuali.

 

Copia della documentazione circa l’attività di Via Glauco all’Interno della Chiesa del Nazareno Cristiana Evangelica, inviata alla Chiesa madre di Kansas City, Kansas, U.S.A., per definire la posizione della Chiesa nei confronti della comunità catanese dopo la II Assemblea distrettuale del Sud-Italia.

 

Lettera di dimissioni della Comunità di Via Glauco dalla Chiesa del Nazareno Cristiana Evangelica.

 

Lettera di accettazione delle dimissioni di Via Glauco da parte della Chiesa del Nazareno Cristiana Evangelica.

 

 

 


Indice

 

  Errore. Il segnalibro non è definito.

 

Introduzione  4

 

Capitolo primo. 7Gli evangelici in Italia. 7

1. Origini antiche: i valdesi. 7

2. Repressione. 8

3. Il rinnovamento viene dall’estero. 8

4. Il Novecento. 9

5. Per una collocazione giuridica. 9

6. Confessioni, chiese, movimenti o sette?  10

 

Capitolo secondo. L’importanza della Riforma inglese. 13

1. Gli aspetti teologici. 13

2. Il Calvinismo in Inghilterra. 14

3. Il Metodismo. 15

4. I ‘Movimenti di Santità’. 16

5. Gli Evangelicals. 17

 

Capitolo terzo. Identifichiamo Via Glauco. 18

1. Comunità. 18

2. La Riforma. 18

3. I «risvegli»  19

4. I Pentecostali. 20

5. ‘Imitatori’ dei primi cristiani. 21

 

Capitolo quarto. Le origini della Comunità. 23

1. Un predicatore inglese. 23

2. Altri ‘testimoni’. 23

3. Alla ricerca di qualcosa di più. 23

4.

5.

6.

7.

8.

9.

 
2. Una nuova comunità. 24

3. Piccole comunità crescono. 25

4.  ‘Cristiani non a parole ma a fatti...’. 25

5. Transizione. 26

6. Difficoltà. 27

7. Ripresa. 27

 

Capitolo quinto. La ‘parentesi’ Chiesa del Nazareno. 29

1. Contatti. 29

2. Progetti di adesione. 29

3. L’ingresso. 30

4. Cambiamenti nell’organizzazione interna. 30

5. Integrazione e collaborazione. 31

6. Crescita della Chiesa. 32

7. L’anno 1996. 33

8. Modalità e motivazioni del distacco. 33

 

Capitolo sesto. Consolidamento. 35

1. Struttura interna: dai ‘dipartimenti’ai ‘settori’. 35

2. Esito dei ‘settori’. 36

3. Lo Statuto: un progetto. 36

4. Attività esterne: Acicastello. 37

5. Attività esterne: le missioni. 38

6. Un nuovo orizzonte: il Nepal. 38

 

Capitolo settimo. La vita all’esterno di Via Glauco. 40

1. Collaborazione con gruppi internazionali. 40

2. Il Comitato pastorale di Catania. 40

3. Altri contatti di Via Glauco. 41

4. La S. M. E. I. 41

5. Altri contatti. 42

6. L’insegnamento. 43

7. Rapporti con la confessione dominante. 43

8. L’ecumenismo. 43

 

 

 

Capitolo ottavo. Descrizione della comunità. 45

1. Membri. 45

2. Settori. 45

3. Finanze. 46

4. Attività. 46

 

Conclusione. 48

Bibliografia. 51

 

 



[1] G. Bouchard, Chiese e movimenti evangelici nel nostro tempo, Torino, 1992,  p. 8.

[2] V. Marano, I Cristiani Evangelici, in S. Ferrari e G. B. Varnier (a cura di) Le minoranze religiose in italia, Cinisello Balsamo (Milano), 1997, p. 83.

 

 

[3] Paolo Angeleri,  Non conformisti a Padova - Centotrentaquattro anni di metodismo nella città del Santo, Premessa. L’opera non è pubblicata, ma riprodotta in proprio per la circolazione interna della chiesa Evangelica Metodista, Corso Milano 6, Padova. Alcuni stralci sono disponibili sul sito internet http://digilander.iol.it/frankz/metodismo. htm

[4] G. Spini, I protestanti in Italia, Marchirolo (Varese), 1965, p. 5.

[5] Le dottrine del boemo Jan Hus (1371-1415) riprendevano le idee dell’inglese John Wyclif (1324-1384) e dei ‘lollardi’ - condanna della mondanità della Chiesa, autorità delle Sacre Scritture al di là della mediazione ecclesiastica - affermando il principio della superiorità della tradizione evangelica su quella dogmatica e disciplinare imposta dalle gerarchie ecclesiastiche, avanzando la tesi della disobbedeinza all’autorità che tradisce il messaggio evangelico. Hus fu bruciato vivo e i suoi seguaci repressi.

[6] D. Maselli, Breve storia dell’altra chiesa in Italia, Napoli, 1971, p. 22; V. Marano, I Cristiani Evangelici, in S. Ferrari e G. B. Varnier (a cura di), op. cit., pp. 66, 67.

[7] G. Tourn, Italiani e protestantesimo. Un incontro impossibile? Torino,  1997,  pp. 146-147.

[8] Parlare lingue straniere: si tratta di una particolare manifestazione, per la quale alcune persone vengono trasportate dallo Spirito Santo a ringraziare e glorificare Dio in una lingua a loro stessi incomprensibile.

[9] E. Stretti, Il Movimento pentecostale, Torino, 1998,  p. 27.

[10] Cit. da E. Stretti, op. cit.,  pp. 28; 58.

 

[11] S. Ferrari  e G. B. Varnier, Introduzione a  S. Ferrari  e G. B. Varnier (a cura di), op. cit., pp. 8-9.

[12] Ibidem, p. 10

[13] G. Bouchard, Premessa a AAVV, Chiese e Stato nell’Italia che cambia, Torino, 1998, p. 7.

[14] F. Margiotta Broglio, Il fenomeno religioso nel sistema giuridico dell’Unione Europea,in F. Margiotta Broglio, C. Mirabelli e F. Onida, Religioni e sistemi giuridici. Introduzione al diritto ecclesiastico comparato, Bologna, 1997, p. 94.

 

[15] S. Ferrari e G. B. Varnier, op. cit., vedi le sezioni riguardanti le singole confessioni; F. Margiotta Broglio, Il fenomeno religioso , cit., p. 217.

13 F. Margiotta Broglio, Il fenomeno religioso, cit., p. 125.

 

[17] G. Senin Artina, Introduzione a I nuovi movimenti religiosi, in S. Ferrari e G. B. Varnier (a cura di), op. cit., pp. 161-162.

15 F. Margiotta Broglio, Il fenomeno religioso , cit., p. 101.  

16 G. Senin Artina, Introduzione, cit., p. 161.      

 

 

 

[20] C. Crivelli, Piccolo dizionario delle sette protestanti, Roma, 1945, p. 10.

[21] M. Colinon, Il fenomeno delle sette nel XX secolo, Catania, 1960,  pp. 8-10 (corsivo mio).       

[22] G. Tourn, op. cit., p. 185.

[23] S. Ferrari- G. B. Varnier (a cura di), op. cit., pp. 60-103; 105-131.

[24] A. E. McGrath, Teologia cristiana, Torino, 1999, p. 90.

[25] Ciò tentò di fare John H. Newman (1801-1890), la figura più notevole del Movimento di Oxford. Nel 1841, in un opuscolo dal titolo Tract 90, interpretò i Trentanove Articoli  non più come formulazione di un protestantesimo essenzialmente anticattolico, ma anzi da un punto di vista fondamentalmente cattolico.

 

[26] P. Miller, Lo Spirito della Nuova Inghilterra – Il Seicento, Bologna, 1962,  p. 17.

[27]Ibidem, p. 40.

[28] T. Bonazzi, Il sacro esperimento, Bologna, 1970, p. 13.

 

[29] P. Miller, op. cit., p. 496-497.

[30] “Poichè quelli che egli ha preconosciuti, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figlio, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli. E quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati; quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati”.

[31] Cit. in B. Miller, John Wesley, Roma, 1997, p. 106.

[32] J. Wesley,  The Journal of the Rev. John Wesley, A.M., London, 1909, I,  pp. 458s.

 

[33] Dopo che la Boemia fu ricattolicizzata nel 1600, un piccolo gruppo di fedeli, che avevano partecipato all’Unità dei fratelli predicata da J. Hus, si ritrovò in Germania sotto la guida del conte Nikolaus L. von Zinzendorf (1700-1760), e fondò una comunità chiamata Herrnhut, ‘protezione divina’,  basata sul desiderio di una vita evangelica autentica e semplice, che si manifestasse in tutti gli aspetti della vita. Nel 1738 J. Wesley conobbe a Oxford il moravo Peter Bohler, che voleva fondare nella città una comunità sull’esempio di quella tedesca, e da lui imparò che la salvezza doveva essere sperimentata come un rapporto personale con Dio, piuttosto che come una serie di riti assolti per senso del dovere.

[34] “In the evening I went very unwillingly to a society in Aldersgate Street, where one was reading Luther’s preface to the Epistle to the Romans. Abuot a quarter before nine, while he was describing the change which God works in the heart through faith in Christ, I felt my heart strangely warmed. I felt I did trust in Christ, Christ alone for salvation, and an assurance was given me that he had taken away my sins, even mine, and saved me from the law of sin and death”.  J. Wesley,  op. cit., I,  pp. 475-476. Il corsivo è di J. Wesley.

[35] U. Gastaldi, I movimenti di risveglio nel mondo protestante – Dal “Great Awakenning” ai “revivals” del nostro secolo, Torino, 1989,  p. 64.

[36] La Contemporary gospel music è diffusissima nelle comunità evangeliche di qualsiasi nazionalità ed estrazione: la fonte è principalmente americana, ma le traduzioni sono fiorenti in ogni lingua.

 

[37] Dono delle lingue; è il ‘segno’ dell’inizio dell’era della salvezza, conferito ai discepoli il giorno di Pentecoste (Atti degli Apostoli, 2).

[38] Cfr. Massimo Introvigne, I Protestanti,Torino 1998, pp. 46-48, secondo cui, per quanto riguarda l’espressione «evangelico», è possibile distinguere fra quattro diversi significati: il primo, diffuso soprattutto nei paesi a maggioranza cattolica e in quelli di lingua tedesca, è semplicemente quello di sinonimo di «protestante» (contrapposto a «cat­tolico»), in quanto il protestante farebbe riferimento al Vangelo, alla sola Scriptura. Un secondo significato di «evangelico» si riferisce a comunità vicine all’entusiasmo dei tempi evangelici. Recentemente, inoltre, si è affermato nella lingua in­glese l’uso di evangelical (talora tradotto in italiano «evangelicale») come sinonimo di «conservatore», con­trapposto a liberal o «ecumenico»; in questo terzo significato, «evan­gelico» è stato usato a lungo come sinonimo di «fondamentalista», con ri­ferimento alla polemica dei conservatori contro il Con­siglio Mondiale delle Chiese. Per finire, il termine, in particolare nell’America latina, è usato come sinonimo di «pentecostale».

 

[39] G. Bouchard, Chiese e movimenti evangelici nel nostro tempo, op. cit. p.17.

                                                                      

[40] Cfr R. Finke-R. Stark, The Churching of America, 1776-1990, New Brunswick, 1992.

 

 

[41] Vd. Capitolo secondo, p. 19.

[42] Il quotidiano La Sicilia se ne è occupato, con riferimento alla presenza della denominazione sul territorio catanese, in un articolo dal titolo L’esercito dei Pentecostali, datato 6 aprile 1999.

[43] Vd. Capitolo sesto,  p. 51.

 

 

[44] Nell’ambiente evangelico libero è diffusa l’usanza di identificare le diverse comunità facendo riferimento, per comodità, all’indirizzo della sede; più di rado al nome del responsabile.

[45] Intervista rilasciata direttamente all’autrice.

[46] Circa le idee della comunità sul battesimo vd. Capitolo terzo,  p. 30.

[47] L’usanza di chiamarsi ‘fratello’ e ‘sorella’ ha origini antichissime (vd. Atti 6,3; II Tessalonicesi 3,1). Il termine trova giustificazione nelle parole di Gesù (Matteo 12,50) e di Paolo (Romani 8,14-17): la comunanza dei credenti, fondata sull’agàpe e sulla fede, è intesa come famiglia di Dio.

 

[48] Foto di Gruppo’ - Periodico Cristiano curato dalle Comunità Evangeliche di Catania associate a Via Mascagni 64, III, n. 4, p. 6.

[49] ‘Foto di Gruppo’,  IV, n. 10, p. 10.

[50] Vd. Capitolo terzo, pp. 28ss.

[51]I Corinzi 12, 27.

9 I Corinzi 12, 11.

[53] Via Glauco, Relazione del Pastore, 1993.

[54] La Chiesa del Nazareno è il risultato dell’unione di tre denominazioni (la Chiesa del Nazareno di Los Angeles, California; l’associazione delle Chiese Pentecostali d’America e la Chiesa di Cristo di Santità) le quali, in considerazione di una sostanziale cunità di fede, si fusero, negli ultimi anni dell’800, in una nuova denominazione dal nome di ‘Chiesa Pentecostale del Nazareno’. In seguito l’aggettivo ‘pentecostale’ fu cancellato. Le sue origini teologiche possono essere rintracciate nella predicazione di John Wesley. Essa è diffusa in tutto il mondo ed è presente in Italia dal 1948.

 

[55] Nella relazione di fine anno del 1993 Davide Ciaccio aveva rivolto un accorato appello alla comunità affinché potesse lavorare almeno a tempo parziale.

[56]Chiesa del Nazareno di Via Glauco, 8 (CT) , Assemblea annuale 1994, Relazione pastorale.

[57] Vd. Capitolo settimo,  p. 65.

[58]Chiesa del Nazareno di Via Glauco, 8 (CT), Assemblea annuale 1996, Relazione pastorale.

[59] Chiesa del Nazareno, Assemblea Distrettuale Sud-Italia 1996, Mozione presentata dal Consiglio di Chiesa di Via Glauco.

 

[60] Vd. Capitolo quinto,  pp. 47ss.

 

 

[61] Gr. projhteίa, prophētéia, attività, dono, parola, detto profetico. Nelle comunità paoline il profeta aveva il compito di esortare, consolare, edificare la comunità (I Corinzi 14,3), comunicare conoscenze e segreti (I Corinzi 13, 2) durante il servizio religioso (I Corinzi 14, 23s). C. H. Peisker, voce Profeta in AA.VV., Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, Bologna, 19914, p. 1437.

[62]S. Loria, ‘Evangelici alla Provincia’ in La Provincia di Catania. Organo ufficiale della Provincia regionale, XV,  n. 4,  p. 36.

 

[63] Vd. Capitolo secondo, pag. 24.

[64] Da notare la permanente accezione di ‘entusiastico’ attribuita, nell’inglese moderno, al termine evangelical, che è l’equivalente dell’italiano ‘evangelico’ nel senso di ‘conforme agli insegnamenti del Vangelo’. Evangelical’ in Collins Cobuild Englìsh Dictionary, London, 1995.

2 L’aggettivo ‘evangelicale’ oggi è giunto ad indicare il “grande movimento cristiano, specialmente nell’ambito della teologia di lingua inglese americana, che sottolinea in particolare l’autorità della Scrittura e il valore della morte espiatrice di Cristo”. A. E. McGrath, Teologia cristiana, Torino, 1999, p. 570.