Alan Parsons: Propaganda, Milano

Esordio italiano fuori dal comune per Alan Parsons, che in due ore di concerto al Propaganda di Milano è rimasto addirittura commosso, assieme a tutta la band, da un'accoglienza e da un calore umano inaspettati. Non un metro quadro libero nella ristretta sala concerti milanese, stipata all'inverosimile da aficionados di tutte le età, ai quali non pareva vero essere a poca distanza dall'autore e simbolo di quella che egli stesso modestamente definisce una "musica d'intrattenimento di buon livello", con tutti gli indimenticabili brani che continuano a fare da sottofondo alle lunghe gite al crepuscolo, alle passeggiate in riva al mare, ai lenti a tarda ora in discoteca e anche a documentari scientifici, rotocalchi e racconti di "fiction". In pochi certo però sapranno che Alan è stato altresì "mago del suono" oltre che dei  ben noti Pink Floyd (peraltro solo in due dischi) anche di Beatles, Roy Harper, Al Stewart e molti altri ancora. le numerose  proposte sono state scelte pescando qua e là dai quattordici album sinora pubblicati, contando in una qualità quasi sempre elevata brano per brano. L’inizio con la splendida "(The Systern Of)  Dr. Tarr And Prof. Fether", tratta dal primissimo disco  "Tales From [sic] Mystery And Imagination – Edgar Allan Poe" (1976), da molti quasi dimenticato ma da altrettanti considerato il migliore dei lavori di Parsons. Non che i seguenti album siano da meno, come infatti hanno dimostrato i successivi pezzi eseguiti,  da "I Robot", "Pyramid", "Eye In The Sky" eccetera, includendo quasi tutti i capitoli della produzione parsonsiana: "Can't Take It With You", "I Wouidn't Want To Be Like You", i celeberrimi "lenti" "Old & Wise" e "Time", il pubblico accompagnava a memoria la band in coro, rendendo cosi realmente felici i due bravi vocalist scelti da Parsons per alternarsi nel canto - Neil Lockwood e Peter Beckett, quest'ultimo anche alle tastiere - e facendo capire ad Alan che non avrebbe dovuto aspettare vent'anni per un concerto dal vivo, specialmente in Italia. Ecco quindi un paio di tracce da "Gaudi", album dedicato al genio architettonico catalano, ovvero "Money Talks", il pezzo meno convincente del disco, congiunto a un frammento de "La Sagrada Familia", questa sì meritevole di un'esecuzione integrale. Si risale subito ad "alta quota" con le ballate "Days Are Numbers" e "Limelight", quest'ultima cantata originariamente dall'ex Procol Harum Gary Brooker, e molto sfruttata nello spot di un noto elettrodomestico; indi "Prime Time", lanciata all'epoca da un suggestivo video in cui manichini si animavano improvvisamente, e putroppo la scialba "Turn It Up", unico estratto dal non esaltante "Try Anything Once" che Parsons ha mantenuto in scaletta dal precedente tour, il quale senz'altro poteva essere sostituito da momenti senz'altro migliori di quel disco. Per fortuna ci pensa "Standing On A Higher Ground", sempre da "Gaudi", a chiudere in bellezza il primo set. A questo punto Parsons era quasi obbligato a promettere ai presenti, ringraziandoli in italiano, che non avrebbero avuto attendere molto per una nuova dato italiana, includendo automaticamente il nostro paese per ogni successivo tour. Dopo un trascurabile intervallo si riparte con qualche brano dal recente "On Air", ovvero "Blue Blue Sky" (la seconda parte, sul disco, non potrebbe forse essere considerata una versione anni '90 della beatlesiana "A Day In The Life"?), "I Can't Look Down", "So Far Away", "Fall Free" ed una "Cloudbreak” talmente pinkfloydiana da non sfigurare su "The Division Bell". Infine, la ballata "Brother Up In Heaven" viene introdotta da lan Bairnson - da sempre fedele chitarrista di AP - per dedicarla al cugino scomparso in un disastro aereo: per spiegare ciò Ian opta per la lingua spagnola, riuscendo perfettamente a farsi capire, nonostante gli schiamazzi in platea di un autentico "pirla" (gli italiani, purtroppo, si fanno riconoscere anche in questo). Ormai non sembra più un "tranquillo" concerto di art-rock: durante l’ultima serie di brani si assiste a un "pogo" e a un delirio degno di una serata metal o punk! Responsabili ne sono "Psychobabble", in cui nella parte centrale Bairnson sfoggia uno splendido solo "cosmico" in slide-guitar, "Sirius" e "Eye In The Sky", colonne sonore estive del trionfo azzurro dell'82, e i bis "Don't Answer Me" e "Games Peopie Play": è delirio puro! Doveroso citare, com'è ovvio, anche gli altri grandi componenti della band, l’ex Brand X e Simple Minds John Giblin al basso, il giovane John Beck alle tastiere, e il batterista Stuart Elliott, membro di lungo corso assieme al talentuoso Bairnson, autentico mattatore dello show con i suoi incantevoli assoli, e rivelatosi brillante anche al sax "dopo un anno solo di studio", come scherzosamente affermato da Parsons. La serata per Alan e Ian è poi continuata sui marciapiedi attigui al "Propaganda" per un emozionante bagno di folla con autografi, chiacchierate e abbracci.
Alessandro Casellato
Wonderous Stories, 1998

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