DEDICATO
A CHI VUOLE APPROFONDIRE LA CONOSCENZA DI ELVIS PRESLEY, SAPENDO CHE IL RE NON
E' SOLAMENTE UN CANTANTE MA MOLTO, MOLTO, MOLTO DI PU'.
Scritto da: Pierino CANDUSSO
ELVIS
AARON PRESLEY
ICONA D’AMERICA
E PARTE DELLA STORIA AMERICANA: COME, DOVE, QUANDO E PERCHE’ ELVIS E’ ENTRATO DI DIRITTO NELLA CULTURA E NELLA STORIA DELL’AMERICA. E DEL MONDO.
Uno studio americano (studio,
non sondaggio) dell’aprile 2003, rivela che ELVIS è considerato la seconda
icona americana. La prima, così rispondo alla domanda che certamente vi state
facendo, è la bandiera nazionale, i cui colori – blu, bianco e rosso,
rispettivamente: la giustizia, la verità ed il coraggio – incarnano lo
spirito, l’essenza, i valori supremi di quel popolo.
In tutti i libri di storia
americana c’è un preciso riferimento ad ELVIS. Nelle università americane (e
non solo), nella sezione sociologia, si studia ELVIS. Ci sarà pure un motivo,
vero?
Ancora: davvero pochissime
persone, prendendo a riferimento tutte le epoche, sono conosciute in TUTTO il
mondo con il solo cognome. Altrettante pochissime sono le persone conosciute con
il solo nome. Ancora meno, quelle conosciute con il solo soprannome. Ebbene:
ELVIS è il solo personaggio conosciuto in tutto il mondo con il solo cognome,
oppure con il solo nome, oppure con il solo soprannome! Ne ricordate qualche
altro?
In aggiunta: Graceland, che
contende alla Casa Bianca il primato di luogo più visitato d’America, è –
secondo un monitoraggio delle Università Americane – un posto dove la metà
dei visitatori che vi accedono sono nati dopo la scomparsa fisica di ELVIS.
Questo significa che non si tratta di un pellegrinaggio di nostalgici, ma di
qualche cosa di ben più profondo.
Inoltre: nelle votazioni via
internet promosse alla fine del 2000 dal gruppo editoriale leader americano
TIME-LIFE, ELVIS è risultato ampiamente primo nella sezione “artista del
secolo”, nella più importante sezione “personaggio del secolo”, nella
sezione “evento del secolo”. Vorrà ben dire qualche cosa, giusto?
Noi tutti, ci siamo sentiti dire
e ripetiamo a nostra volta che ELVIS ha cambiato la cultura, non solo la musica,
dell’America prima e del resto del mondo poi.
Ma quali sono i passaggi e cosa
è avvenuto veramente per determinare tutto questo? Come, esattamente, ELVIS ha
prima influito e poi è “entrato” prepotentemente nelle Storia (Storia con
la “S” maiuscola) di quella che è attualmente la nazione più potente e più
moderna del mondo?
Credo sia affascinante e
doveroso – per chi ama il RE – compiere lo sforzo di ripassare la storia
degli Stati Uniti per scoprire, comprendere, apprezzare tutto questo. La storia
è fatta di e dagli uomini e, spesso, dai rivoluzionari: è
un modo per studiare a fondo come questo “uomo”, questo rivoluzionario la
cui azione pur devastante ma che non ha comportato – probabilmente unico caso
nella storia mondiale – alcuno spargimento di sangue, abbia cambiato così
profondamente la musica, la cultura, la storia.
Questo scritto si ripropone di
analizzare il come, il dove, il quando ed il perché di questo mutamento epocale
che, vale per i più giovani, ha apportato enormi benefici ad ognuno di noi. Sarà
un modo per comprendere il motivo per cui la stella di questo Eroe continua e
continuerà a brillare. Ben al di là del fattore musicale.
Nota: in questo scritto, i
termini “Stati Uniti”, “Stati Uniti d’America”, “U.S.A.” e
“America” staranno ad indicare la stessa entità politico-geografica. Sono
semplicemente dei sinonimi.
Ancora: teniamo sempre ben
presente che gli Stati Uniti d’America sono, nella pratica, non una nazione
come la intendiamo comunemente, ma un continente, con varie sfaccettature,
problematiche, modi di essere. Quella realtà è davvero molto vasta e complessa
e può rispecchiare, riassumere, essere prototipo delle diverse situazioni che
esistono nel resto del mondo.
STORIA DEGLI STATI UNITI –
l’inizio.
Ufficialmente, la breve (poco più
di 200 anni) ma intensissima storia di quelli che adesso sono conosciuti come
gli Stati Uniti, comincia il 12 ottobre 1492, con la scoperta del Nuovo Mondo da
parte di Cristoforo Colombo. Quel continente, era già abitato da 40 o 50.000
anni, ma “l’incontro” con gli europei ne cambierà per sempre il destino.
Sappiamo tutto del modo fortuito
con cui il navigatore genovese, sponsorizzato (oggi si direbbe così) dai reali
di Spagna, scopre (o, a seconda dei punti di vista, invade) questa terra.
Sappiamo anche che cosa – lui e chi lo segue – trova/trovano in questo
continente fino allora sconosciuto.
Nota 1: all’epoca, tutta la parte più orientale dell’attuale Asia
era conosciuta come “Indie”. Colombo chiamerà “indiani” gli abitanti
locali, convinto di essere arrivato nelle Indie, cioè nell’attuale estremo
oriente.
Nota 2: gli Europei viaggiavano verso le “Indie” allo scopo di
commerciare spezie che, all’epoca, erano preziose tanto quanto l’oro – per
la conservazione dei cibi, in mancanza del frigorifero.
Nota 3: Colombo non fu il primo europeo ad arrivare nel nuovo
continente, ma fu il primo in assoluto a divulgare al mondo la sua scoperta. La
sua specificità, che lo rendeva diverso dai navigatori dell’epoca, era quella
di saper leggere e scrivere: questo gli aveva dapprima permesso di studiare la
possibilità di circumnavigare la Terra e poi di propagandare ciò che aveva
scoperto. Aprendo le porte a tutti.
Ma vediamo i fatti. Tutto il
1500 viene “speso” a studiare questo nuovo mondo. Le varie nazioni europee,
segnatamente Inghilterra, Francia, Germania, Olanda, mandano dei loro
esploratori, emissari, avventurieri senza scrupoli a sondare uomini e cose.
Quando il quadro di questa immensa scoperta è sufficientemente delineato, e
siamo ai primi del 1600, inizia una sorta di colonizzazione.
LE PRIME COLONIE.
Le date sono 1607 e 1620,
rispettivamente quando un primo ed un secondo gruppo di coloni inglesi –
questi ultimi conosciuti come “i pellegrini” - si insediano stabilmente sul
suolo di quelli che saranno i futuri Stati Uniti d’America, precisamente nella
parte nord della costa orientale, costituendo di fatto le 2 prime colonie.
Una precisazione fondamentale:
chi e perché aveva interesse a lasciare la vecchia, rassicurante, “civile”
Europa per andare incontro all’ignoto nel Nuovo Mondo? Le categorie erano
quattro e, precisamente, questo nuovo continente interessava:
-
A chi cercava la libertà politica per sfuggire
all’insopportabile sistema europeo di quasi schiavitù del popolo nei
confronti di imperatori, re, conti, marchesi, baroni e “nobili” in
genere.
-
A chi cercava la libertà religiosa.
-
A chi interessava diventare proprietario della terra
che intendeva lavorare (all’epoca si viveva quasi solo di agricoltura).
-
A chi era attratto dal miraggio dell’oro, che –
si credeva – abbondasse in quella terra.
I nuovi arrivati, all’inizio
del 1600, non trovarono certo la strada spianata per la loro avventura, anche se
c’è l’episodio di aiuto reciproco ricevuto dai “pellegrini” proprio da
parte dei Nativi Americani (conosciuti come Indiani, per via dell’errata
convinzione di Colombo) che durante il primo inverno aiutarono a sopravvivere i
nuovi arrivati privi di scorte alimentari. Anzi: proprio questo sostegno fu
celebrato dai nuovi insediati con una festa che è entrata nella tradizione
americana: il giorno del ringraziamento (si festeggia l’ultimo giovedì di
novembre, ed è il famoso TANKSGIVING DAY, anche occasione per banchettare a
base di tacchino).
Dal quel momento, si insediarono
via via altre colonie, fino ad arrivare ad essere 13 il 4 luglio del 1776, data
importante perché proprio in quel giorno fu redatta la dichiarazione di
indipendenza da parte di queste colonie nei confronti dell’Inghilterra, la
nazione che aveva imposto una sorta di dominio sui nuovi stanziamenti. Tutte
queste colonie erano insediate sulla costa orientale, nella parte più a nord
degli attuali Stati Uniti.
Cos’era successo? Queste
colonie erano state formate da gente che voleva essere libera ed indipendente ma
che non era riuscita, fino a quel momento, ad affrancarsi completamente dalla
allora potentissima ed onnipresente Inghilterra.
Anzi: l’asfissiante
Inghilterra aveva trovato il modo di rendere la vita di questi coloni
particolarmente dura con la pretesa di riscossione di tasse e balzelli vari,
finalizzati al pagamento delle ingenti spese militari che la stessa Inghilterra
doveva sostenere per far fronte alla annosa guerra contro la Francia.
Le 13 colonie, unite per
l’occasione fra di loro, nominarono un unico generale per combattere la loro
guerra di indipendenza. Quel generale era il celebre George Washington – che
seppe guidare magistralmente il suo esercito durante i 7 anni di durata della
guerra d’indipendenza, fino alla vittoria finale.
LA RICERCA DELLA INDIPENDENZA.
Ovviamente, quel 4 luglio
divenne una data simbolo che resta ancora oggi l’occasione per celebrare la
festa nazionale americana più importante: il giorno dell’indipendenza.
Vinta la guerra, i
rappresentanti delle 13 colonie avevano ben compreso che l’unione fa la forza
e si attivarono per unirsi stabilmente fra di loro, pur conservando (questo è
importantissimo) le singole identità di ognuna delle 13 colonie.
L’elaborazione della nuova costituzione fu macchinosa ma alla fine soddisfò
tutti e nel 1787 questo nuovo “lavoro” fu ufficialmente completato ed
operativo.
La nuova costituzione consisteva
in un preambolo – dove si spiegavano i motivi di ciò che si stava per fare
– negli articoli, in tutto 10, e nella parte detta degli emendamenti, cioè
quel contenitore inizialmente vuoto dove avrebbero trovato posto le future
modifiche e/o aggiunte ai 10 articoli iniziali della costituzione stessa.
Attualmente sono 17.
IL PRIMO PRESIDENTE AMERICANO.
Come primo Presidente fu
nominato proprio George Washington, inaugurando così una tradizione tutta
americana che vedrà più volte un generale vincitore “trasformarsi” in
Presidente della nazione – quasi a voler significare che l’insieme funziona
come un esercito: chi è messo lì per comandare, comanda veramente ed è capace
di decisioni rapide e mirate.
Ma questo modo di fare voleva
anche essere un segnale preciso per il popolo: tutti dovevano avere la
percezione che l’ordine stava alla base di tutto, non erano ammessi
comportamenti “fuori ordinanza”, dopo che il popolo sovrano aveva scelto da
chi (e conseguentemente come) farsi guidare.
Solamente così, senza
incertezze e/o tentennamenti, si poteva pensare di governare una nazione già
grande allora e con la prospettiva di ingrandirsi ancora di più in futuro.
L’ARTICOLO UNO DELLA
COSTITUZIONE AMERICANA.
Un punto importantissimo: in
questa costituzione scarna, essenziale, pragmatica, estremamente funzionale, il
PRIMO articolo, quello che fa da fondamenta a tutto il resto, parla di libertà.
Anzi: esalta la libertà – in tutte le accezioni del termine.
Un fatto assolutamente nuovo,
per un mondo che – fino ad allora – non conosceva, non aveva mai conosciuto
la vera libertà. Tornando un attimo indietro nel tempo, rivediamo che era stata
proprio la sete di libertà a spingere quelli che sarebbero stati i futuri
abitanti degli Stati Uniti a lasciare la vecchia Europa per andare in America.
Era proprio in nome della libertà
che stava nascendo, che era nato, questo nuovo mondo.
E’ un fatto che va
sottolineato più volte, perché è la chiave di volta di tutto, la chiave di
volta dell’esistenza stessa – allora come adesso – di questa nazione che
ha fatto della libertà l’essenza del proprio essere. Il motivo per cui
esiste, il bene più prezioso per cui è viva, il miraggio per quei milioni di
individui che in questi 400 anni hanno raggiunto e raggiungono gli Stati Uniti
– anche a costo di pericoli mortali.
LA BANDIERA AMERICANA.
Abbiamo già visto il
significato dei colori che la costituiscono. Le 13 strisce orizzontali bianche e
rosse simboleggiano le 13 colonie iniziali, quelle che avevano dato il via a
questo grandioso progetto.
Le stelle bianche in campo blu,
inizialmente erano evidentemente 13 anche esse, sono il numero degli stati che
compongono l’unione. Attualmente sono 50.
E LA STORIA COMINCIA…
Ottenuta l’indipendenza (a
prezzo di tante giovani vite umane che si sono sacrificate in nome della libertà,
giovani che hanno pagato con la vita questa preziosissima conquista, eroi che
sono ricordati in un’altra importante festa nazionale – il MEMORIAL DAY),
l’America va avanti in maniera pragmatica, positiva.
Tante menti “fresche”,
arrivate dalla vecchia Europa, concorrono con le loro idee – che erano
sistematicamente soffocate nelle patrie d’origine – a fare correre questo
paese dalle risorse immense. C’è un sano fervore, incoraggiato dal sistema,
che mira ad ottimizzare il tutto allo scopo di migliorare il benessere dei
singoli individui. E a semplificarne la vita.
Nel sud della nazione, viste le
favorevoli condizioni ambientali e climatiche, si punta sull’agricoltura, vera
spina dorsale - all’epoca - dell’America, mentre al nord fervono le attività
artigianali e le prime attività industriali fanno prepotentemente capolino.
Chi guida il paese, si comporta
in maniera dinamica: adegua (e spesso anticipa) le leggi ed i regolamenti alle
esigenze che di volta in volta emergono.
L’America, fin dalla sua
costituzione, si ritrova in casa il moralmente odioso ma “comodo” fenomeno
della schiavitù, retaggio dei primi conquistatori di quelle terre.
Sono i tantissimi africani che
sono stati portati con la forza per lavorare come schiavi nelle immense
piantagioni di cotone del sud degli Stati Uniti, dove c’era un assoluto
bisogno di braccia – copiando in questo modo ciò che era già stato fatto
nell’Europa occidentale.
Nota: corsi e ricorsi della storia, anche all’epoca c’era chi
sfruttava questi viaggi forzati, acquistando il futuro schiavo in Africa per
circa 25 dollari e rivendendolo per 125 dollari in America.
Una parentesi: sarà proprio
questa infelice condizione di asservimento a generare, a distillare quel genere
musicale tipico di quei negri d’America: il blues, musica della quale verrà
permeato in futuro il nostro ELVIS, che nasce e trascorre la sua infanzia nel
cuore di quella realtà geografica.
Sarà il benemerito presidente
Abramo Lincoln, nel 1861, ad abolire la schiavitù promulgando una legge per
l’epoca modernissima.
Ma questo provocherà la
violenta reazione degli stati del sud, dove i proprietari terrieri ed i politici
che avevano ottenuto i propri voti da quelle popolazioni, vedono vacillare i
loro privilegi, visto che l’economia di quella zona ha come asse portante la
mano d’opera a costo zero fornita dagli schiavi. L’agricoltura, all’epoca,
era assolutamente manuale.
Una seconda parentesi: per
contro, proprio questa classe di bianchi, “spinta” da ben altre motivazioni
– leggi: desiderio di mantenere lo status quo – genererà, si riconoscerà
in un genere musicale molto meno malinconico, il country. Manco a dirlo, anche
questo genere entrerà nel patrimonio musicale del giovane ELVIS, miscelandosi
con le altre esperienze.
LA GUERRA CIVILE.
Nello stesso 1861, la lacerante
reazione degli stati del sud sfocia nella terribile guerra civile (1861 –
1865): il sud non poteva permettersi di mettere in ginocchio la propria economia
aderendo alla soppressione della schiavitù!
Una guerra civile è quanto di
più tragico possa accadere in una nazione: gli amici combatteranno contro gli
amici, gli stessi fratelli combatteranno contro i fratelli, il tutto con effetti
devastanti.
La guerra civile americana
comporterà morti ed immani distruzioni, ma alla fine, con la vittoria degli
stati del nord, tutto rientrerà completamente, assolutamente nella legalità.
Gli stati del sud accetteranno la nuova legge, l’Unione fra gli stati sarà
salva.
E l’insegnamento resterà come
un monito per il futuro. Così la storia degli Stati Uniti può ripartire.
L’ERA INDUSTRIALE.
Siamo così a cavallo fra la
fine del 19.esimo e l’inizio del 20.esimo secolo quando, nella dinamicissima
America, l’economia prevalentemente agricola comincia decisamente a
trasformarsi in economia industriale. Meglio: viene “inventata”
l’industria, con tutte le conseguenti problematiche, prima fra tutte un
massiccio spostamento della popolazione dalle campagne alle grandi città, le
future metropoli.
Inoltre, milioni di nuovi
immigrati erano pronti a lavorare per meno di altre persone già residenti, e
questo dava una forza troppo grande agli industriali che potevano non curarsi
della sicurezza sui posti di lavoro e non avevano il problema di ricevere
lamentele dai sottoposti sfruttati.
Che cosa era successo in quei
pochi, cruciali decenni? Un insieme di circostanze che avrebbero avuto il potere
di generare un incontrollabile effetto domino. Vediamo i dettagli.
Eli Whitney inventa un
macchinario tessile che può sostituire il lavoro di 20 persone.
Thomas Edison inventa la
lampadina (oggetto piccolo ma dalle ripercussioni grandiose – vedere perché).
Enry Ford, poco dopo, inventerà
la catena di montaggio.
Le conseguenze? Grandiose e
disastrose, proprio perché non regolamentate, non previste, più grandi di
quanto si potesse pensare. Vediamo i dettagli.
-
Improvvisa sovrapproduzione di prodotti
-
Più ore lavorate nelle fabbriche (grazie alla luce elettrica)
-
Mancanza di leggi, semplicemente perché si stava verificando una
situazione nuova ed inattesa
-
Sempre più macchine al posto degli uomini nei posti di lavoro
-
Conseguenti massicce perdite di posti di lavoro
-
Mancanza di soldi – da parte di chi era rimasto senza lavoro -
per effettuare gli acquisti anche dei generi di prima necessità
-
Conseguente chiusura dei negozi per via delle mancate vendite
-
Fallimento di moltissime fabbriche che non riuscivano più a
vendere i loro prodotti ai commercianti
-
Fallimento delle banche nelle quali non circolava più il denaro e
conseguente…
-
Perdita dei risparmi di chi aveva qualche accantonamento nelle
banche – perdite non coperte da nessuna assicurazione
Era cominciata la grande
depressione.
UN PASSO INDIETRO – LA PRIMA
GUERRA MONDIALE.
Fra lo “scoppio” dell’era
industriale e la grande depressione c’era stato un altro evento epocale per
l’America: la partecipazione alla prima guerra mondiale.
Brevemente: gli USA entrano
nella prima guerra mondiale, dalla quale avevano deciso di tenersi fuori,
solamente perché la marina Americana viene attaccata dai sottomarini tedeschi
nel 1917. Nel 1918 l’America vince la prima guerra mondiale. Sembra un evento
tragicamente di rilevanza – tutto sommato - limitata, ma una guerra non è mai
una faccenda di poco conto: le industrie devono lavorare in funzione del
conflitto, molti, troppi giovani cittadini perdono la vita con conseguente
depauperamento di menti fresche che non potranno mai più concorrere al
miglioramento di una nazione, lo sviluppo economico subisce un inevitabile
rallentamento. Tutto questo come tragico antipasto a:
LA GRANDE DEPRESSIONE.
Un periodo angoscioso, che durerà
una decina di anni, dal 1929 alla fine degli anni 30. Molte persone morirono
letteralmente di fame, altre morirono perché non avevano i mezzi per curarsi.
La (lunghissima) fila per avere un pezzo di pane divenne una costante quotidiana
nel panorama urbano delle città americane.
Una parentesi importantissima:
è nel bel mezzo di questo “ridente” periodo che nasce ELVIS PRESLEY, guarda
caso in una delle zone più critiche per quanto riguarda la somma delle varie
crisi, da una famiglia che più povera non si può.
Ma se è vero, tanto per non
scomodare l’intera categoria e limitarsi al singolo caso, che l’ultimo sarà
il primo…
Torniamo alla grande
depressione. Ancora una volta fu la lungimiranza di chi governava –
segnatamente il presidente Franklin D. Roosevelt - a risollevare il tutto,
grazie ad una massiccia campagna di opere pubbliche – strade, scuole, uffici
pubblici – che andranno a costituire lo scheletro portante della futura,
moderna America, notoriamente ben attrezzata per quanto riguarda le
infrastrutture. Era soprattutto un modo per dare un salario a chi era senza
lavoro e per rimettere in moto, conseguentemente, l’economia.
A questo punto, per l’America,
dopo:
-
la grande confusione conseguente all’avvento dell’era
industriale
-
la dolorosa parentesi della prima guerra mondiale e
-
la disastrosa grande depressione
sembra sia finalmente arrivato
il momento di tirare il fiato, quando, con tragica puntualità, arriva il
rendez-vous con la tremenda:
SECONDA GUERRA MONDIALE.
In Europa, era scoppiata una
nuova, assurda guerra (come se la prima non avesse insegnato proprio nulla).
L’America era fermamente decisa a restare neutrale quando, il 7 dicembre 1941,
il Giappone distrugge la flotta U.S.A. a Pearl Harbor e l’America è costretta
ad entrare, a sua volta, in guerra - al fianco di Francia, Inghilterra e Russia,
contro Giappone, Germania e… Italia.
Arriviamo direttamente alla
primavera del 1945. L’Italia era già passata dall’altra parte della
barricata, finalmente la Germania capitola, ma il Giappone non si arrende.
Il 6 agosto di quell’anno
l’America sgancia la prima bomba atomica sul suolo della nazione del Sol
Levante – che si ostina a rifiutare la resa. Il 9 agosto sarà la volta della
seconda bomba atomica: il Giappone, finalmente, si arrende e la guerra finisce.
Questo eviterà altri milioni di
morti, ma lascerà un segno profondissimo in tutta l’umanità. Le giovani
generazioni dell’epoca, Americani in testa, resteranno scioccati dalla potenza
distruttiva di questa nuova arma con conseguente perdita di certezze e
“bisogno” inconscio di nuovi rassicuranti punti di riferimento…
IL DOPO GUERRA.
Ancora una volta, l’efficiente
ed operosa America sa ripartire, guardando avanti. In pochissimi anni il trauma
del conflitto – nei soli cimiteri di guerra Europei gli Americani avevano
lasciato oltre 200.000 giovani vite spezzate - verrà brillantemente superato.
Il reddito pro capite è il più alto del mondo: il numero di automobili per
abitante, così come il numero di elettrodomestici per famiglia e di
supermercati in rapporto alla popolazione è di gran lunga il più alto in
assoluto.
Questa fase è gestita, corsi e
ricorsi della storia Americana, dal generale che è stato il vincitore delle
seconda guerra mondiale, quell’Eisenhower che guida la nazione americana come
fosse a capo di un esercito, tutti allineati e coperti, tutti omologati – pur
nella massima libertà e democrazia.
Riprendono vigore anche le LABOR
UNIONS, i sindacati americani che, apparsi una prima volta nel 1881, fino allora
non avevano mai contato in maniera determinante: troppa offerta di mano
d’opera, spesso da parte di chi si poteva accontentare di molto poco (vedi i
nuovi immigrati).
Crescono anche i movimenti per i
diritti civili: nati per combattere le discriminazioni contro i negri, i
messicani, i nativi americani e gli asiatici.
Che cosa succedeva nei confronti
di queste categorie?
Torniamo all’articolo uno
della costituzione americana, punto nodale di partenza del sistema, dove si
parla, si esalta, si garantisce la libertà. Ebbene, se i padri fondatori della
nuova nazione erano stati così moderni, democratici, lungimiranti e giusti,
coloro che avevano successivamente governato gli Stati Uniti d’America, non
sempre erano stati altrettanto tempestivi e corretti nel mettere in pratica il
concetto di libertà, segnatamente nei confronti di quelle specifiche minoranze.
Per inciso: i negri, sia
numericamente che da un punto puramente visivo, erano quelli che si notavano
meglio nella loro emarginazione. Non erano più schiavi da tanto tempo, ma
discriminati pesantemente sì.
Che cosa era successo? Si era
cristallizzata, alla guida della nazione e nei punti chiave del paese, una
categoria ben precisa, benché non codificata ufficialmente: i WASP, cioè i
bianchi (White), di origine AngloSassone, di religione Protestante.
Non solo comandavano loro, ma
– ed era molto peggio – consideravano esseri inferiori coloro che non
appartenevano a questa “casta”.
Una situazione intollerabile per
una paese nel quale si respirava la libertà in tutte le accezioni del termine.
Ma c’era anche un’altra
forma di discriminazione ben radicata, retaggio dell’epoca contadina, che
riguardava “quei” bianchi stessi e che avveniva anche all’interno della
stessa categoria dei WASP: il patriarcato!
Non è facile comprendere
appieno questa situazione per chi non ha – per sua fortuna! – potuto vivere
quel genere di condizione.
In pratica, il capo famiglia, il
padre, era anche il patriarca, cioè esercitava sui figli una sorta di tirannia
che non lasciava alcun margine ai giovani. Un vero padre-padrone.
Una situazione, dicevamo,
ereditata dal periodo rurale, quando il “vecchio” era davvero il depositario
di conoscenze e tecniche di lavoro indispensabili per la sopravvivenza.
Questi, i figli, erano in
pratica dei vecchietti con una carta d’identità più recente rispetto ai
padri. E basta.
Non potevano vestire secondo il
proprio gusto, non avevano accesso a divertimenti specifici, portavano tutti
capelli cortissimi con la riga laterale. Anche mentalmente erano costretti ad
essere “grigi”. Non c’era, per loro, libertà.
E, a proposito di divertimenti,
al sabato sera c’era il ballo al quale presentarsi con il vestito – giacca e
pantaloni – blu. Ecco perché BLUE SUEDE SHOES avrà un significato di
dissenso. Ironica ma graffiante, sarà una delle canzoni che i giovani
considereranno un inno della loro protesta.
IL CLIMA SOCIALE DEL DOPOGUERRA
NEGLI U.S.A.
Ricerca dell’indipendenza da
parte delle colonie, nascita di una nuova nazione, guerra civile, avvento
dell’era industriale e “conseguente” grande depressione, forte
immigrazione, prima e seconda guerra mondiale: tutti avvenimenti succedutisi in
così rapida sequenza da plasmare con decisione questa giovane e forte nazione
(forte: basta verificare quanto siano mentalmente determinati gli americani, in
contrasto al loro aspetto tante volte scialbo…), ma senza che ci fosse il
tempo per mettere a posto proprio tutto, per “curare” i particolari.
Libertà come in nessun altro
posto, ma non proprio per tutti. Non nella stessa misura, almeno.
La generazione dei ventenni
dell’epoca, che erano rimasti storditi per quanto avevano appena visto, aveva
bisogno di qualcuno che li potesse guidare verso la conquista di quella libertà
che esisteva solo lì, in America, ma che era ad uso e consumo dei grandi.
Avevano bisogno di ribellarsi,
ma mancava la figura carismatica in grado di coagulare milioni di giovani
ragazze e ragazzi, di diverse estrazioni ed origini, accomunati solamente dalla
stessa bandiera.
Avevano bisogno di vivere
attivamente, non passivamente. Volevano ragionare con la loro testa e
comportarsi secondo le proprie esigenze.
Preferivano un futuro magari con
meno certezze, ma nel quale essere parte attiva – e si trattava di menti
fresche, non cristallizzate, potenzialmente capaci di apportare davvero molto.
Sembrava un sogno
irrealizzabile, troppo teorico, distante dalla realtà, dalla pratica
quotidiana.
L’industria cinematografica
prima e quella discografica poco dopo avevano ben compreso questo bisogno ed
avevano autonomamente creato quelli che avrebbero dovuto essere dei modelli di
riferimento per i giovani americani.
Hollywood aveva “inventato”
James Dean e Marlon Brando. I giovani americani non si riconobbero in loro:
troppo malinconico il primo, troppo scostante il secondo.
Fu la volta dell’industria
discografica: ecco pronti Bill Haley e Little Richard. Le cose non andarono
meglio. Bill Haley era grassoccio, non più giovanissimo, con una pettinatura al
limite del ridicolo.
Little Richard era gay ed era
negro: la stragrande maggioranza della gioventù americana era di colore bianco
e non si sarebbe mai identificata in lui. In quanto al fattore “gay”, i
tempi non erano certamente maturi per questo “genere”.
Mancava la libertà e mancava il
leader che avrebbe dovuto guidare un’intera generazione alla conquista della
stessa… Una cosa non da poco, quando…
LA SVOLTA STORICA: COME, DOVE,
QUANDO.
Abbiamo già detto che la storia
è fatta di uomini e dagli uomini. Ed anche di date. Il
tassello mancante nella storia americana troverà la sua collocazione il giorno
9 settembre 1956, quando ELVIS appare per la prima volta come ospite allo
spettacolo televisivo ED SULLIVAN SHOW, recital all’epoca straordinariamente
popolare in tutti gli Stati Uniti.
ELVIS, nel novembre del 1955,
aveva firmato un faraonico contratto con la casa discografica RCA,
trasformandosi così da cantante locale a star nazionale a partire dal primo
gennaio 1956, data di inizio ufficiale del suo rapporto artistico con la grande
casa discografica di New York.
La sua nuova carriera era
cominciata a spron battuto: il suo primo album era stato il primo long play a
superare il milione di copie vendute nella storia. I suoi dischi erano
costantemente in vetta alle classifiche. Il suo primo film era stato un
successone commerciale. I media si occupavano di lui in continuazione, nel bene
e nel male.
Ma il punto era questo: i suoi
dischi venivano acquistati ed ascoltati solo da chi li voleva ascoltare – in
questo caso i teen-ager. Il suo film era stato visto dai suoi ammiratori, ed in
ogni caso l’ambientazione storica dello stesso non aveva assolutamente reso
giustizia al “vero” ELVIS, quello ribelle. Chi non ne voleva sapere, poteva
benissimo starne fuori, non ascoltare le sue canzoni né tanto meno il suo
messaggio.
Ma quella storica domenica sera
le parti si invertirono: fu ELVIS ad entrare nelle case degli americani,
prepotentemente e capillarmente (lo spettacolo ebbe uno share astronomico
dell’82,6%), ed anche i “vecchi” che non lo avevano ancora ascoltato o,
peggio, visto, furono costretti a guardare in faccia questa nuova realtà. Il
tutto nella ordinata, strutturata, perbenista, rigorosa America!!
Cosa era successo? Quattro cose,
contemporaneamente – altro che la bomba atomica che aveva posto fine alla
seconda guerra mondiale! Gli effetti furono ben più devastanti (ma in questo
caso il numero dei morti non superò le zero unità).
La prima: la musica di
ELVIS era una fusione perfetta di bianco e di nero, di country e di blues. Era
la dimostrazione innegabile che le due realtà potevano, anzi: dovevano
convivere in armonia. Una forte, decisiva spallata contro la discriminazione ed
il razzismo, un punto importante a favore della libertà per tutti, tanto
declamata dall’articolo uno della costituzione americana. La musica era il
cavallo di Troia per l’integrazione culturale delle diverse etnie presenti
nella nazione.
La seconda, ancora più
devastante: il modo “osceno” in cui interpretava quella musica, il modo in
cui si pettinava e vestiva, la maniera scandalosa in cui si muoveva –
assolutamente fuori da qualsiasi schema, il suo essere ribelle a dispetto della
buona educazione e del rispetto che mostrava di possedere nei confronti delle
istituzioni, tutto questo era il proclama di libertà dei giovani contro il
tribale patriarcato attuato dalla generazione degli adulti. La libertà, per
ELVIS un bene appannaggio di tutti e non solo di una parte della popolazione
americana. La libertà, proclamata dall’articolo uno e mostrata,
letteralmente, per la prima volta da ELVIS ai giovani affinché sapessero come
farne uso, agli adulti affinché si potessero rendere conto che nulla sarebbe
rimasto uguale a prima.
Ecco il punto: ELVIS aveva
“mostrato” all’America che cosa era la libertà. Aveva trasformato un
concetto astratto in realtà alla portata di tutti.
Una cosa inaudita, grandiosa,
epocale – dagli effetti inimmaginabili. Ed infatti, tutto cambiò.
Le prime reazioni, da parte
degli adulti, furono indignate e furibonde. Consci che il loro potere stava
vacillando, si scagliarono in tutti i modi contro quel giovanotto definito
volgare, scandaloso, teppista, istigatore alla delinquenza… Era una guerra
destinata alla sconfitta.
I giovani, per contro,
esultarono: era finalmente arrivato il loro messia! Ciliegina sulla torta, si
trattava di una figura solare, che sprizzava energia ed infondeva ottimismo, a
fianco della quale correre nei momenti di esaltazione ed alla quale aggrapparsi
nei momenti di sconforto. ELVIS era esattamente ciò che le ragazze avrebbero
voluto avere e ciò che i ragazzi avrebbero voluto essere.
La terza: erano
specificatamente le sue movenze sul palcoscenico (…the Pelvis), movenze che
inequivocabilmente mimavano l’atto sessuale, a mostrare alla puritana America
che anche la strada della liberazione sessuale era aperta. Ed Sullivan (assente,
a causa dei postumi di un incidente stradale, a quella prima storica apparizione
di ELVIS al suo spettacolo) sarà costretto, per le apparizioni future di ELVIS
allo show, ad adottare la formula (che era vera e propria censura) delle riprese
“from the waist up”, ma oramai i giovani americani avevano potuto
“vedere” che fare l’amore non era una cosa da tenere così nascosta, di
cui vergognarsi. Erano ancora i tempi in cui ELVIS, ad esempio, non poteva
cantare “ONE NIGHT OF SIN” (UNA NOTTE DI PECCATO) ma “solamente” “ONE
NIGHT WITH YOU”, Più rassicurante, per l’opinione pubblica.
Nota: le apparizioni televisive di ELVIS da quel momento verranno
visionate dalla polizia che doveva vegliare sulla censura imposta nei suoi
confronti (!).
La quarta: la quasi
totalità di una nazione di oltre 200 milioni di abitanti aveva avuto, in un
colpo solo, il contatto con questo extra terrestre. Era un numero enormemente
maggiore del milione di soli teen-ager che avevano cominciato ad acquistare i
suoi dischi. Oggettivamente, era un numero mastodontico. L’intero continente
America non poteva più fingere di non sapere.
IL DOPO TERREMOTO.
La televisione non aveva
inventato ELVIS, ma era stata la cassa di risonanza per ciò che ELVIS voleva
dire ad ognuno: libertà per tutti. Nel rispetto delle regole, senza bisogno di
distruggere niente, con una chitarra a tracolla al posto del fucile, ma con
tanta determinazione.
L’articolo uno della
costituzione americana non era più solamente un insieme di parole; il simbolo
“fisico” della libertà, l’omonima statua regalata dalla Francia
all’America nel 1886, poteva finalmente sorridere.
Importante! ELVIS NON è
stato il personaggio giusto che si era trovato nel posto giusto al momento
giusto: ELVIS era entrato prepotentemente a gomitate ed a spallate poderose in
quel “posto”, volendo fortemente fare questo a dispetto di tutti quelli che
lo ostacolavano e lo combattevano. Più tardi dirà, rispondendo alle critiche
di chi gli rimproverava il troppo successo conquistato a soli vent’anni:
“Sono stato umiliato, deriso, allontanato così tante volte che credo di
meritarmi quello che ho adesso”.
Non dimentichiamo che,
all’epoca, i vari giudici delle città dove doveva esibirsi, avevano già
pronto per lui, in anticipo, il mandato di comparizione per istigazione a
delinquere nei confronti della gioventù – non certo una bella cosa per un
ragazzo ligio al dovere e rispettoso come era lui.
Ma nulla lo poteva fermare. La
sua forza e la sua determinazione erano incontenibili, venivano dal profondo del
suo cuore. Erano cose vere!
Da quel momento, i
giovani americani si comportarono come milioni di gocce d’acqua dapprima
sparse che avevano trovato in ELVIS l’alveo per trasformarsi, tutti assieme,
in un fiume impetuoso, inarrestabile. In grado di modificare il “paesaggio”
ed i risvolti socio-economici della nazione-continente America. Era stato come
liberare da una prigione milioni di individui che non avevano fatto nulla di
male e che, perciò, sapevano di meritarsi quella liberazione.
Vista
con gli occhi di oggi, ciò che ha fatto ELVIS può sembrare facile… Se
vogliamo fare una metafora, possiamo dire che oggi andare in America è una cosa
normale. Sì, ma nel 1491, lo era? Quando nessuno sapeva nemmeno che esistesse?
Oggi
andare in America è facile perché c’è chi ha aperto quella strada; oggi
vivere in un certo modo è facile, naturale, perché ELVIS ha aperto
“quella” strada.
LA
QUIETE DOPO LA TEMPESTA.
La
rivoluzione era fatta, con ELVIS che ne era diventato l’icona, la colonna
sonora. I giovani avevano trovato la loro guida carismatica, i “vecchi”
avevano perso e, più tardi, si renderanno conto che ELVIS era realmente un
bravo ragazzo, e diventeranno anch’essi suoi fans.
Tutto
era cambiato, e cominciò così quel periodo che, ancora oggi, tutti ricordano
come “i favolosi anni ‘60”.
Leonard
Bernstein, proprio nel 1960, disse:
Elvis
è la più grande forza culturale del ventesimo secolo. Ha portato il ritmo
nella musica, nel linguaggio, nel modo di vestirsi, nella vita di tutti i giorni
– è una nuova, totale rivoluzione.
E se
lo diceva un genio indiscusso della musica classica, rappresentante di un mondo
ESTREMAMENTE conservatore ed in perfetta contrapposizione a quel genere di
musica e di stile di vita…
Era un
po’ il sunto di quanto tutti avevano dovuto prendere atto. Una nuova ventata
di positività, di ottimismo, di vitalità, di voglia di “andare avanti”
stava spingendo la parte più avanzata dell’umanità. Una accelerazione
formidabile, che allargò letteralmente l’orizzonte, che portò l’uomo sulla
luna. Ciò che aveva fatto piangere Alessandro Magno (questi si era reso conto,
dopo avere conquistato l’Egitto, che non poteva conquistare ciò che ancora
non era suo, vale a dire proprio la luna), era riuscito agli uomini del
ventesimo secolo, quale apice di questa nuova ventata di progresso maturato
grazie al clima positivo che era stato “aperto” dalla tremenda scossa data
da ELVIS.
ELVIS
aveva acceso la luce ed aveva fatto vedere a tutti che il tunnel (prima guerra
mondiale, grande depressione, seconda guerra mondiale, bomba atomica, incertezze
del periodo post bellico) era finito.
Milioni
di persone in America e nel mondo da allora in poi lo venereranno profondamente,
moltissimi cercheranno di imitarlo. Senza riuscirci.
Da
quel momento, ELVIS non sarà più “the Pelvis”, il “delinquente”, il
pericolo da combattere - ma verrà incoronato RE, il solo RE della storia che
non abdicherà nemmeno dopo la morte fisica.
Ricordiamoci
che in America, per costituzione, i titoli nobiliari sono banditi. Per cui, il
fatto che lo chiamino “RE” ha un valore almeno doppio.
Ecco
come, dove, quando e perché ELVIS ha prima cambiato è poi è, grazie a questo,
entrato di diritto nella Storia dell’America e del mondo. E nei nostri cuori.
Non certo grazie a JAILHOUSE ROCK o a ALL SHOOK UP – che pure resteranno nella
realtà come colonne, monumenti immortali della storia della musica - ma per
fatti di ben diverso, più consistente, spessore.
Prima che qualcuno potesse fare qualche cosa,
ELVIS aveva già fatto tutto: questa frase
sintetizza perfettamente la maestosità della sua “opera”, qualcosa che il
mondo, prima, non aveva mai visto – qualcosa che, poi, non vedrà mai più.
Non
solo un formidabile artista, dunque, ma molto, molto, molto di più.
Ho
citato una frase di un grandissimo della musica classica, Leonard Bernstein, a
proposito di ciò che ha fatto ELVIS. Per siglare questo lungo discorso, voglio
ricordare quello che ha detto un’altra grandissima figura della musica, questa
volta “leggera” e nostrana: Mina. L’artista di Cremona, in occasione del
25.esimo anniversario della scomparsa del RE, ha rilasciato un’intervista che
finiva con queste parole: “Che Dio ti benedica, ELVIS AARON PRESLEY”.
Davvero:
che Dio ti benedica, ELVIS AARON PRESLEY! Con tutto il cuore.
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