DEDICATO A CHI VUOLE APPROFONDIRE LA CONOSCENZA DI ELVIS PRESLEY, SAPENDO CHE IL RE NON E' SOLAMENTE UN CANTANTE MA MOLTO, MOLTO, MOLTO DI PU'.

Scritto da: Pierino CANDUSSO

ELVIS AARON PRESLEY

ICONA D’AMERICA E PARTE DELLA STORIA AMERICANA: COME, DOVE, QUANDO E PERCHE’ ELVIS E’ ENTRATO DI DIRITTO NELLA CULTURA E NELLA STORIA DELL’AMERICA. E DEL MONDO.

 

Uno studio americano (studio, non sondaggio) dell’aprile 2003, rivela che ELVIS è considerato la seconda icona americana. La prima, così rispondo alla domanda che certamente vi state facendo, è la bandiera nazionale, i cui colori – blu, bianco e rosso, rispettivamente: la giustizia, la verità ed il coraggio – incarnano lo spirito, l’essenza, i valori supremi di quel popolo.
In tutti i libri di storia americana c’è un preciso riferimento ad ELVIS. Nelle università americane (e non solo), nella sezione sociologia, si studia ELVIS. Ci sarà pure un motivo, vero?
Ancora: davvero pochissime persone, prendendo a riferimento tutte le epoche, sono conosciute in TUTTO il mondo con il solo cognome. Altrettante pochissime sono le persone conosciute con il solo nome. Ancora meno, quelle conosciute con il solo soprannome. Ebbene: ELVIS è il solo personaggio conosciuto in tutto il mondo con il solo cognome, oppure con il solo nome, oppure con il solo soprannome! Ne ricordate qualche altro?
In aggiunta: Graceland, che contende alla Casa Bianca il primato di luogo più visitato d’America, è – secondo un monitoraggio delle Università Americane – un posto dove la metà dei visitatori che vi accedono sono nati dopo la scomparsa fisica di ELVIS. Questo significa che non si tratta di un pellegrinaggio di nostalgici, ma di qualche cosa di ben più profondo.  
Inoltre: nelle votazioni via internet promosse alla fine del 2000 dal gruppo editoriale leader americano TIME-LIFE, ELVIS è risultato ampiamente primo nella sezione “artista del secolo”, nella più importante sezione “personaggio del secolo”, nella sezione “evento del secolo”. Vorrà ben dire qualche cosa, giusto?
Noi tutti, ci siamo sentiti dire e ripetiamo a nostra volta che ELVIS ha cambiato la cultura, non solo la musica, dell’America prima e del resto del mondo poi.
Ma quali sono i passaggi e cosa è avvenuto veramente per determinare tutto questo? Come, esattamente, ELVIS ha prima influito e poi è “entrato” prepotentemente nelle Storia (Storia con la “S” maiuscola) di quella che è attualmente la nazione più potente e più moderna del mondo?
Credo sia affascinante e doveroso – per chi ama il RE – compiere lo sforzo di ripassare la storia degli Stati Uniti per scoprire, comprendere, apprezzare tutto questo. La storia è fatta di e dagli uomini e, spesso, dai rivoluzionari: è un modo per studiare a fondo come questo “uomo”, questo rivoluzionario la cui azione pur devastante ma che non ha comportato – probabilmente unico caso nella storia mondiale – alcuno spargimento di sangue, abbia cambiato così profondamente la musica, la cultura, la storia.
Questo scritto si ripropone di analizzare il come, il dove, il quando ed il perché di questo mutamento epocale che, vale per i più giovani, ha apportato enormi benefici ad ognuno di noi. Sarà un modo per comprendere il motivo per cui la stella di questo Eroe continua e continuerà a brillare. Ben al di là del fattore musicale.
Nota: in questo scritto, i termini “Stati Uniti”, “Stati Uniti d’America”, “U.S.A.” e “America” staranno ad indicare la stessa entità politico-geografica. Sono semplicemente dei sinonimi.
Ancora: teniamo sempre ben presente che gli Stati Uniti d’America sono, nella pratica, non una nazione come la intendiamo comunemente, ma un continente, con varie sfaccettature, problematiche, modi di essere. Quella realtà è davvero molto vasta e complessa e può rispecchiare, riassumere, essere prototipo delle diverse situazioni che esistono nel resto del mondo.
 
STORIA DEGLI STATI UNITI – l’inizio.
Ufficialmente, la breve (poco più di 200 anni) ma intensissima storia di quelli che adesso sono conosciuti come gli Stati Uniti, comincia il 12 ottobre 1492, con la scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo. Quel continente, era già abitato da 40 o 50.000 anni, ma “l’incontro” con gli europei ne cambierà per sempre il destino.
Sappiamo tutto del modo fortuito con cui il navigatore genovese, sponsorizzato (oggi si direbbe così) dai reali di Spagna, scopre (o, a seconda dei punti di vista, invade) questa terra. Sappiamo anche che cosa – lui e chi lo segue – trova/trovano in questo continente fino allora sconosciuto.
Nota 1: all’epoca, tutta la parte più orientale dell’attuale Asia era conosciuta come “Indie”. Colombo chiamerà “indiani” gli abitanti locali, convinto di essere arrivato nelle Indie, cioè nell’attuale estremo oriente.
Nota 2: gli Europei viaggiavano verso le “Indie” allo scopo di commerciare spezie che, all’epoca, erano preziose tanto quanto l’oro – per la conservazione dei cibi, in mancanza del frigorifero.
Nota 3: Colombo non fu il primo europeo ad arrivare nel nuovo continente, ma fu il primo in assoluto a divulgare al mondo la sua scoperta. La sua specificità, che lo rendeva diverso dai navigatori dell’epoca, era quella di saper leggere e scrivere: questo gli aveva dapprima permesso di studiare la possibilità di circumnavigare la Terra e poi di propagandare ciò che aveva scoperto. Aprendo le porte a tutti.
Ma vediamo i fatti. Tutto il 1500 viene “speso” a studiare questo nuovo mondo. Le varie nazioni europee, segnatamente Inghilterra, Francia, Germania, Olanda, mandano dei loro esploratori, emissari, avventurieri senza scrupoli a sondare uomini e cose. Quando il quadro di questa immensa scoperta è sufficientemente delineato, e siamo ai primi del 1600, inizia una sorta di colonizzazione.
 
LE PRIME COLONIE.
Le date sono 1607 e 1620, rispettivamente quando un primo ed un secondo gruppo di coloni inglesi – questi ultimi conosciuti come “i pellegrini” - si insediano stabilmente sul suolo di quelli che saranno i futuri Stati Uniti d’America, precisamente nella parte nord della costa orientale, costituendo di fatto le 2 prime colonie.
Una precisazione fondamentale: chi e perché aveva interesse a lasciare la vecchia, rassicurante, “civile” Europa per andare incontro all’ignoto nel Nuovo Mondo? Le categorie erano quattro e, precisamente, questo nuovo continente interessava:
I nuovi arrivati, all’inizio del 1600, non trovarono certo la strada spianata per la loro avventura, anche se c’è l’episodio di aiuto reciproco ricevuto dai “pellegrini” proprio da parte dei Nativi Americani (conosciuti come Indiani, per via dell’errata convinzione di Colombo) che durante il primo inverno aiutarono a sopravvivere i nuovi arrivati privi di scorte alimentari. Anzi: proprio questo sostegno fu celebrato dai nuovi insediati con una festa che è entrata nella tradizione americana: il giorno del ringraziamento (si festeggia l’ultimo giovedì di novembre, ed è il famoso TANKSGIVING DAY, anche occasione per banchettare a base di tacchino).
Dal quel momento, si insediarono via via altre colonie, fino ad arrivare ad essere 13 il 4 luglio del 1776, data importante perché proprio in quel giorno fu redatta la dichiarazione di indipendenza da parte di queste colonie nei confronti dell’Inghilterra, la nazione che aveva imposto una sorta di dominio sui nuovi stanziamenti. Tutte queste colonie erano insediate sulla costa orientale, nella parte più a nord degli attuali Stati Uniti.
Cos’era successo? Queste colonie erano state formate da gente che voleva essere libera ed indipendente ma che non era riuscita, fino a quel momento, ad affrancarsi completamente dalla allora potentissima ed onnipresente Inghilterra.
Anzi: l’asfissiante Inghilterra aveva trovato il modo di rendere la vita di questi coloni particolarmente dura con la pretesa di riscossione di tasse e balzelli vari, finalizzati al pagamento delle ingenti spese militari che la stessa Inghilterra doveva sostenere per far fronte alla annosa guerra contro la Francia.
Le 13 colonie, unite per l’occasione fra di loro, nominarono un unico generale per combattere la loro guerra di indipendenza. Quel generale era il celebre George Washington – che seppe guidare magistralmente il suo esercito durante i 7 anni di durata della guerra d’indipendenza, fino alla vittoria finale.
 
LA RICERCA DELLA INDIPENDENZA.
Ovviamente, quel 4 luglio divenne una data simbolo che resta ancora oggi l’occasione per celebrare la festa nazionale americana più importante: il giorno dell’indipendenza.
Vinta la guerra, i rappresentanti delle 13 colonie avevano ben compreso che l’unione fa la forza e si attivarono per unirsi stabilmente fra di loro, pur conservando (questo è importantissimo) le singole identità di ognuna delle 13 colonie. L’elaborazione della nuova costituzione fu macchinosa ma alla fine soddisfò tutti e nel 1787 questo nuovo “lavoro” fu ufficialmente completato ed operativo.
La nuova costituzione consisteva in un preambolo – dove si spiegavano i motivi di ciò che si stava per fare – negli articoli, in tutto 10, e nella parte detta degli emendamenti, cioè quel contenitore inizialmente vuoto dove avrebbero trovato posto le future modifiche e/o aggiunte ai 10 articoli iniziali della costituzione stessa. Attualmente sono 17.
 
IL PRIMO PRESIDENTE AMERICANO.
Come primo Presidente fu nominato proprio George Washington, inaugurando così una tradizione tutta americana che vedrà più volte un generale vincitore “trasformarsi” in Presidente della nazione – quasi a voler significare che l’insieme funziona come un esercito: chi è messo lì per comandare, comanda veramente ed è capace di decisioni rapide e mirate.
Ma questo modo di fare voleva anche essere un segnale preciso per il popolo: tutti dovevano avere la percezione che l’ordine stava alla base di tutto, non erano ammessi comportamenti “fuori ordinanza”, dopo che il popolo sovrano aveva scelto da chi (e conseguentemente come) farsi guidare.
Solamente così, senza incertezze e/o tentennamenti, si poteva pensare di governare una nazione già grande allora e con la prospettiva di ingrandirsi ancora di più in futuro.
 

L’ARTICOLO UNO DELLA COSTITUZIONE AMERICANA.
Un punto importantissimo: in questa costituzione scarna, essenziale, pragmatica, estremamente funzionale, il PRIMO articolo, quello che fa da fondamenta a tutto il resto, parla di libertà. Anzi: esalta la libertà – in tutte le accezioni del termine.
Un fatto assolutamente nuovo, per un mondo che – fino ad allora – non conosceva, non aveva mai conosciuto la vera libertà. Tornando un attimo indietro nel tempo, rivediamo che era stata proprio la sete di libertà a spingere quelli che sarebbero stati i futuri abitanti degli Stati Uniti a lasciare la vecchia Europa per andare in America.
Era proprio in nome della libertà che stava nascendo, che era nato, questo nuovo mondo.
E’ un fatto che va sottolineato più volte, perché è la chiave di volta di tutto, la chiave di volta dell’esistenza stessa – allora come adesso – di questa nazione che ha fatto della libertà l’essenza del proprio essere. Il motivo per cui esiste, il bene più prezioso per cui è viva, il miraggio per quei milioni di individui che in questi 400 anni hanno raggiunto e raggiungono gli Stati Uniti – anche a costo di pericoli mortali.
 
LA BANDIERA AMERICANA.
Abbiamo già visto il significato dei colori che la costituiscono. Le 13 strisce orizzontali bianche e rosse simboleggiano le 13 colonie iniziali, quelle che avevano dato il via a questo grandioso progetto.
Le stelle bianche in campo blu, inizialmente erano evidentemente 13 anche esse, sono il numero degli stati che compongono l’unione. Attualmente sono 50.
 
E LA STORIA COMINCIA…
Ottenuta l’indipendenza (a prezzo di tante giovani vite umane che si sono sacrificate in nome della libertà, giovani che hanno pagato con la vita questa preziosissima conquista, eroi che sono ricordati in un’altra importante festa nazionale – il MEMORIAL DAY), l’America va avanti in maniera pragmatica, positiva.
Tante menti “fresche”, arrivate dalla vecchia Europa, concorrono con le loro idee – che erano sistematicamente soffocate nelle patrie d’origine – a fare correre questo paese dalle risorse immense. C’è un sano fervore, incoraggiato dal sistema, che mira ad ottimizzare il tutto allo scopo di migliorare il benessere dei singoli individui. E a semplificarne la vita.
Nel sud della nazione, viste le favorevoli condizioni ambientali e climatiche, si punta sull’agricoltura, vera spina dorsale - all’epoca - dell’America, mentre al nord fervono le attività artigianali e le prime attività industriali fanno prepotentemente capolino.
Chi guida il paese, si comporta in maniera dinamica: adegua (e spesso anticipa) le leggi ed i regolamenti alle esigenze che di volta in volta emergono.
L’America, fin dalla sua costituzione, si ritrova in casa il moralmente odioso ma “comodo” fenomeno della schiavitù, retaggio dei primi conquistatori di quelle terre.
Sono i tantissimi africani che sono stati portati con la forza per lavorare come schiavi nelle immense piantagioni di cotone del sud degli Stati Uniti, dove c’era un assoluto bisogno di braccia – copiando in questo modo ciò che era già stato fatto nell’Europa occidentale.
Nota: corsi e ricorsi della storia, anche all’epoca c’era chi sfruttava questi viaggi forzati, acquistando il futuro schiavo in Africa per circa 25 dollari e rivendendolo per 125 dollari in America.
Una parentesi: sarà proprio questa infelice condizione di asservimento a generare, a distillare quel genere musicale tipico di quei negri d’America: il blues, musica della quale verrà permeato in futuro il nostro ELVIS, che nasce e trascorre la sua infanzia nel cuore di quella realtà geografica.
Sarà il benemerito presidente Abramo Lincoln, nel 1861, ad abolire la schiavitù promulgando una legge per l’epoca modernissima.
Ma questo provocherà la violenta reazione degli stati del sud, dove i proprietari terrieri ed i politici che avevano ottenuto i propri voti da quelle popolazioni, vedono vacillare i loro privilegi, visto che l’economia di quella zona ha come asse portante la mano d’opera a costo zero fornita dagli schiavi. L’agricoltura, all’epoca, era assolutamente manuale.
Una seconda parentesi: per contro, proprio questa classe di bianchi, “spinta” da ben altre motivazioni – leggi: desiderio di mantenere lo status quo – genererà, si riconoscerà in un genere musicale molto meno malinconico, il country. Manco a dirlo, anche questo genere entrerà nel patrimonio musicale del giovane ELVIS, miscelandosi con le altre esperienze.
 
LA GUERRA CIVILE.
Nello stesso 1861, la lacerante reazione degli stati del sud sfocia nella terribile guerra civile (1861 – 1865): il sud non poteva permettersi di mettere in ginocchio la propria economia aderendo alla soppressione della schiavitù!
Una guerra civile è quanto di più tragico possa accadere in una nazione: gli amici combatteranno contro gli amici, gli stessi fratelli combatteranno contro i fratelli, il tutto con effetti devastanti.
La guerra civile americana comporterà morti ed immani distruzioni, ma alla fine, con la vittoria degli stati del nord, tutto rientrerà completamente, assolutamente nella legalità. Gli stati del sud accetteranno la nuova legge, l’Unione fra gli stati sarà salva.
E l’insegnamento resterà come un monito per il futuro. Così la storia degli Stati Uniti può ripartire.
 
L’ERA INDUSTRIALE.
Siamo così a cavallo fra la fine del 19.esimo e l’inizio del 20.esimo secolo quando, nella dinamicissima America, l’economia prevalentemente agricola comincia decisamente a trasformarsi in economia industriale. Meglio: viene “inventata” l’industria, con tutte le conseguenti problematiche, prima fra tutte un massiccio spostamento della popolazione dalle campagne alle grandi città, le future metropoli.
Inoltre, milioni di nuovi immigrati erano pronti a lavorare per meno di altre persone già residenti, e questo dava una forza troppo grande agli industriali che potevano non curarsi della sicurezza sui posti di lavoro e non avevano il problema di ricevere lamentele dai sottoposti sfruttati.
Che cosa era successo in quei pochi, cruciali decenni? Un insieme di circostanze che avrebbero avuto il potere di generare un incontrollabile effetto domino. Vediamo i dettagli.
Eli Whitney inventa un macchinario tessile che può sostituire il lavoro di 20 persone.
Thomas Edison inventa la lampadina (oggetto piccolo ma dalle ripercussioni grandiose – vedere perché).
Enry Ford, poco dopo, inventerà la catena di montaggio.
Le conseguenze? Grandiose e disastrose, proprio perché non regolamentate, non previste, più grandi di quanto si potesse pensare. Vediamo i dettagli.
-          Improvvisa sovrapproduzione di prodotti
-          Più ore lavorate nelle fabbriche (grazie alla luce elettrica)
-          Mancanza di leggi, semplicemente perché si stava verificando una situazione nuova ed inattesa
-          Sempre più macchine al posto degli uomini nei posti di lavoro
-          Conseguenti massicce perdite di posti di lavoro
-          Mancanza di soldi – da parte di chi era rimasto senza lavoro - per effettuare gli acquisti anche dei generi di prima necessità
-          Conseguente chiusura dei negozi per via delle mancate vendite
-          Fallimento di moltissime fabbriche che non riuscivano più a vendere i loro prodotti ai commercianti
-          Fallimento delle banche nelle quali non circolava più il denaro e conseguente…
-          Perdita dei risparmi di chi aveva qualche accantonamento nelle banche – perdite non coperte da nessuna assicurazione
Era cominciata la grande depressione.
 
UN PASSO INDIETRO – LA PRIMA GUERRA MONDIALE.
Fra lo “scoppio” dell’era industriale e la grande depressione c’era stato un altro evento epocale per l’America: la partecipazione alla prima guerra mondiale.
Brevemente: gli USA entrano nella prima guerra mondiale, dalla quale avevano deciso di tenersi fuori, solamente perché la marina Americana viene attaccata dai sottomarini tedeschi nel 1917. Nel 1918 l’America vince la prima guerra mondiale. Sembra un evento tragicamente di rilevanza – tutto sommato - limitata, ma una guerra non è mai una faccenda di poco conto: le industrie devono lavorare in funzione del conflitto, molti, troppi giovani cittadini perdono la vita con conseguente depauperamento di menti fresche che non potranno mai più concorrere al miglioramento di una nazione, lo sviluppo economico subisce un inevitabile rallentamento. Tutto questo come tragico antipasto a:
 
LA GRANDE DEPRESSIONE.
Un periodo angoscioso, che durerà una decina di anni, dal 1929 alla fine degli anni 30. Molte persone morirono letteralmente di fame, altre morirono perché non avevano i mezzi per curarsi. La (lunghissima) fila per avere un pezzo di pane divenne una costante quotidiana nel panorama urbano delle città americane.
Una parentesi importantissima: è nel bel mezzo di questo “ridente” periodo che nasce ELVIS PRESLEY, guarda caso in una delle zone più critiche per quanto riguarda la somma delle varie crisi, da una famiglia che più povera non si può.
Ma se è vero, tanto per non scomodare l’intera categoria e limitarsi al singolo caso, che l’ultimo sarà il primo…
Torniamo alla grande depressione. Ancora una volta fu la lungimiranza di chi governava – segnatamente il presidente Franklin D. Roosevelt - a risollevare il tutto, grazie ad una massiccia campagna di opere pubbliche – strade, scuole, uffici pubblici – che andranno a costituire lo scheletro portante della futura, moderna America, notoriamente ben attrezzata per quanto riguarda le infrastrutture. Era soprattutto un modo per dare un salario a chi era senza lavoro e per rimettere in moto, conseguentemente, l’economia.
A questo punto, per l’America, dopo:
-          la grande confusione conseguente all’avvento dell’era industriale
-          la dolorosa parentesi della prima guerra mondiale e
-          la disastrosa grande depressione
sembra sia finalmente arrivato il momento di tirare il fiato, quando, con tragica puntualità, arriva il rendez-vous con la tremenda:
 
SECONDA GUERRA MONDIALE.
In Europa, era scoppiata una nuova, assurda guerra (come se la prima non avesse insegnato proprio nulla). L’America era fermamente decisa a restare neutrale quando, il 7 dicembre 1941, il Giappone distrugge la flotta U.S.A. a Pearl Harbor e l’America è costretta ad entrare, a sua volta, in guerra - al fianco di Francia, Inghilterra e Russia, contro Giappone, Germania e… Italia.
Arriviamo direttamente alla primavera del 1945. L’Italia era già passata dall’altra parte della barricata, finalmente la Germania capitola, ma il Giappone non si arrende.
Il 6 agosto di quell’anno l’America sgancia la prima bomba atomica sul suolo della nazione del Sol Levante – che si ostina a rifiutare la resa. Il 9 agosto sarà la volta della seconda bomba atomica: il Giappone, finalmente, si arrende e la guerra finisce.
Questo eviterà altri milioni di morti, ma lascerà un segno profondissimo in tutta l’umanità. Le giovani generazioni dell’epoca, Americani in testa, resteranno scioccati dalla potenza distruttiva di questa nuova arma con conseguente perdita di certezze e “bisogno” inconscio di nuovi rassicuranti punti di riferimento…
 
IL DOPO GUERRA.
Ancora una volta, l’efficiente ed operosa America sa ripartire, guardando avanti. In pochissimi anni il trauma del conflitto – nei soli cimiteri di guerra Europei gli Americani avevano lasciato oltre 200.000 giovani vite spezzate - verrà brillantemente superato. Il reddito pro capite è il più alto del mondo: il numero di automobili per abitante, così come il numero di elettrodomestici per famiglia e di supermercati in rapporto alla popolazione è di gran lunga il più alto in assoluto.
Questa fase è gestita, corsi e ricorsi della storia Americana, dal generale che è stato il vincitore delle seconda guerra mondiale, quell’Eisenhower che guida la nazione americana come fosse a capo di un esercito, tutti allineati e coperti, tutti omologati – pur nella massima libertà e democrazia.
Riprendono vigore anche le LABOR UNIONS, i sindacati americani che, apparsi una prima volta nel 1881, fino allora non avevano mai contato in maniera determinante: troppa offerta di mano d’opera, spesso da parte di chi si poteva accontentare di molto poco (vedi i nuovi immigrati).
Crescono anche i movimenti per i diritti civili: nati per combattere le discriminazioni contro i negri, i messicani, i nativi americani e gli asiatici.
Che cosa succedeva nei confronti di queste categorie?
Torniamo all’articolo uno della costituzione americana, punto nodale di partenza del sistema, dove si parla, si esalta, si garantisce la libertà. Ebbene, se i padri fondatori della nuova nazione erano stati così moderni, democratici, lungimiranti e giusti, coloro che avevano successivamente governato gli Stati Uniti d’America, non sempre erano stati altrettanto tempestivi e corretti nel mettere in pratica il concetto di libertà, segnatamente nei confronti di quelle specifiche minoranze.
Per inciso: i negri, sia numericamente che da un punto puramente visivo, erano quelli che si notavano meglio nella loro emarginazione. Non erano più schiavi da tanto tempo, ma discriminati pesantemente sì.
Che cosa era successo? Si era cristallizzata, alla guida della nazione e nei punti chiave del paese, una categoria ben precisa, benché non codificata ufficialmente: i WASP, cioè i bianchi (White), di origine AngloSassone, di religione Protestante.
Non solo comandavano loro, ma – ed era molto peggio – consideravano esseri inferiori coloro che non appartenevano a questa “casta”.
Una situazione intollerabile per una paese nel quale si respirava la libertà in tutte le accezioni del termine.
Ma c’era anche un’altra forma di discriminazione ben radicata, retaggio dell’epoca contadina, che riguardava “quei” bianchi stessi e che avveniva anche all’interno della stessa categoria dei WASP: il patriarcato!
Non è facile comprendere appieno questa situazione per chi non ha – per sua fortuna! – potuto vivere quel genere di condizione.
In pratica, il capo famiglia, il padre, era anche il patriarca, cioè esercitava sui figli una sorta di tirannia che non lasciava alcun margine ai giovani. Un vero padre-padrone.
Una situazione, dicevamo, ereditata dal periodo rurale, quando il “vecchio” era davvero il depositario di conoscenze e tecniche di lavoro indispensabili per la sopravvivenza.
Questi, i figli, erano in pratica dei vecchietti con una carta d’identità più recente rispetto ai padri. E basta.
Non potevano vestire secondo il proprio gusto, non avevano accesso a divertimenti specifici, portavano tutti capelli cortissimi con la riga laterale. Anche mentalmente erano costretti ad essere “grigi”. Non c’era, per loro, libertà.
E, a proposito di divertimenti, al sabato sera c’era il ballo al quale presentarsi con il vestito – giacca e pantaloni – blu. Ecco perché BLUE SUEDE SHOES avrà un significato di dissenso. Ironica ma graffiante, sarà una delle canzoni che i giovani considereranno un inno della loro protesta.
 
IL CLIMA SOCIALE DEL DOPOGUERRA NEGLI U.S.A.
Ricerca dell’indipendenza da parte delle colonie, nascita di una nuova nazione, guerra civile, avvento dell’era industriale e “conseguente” grande depressione, forte immigrazione, prima e seconda guerra mondiale: tutti avvenimenti succedutisi in così rapida sequenza da plasmare con decisione questa giovane e forte nazione (forte: basta verificare quanto siano mentalmente determinati gli americani, in contrasto al loro aspetto tante volte scialbo…), ma senza che ci fosse il tempo per mettere a posto proprio tutto, per “curare” i particolari.
Libertà come in nessun altro posto, ma non proprio per tutti. Non nella stessa misura, almeno.
La generazione dei ventenni dell’epoca, che erano rimasti storditi per quanto avevano appena visto, aveva bisogno di qualcuno che li potesse guidare verso la conquista di quella libertà che esisteva solo lì, in America, ma che era ad uso e consumo dei grandi.
Avevano bisogno di ribellarsi, ma mancava la figura carismatica in grado di coagulare milioni di giovani ragazze e ragazzi, di diverse estrazioni ed origini, accomunati solamente dalla stessa bandiera.
Avevano bisogno di vivere attivamente, non passivamente. Volevano ragionare con la loro testa e comportarsi secondo le proprie esigenze.
Preferivano un futuro magari con meno certezze, ma nel quale essere parte attiva – e si trattava di menti fresche, non cristallizzate, potenzialmente capaci di apportare davvero molto.
Sembrava un sogno irrealizzabile, troppo teorico, distante dalla realtà, dalla pratica quotidiana.
L’industria cinematografica prima e quella discografica poco dopo avevano ben compreso questo bisogno ed avevano autonomamente creato quelli che avrebbero dovuto essere dei modelli di riferimento per i giovani americani.
Hollywood aveva “inventato” James Dean e Marlon Brando. I giovani americani non si riconobbero in loro: troppo malinconico il primo, troppo scostante il secondo.
Fu la volta dell’industria discografica: ecco pronti Bill Haley e Little Richard. Le cose non andarono meglio. Bill Haley era grassoccio, non più giovanissimo, con una pettinatura al limite del ridicolo.
Little Richard era gay ed era negro: la stragrande maggioranza della gioventù americana era di colore bianco e non si sarebbe mai identificata in lui. In quanto al fattore “gay”, i tempi non erano certamente maturi per questo “genere”.
Mancava la libertà e mancava il leader che avrebbe dovuto guidare un’intera generazione alla conquista della stessa… Una cosa non da poco, quando…
 
LA SVOLTA STORICA: COME, DOVE, QUANDO.
Abbiamo già detto che la storia è fatta di uomini e dagli uomini. Ed anche di date. Il tassello mancante nella storia americana troverà la sua collocazione il giorno 9 settembre 1956, quando ELVIS appare per la prima volta come ospite allo spettacolo televisivo ED SULLIVAN SHOW, recital all’epoca straordinariamente popolare in tutti gli Stati Uniti.
ELVIS, nel novembre del 1955, aveva firmato un faraonico contratto con la casa discografica RCA, trasformandosi così da cantante locale a star nazionale a partire dal primo gennaio 1956, data di inizio ufficiale del suo rapporto artistico con la grande casa discografica di New York.
La sua nuova carriera era cominciata a spron battuto: il suo primo album era stato il primo long play a superare il milione di copie vendute nella storia. I suoi dischi erano costantemente in vetta alle classifiche. Il suo primo film era stato un successone commerciale. I media si occupavano di lui in continuazione, nel bene e nel male.
Ma il punto era questo: i suoi dischi venivano acquistati ed ascoltati solo da chi li voleva ascoltare – in questo caso i teen-ager. Il suo film era stato visto dai suoi ammiratori, ed in ogni caso l’ambientazione storica dello stesso non aveva assolutamente reso giustizia al “vero” ELVIS, quello ribelle. Chi non ne voleva sapere, poteva benissimo starne fuori, non ascoltare le sue canzoni né tanto meno il suo messaggio.
Ma quella storica domenica sera le parti si invertirono: fu ELVIS ad entrare nelle case degli americani, prepotentemente e capillarmente (lo spettacolo ebbe uno share astronomico dell’82,6%), ed anche i “vecchi” che non lo avevano ancora ascoltato o, peggio, visto, furono costretti a guardare in faccia questa nuova realtà. Il tutto nella ordinata, strutturata, perbenista, rigorosa America!!
Cosa era successo? Quattro cose, contemporaneamente – altro che la bomba atomica che aveva posto fine alla seconda guerra mondiale! Gli effetti furono ben più devastanti (ma in questo caso il numero dei morti non superò le zero unità).
La prima: la musica di ELVIS era una fusione perfetta di bianco e di nero, di country e di blues. Era la dimostrazione innegabile che le due realtà potevano, anzi: dovevano convivere in armonia. Una forte, decisiva spallata contro la discriminazione ed il razzismo, un punto importante a favore della libertà per tutti, tanto declamata dall’articolo uno della costituzione americana. La musica era il cavallo di Troia per l’integrazione culturale delle diverse etnie presenti nella nazione.
La seconda, ancora più devastante: il modo “osceno” in cui interpretava quella musica, il modo in cui si pettinava e vestiva, la maniera scandalosa in cui si muoveva – assolutamente fuori da qualsiasi schema, il suo essere ribelle a dispetto della buona educazione e del rispetto che mostrava di possedere nei confronti delle istituzioni, tutto questo era il proclama di libertà dei giovani contro il tribale patriarcato attuato dalla generazione degli adulti. La libertà, per ELVIS un bene appannaggio di tutti e non solo di una parte della popolazione americana. La libertà, proclamata dall’articolo uno e mostrata, letteralmente, per la prima volta da ELVIS ai giovani affinché sapessero come farne uso, agli adulti affinché si potessero rendere conto che nulla sarebbe rimasto uguale a prima.
Ecco il punto: ELVIS aveva “mostrato” all’America che cosa era la libertà. Aveva trasformato un concetto astratto in realtà alla portata di tutti.
Una cosa inaudita, grandiosa, epocale – dagli effetti inimmaginabili. Ed infatti, tutto cambiò.
Le prime reazioni, da parte degli adulti, furono indignate e furibonde. Consci che il loro potere stava vacillando, si scagliarono in tutti i modi contro quel giovanotto definito volgare, scandaloso, teppista, istigatore alla delinquenza… Era una guerra destinata alla sconfitta.
I giovani, per contro, esultarono: era finalmente arrivato il loro messia! Ciliegina sulla torta, si trattava di una figura solare, che sprizzava energia ed infondeva ottimismo, a fianco della quale correre nei momenti di esaltazione ed alla quale aggrapparsi nei momenti di sconforto. ELVIS era esattamente ciò che le ragazze avrebbero voluto avere e ciò che i ragazzi avrebbero voluto essere.
La terza: erano specificatamente le sue movenze sul palcoscenico (…the Pelvis), movenze che inequivocabilmente mimavano l’atto sessuale, a mostrare alla puritana America che anche la strada della liberazione sessuale era aperta. Ed Sullivan (assente, a causa dei postumi di un incidente stradale, a quella prima storica apparizione di ELVIS al suo spettacolo) sarà costretto, per le apparizioni future di ELVIS allo show, ad adottare la formula (che era vera e propria censura) delle riprese “from the waist up”, ma oramai i giovani americani avevano potuto “vedere” che fare l’amore non era una cosa da tenere così nascosta, di cui vergognarsi. Erano ancora i tempi in cui ELVIS, ad esempio, non poteva cantare “ONE NIGHT OF SIN” (UNA NOTTE DI PECCATO) ma “solamente” “ONE NIGHT WITH YOU”, Più rassicurante, per l’opinione pubblica.
Nota: le apparizioni televisive di ELVIS da quel momento verranno visionate dalla polizia che doveva vegliare sulla censura imposta nei suoi confronti (!).
La quarta: la quasi totalità di una nazione di oltre 200 milioni di abitanti aveva avuto, in un colpo solo, il contatto con questo extra terrestre. Era un numero enormemente maggiore del milione di soli teen-ager che avevano cominciato ad acquistare i suoi dischi. Oggettivamente, era un numero mastodontico. L’intero continente America non poteva più fingere di non sapere.
 
IL DOPO TERREMOTO.
La televisione non aveva inventato ELVIS, ma era stata la cassa di risonanza per ciò che ELVIS voleva dire ad ognuno: libertà per tutti. Nel rispetto delle regole, senza bisogno di distruggere niente, con una chitarra a tracolla al posto del fucile, ma con tanta determinazione.
L’articolo uno della costituzione americana non era più solamente un insieme di parole; il simbolo “fisico” della libertà, l’omonima statua regalata dalla Francia all’America nel 1886, poteva finalmente sorridere.
Importante! ELVIS NON è stato il personaggio giusto che si era trovato nel posto giusto al momento giusto: ELVIS era entrato prepotentemente a gomitate ed a spallate poderose in quel “posto”, volendo fortemente fare questo a dispetto di tutti quelli che lo ostacolavano e lo combattevano. Più tardi dirà, rispondendo alle critiche di chi gli rimproverava il troppo successo conquistato a soli vent’anni: “Sono stato umiliato, deriso, allontanato così tante volte che credo di meritarmi quello che ho adesso”.
Non dimentichiamo che, all’epoca, i vari giudici delle città dove doveva esibirsi, avevano già pronto per lui, in anticipo, il mandato di comparizione per istigazione a delinquere nei confronti della gioventù – non certo una bella cosa per un ragazzo ligio al dovere e rispettoso come era lui.
Ma nulla lo poteva fermare. La sua forza e la sua determinazione erano incontenibili, venivano dal profondo del suo cuore. Erano cose vere!
Da quel momento, i giovani americani si comportarono come milioni di gocce d’acqua dapprima sparse che avevano trovato in ELVIS l’alveo per trasformarsi, tutti assieme, in un fiume impetuoso, inarrestabile. In grado di modificare il “paesaggio” ed i risvolti socio-economici della nazione-continente America. Era stato come liberare da una prigione milioni di individui che non avevano fatto nulla di male e che, perciò, sapevano di meritarsi quella liberazione.
Vista con gli occhi di oggi, ciò che ha fatto ELVIS può sembrare facile… Se vogliamo fare una metafora, possiamo dire che oggi andare in America è una cosa normale. Sì, ma nel 1491, lo era? Quando nessuno sapeva nemmeno che esistesse?
Oggi andare in America è facile perché c’è chi ha aperto quella strada; oggi vivere in un certo modo è facile, naturale, perché ELVIS ha aperto “quella” strada.
 
LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA.
La rivoluzione era fatta, con ELVIS che ne era diventato l’icona, la colonna sonora. I giovani avevano trovato la loro guida carismatica, i “vecchi” avevano perso e, più tardi, si renderanno conto che ELVIS era realmente un bravo ragazzo, e diventeranno anch’essi suoi fans.
Tutto era cambiato, e cominciò così quel periodo che, ancora oggi, tutti ricordano come “i favolosi anni ‘60”.
Leonard Bernstein, proprio nel 1960, disse: Elvis è la più grande forza culturale del ventesimo secolo. Ha portato il ritmo nella musica, nel linguaggio, nel modo di vestirsi, nella vita di tutti i giorni – è una nuova, totale rivoluzione.
E se lo diceva un genio indiscusso della musica classica, rappresentante di un mondo ESTREMAMENTE conservatore ed in perfetta contrapposizione a quel genere di musica e di stile di vita…
Era un po’ il sunto di quanto tutti avevano dovuto prendere atto. Una nuova ventata di positività, di ottimismo, di vitalità, di voglia di “andare avanti” stava spingendo la parte più avanzata dell’umanità. Una accelerazione formidabile, che allargò letteralmente l’orizzonte, che portò l’uomo sulla luna. Ciò che aveva fatto piangere Alessandro Magno (questi si era reso conto, dopo avere conquistato l’Egitto, che non poteva conquistare ciò che ancora non era suo, vale a dire proprio la luna), era riuscito agli uomini del ventesimo secolo, quale apice di questa nuova ventata di progresso maturato grazie al clima positivo che era stato “aperto” dalla tremenda scossa data da ELVIS.
ELVIS aveva acceso la luce ed aveva fatto vedere a tutti che il tunnel (prima guerra mondiale, grande depressione, seconda guerra mondiale, bomba atomica, incertezze del periodo post bellico) era finito.
Milioni di persone in America e nel mondo da allora in poi lo venereranno profondamente, moltissimi cercheranno di imitarlo. Senza riuscirci.
Da quel momento, ELVIS non sarà più “the Pelvis”, il “delinquente”, il pericolo da combattere - ma verrà incoronato RE, il solo RE della storia che non abdicherà nemmeno dopo la morte fisica.
Ricordiamoci che in America, per costituzione, i titoli nobiliari sono banditi. Per cui, il fatto che lo chiamino “RE” ha un valore almeno doppio.
Ecco come, dove, quando e perché ELVIS ha prima cambiato è poi è, grazie a questo, entrato di diritto nella Storia dell’America e del mondo. E nei nostri cuori. Non certo grazie a JAILHOUSE ROCK o a ALL SHOOK UP – che pure resteranno nella realtà come colonne, monumenti immortali della storia della musica - ma per fatti di ben diverso, più consistente, spessore.
Prima che qualcuno potesse fare qualche cosa, ELVIS aveva già fatto tutto: questa frase sintetizza perfettamente la maestosità della sua “opera”, qualcosa che il mondo, prima, non aveva mai visto – qualcosa che, poi, non vedrà mai più.
Non solo un formidabile artista, dunque, ma molto, molto, molto di più.
Ho citato una frase di un grandissimo della musica classica, Leonard Bernstein, a proposito di ciò che ha fatto ELVIS. Per siglare questo lungo discorso, voglio ricordare quello che ha detto un’altra grandissima figura della musica, questa volta “leggera” e nostrana: Mina. L’artista di Cremona, in occasione del 25.esimo anniversario della scomparsa del RE, ha rilasciato un’intervista che finiva con queste parole: “Che Dio ti benedica, ELVIS AARON PRESLEY”.
Davvero: che Dio ti benedica, ELVIS AARON PRESLEY! Con tutto il cuore.

 

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