Recensione di "War To End All Wars" tratta da Metal Shock (Novembre 2000)



Yngwie J. Malmsteen’s Rising Force – "War To End All Wars"
(Dream Catcher) 14 tks – 65 min.
Conf.: ng – Prod.: ng – Tec.: 5 – Pers.: 5
Voto: 5


Se canzoni come “Teaser” vi avevano fatto sognare, non sprecate i vostri soldi per quello che è uno dei dischi più duri del re del classic metal. Chi invece aveva cominciato a versare qualche lacrimuccia per “Odyssey”, arrivando poi a tentare il suicidio a causa dei lavori seguenti, può gioire. Già il precedente “Alchemy” si era lasciato alle spalle il passato, ma mancava a tratti di spontaneità ed immediatezza, tanto da sembrare quasi un disco deciso a tavolino; il nuovo lavoro invece è cattivo dentro. Ciò non toglie che sia tecnicamente curato e soprattutto elaborato per quello che riguarda gli arrangiamenti e l’orchestrazione dei pezzi. Il merito va al nostro guitar hero, che ha curato gli arrangiamenti e la produzione, oltre a suonare tutte le chitarre e il basso. Quest’ultimo si fa sentire nel disco come non mai ed insieme all’ottima batteria di John Macaluso costituisce una sezione ritmica granitica. Il povero tastierista, il solito Mats Olausson, fatte poche brillanti eccezioni, questa volta è relegato in un angolino, mentre Mark Boals alla voce riesce ancora ad incantarci. Lo stile di Malmsteen è sempre di più un connubio perfetto tra musica classica ed heavy metal e già il primo pezzo, “Prophet Of Doom”, mette le cose in chiaro. Dopo un attacco tipicamente malmsteeniano ed una serie di cori epici, il solo di chitarra esordisce con il 24° Capriccio di Paganini. Avete presente quando nel bel mezzo di “No Mercy” la canzone s’interrompeva, c’era la Badinerie di Bach, e poi il pezzo ricominciava come se nulla fosse successo ? Bene, scordatevelo. Qui il brano è perfettamente integrato nel solo ed ha un vero arrangiamento heavy metal. Nella seguente “Crucify” si fa invece un salto in India con il sitar, ma la violentissima batteria di John Macaluso abbinata ad una chitarra ancora più pesante per via un’accordatura più bassa, rendono il brano ben lontano da ambientazioni orientaleggianti. Con l’orecchiabile “Bad Reputation” si può riprender fiato; il cantato è sostenuto da una bella melodia e da coretti alla Queen ai quali è difficile resistere. “Catch 22” è uno dei momenti meno brillanti del disco con un riff che ricorda molto “See You In Hell”, ma la bella prova di Mark Boals ne fa comunque un pezzo godibilissimo. Con “Masquerade”, la canzone con il ritornello più catchy, ci ricordiamo improvvisamente che c’è anche un tastierista. Il disco continua la sua corsa con la strumentale “Arpeggios From Hell”, aperto da un corposo fraseggio di basso che ritorna nel corso del brano a scandirne i vari momenti. Dopo l’ultima velocissima scala arriva la chitarra acustica di “Miracle Of Life”, l’unica ballad del disco ed una delle più belle dai tempi di “Dreaming”, con un solo particolarmente curato nella melodia e nell’armonizzazione. Il risveglio è brusco ma piacevole, “Wizard” riprende il tema della vecchissima “Merlin’s Castle”, incisa solo su demo più di vent’anni fa e molto vicina in questa versione all’atmosfera di “Trilogy”. Quello che segue, “Prelude” è un vero e proprio brano di musica classica, un piccolo capolavoro dove i tipici fraseggi malmsteeniani si intrecciano e giocano con un’orchestrazione strabiliante. L’intermezzo classico è magistralmente legato alla speed tempo “Wild One”, una delle canzoni più belle del disco, che raggiunge l’apice nel solo in cui il tema della precedente “Prelude” viene ripreso e stravolto. Segue la cupa “Tarot”, introdotta dalle ipnotiche tastiere, che riescono finalmente a farsi ben sentire per l’intera durata del pezzo, per poi sfogarsi nella strumentale “Instrumental Institution”, dove si lanciano in un duello con la chitarra che fa rivivere i bei tempi andati di Jens Johansson. La potente title track ci porta velocemente verso quella che sembra la fine del disco, ma che in ultimo ci sorprende con “Black Sheep Of The Family”. Non portate a riparare lo stereo e non chiamate l’esorcista, si tratta davvero di un pezzo reggae, anche se caratterizzato dal tipico stampo malmsteeniano, che chiude in bellezza un disco in grado di soddisfare gli esigentissimi fans di vecchia data e di dimostrare che Malmsteen non stia dormendo sugli allori, ma anzi sia più che mai deciso a portare avanti il suo discorso musicale. (G. N.)

Trascrizione di Valeria Guarnieri



Return to articles index

Return to home


Geocities SunsetStrip/Palms