Recensione di “Steeler” tratta da “Rockerilla” n° 38, 1983

 

 

“Steeler” - Steeler

Shrapnel Records

 

 

Recensione di Beppe Riva

 

Nell’ambito strettamente heavy (diramazioni pop, progressive, gotiche escluse), distinguiamo bands - la maggioranza - che giocano le loro chances su un dinamismo d’esecuzione “super fast”, altre che sottolineano invece il termine “heavy”, flirtando con la compressione marcatissima di mid tempos che non generano minor sensazione di power rock dalle accelerazioni violente. Gli AC / DC di “Walk All Over You”, i Krokus di “Rock City” sono maestri in questo senso. Un esempio oggi operante di questo filone sono gli Steeler di Los Angeles. Innanzitutto, trattasi di una band dal look formidabile; osservateli: il bassista Rik Fox sembra una controfigura di Punky Meadows degli ultra posers Angel, il cantante Ron Keel pare un profugo dei reami dei Motley Crue (Nikki Sixx docet), il drummer Mark Edwards potrebbe essere scambiato per il Rex Smith dei tempi duri e il chitarrista Yngwie Malmsteen, pur non somigliando marcatamente a nessuno, è fotogenico quanto il resto dei compagni (ma ha già lasciato per raggiungere gli Alcatraz di Graham Bonnet).

Ron Keel è l’unico superstite dell’originale line up che aveva debuttato con il cult single “Cold Day In Hell”, inserendosi nella prima edizione di “Metal Massacre I” (sostituiti nella successiva dai Black & Blue); i primi Steeler (Ron Keel, Michael Dunigan, Tim Morrison, Mark Scott) avrebbero dovuto figurarsi su un’ulteriore compilation, “HM Rules” (Hi-voltage Records) con il loro battle cry “American Metal”, ma non ho alcuna prova della pubblicazione del disco, e negoziare un grosso contratto discografico entro la fine dell’82. Qualcosa si deve essere incrinato nei progetti della band e l’esito è questo debut album di tarda estate con un team rinnovato e, come tutte le migliori nuove bande, su HM label indipendente, in questo caso Shrapnel. Gli Steeler restano una mirabile metal machine lanciata a metà strada fra Judas Priest e Starz e il loro LP è superiore alla media di oggi, ciò nonostante permane nei timpani un sentore di incompiutezza forse positivo, poiché sono convinto che Steeler possa ambire a migliori traguardi.

Comunque non manca nulla a quest’album per figurare valorosamente nella vostra discoteca: c’è una nuova versione del “freddo giorno all’inferno”, fra vapori sulfurei esalati da prolungate distorsioni chitarristiche, un brano realmente titanico, un assoluto classico dell’HM, ci sono composizioni di statura alchemica come “On The Rox” e “Born To Rock” e ancora l’assolo diviso fra chitarra classica ed elettrica, in voga Van Halen (“Hot On Your Heels”) e la ballad romantica che costringerebbe alle lacrime un coccodrillo (“Serenade”). Non assopitevi sui dinosauri del rock duro, fate trasfusioni di nuovo sangue quando è davvero energetico. Gli Steeler non hanno certo chiuso qui.

 

 

Articolo inviato da Costantino Corongiu

Trascrizione di Valeria Guarnieri