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Recensione pubblicata nel settembre-ottobre 1999

 

ASPETTANDO IL DUEMILA
Recensione di Cantico per un paesaggio del Duemila
di Duccia Camiciotti (Edizioni Il Ramo d’Oro, Firenze, 1998)

Nella sua opera precedente, del 1986, Eden perduto (Edizioni Il Ramo d’Oro, Firenze), Duccia Camiciotti aveva intrapreso un viaggio attraverso i luoghi dell’anima, nel regno dell’irrazionale, dove lo spirito domina la materia e i valori dominanti sono l’amore e la fratellanza. A questo si contrapponeva, con durezza e talvolta con violenza, la realtà materiale, la vita quotidiana così lontana dall’Eden da perderlo. Con conseguenze drammatiche, come emergeva dai seguenti versi:

La sirenetta di Copenaghen
la coda si tagliò per esser donna
ma dalle pinne sprizzarono
fiotti di sangue e di lacrime.

Il messaggio racchiuso in questi quattro versi è chiaro, mette in evidenza come, per conformarsi a canoni imposti dalla società la sirenetta ha rinnegato la propria natura; e di conseguenza c’è da chiedersi quanto l’uomo ha tagliato da sé per uniformarsi ai modelli che gli sono, oggi, imposti. La domanda, ovviamente, rimane senza una risposta precisa perché siamo inevitabilmente intrappolati nel nostro presente; ma è una domando comunque importante che richiede un tentativo di risposta.

Eden perduto è quindi un’opera in cui il poeta parte alla ricerca, controcorrente, di un mondo lontano: si apre con "Tu, dove sei? / mondo impossibile / che dormi senza sonno la tua / pace / che ti perdemmo un tempo" per terminare con la riscoperta di quel mondo dopo un arduo, faticoso e doloroso percorso: "Nel fuoco rosso / della tua sera, / scenario / di cartapesta, / le braccia mi porgevi / attraverso il tempo / eterna fanciulla", dove l’eterna fanciulla è Roma.

Cantico per un paesaggio del 2000 sembra invece cominciare con un passo indietro, il dolore che nell’ultima poesia di Eden perduto sembrava superato, ritorna:

Ahi, ti prego, ascoltami,
aiutami

Il "paesaggio" su cui si apre il Cantico è un paesaggio di distruzione, di desolazione e di abbandono. È sempre un paesaggio interiore, dell’anima, lo stesso di Eden perduto che ritorna. Ma la riscoperta dell’Eden sembra aver rivelato al poeta che non siamo più in grado di prestare aiuto e ascolto all’altro, che c’è bisogno implorare, di richiamare l’attenzione.

Un 2000 tetro, lugubre, doloroso. E non può essere altrimenti se, al racconto di un orrore come quello della vivisezione seguono versi come "ride chi passa / e rogo e croce al vento, / uomo dal volto solcato / già morto ai sogni".

"Già morto ai sogni": un verso importantissimo, che apre un tema fondamentale di questa opera, il tema del sogno, della capacità o possibilità di sognare. È un argomento estremamente complesso per le innumerevoli implicazioni che lo accompagnano. Ma va rilevato che Duccia Camiciotti con mirabile sintesi tocca in quel verso l’essenza del problema dell’uomo contemporaneo: l’uomo "morto ai sogni" è un mezzo uomo perché ha perso una parte importante di sé. Ciò che ne rimane è una marionetta triste che ride quando dovrebbe provare orrore, morto alla propria anima e incapace di aderire alla propria natura.

La conseguenza più immediata di questa condizione che investe la società moderna è che lo spazio che era in origine riservato al sogno diventa terreno di conquista aperto all’indottrinamento e alla creazione di desideri indotti. Questo appare chiaro nelle due liriche dedicate al supermercato, luogo deputato al consumo di massa:

Il supermercato è come la morte,
non parleranno mai le cose,
le cose abbandonate in vendita.
Questo è il sacrario,
a ciascuna un prezzo, un’importanza,
le cose si moltiplicano,
e nel silenzio come sull’altare
l’offerta più eloquente del suono.

Nel gelo del supermercato
tutti i giorni un funerale,
ieri è morto il compratore,
oggi squillano trombe di Gerico
per il mercante,
è deceduto il miglior offerente.
Quasi limbo, al limite di nebbiose sponde
spingendo ferraglie levigate
carrelli ruotano su scaffali sfolgoranti.
In bilico la merce,
reparti come vuoti teschi,
sportelli buchi d’occhiaie,
silenzio di tempio,
complicità di tacchi.
Entriamo così nell’abisso
e scoppia un sorriso felice
quando nessuno lo vede.

Il supermercato è preso a esempio e a simbolo di qualcosa che ha allontanato l’uomo dalle cose: la grande quantità, immediatamente raggiungibile, ha alterato la percezione della loro essenza. Da qui "il supermercato come la morte", i "reparti come vuoti teschi", gli "sportelli buchi d’occhiaie".

Quello che si nasconde dietro il simbolo del supermercato è la massificazione a cui la società occidentale è soggetta in tutti i campi. Per raggiungere questo obiettivo il valore medio è stato eletto a valore in cui si identifica la maggioranza, la massa. È il concetto su cui si basa l’intero sistema economico dell’occidente, anche se errato: non è vero, sia da un punto di vista matematico sia da un punto di vista umano. Anzi, la maggioranza si trova sempre al di sopra o al di sotto di qualsiasi valore medio e la massificazione in realtà è un compromesso che dà alcuni vantaggi apparenti e a breve termine; ma che comporta anche degli svantaggi di cui si parla e si capisce poco e che Duccia Camiciotti coglie e propone all’attenzione del lettore.

In poche pagine abbiamo davanti agli occhi uno scenario da incubo, niente che rifletta le comuni speranze o le aspettative che riponiamo nell’idea del Duemila, il nuovo millennio. E sembra negare che l’incontro descritto nell’ultima poesia di Eden perduto sia mai avvenuto.

È un millennio già vecchio, inevitabilmente corrotto dalla corruzione che lo ha preceduto. Ma sebbene lo scenario che, con occhio critico e con pensiero tagliente, Duccia Camiciotti descrive non è roseo – "l’incubo non ha fine", "sbiancano volti e cose" – non è comunque perduta ogni speranza. Permane il grande e irrisolto mistero della vita, l’anima che sappiamo/sentiamo di possedere e che nessuno è mai riuscito a vedere ma che è, esiste. Il mistero infatti emerge, prepotente e potente, proprio quando tutto sembra fermarsi, in un attimo di silenzio:

Per morire, nel fumo grigio
delle discariche,
il quotidiano
meccanico assentire,
organico funzionamento,
rilanci le piume trionfali
sacra fenice,
piegando il volo
sulla terra spenta,
cantando l’ultima fantasia
al suolo che sarà sepolcro.
È bella anche la morte
per te, poesia,
soffocata dall’ibrido nonsenso.
Ma quando il silenzio impera
e parla la voce dell’anima,
s’inarca un lembo d’azzurro,
figura estrema
risorgi sfolgorante
sogno d’incantata bellezza,
mormora il fiume e sbocciano
le stelle,
languide ninfe sbrecciano sul muro,
tu voli come un angelo.

Silenzio, sogno, volo: tre parole strettamente collegate fra loro e che propongono una via: il raccoglimento, l’ascolto e la liberazione. C’è in questi versi l’indicazione di un percorso iniziatico, sia in senso mistico sia in senso psicologico, che apre un nuovo scenario. Senza cancellare l’orrore quotidiano che l’animo sensibile del poeta subisce, apre lo sguardo da un punto di vista nuovo, da una prospettiva diversa, sul mondo e sulla vita. In questo ribaltamento si ritrova una visione d’insieme, un intero, il ricordo di quello che "abbiamo dimenticato / […] / ma gli animali lo sanno".

Nelle poesie che seguono il senso di perdita e di abbandono si affievolisce, subentra una calma e una serenità che permette a Duccia Camiciotti di riaprire il dialogo con momenti anche dolorosi del proprio passato. Come, per esempio, nella poesia che dedica al gattino scomparso a cui confida che "la vita è un sogno, / forse la morte è come dolce sonno / tra i fiori del giardino, / ma io t’aspetto sempre": dove l’aspettare non è azione passiva o di rinuncia ma richiede attenzione, mente e sensi vigili, osservazione di tutto ciò che avviene intorno e dentro se stessi. Inoltre, favorito da questo nuovo stato di consapevolezza emerge anche un alter ego del poeta, una figura emblematica, atemporale:

Il cavaliere errante
di questo medioevo
è all’angolo della strada
a chiedere un passaggio,
prigioniero il cavallo,
snaturato il castello
non evoca alle nuvole
guglie di giada e d’oro
e principesse tartare.
Gira con la chitarra
e abiti consunti
in cerca del suo niente.

È questo un altro punto di svolta del Cantico: il poeta si trasforma in cavaliere che gira il mondo in "abiti consunti / in cerca del suo niente", in un tempo che non esiste più in termini reali e dove tutto è compresente, passato-presente-futuro coincidono e si sovrappongono, creando una super-realtà molto vicina a quella del sogno, dell’inconscio.

Sostenuto da questa consapevolezza, che cosa vede il poeta? Vede un mondo "anestetizzato", che dice "No al dolore" e che si nasconde, fugge a se stesso mentre "l’anima cerca altrove". È un mondo che dice no all’irrazionale dove – scrive Duccia Camiciotti – "qui Satana regna, non credere è piombare / allacciati per mano, / nel vortice visionario / fulmineo – il nulla. / […] / Hai massacrato il sogno".

Appare evidente come il sognare, per Duccia Camiciotti, sia strettamente legato al "credere". Non nel credere a ideologie o a dogmi religiosi: nel credere e aderire a se stessi, alla propria natura che è, sì, di materia ma anche, e soprattutto, di spirito. Non a caso, dove la materia prevale sullo spirito può succedere di vedere scene raccapriccianti, disumane:

Una babele
nelle viuzze antiche,
discronici
viali di plastica
impermeabili turistici,
e tu
piccolo bianco e nero
svagato
sognante
travolto
disegni un arco di cerchio
sbalzato in cielo
e trovi la forza
di piangere
senza pudore
misero e grande
dal cuore d’oro.

L’unico elemento reale di questa scena è il cane, travolto, sofferente, "misero e grande". Tutto il resto è falso, artificiale ed è evidente la rottura, la spaccatura sempre più ampia, tra l’uomo e la natura. La prevalenza della sola materia porta a questo, il "sentire" che univa l’uomo al resto del creato viene meno.

La parte conclusiva di Cantico per un paesaggio del 2000 può sorprendere perché in apparenza sembra interrompere il flusso poetico per concentrarsi su avvenimenti recenti, in particolare sulla Guerra del Golfo di pochi anni fa. Per comprendere questa parte del Cantico bisogna ritornare alla poesia con cui si chiude Eden perduto: Duccia Camiciotti aveva ritrovato un centro possibile nella Roma "eterna fanciulla". In questo caso invece il centro si sposta a oriente, a Babilonia, oggi territorio iracheno, la più antica culla della civiltà occidentale. Abbiamo la ripetizione dello schema dell’opera precedente; ma con un raggio più ampio e più profondo, che parte dai margini del vivere quotidiano per arrivare, o scendere, fino al centro, all’essenza, alle radici della umanità. In Eden perduto questo centro era rappresentato dal luogo nella quale il mondo della materia (l’Impero Romano) e il mondo dello spirito (il Cristianesimo) si sono scontrati e infine fusi, gettando le basi del mondo come lo conosciamo e viviamo oggi. In Cantico il centro è più lontano, ritorna al luogo dove si sono sviluppate le prime forme di civiltà, quando l’uomo ha osato sfidare Dio organizzandosi razionalmente.

Ma se il finale di Eden perduto è rassicurante perché nella Roma di oggi si può ancora vedere e intuire la Roma di ieri, del mito, della storia, nel caso di Babilonia si assiste a un dramma terribile che la vede teatro di uno scontro che ne mette in pericolo la sopravvivenza futura.

Duccia Camiciotti non risparmia nessuno per questo scempio: tutti sono responsabili in uguale misura, anche quell’occidente che si è proposto come liberatore, e che, ai tempi della caduta dello Scià e del conflitto tra Iran e Iraq, aveva apertamente ed economicamente appoggiato Saddam Hussein. Giochi o manovre che adesso si pagano a caro prezzo, come fa notare con misura e determinazione: si fanno a brandelli non solo esseri umani incolpevoli ma anche le radici umane più profonde e le testimonianze che ci legano ad esse. Il libro, infatti, si chiude nel dolore di una guerra assurda, come lo sono tutte le guerre:

Dove corri, uomo di Babilonia?
al massacro dei bambini
nell’orizzonte allucinato?
Piangono il Tigri e l’Eufrate,
muore la valle sul paradiso,
e urla al cielo sull’onda,
e fiumi d’inchiostro, fiotti di veleno
zampillano e gorgogliano.
Sul rosso destriero cavalca la morte.

Ed è questa l’eredità che l’uomo porterà con sé nel Duemila, il paesaggio che gli si apre davanti e che dovrà affrontare. Nessun idillio o Giudizio Universale, la storia dell’umanità continua e dovrà fare i conti con il proprio passato. Questo il saggio e franco avvertimento di Duccia Camiciotti.

Pier Franco Donovan

 
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