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Recensione inedita, maggio 1998

 

"La valle di Evesham" di Angela Zagari

La raccolta della poetessa fiorentina Angela Zagari, La valle di Evesham (Ibiskos Editrice, 1998), affronta in modo originale il tema del tempo e del rapporto con il passato. Fin dalla prima poesia, quasi un breve poema, è possibile vedere come il passato, e la conoscenza di esso attraverso la narrazione – il sultano ed il suo desiderio di ascoltare una nuova storia ogni notte, desiderio che solo Shéhérazade riuscirà ad appagare – è la chiave che permette al sultano di regnare, di salvarsi dai mille naufragi e di gestire anche il proprio potere nella vita.

La conoscenza del passato – reale o immaginario, storico o fiabesco – è legata indissolubilmente alla parola, alla comunicazione verbale e non solo fra gli uomini. È il primo e fondamentale strumento alla base delle società, senza di essa non ci può essere progresso, non c’è un futuro da costruire. Angela Zagari lo dice ai suoi lettori cantando la storia del sultano che è al contempo un uomo ma anche il simbolo di una società. A tutto questo si aggiunga poi il nome del personaggio, Kalendar: impossibile evitare il riferimento al "calendario", allo strumento che collega passato e futuro nel presente, che aiuta a pianificare il "domani" e a ricostruire, ordinare lo "ieri". Dunque, suggerisce il poeta, la conoscenza del passato si acquisisce, dinamicamente, nel tempo, è una ricerca che si esaurisce solo con la fine della vita.

Ma il passato, avverte la Zagari, nella prima parte della raccolta, è ambiguo: indugiare nel passato, voltarsi "indietro", equivale a rinunciare alla vita, morire; inoltre il passato è anche ciò che segna la vita di ogni essere umano, che è causa di dolore e sofferenza nel presente. Particolarmente interessanti da questo punto di vista sono le poesie "Orfeo" e "Da lontano": tutte e due si aprono con il verso "Venivo da lontano" a indicare come il presente non può essere scisso dal passato e dipende da come si vive il passato; ma entrambe si concludono con una perdita irreparabile perché c’è stato un "voltarsi indietro" che ha drammaticamente e dolorosamente alterato il futuro.

Venivo da lontano
quando prima del crepuscolo
correvo sulla spiaggia
per incontrare te,
[…]
venivo da lontano
quando in quel crepuscolo argenteo
mi voltai senza te.

(Da lontano)

Giorgio Luti, nella sua Nota a chiusura del volume, accenna "al poeta nella sua odissea entro il «labirinto del mondo»" e, nel corso della presentazione della raccolta presso la "Camerata dei Poeti" di Firenze, è arrivato a definire "labirintica" la poesia di Angela Zagari. Uno degli aspetti profondi dell’archetipo del simbolo del labirinto è proprio quello del percorso dell’uomo nella vita, nel tempo. Il simbolo ci spiega anche perché "voltarsi indietro" è una rinuncia: il cambiamento di direzione è ammesso solo quando si è raggiunto il "centro" ed ucciso il Minotauro, la parte oscura. Solo allora Teseo può uscire dal labirinto e far ritorno alla propria patria.

L’aspetto labirintico della poesia di Angela Zagari diventa ancor più evidente nella parte centrale della raccolta. Il passato si presenta sotto forma di memoria, il ricordo che viene a sostegno della integrità dell’uomo nel presente, rivelandosi o palesandosi attraverso la contemplazione delle forme d’arte – musica, pittura, letteratura, poesia. Qui si assiste allo scontro tra presente e passato, ci si confronta con il passaggio lungo le spire del labirinto che ora avvicinano ora sembrano allontanare dalla mèta, dal centro. Nascono i dubbi, emergono delle domande che nella poesia "Io sono un vecchio" mettono a confronto il vecchio che ha, se vogliamo, già vissuto, ed il bambino che è nell’atto di vivere, nel presente.

Io sono un vecchio
vecchio poeta che cerca
che coglie fra le sue carte –
cosa cerchi? m’ha chiesto quel bambino
cogli fiori? no, non colgo fiori
[...]
niente sarà mai troppo
per chi è dolce piccolo innocente –
che vuol dire innocente? vuol dire prendere
prendere? ma io non ti sto prendendo nulla –
poeta.

(Io sono un vecchio)

Domande difficili a cui non c’è risposta facile o indolore. L’ultima parte della raccolta mette in evidenza quanto sia difficile il percorso. La vita, quella calata nella quotidianità infatti non favorisce in alcun modo la vita dello spirito. È il paradosso, il Minotauro in persona, lo specchio che nella cultura islamica si trova al centro del labirinto: sono proprio le difficoltà, la lotta e il dolore, come elementi fondanti, che rendono vita vivibile e permettono ad Angela Zagari di scrivere, nella poesia "Magdalene College": "e noi qui per celebrare la vita / nella sua stupefacente bellezza".

Pier Franco Donovan

 
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