LA DONNA CHE PARLAVA TROPPO
Diana Clayton nacque il 6 settembre 1920 a Milford nel Delaware,
era la prima di cinque fratelli e due sorelle.
Nel 1929 con lo scoppio della Grande Recessione, la fabbrica dove
lavorava suo padre dovette chiudere.
Per "tirare avanti", i suoi genitori furono costretti ad andare
a lavorare nei campi, ma con quel poco che guadagnavano riuscivano a malapena
a sfamarsi.
Diana essendo la più grande, rimase in casa per accudire
i suoi fratelli e la sorella minore.
A peggiorare le cose, suo padre morì l'anno seguente per
una crisi cardiaca.
All'età di 16 anni, Diana trovò il suo primo impiego
come domestica presso una famiglia di Dover. A vent'anni tornò a
Milford, dove trovò lavoro come cameriera in un albergo.
Nel 1941 incontrò e sposò il suo primo marito, Bob
Miller dal quale ebbe due bambini.
Il loro matrimonio non fu felice. Bob trascorreva molto tempo fuori
casa e aveva spesso problemi con la Polizia. Alla fine del 1944 divorziò
da suo marito mentre era in prigione.
Nel giugno del 1946 Diana incontrò John Warren, un uomo di
trent'anni più grande di lei, ma nonostante la differenza d'età,
i due avevano molte cose in comune. Entrambi avevano due figli ed erano
reduci da un matrimonio fallito. Queste affinità furono alla base
di uno stretto legame sentimentale e quando John le propose di andare a
vivere insieme, Diana accettò.
Si trasferì con lui a Wilmington e si sposarono il 6 settembre
di quell'anno, proprio nel giorno del suo ventiseiesimo compleanno. John
svolgeva un lavoro fisso come capo stazione e per la prima volta nella
sua vita, Diana ebbe una sicurezza economica.
Per un po' il loro matrimonio sembrò idilliaco, poi iniziarono
le prime discussioni per futili motivi, che con il passare del tempo divennero
sempre più frequenti e violente.
Un giorno confessò alla sorella Elizabeth: "Quell'uomo l'ho
odio. L'ho sposato solo per interessi. Vorrei dargli una morte lenta".
Le promise, che il suo prossimo matrimonio sarebbe stato con un uomo giovane
che avrebbe amato veramente.
Nel marzo del 1947, lei e suo marito presero con loro un inquilino,
Billy Carson un ragazzo di ventidue anni che lavorava alla stazione ferroviaria.
Lui, giovane e vigoroso era esattamente ciò che Diana stava
aspettando.
Poco dopo l'arrivo, la donna andò spesso nel suo appartamento
a "fargli visita" mentre il marito era al lavoro. Più passava il
tempo e più lei s'innamorava di lui.
Un giorno gli confidò di voler ad ogni costo liberarsi di
suo marito. Il ragazzo, le chiese: "Dal momento che non lo ami, chiedi
il divorzio, perché devi ucciderlo?".
"Dopo, non sopporterei di vederlo con un'altra donna" gli rispose.
Alla fine dell'estate, il loro matrimonio degenerò in aperta
ostilità a tal punto che Diana si rifiutò di dormire nello
stesso letto.
Sabato 27 settembre 1947.
Quella mattina Diana si recò in una farmacia e comprò
una confezione di topicida.
Fu servita dal proprietario, il signor Robert Munce, il quale l'avvertì
che la confezione era a base d'arsenico, un veleno molto pericoloso che
doveva esser tenuto lontano dalla portata dei bambini e degli animali domestici.
Diana lo ringraziò per l'avvertimento e lo assicurò che sarebbe
stata molto attenta nel maneggiarlo.
Poi firmò il registro dei veleni (obbligatorio per chiunque
li acquisti) e uscì.
Il lunedì seguente John accusò i primi dolori allo
stomaco. Il giorno dopo, quando venne a casa il dottor Kent, ancora non
stava bene.
Il medico diagnosticò una gastroenterite e gli prescrisse
una terapia a base d'antibiotici.
Il mercoledì mattina, la signora Warren telefonò al
dottor Kent per informarlo che suo marito stava migliorando. Il medico
le consigliò di continuare la terapia che gli aveva prescritto e
di tenerlo informato dei progressi.
Il giorno dopo, andò a visitare John e nonostante accusasse
ancora un po' di dolori allo stomaco e un generale senso di nausea, le
sue condizioni non sembravano gravi.
Dopo averlo visitato, gli confidò che sarebbe presto guarito.
Cinque giorni dopo, la mattina del 7 ottobre, il dottore fu chiamato
di nuovo.
Questa volta le condizioni di John erano notevolmente peggiorate.
La sua lingua era gonfia e bianca, inoltre soffriva di continui attacchi
di diarrea e vomito.
Nessuno di questi sintomi metteva in pericolo la vita del paziente,
in ogni modo il dottor Kent consigliò alla signora Warren che suo
marito fosse trasferito all'Ospedale Generale, per essere tenuto sotto
osservazione quella sera stessa o la mattina successiva, appena si sarebbe
liberato un letto.
Diana disse alla signora Pierce, la vicina di casa, che suo marito
sarebbe presto morto e di quanti soldi avrebbe incassato dall'assicurazione.
(John, aveva stipulato una polizza sulla vita di 2500 dollari, in favore
di Diana un mese dopo il loro matrimonio).
Quel pomeriggio, Elizabeth, la sorella di Diana, che abitava nella
stessa strada, andò a visitare suo cognato. John stava così
male che aveva difficoltà anche a deglutire un bicchiere d'acqua.
Elizabeth consigliò a Diana di far ricoverare immediatamente
suo marito all'ospedale, viste le gravi condizioni, ma le rispose che non
doveva preoccuparsi.
Nelle prime ore del mattino dell'otto ottobre, John spirò.
Il dottor Kent fu chiamato per redire il certificato di morte. Egli
notificò che il decesso era stato provocato da un arresto cardiaco
causato da un'acuta gastroenterite.
Alcuni giorni dopo, la notizia della prematura morte di John giunse
casualmente alle orecchie del detective Daniel Warren, il nipote della
signora Pierce. L'uomo non aveva nessun rapporto di parentela con il defunto,
ma avendo lo stesso cognome, gli fece attirare la sua attenzione sul caso
e aprì un'inchiesta ufficiale.
Due settimane dopo la morte di John Warren, la Polizia con un mandato
di perquisizione si recò a casa di Diana con l'intento di scoprire
se erano nascoste sostanze velenose.
Furono fatte delle analisi su alcune scatole trovate in cucina,
ma con esito negativo.
Poi furono visitate tutte le farmacie della città. Per molte
ore cercarono il nome di Diana Warren nel registro dei veleni acquistati,
finché lo trovarono nella farmacia di Union St.
Diana quando fu messa di fronte all'evidenza, dichiarò allo
sceriffo di aver comprato l'arsenico su consiglio di suo marito per uccidere
i topi, ma di averlo in seguito gettato, perché lo riteneva troppo
pericoloso tenerlo in casa per la presenza dei bambini.
Il 12 novembre, poco più di un mese dopo la sepoltura, il
corpo di John Warren fu riesumato per essere sottoposto all'autopsia presso
il Dipartimento di Medicina Legale.
Le analisi evidenziarono consistenti tracce d'arsenico nel fegato,
nei reni, nei capelli e nelle unghie della vittima. C'erano prove sufficienti
a dimostrare che una dose letale di questo veleno, gli fu somministrata
alle ventitré circa, della sera precedente la sua morte, vale a
dire il sette ottobre.
Il 22 novembre Diana fu arrestata e incriminata per l'omicidio del
marito.
Il processo, iniziò il 7 maggio 1948 presso la Sessione Penale
di Dover e durò otto giorni.
L'imputata si dichiarò non colpevole, nonostante le prove
schiaccianti contro di lei.
Per tutto il processo, continuò ostinatamente a negare le
accuse che le erano rivolte.
Ad un certo punto cercò di accusare anche la sorella Elizabeth,
che venne a farle visita il pomeriggio del 7 ottobre, anche lei avrebbe
avuto la possibilità di avvelenare suo marito.
L'Accusa si rivolse all'imputata: "Vuole affermare che fu sua sorella
a somministrare la dose fatale di veleno?". "No, non voglio dire questo,
non testimonierò una cosa di cui non sono sicura".
L'Accusa replicò: "Allora fu suo marito a togliersi la vita?".
"Non posso esserne sicura".
"Dal momento che non si è trattato di un suicidio e né
lei, né altre persone sono state, chi fu ad avvelenarlo?".
Diana fece una pausa, poi scoppiò a piangere.
Il processo si concluse il 14 maggio. Diana fu riconosciuta colpevole
d'omicidio di primo grado. Dopo la lettura del verdetto, l'avvocato della
difesa chiese alla Corte di mostrare un po' di clemenza, basandosi sul
fatto che la donna aveva sofferto un'infanzia molto difficile, ma il giudice
non considerò nessun'attenuante.
Rivolgendosi all'imputata, le chiese: "Prima che pronunci la condanna,
ha qualcosa da dichiarare alla Corte?". "Si, voglio tornare a casa, perché
sono innocente" rispose urlando.
Il giudice pronunciò la sentenza: "Questa Corte condanna
la signora Diana Warren ad essere impiccata, finché morte non sopraggiunga,
come prevede la legge di questo Stato. Possa il Signore avere pietà
della Vostra anima".
Diana sul punto di svenire, replicò: "Abbiate pietà
di me. Vi prego, fatelo per i miei bambini".
Diana Warren fu giustiziata il 6 dicembre 1948 e solo poco prima
di essere condotta sul patibolo, confessò il suo crimine.
Diana Warren non sarebbe stata incriminata dell'omicidio del marito,
se avesse mantenuto la calma dopo averlo avvelenato. Il suo sarebbe stato
un delitto perfetto e così avrebbe incassato i 2500 dollari dell'assicurazione,
ma le cose andarono diversamente, si mise a parlare con troppe persone
e alla fine fu smascherata.
Devo ricordare, che nel corso del processo, Diana sostenne che Billy
Carson l'aveva sedotta ed istigata a commettere l'uxoricidio, ma si venne
poi a sapere che la loro relazione era terminata tre mesi prima della morte
di John.
Forse sperava di incastrare Carson, facendo ricadere su di lui la
responsabilità del delitto.
In ogni caso i referti autoptici provarono che la dose fatale d'arsenico
gli fu somministrata alle 11 di sera, quando solo lei aveva la possibilità
di avvelenarlo.
Diana finì col tradirsi da sola, in altre parole era: "La
donna che parlava troppo".
LA LAPIDE
DIANA WARREN 1920 1948 RIPOSA IN PACE
|
FINE
La storia è inventata, ogni riferimento con la realtà è
puramente casuale.
La modella è maggiorenne. Le scene di morte sono una finzione.
Autore della storia e delle fotografie: Antonio Di Gennaro.
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