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LE FORZE NAZIONALI DI RISERVA

di Maurizio Coccia - Generale di Brigata, Vice Direttore del Centro Militare di Studi Strategici - Rivista Militare - 1996

Sul numero 5 del 1990 la Rivista ospitava il mio articolo La capacità di mobilitazione e di sostegno delle forze convenzionali all'emergenza negli Stati Uniti d'America. L'attualità del tema era allora motivata dalle prime evoluzioni dei rapporti tra Est ed Ovest. La caduta del bipolarismo, infatti, già delineava la possibilità di una riduzione delle forze armate del tempo di pace nei Paesi delle due Alleanze, per anni contrapposte.

Inoltre, si consolidava il processo irreversibile di rifiuto dell'arma nucleare come strumento di guerra, così che le forze convenzionali diventavano uniche protagoniste di eventuali interventi armati.

Poichè le forze armate convenzionali diventavano uniche protagoniste e subivano contemporaneamente una riduzione quantitativa, all'emergenza diventavano critici l'alimentazione e l'incremento dello strumento militare, attingendo alle forze di riserva, cioò al potenziale nazionale predesignato.

Nel quadro attuale di situazione si ritiene che la mobilitazione classica abbia fatto il suo tempo. Formule più emancipate e più coinvolgenti possono essere messe in atto in breve tempo a costi minimi, raccogliendo consenso e partecipazione. La chiave del cambiamento sta nella constatazione che quanto avviene oggi e quanto prevedibilmente potrà avvenire in futuro è globale e non è più corporativo; conseguentemente l'estensione dell'impegno di difesa e sicurezza all'emergenza non può più essere limitato e circoscritto soltanto a pochi, perchè coinvolge tutti sempre più rapidamente e direttamente. Come sempre in questi casi le opzioni sono due: lasciare le cose come stanno, oppure prendere l'iniziativa ed entrare nella sfera dell'azione preventiva. Cambiare costa: tempo, fatica, non sempre denaro. Però talvolta ne può valere la pena.

LO SCENARIO INTERNAZIONALE. SITUAZIONE E TENDENZE

A cinque anni di distanza si può affermare che lo scenario internazionale è radicalmente cambiato, anche se le due tendenze del ritorno al convenzionale e della riduzione delle Forze Armate si sono puntualmente realizzate. L'Italia, tra l'altro, ha combattuto una guerra, per l'appunto convenzionale, di coalizione contro l'Iraq e si è impegnata a fondo in operazioni di peacekeeping che sembrano essere il tipo di missione più ricorrente e probabile in campo internazionale per il presente e per il prossimo futuro.

La caduta del bipolarismo, il processo di democratizzazione dei Paesi dell'Est europeo, il progressivo distacco dalle due superpotenze di ieri dei Paesi appartenenti alle rispettive sfere di influenza, il processo di allargamento della NATO, dell'Europa economica e politica ed il nuovo ruolo della Russia in Europa e nel mondo hanno come è noto, innescato una serie di confronti a carattere etnico, religioso, quasi sempre a matrice nazionalista, rinvigoriti dalla caduta del controllo delle superpotenze e dal conseguente spazio resosi disponibile.

In questo panorama internazionale particolarmente dinamico sono aumentate a dismisura le situazioni di crisi rispetto al passato. Da ciò l'esigenza crescente di applicare interventi pacificatori per scopi umanitari ma anche per fini politico-economici, per ristabilire al più presto nelle aree conflittuali situazioni stabili e regimi democratici, presupposti indispensabili per le imprescindibili esigenze di mercato e di sviluppo, cui è legata la qualità della vita del genere umano.

Contemporaneamente, la diminuzione macroscopica del rischio di conflitto classico potenzialmente presente in Europa e nel mondo dalla fine della Seconda guerra mondiale fino alla caduta del bipolarismo, ha autorizzato una generalizzata riduzione degli strumenti militari. Questo vale particolarmente per quei paesi che non sono direttamente minacciati dalla conflittualità internazionale, come è per gli Stati Uniti (anche a fronte della loro esigenza di gestire una leadership mondiale) e per i Paesi europei occidentali. Gli uni e gli altri, inoltre, usufruiscono del vantaggio di appartenere ad alleanze ed istituzioni comunitarie che hanno tra i principi ispiratori anche quello della difesa collettiva e che, specialmente nell'ultimo periodo in cui sono stati messi alla prova, hanno dimostrato una considerevole convergenza decisionale verso le azioni da intraprendere, sia in termini di pensiero politico che di concreto impegno degli strumenti militari.

La prima conclusione che si può tracciare di fronte ad un tale scenario è che le forze militari del periodo bipolare erano eccessive rispetto ai potenziali compiti del nuovo contesto internazionale e pertanto andavano ridotte. Negli ultimi cinque anni le forze residue sono state più che sufficienti per i compiti svolti e non si può dire che in questo periodo non ci si sia impegnati a fondo nell'utilizzo di forze militari per compiti di pace. In Italia, limitazioni ci sono state solo per i compiti all'estero, nella considerazione generalizzata, anche se discutibile, che le missioni oltremare debbano essere preferibilmente svolte da truppe volontarie. Con un po' di leggerezza il discorso delle forze di riserva si potrebbe, quindi, esaurire qui, nel senso che non risulterebbero, almeno per noi, più necessarie. Ma le cose non stanno proprio così. Innanzitutto l'Italia, come tutti i Paesi della NATO, è tenuta a mantenere l'Istituto delle forze di riserva.

Inoltre, questo potenziale costituisce una valida assicurazione contro le sfide alla sicurezza nell'attuale con testo di alta imprevedibilità delle situazioni. Infine, le forze di riserva assolvono al ruolo fondamentale di legare Esercito e Paese, ruolo tanto più importante in vista della riduzione della leva e del contemporaneo aumento delle forze a base volontaria.

IL SISTEMA DI MOBILITAZIONE NAZIONALE

Ciò premesso, entriamo nelI'esame dell'attuale organizzazione nazionale. L'Italia non dispone di forze volontarie pronte, da utilizzare per completare le unità delle Forze Armate o per costituirne altre ex novo, come, ad esempio, avviene neqli USA.

Il nostro sistema prevede un'aliquota di riservisti (Ufficiali, Sottufficiali e Truppa) che possono essere richiamati in servizio all' emergenza. Dal punto di vista operativo il criterio è quello di richiamare in prima battuta Ufficiali, Sottufficiali e Truppa congedati da poco tempo e che quindi, conservano un livello addestrativo specifico tale da poter essere inseriti in tempi minimi nelle unità. La nostra organizzazione delle forze di riserva è essenzialmente rivolta all'Esercito ed utilizza un bacino di utenza per la gran parte costituito da personale di leva e da Ufficiali di Complemento. Le spese di esercizio sono molto contenute perchè i richiami addestrativi sono vicini al costo zero e si cerca di economizzare nel numero di esercitazioni di mobilitazione, che avrebbero lo scopo di rodare periodicamente il sistema. Il costo maggiore sarebbe quello per l'acquisizione ed il mantenimento di tutte le tipologie di mezzi e materiali da assegnare a questi riservisti ed alle unità costituite all'emergenza; materiali da tenere al livello di qualità e quantità delle forze attive così che i riservisti, una volta richiamati, possano interagire con le Forze Armate del tempo di pace senza preclusioni funzionali. Questo è stato il punto dolente del recente passato, superato nell'ultimo periodo a causa della riduzione delle unità del tempo di pace.

Attualmente il materiale tenuto in riserva abbonda ed è della stessa qualità di quello assegnato alle truppe in servizio.

RIDISEGNANDO IL LEGAME TRA ESERCITO E PAESE

Complessivamente, il clima del 1996 è molto diverso da quello del 1990. Sei anni fa cominciavamo ad affrontare i problemi della sicurezza e della difesa legati alle prime turbolenze internazionali della nuova era multipolare. Dopo quarant'anni di immobilismo forzato si cominciava a respirare l'aria del decisionismo interventista. Oggi si macinano a pieno ritmo le tante realtà operanti, talune dello spessore del nostro coinvolgimento in Bosnia.

In questo nuovo dinamico risveglio della mentalità operativa il termine <<mobilitazione>> suona obsoleto perchè richiama alla mente fotogrammi di un passato non più concepibile: masse d'uomini in grigioverde in processione sui sentieri, tradotte, le immagini della Prima guerra mondiale. Personalmente ritengo che nel mondo di oggi già il termine possa suscitare reazioni negative a livello inconscio.

Nel merito, poi, il concetto di mobilitazione, come lo conosciamo e lo attuiamo presuppone la chiamata a senso unico della Nazione verso l'individuo. In tempi di informazione in tempo reale, di partecipazione sempre più accesa, di coinvolgimento socio-politico-culturale consolidato esiste e si allarga il processo inverso, cioè l'avvicinamento consapevole ed informato dell'individuo verso lo Stato in presenza di esigenze collettive ritenute condivisibili: basta pensare alla consistenza nel Paese delle associazioni volontarie. Incontrandoci a metà, si può pensare ad una forma di volontariato guidato. Per i motivi già espressi è inoltre prevedibile che le esigenze di completamento e di incremento all'emergenza saranno incentrate sull'alta qualità di modesti ripianamenti piuttosto che sulla loro quantità. Le due ipotesi che precedono presuppongono che venga sciolto, a monte, il nodo dell'addestramento. I volontari, infatti, per risultare compatibili con i compiti attuali, dovrebbero essere già addestrati, e bene, dal momento che le operazioni militari di oggi e del prevedibile futuro presuppongono operatori in grado di impiegare in modo ottimale le sempre più sofisticate tecnologie disponibili.

Per risolvere questa difficile equazione ci vengono incontro la tecnologia ed il buon livello di scolarità medio nazionale. Se è vero che armi, mezzi e materiali sono sempre più sofisticati è altrettanto vero che diventano sempre più semplici nell'uso e che le tecnologie addestrative consentono di ridurre drasticamente i tempi di apprendimento; basta pensare alla simulazione, che offre possibilità impensate fino a ieri, e siamo appena arrivati alle prime applicazioni della realtà virtuale. Meno male, perchè come anticipato, crescono i compiti. In condizioni di bipolarismo il confronto tra NATO c Patto di Varsavia presupponeva la disponibilità di centinaia di migliaia di uomini, tecnologie, mezzi e materiali a precisa valenza militare, cioè forze armate classiche. I compiti di oggi e del prossimo futuro, da quelli interni al Paese a sostegno delle pubbliche istituzioni a quelli di operatori di pace all'esterno, presuppongono un militare a tutto campo; un professionista della sicurezza capace di farsi accettare come individuo e di interagire con le strutture di sostegno di qualunque tipo presenti per ottimizzare il suo contributo con quello dei tanti altri con cui collabora al fine ultimo della sicurezza. Questo fine, per essere raggiunto, può richiedere l'impegno nel ruolo classico del combattimento e della vigilanza, ma anche in compiti legati alla ricostruzione, alla democratizzazione, alla gestione della informazione e così via. Inoltre, i compiti e le responsabilità dei singoli militari crescono per effetto della riduzione quantitativa delle forze armate: minori gli operatori, maggiori le responsabilità dei singoli e dei capi.

CONSIDERAZIONI FINALI

Tirando le fila di quanto finora esaminato, emergono tre potenziali vie di cambiamento per ridare tono ed attualità al legame tra Esercito e Paese implicito nella organizzazione delle forze di riserva.

Innanzitutto, nelle Forze Armate del tempo di pace, bisognerebbe dare priorità addestrativa ai compiti prevedibili. In tal senso, le operazioni di pace all'estero e quelle di sicurezza sul territorio nazionale dovrebbero risultare prioritarie rispetto all'addestramento tecnico classico del passato, del tipo plotone nell'attacco o nella difesa, per il semplice fatto che i primi compiti hanno maggiore probabilità di realizzarsi. Inoltre, questo tipo di addestramento dovrebbe essere esteso a tutti gli operatori, superando ogni dicotomia concettuale tra personale di leva e volontari. Con ciò si intende sottolineare che, per il futuro, non si esclude il ricorso sempre più ampio ad operazioni di sicurezza fuori area, a livelli che possano cointeressare anche la componente di leva dello strumento militare. Nell'ottica delle forze di riserva, quanto sopra avrebbe, quindi, anche il merito di preaddestrare fin d'ora i futuri riservisti ai compiti prevedibili. In secondo luogo, le modalità della mobilitazione classica, per attingere al bacino del personale in congedo addestrato, dovrebbero essere riviste. All'iniziativa dello Stato nei confronti dei singoli per soddisfare un'esigenza collettiva, dovrebbe potersi affiancare l'iniziativa dei cittadini in termini di volontaria partecipazione. In tal senso, dovrebbe essere concesso di entrare nel bacino di utenza delle forze di riserva ad ogni cittadino italiano che chieda di farne parte, purché abbia i requisiti etico-morali e psico-fisici necessari.

Il bacino di forze in riserva dovrà, naturalmente, essere addestrato e mantenuto addestrato. Come? Non attraverso richiami periodici, che implicano costi proibitivi ed un disturbo socioeconomico, ma con l'accesso diluito nel tempo a brevi, brevissimi cicli addestrativi della durata anche di poche ore o di un solo giorno, facendo tesoro di ogni tecnologia informativa ed addestrativa disponibile: dal seminario al film, dalla conferenza alla simulazione e così via. La professionalità del personale in riserva si potrà, così, realizzare nel tempo attraverso l'utilizzo di un programma addestrativo e secondo un calendario prestabilito che preveda sessioni informative di base così come addestramenti di diverso livello specialistico, legati al grado ed alle funzioni assegnate al personale all'emergenza.

Questa attività rientra in buona misura in quella istituzionale di informazione delle Forze Armate ed infatti, è già operante anche se non è finalizzata agli scopi qui delineati. Basta pensare alle tante iniziative a livello nazionale, regionale e locale delle organizzazioni militari presenti sul territorio, nei loro molteplici e crescenti contatti con la popolazione, per non parlare della pubblicistica. Si tratta, quindi, di finalizzare ed incrementare questi impegni secondo programmi mirati a costruire professionalità nelle riserve potenziali. ln tale quadro, non si esclude la possibilità che, per alcuni corsi, le persone fisiche che decidano di frequentarli possano accollarsene le spese. Potrà sembrare un'eresia nell'ottica dello Stato assistenziale ma è un dovere nell'ottica del risparmio dello Stato manager che cerca di ottimizzare la spesa. Oltretutto cade in un habitat, come quello nazionale, in cui un numero di persone sempre più ampio spende ogni anno cifre ingenti per frequentare corsi di sopravvivenza, di autodifesa, di tiro a segno, di alta specializzazione operativa. E' noto a tutti che talora, per poter trovare un ambiente operativo consono, numerosi soggetti sono costretti ad andare anche molto lontano mettendosi nelle mani di agenzie talvolta senza scrupoli. Senza arrivare a questi casi limite ci sono esempi consolidati: il supporto alle attività di lancio col paracadute dei club civili, le attività degli aeroclub, e così via. In sintesi, nella individuazione e nella preparazione del bacino delle forze di riserva non si può non tener conto dello scenario nazionale attuale, dell'ampiezza di fenomeni quali il desiderio di confrontarsi con attività a rischio, il desiderio di partecipare nelle azioni umanitarie, il desiderio di partecipare tout court. Come già detto, la crescita esponenziale negli ultimi anni delle associazioni paramilitari e civili volontarie ne è chiara riprova. La nostra professionalità, le nostre strutture, dovrebbero essere messe a disposizione dei cittadini che intendano migliorare le proprie cognizioni e capacità per metterle volontariamente a disposizione del Paese, secondo una tradizione risorgimentale che fa loro onore e che, già solo per questo, dovrebbe essere presa in debita considerazione.

Ancora, l'iniziativa dello Stato verso gli individui dovrebbe rompere i vecchi schemi essenzialmente legati alle classi di leva, alla quantità numerica ed entrare nell'ottica del rendimento, ad esempio tenendo debito conto di specializzazioni e capacità professionali solidamente acquisite dal personale in congedo; in tale ottica un campione olimpionico di tiro a segno dovrebbe risultare utile come tiratore scelto, anche se non appartiene più agli ultimi scaglioni congedati. Infine, l'impegno delle Forze Armate per addestrare i cittadini che ne facciano richiesta potrebbe anche prescindere dalla loro volontà di entrare a far parte a pieno titolo delle forze di riserva nazionali. Si tratta, anche in questo caso, di una richiesta reale, al momento recepita da talune università e centri studi che, ad esempio, fanno corsi di preparazione al peacekeeping per diplomatici, funzionari civili ed altri, o conducono seminari informativi per divulgare le problematiche principali collegate a tali tipi di attività.

Questo ultimo aspetto, ove venisse adeguatamente sviluppato, sarebbe sicuramente apprezzato e contribuirebbe non dico all'immagine, che è una parola vuota di sostanza, bensì al concreto inserimento funzionale ed operativo delle Forze Armate nel tessuto socio-culturale e funzionale del Paese. Oltretutto, l'iniziativa avrebbe il merito di obbedire al dettato Costituzionale:<<la difesa della patri è sacro dovere del cittadino>> non solo nell'interpretazione a senso unico secondo la quale i cittadini devono essere chiamati alle armi attraverso il servizio di leva, ma anche in quella, complementare, secondo la quale i cittadini hanno il diritto di essere addestrati per poter contribuire in forma partecipativa alla difesa del loro Paese.


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