Nel gennaio 1895 (quando il nostro aveva 26 anni), l'Istituto di Igiene della Regia Università di Napoli pubblica il numero 1 degli "Annali di igiene sperimentale" sulla cui copertina compare il titolo di un lavoro presente nel fascicolo:
"Sugli estratti di alcune muffe. Ricerche del Dott. Vincenzo TIBERIO".
Nell'articolo si riportano gli studi e la prima sperimentazione compiuti dal ricercatore: egli inoculò, dopo averle infettate, alcune cavie (cani randagi, conigli, topi) con un estratto acquoso di alcune muffe: Aspergillus flavescens, Mucor mucedo e Penicillum glaucum. Egli potè constatare il forte potere battericida di queste muffe, ma le autorità accademiche del tempo non si accorsero del suo genio di scopritore.
Fu promosso non per meriti scientifici, ma per meriti di guerra; diresse un infermeria a Tobruk, durante la guerra di Libia, diresse il Gabinetto di batteriologia e igiene dell'Ospedale Navale di Venezia e e poi quello di Piedigrotta a Napoli. Durante questi anni interrompe le ricerche sulle muffe per dedicarsi a patologie di altro tipo. Li riprese quando era Maggiore Medico, direttore a Piedigrotta, ma non fece in tempo a concluderli. Il 7 gennaio 1915, alla vigilia della I Guerra Mondiale, colto da malore, forse di crepacuore, morì nel suo laboratorio, ignorato da Fleming e dimenticato dalle autorità accademiche.
Solo nel 1946 (ormai la penicillina era celebrata come rimedio del secolo) si ricordarono di lui gli "Annali di medicina navale e coloniale" editi dalla Direzione Generale della Sanità Marittima che pubblicarono la storia di "Un italiano precursore degli studi sulla medicina".
Troppo tardi: la notorietà e la fama erano andate solo ad Alexander Fleming che prese anche il Nobel e fu osannato tra i grandi come Pasteur.
Non si è mai saputo se Fleming fosse venuto a conoscenza degli studi di Tiberio di 33 anni prima.
Fonte: Francobaldo CHIOCCI, il Giornale