NOTIZIARIO SU LAVORO E LOTTA DI CLASSE

Gennaio '99

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"5 gennaio 1999"
 

AVEZZANO: TURNI LUNGHI ALLA "MICRON"

Il passaggio da Texas Instruments a Micron non ha cambiato per lo stabilimento di Avezzano l'adesione completa all'azione padronale nordamericana, con adeguamento di orari e turni a quelli oltreoceano. Così la nuova organizzazione del lavoro resa nota l'altro giorno da Tiberio Indiani, passato da Texas a Micron senza soluzione di continuità prevede turni di 10 ore per 420 tecnici: il sistema e' 4+4, cioe' 4 turni di lavoro, quattro di riposo; l'orario e' 12-22 22-8 + un turno 8-16,45.
I lavoratori della Micron hanno accolto con malcontento la novità, che va chiaramente controcorrente rispetto alla riduzione d'orario, perché rende rigide le 40 ore settimanali, e prolunga i turni, tra cui quello notturno.
La Micron si basa su un certo distacco o possibilismo sindacale: già 10 anni fa, con il tentativo di introdurre i turni di 12 ore, non fu certo per merito dei sindacati confederali che si impedì tale aggravio, anche se oggi molti di quelli che allora si dicevano possibilisti vantano la propria partecipazione alla lotta. Memore di ciò, il manager Indiani, ha sbandierato il suo obiettivo, davanti ai tecnici, le 12 ore!
Ora la parola deve passare ai lavoratori, rappresentati per lo più dal Fismic, un sindacato nato da una costola Fiom, omologo almeno nel nome, dei sindacati gialli di casa Fiat.
Ma come 10 anni fa, la battaglia può essere vinta con la mobilitazione più generale della classe operaia del territorio e con la solidarietà degli altri lavoratori.

GENOVA: SICUREZZA PER I LAVORATORI DEL PORTO

Dopo la morte sul lavoro dello stagista (ulteriore forma dello sfruttamento - precario - del lavoro in tempi di centro sinistra) ventiduenne senza salario, avvenuta il 23 dicembre nel porto di Genova, mentre incombe la minaccia di sciopero di 24 ore, l'Autorità Portuale ha convocato una riunione degli interessati.
Mentre il sindacato "spera di organizzare per l'8 gennaio" uno sciopero di tutti i turni, i delegati di base, la "sinistra sindacale" sono ben più preoccupati e sfiduciati nelle risposte che può dare l'Autorità, e si dicono pronti a "picchetti presso i terminal e volantinaggi" per un migliore successo della manifestazione.
La deregolamentazione provocata dai vari decreti governativi sul cosiddetto "avvio" al lavoro ha fatto cadere l'attenzione per la sicurezza: troppe figure non professionali girano sui moli, senza preparazione - oltre che senza salario!
I lavoratori chiedono l'istituzione di delegati di base per la supervisione di criteri e sistemi di sicurezza.

 

"12 gennaio 1999"

Sciopero nelle concerie contro le morti bianche

Paolo Pistolesi aveva 28 anni. Era il capoturno di notte alla Sgs, la notte tra giovedì e venerdì scorso. Aveva timbrato il suo cartellino alle dieci e doveva smontare otto ore dopo. "Era un ragazzo esperto, ce l'aveva quasi fatta a laurearsi in ingegneria elettronica anche se il lavoro aveva rallentato gli studi", piange suo fratello Marco. La vita di Paolo, per Cgil, Cisl e Uil, per ora vale uno sciopero provinciale di un'ora nell'intero comprensorio del cuoio a fine turno, previsto per oggi, e la richiesta di uno sciopero generale.

Tutto e' successo alle 11,30. "Non c'e' stato un guasto", mettono le mani avanti i manager dell'azienda. E' accaduto pero' che era rimasta aperta, chissà perché, la micidiale botola di una cisterna di decantazione da dove fuoriusciva idrogeno solforato. Al buio Paolo deve aver tentato l'azzardo di chiuderla arrivandoci in apnea e senza protezione. Ma forse ha respirato, e' bastata una sola boccata in quei cinque metri percorsi perché il gas paralizzante lo facesse crollare a terra intossicato. Due soccorritori sono corsi da lui ma sono svenuti anche loro. Ma almeno Pietro Giovannetti, 35 anni, e Giuseppe Marradi di 53 sono stati miracolati, sono "gravemente intossicati" ma vivi. Anche se hanno dovuto aspettare un'ora prima che arrivassero altri compagni e che suonasse l'allarme. I vigili del fuoco raccontano infatti che la telefonata e' arrivata solo a mezzanotte e trenta. Per accorgersi dell'incidente e' passata dunque un'ora buona, forse poteva essere salvato anche Paolo, e questo la dice lunga sulle condizioni di sicurezza e di prevenzione nell'azienda. Nel comprensorio del cuoio, 6 comuni da Santa Maria a Monte a Fucecchio che contano neanche 80 mila abitanti, lavorano quasi 10 mila persone in una miriade di 800 aziende che coprono il 35 per cento della produzione nazionale di pelli per calzatura, pelletteria e abbigliamento e il 95 per cento della produzione di cuoio da suola. "Quel che e' accaduto non e' certo imputabile alla fatalità o all'errore umano - protestano i sindacati -Ci sono responsabilità della direzione aziendale e di chi era preposto al controllo delle norme di sicurezza" La Toscana fa i conti, come mai era accaduto prima, con uno stillicidio di morti e di feriti sul lavoro. Un'escalation drammatica. Poco meno di 80 mila infortuni lo scorso anno con 57 morti. Crimini dovuti ad assenza o scarsità di controlli e prevenzione, insicurezza congenita, tempi, condizioni e stress da lavoro. Concause che coinvolgono un intero sistema ormai deregolamentato e condizionato da diffusa omertà e connivenze.

CONTRATTO METALMECCANICI IN ALTO MARE

L'incontro plenario sul rinnovo contrattuale dei metalmeccanici tra le delegazioni sindacali e padronali ha confermato che Federmeccanica non e' disposta a concedere nulla alle richieste di Fim, Fiom e Uilm, in particolare sulla riduzione dell'orario di lavoro. Ma le imprese premono per una soluzione che punti alla frammentazione della piattaforma sindacale e pensano a un intervento delle istanze "superiori" per risolvere la vicenda. Un intervento cui ieri ha alluso il presidente del consiglio, annunciando che il governo valuterà "cosa e' possibile fare se e quando matureranno le condizioni per un intervento di livello confederale, visto che lo stallo delle trattative e' provocato da un'esasperazione del confronto tra le parti". Un intervento gravissimo - fatto in nome della pace sociale che deve caratterizzare l'era dell'esecutivo in carica - perché già ipoteca l'autonomia delle parti sociali e conferma la concezione centralistica e un po' autoritaria delle relazioni sociali che ispira il presidente del consiglio.
Un'esternazione accolta molto male dai sindacati ("Non mi risulta che D'Alema sia il segretario della Cgil", ha dichiarato il leader della Fiom, Claudio Sabattini) e, invece, apprezzata dalla Federmeccanica, che si e' detta "lusingata" dell'interessamento dell'inquilino di palazzo Chigi. E ben si capisce l'atteggiamento degli industriali che dai tavoli "politici" hanno sempre guadagnato qualcosa (anche di molto materiale).
Questo ad ulteriore conferma del ruolo che svolge un governo della sinistra borghese in una fase di crisi: far digerire tutto il peggio agli operai.
I sindacati convocheranno le assemblee di fabbrica, mentre il primo febbraio scade la moratoria sugli scioperi (e di mobilitazioni generali si e' a lungo parlato ieri nelle riunioni delle delegazioni sindacali). La tre giorni di fine gennaio sarà preparata da una serie di incontri "ristretti" tra i vertici delle due delegazioni.
I nodi della contesa rimangono sempre gli stessi: Federmeccanica e' pregiudizialmente contraria a ogni riduzione dell'orario di lavoro, mentre su salario e straordinari vuole discutere alla luce di un'interpretazione "flessibile" del 23 luglio e, per quanto riguarda gli straordinari, usando lo strumento dell'avviso comune tra sindacati e aziende per superare i limiti che il contratto pone alle prestazioni straordinarie. In particolare sul salario, la Federmeccanica non rinuncia al suo obiettivo di rendere completamente variabili le quote di aumento delle retribuzioni che possono essere introdotte dalla contrattazione aziendale, mentre per la flessibilità degli orari si insiste sulle necessità imposte dal quadro di concorrenza internazionale.

 

"14 gennaio 1999"

 

ITALIA SALARI E LAVORO FLESSIBILI

Solo un lavoratore italiano su tre usufruisce della contrattazione aziendale, quella che dovrebbe permettere un aumento reale dei salari sulla base degli andamenti produttivi delle aziende. Per tutti gli altri c'e' solo il contratto nazionale, quello che Massimo D'Alema considera superato e avrebbe voluto cancellare (o, almeno, ridimensionare) già nell'intesa sociale di natale; proposito cui ha rinunciato per le resistenze della Cgil (ieri confermate da Cofferati e Cerfeda che hanno ribadito - in contrasto con le affermazioni di D'Alema - che "il contratto nazionale resta uno strumento fondamentale di ridistribuzione della ricchezza prodotta).
Naturalmente, visto che il contratto nazionale anche scompare "naturalmente" a causa dell'applicazione di nuove forme di sfruttamento "decontrattualizzate" (stage, contratti d'area, formazione lavoro, apprendistato ecc.) la "ricchezza prodotta" resterà tranquillamente nelle salde mani dei padroni! Infatti, l'altro dato che l'Istat ha reso noto ieri riguarda la flessibilità del mercato del lavoro. Qui emerge un'altra cosa nota, cioe' che aumenta moltissimo la quota di assunti a tempo determinato e con inquadramenti "atipici": nel '96 solo il 45 per cento dei nuovi assunti si e' avvalsa di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, mentre il 26 per cento si e' accontentata di un contratto a termine, il 16 per cento di un lavoro stagionale, il 9,5 per cento di un contratto di formazione-lavoro, il 3 per cento di un rapporto di apprendistato. Le quote di lavoro a termine sono cresciute nel '97 e nel '98 (anno in cui 150.000 su 180.000 nuovi assunti sono stati ingaggiati dalle imprese con contratti "atipici"), anche se in termini assoluti i lavoratori a tempo indeterminato rimangono ancora largamente maggioritari (oltre il 90 per cento). Infine, l'Istat ci ragguaglia sulla diffusione dello straordinario (lo svolge il 22 per cento dei lavoratori), su chi lavora il sabato (34,4 per cento), nei giorni festivi (quasi il 22 per cento), la notte (32,5 per cento).
Il dato sulla scarsa diffusione del contratto di secondo livello fornisce base statistica compiuta a ciò che già si sapeva: solo il 38,8 per cento dei lavoratori italiani (qualche decimo in più nei servizi e qualcuno in meno nell'industria) ha sottoscritto accordi aziendali nel bienno '95-96.
La percentuale sale fino al 73 per cento nella grande industria (dove il sindacato e' quasi sempre presente) e scende fino al 5 per cento nelle imprese con meno di 20 addetti (che rappresentano la maggioranza del nostro tessuto produttivo).
In teoria queste cifre dovrebbero portare alla conclusione che un terzo dei lavoratori dipendenti ha potuto godere di un incremento assoluto delle proprie retribuzioni (visto che il contratto nazionale dovrebbe essere la base comune a tutti che garantisce il mantenimento del potere d'acquisto degli stipendi in rapporto all'inflazione). Ma non e' così, perché altre indagini sull'andamento delle retribuzioni affermano che e' stata solo la somma dei due livelli contrattuali a non far scendere il salario reale e che solo una piccola percentuale di fortunati e' diventata un po' più "ricca". In sintesi, solo quel 38,8 per cento di lavoratori che ha potuto sommare la contrattazione aziendale a quella nazionale può star certo di non essere diventato più povero.
Tutti questi numeri confermano un panorama di estrema flessibilità dei salari e del lavoro, una flessibilità su cui tutte le parti sociali concordano; le divergenze emergono sulla sua gestione, con le imprese che pretendono sia gratuita e non normata.
E' in questo panorama che piombano le dichiarazioni del presidente del consiglio (durante il dibattito al senato sul patto sociale, che e' stato approvato ieri dal ramo "nobile" del parlamento) che auspicano il superamento del contratto nazionale: "La difesa del salario - ha detto D'Alema - avverrà dove si produce la ricchezza, nelle aziende e nei distretti produttivi", prospettiva che sarebbe provocata dall'ingresso in Europa e da un livello d'inflazione tendente allo zero. Forse l'ingegneria sociale di D'Alema ignora i dati forniti dall'Istat e la realtà di un mondo del lavoro salariato che sopravvive solo grazie all'intensità della prestazione; o forse, semplicemente, non gli interessa la sorte di quel 62% di esclusi dalla contrattazione aziendale che indica come orizzonte. Di certo le ultime esternazioni del presidente del consiglio piacciono molto a Confindustria e alla Federmeccanica impegnata a smantellare il contratto nazionale dei metalmeccanici: Pininfarina applaude.

A TARANTO UN NUOVO REPARTO CONFINO. PER I LAVORATORI DISABILI

Questa volta la TROVATA del management lombardo riguarda uno speciale trattamento riservato a dipendenti con ridotta capacità lavorativa: cardiopatici, invalidi per infortuni sul lavoro, lavoratori affetti da neoplasie e gravi disturbi respiratori o altre patologie. La direzione aziendale li terrebbe segregati in un apposito reparto, quello delle pulizie, in quanto lavoratori definiti "improduttivi" da padron Riva.

La denuncia, inviata alla Procura di Taranto, ai confederali ed allo Slai Cobas, nonche' ai Ministeri del lavoro e della sanità, e' ampia e circostanziata e ricorda quello stile repressivo già sperimentato dai lavoratori della famigerata Palazzina Laf, il reparto posto sotto sequestro dalla magistratura, dopo aver ospitato dipendenti emarginati dalla produzione perché poco disponibili all'azienda. Questa volta tocca ad operai invalidati entrare nei reparti-confine dell'Ilva. L'infermeria aziendale aveva arbitrariamente dichiarato idonei questi lavoratori, molti con invalidità fino al 90%, a svolgere mansioni pesanti, incompatibili col proprio stato di salute. Anche le contestazioni mosse dai confederali e dai Cobas non hanno sortito alcun effetto, visto che la direzione ha definito una parte di questi dipendenti "persone sprovviste della benche' minima voglia di lavorare". Insomma, Emilio Riva non riconosce alcuna ragione di parte operaia, ieri segregando operai e dirigenti sgraditi, oggi rinchiudendo in una gabbia per topi lavoratori affetti da malattie contratte sul posto di lavoro nei reparti nocivi del siderurgico, che non rientrano in quella specie di selezione della specie operaia, duttile ed ubbidiente, che la dirigenza lombarda ha cercato di costruire a Taranto in questi anni di colonizzazione dell'area industriale e della città.

 

"15 gennaio 1999"

DISOCCUPATI

Oltre un centinaio di persone del movimento disoccupati in lotta per il lavoro di Napoli, il movimento disoccupati di Acerra, i centri sociali Ska-officina 99 hanno occupato ieri per più di due ore i binari della stazione terminale della Circumvesuviana di Napoli. Scopo dell'iniziativa era ottenere un incontro con le controparti istituzionali per avere concrete risposte rispetto al dramma occupazionale (l'incontro con comune, regione e provincia e' stato fissato per lunedì).

L'iniziativa e' stata anche un momento di lancio per la manifestazione di sabato 16 gennaio ore 11.00 piazza Garibaldi per la riduzione dell'orario di lavoro e il salario garantito. Alla manifestazione, indetta insieme allo Slai Cobas di Pomigliano, parteciperanno molte strutture nazionali (come il Coord. Nazionale cobas), realtà di disoccupati e precari (soprattutto della Calabria e del Lazio) centri sociali e coord. studenteschi, e' prevista l'occupazione di due treni (da Reggio Calabria e dal Nord) per partecipare alla manifestazione.

"Stato d'emergenza in Europa, in Italia, ma innanzitutto nel Meridione simbolo della disoccupazione e polveriera pronta ad esplodere. In una democrazia blindata che reprime le lotte, che nega i bisogni" -hanno dichiarato gli esponenti del Csoa Officina 99 e il Laboratorio Okk. Ska durante la conferenza stampa che si e' svolta giovedì 14 alla facoltà di Lettere - noi senza lavoro e senza reddito, lavoratori a nero e intermittenti sfruttati e malpagati di tutta Italia saremo in piazza sabato 16 gennaio alle 11.00 a piazza Garibaldi. Sempre più pressante e' connettere la conflittualità diffusa che nasce dai bisogni negati, per sostenere un nuovo ciclo di lotte contro la precarietà, che ponga al centro la necessità di un salario garantito per tutti gli invendibili e la gratuità dei servizi sociali.

 

"16 gennaio 1999"

 

OMICIDI BIANCHI UN'ALTRA VITTIMA IN TOSCANA

Nel 1998 cinquantotto lavoratori sono morti ammazzati da rulli compressori o schiacciati da pesanti automezzi o volati giu' da cave o impalcature. Negli ultimi 3 anni anche la media degli infortuni e' stata da record: oltre 70 mila incidenti, ma molti, anche gravi, non vengono denunciati per omertà o perché monetizzati.
Il lavoro uccide in Toscana come mai era accaduto. E gli ultimi due omicidi bianchi sono significativi: nel comprensorio del Cuoio nel megaimpianto Sgs una settimana fa Paolo Pistolesi capoturno di notte appena 28enne, e' morto avvelenato dall'idrogeno solforato che fuoriusciva dalla botola di una cisterna di decantazione che al buio aveva tentato di chiudere in apnea e senza protezione. E l'altra notte (mentre ieri mattina un'altra vittima c'e' stata ad Ascoli Piceno per il crollo di un muro in una chiesa in ristrutturazione) in una piccola cartiera di Lucca Riccardo Giulianeli, 34 anni, e' stato stritolato dal nastro trasportatore. Lavorava 12 ore al giorno.
Crimini dovuti ad assenza di controlli, insicurezza congenita, ritmi e orari proibitivi, a cause che non possono riguardare solo padroni senza scrupoli ma coinvolgono un sistema ormai deregolamentato. Eppure prevenzione e controlli erano il fiore all'occhiello della regione rossa. Come contrastare questa debacle? "Con una vera e propria rivolta dei lavoratori", dice secco il segretario regionale della Cgil, Franco Martini.
La modifica delle condizioni di lavoro e' la prerogativa della trattativa sindacale. Come e' possibile invertire una tendenza che elimina progressivamente tutti i livelli di tutela?
"Siamo in ritardo, va riconosciuto. Gran parte degli orari sono ormai dilatati e proporremo di sperimentare moduli di riorganizzazione degli orari utilizzando anche la riduzione come leva per la sicurezza", dice Franco Martini.
Il cavalier Luigi Lucchini, padrone delle acciaierie di Piombino, ha risposto con arroganza a chi gli chiedeva se non avvertisse qualche responsabilità aziendale per la morte di un operaio rimasto schiacciato da un rullo compressore
Lucchini rappresenta il vecchio padronato. Oggi i termini della questione sono cambiati. E quello che mi preoccupa di più e' che in nome di una presunta modernità possano essere stritolati i diritti e spesso anche la vita di tanti lavoratori.

 

"17 gennaio 1999"

 

BARI IN 50 RESTANO SENZA LAVORO

Lo stile è da padroncino di bottega. Ma non siamo nell'ultima officina di provincia, bensì nel polo industriale barese, dove chiudere e svuotare un'azienda di macchinari e merci durante le festività natalizie rischia di non fare più notizia. E' successo ai 50 lavoratori della Sapca (ex Magneti Marelli), che l'11 gennaio, al rientro dalla cassa integrazione, hanno trovato il benservito: reparti e capannoni vuoti, piazzali deserti. L'azienda produce cablaggio per due auto della casa torinese, la Punto e la Y10, ed è proprio la Fiat il committente principale se non esclusivo della produzione barese.

Gli operai, che attualmente aspettano tredicesima e stipendio di dicembre più due mensilità di cassa integrazione, hanno subito occupato la fabbrica e annunciano per domani un'assemblea aperta davanti ai cancelli della Magneti Marelli. Dopo l'Alce Palmera e la Stanadyne, tocca oggi alla Sapca subire blitz e colpi di mano padronali, che rappresentano la chiave di lettura dello "sviluppo" dell'area industriale barese, vera e propria giungla contrattuale tra crisi vecchie e nuove, impensabili forme di flessibilità e moderni sistemi di appalto e subappalto. Quattro anni fa la Magneti Marelli a Bari colloca 56 lavoratori in esubero nella Sapca con la mediazione di un suo dirigente, tale Bilieri, che si fa garante del passaggio di proprietà. L'acquirente è Maurizio Stirpe, vice-presidente dell'Assindustria di Frosinone. E' contestuale all'acquisto un accordo tra sindacato e azienda: assunzione dei figli dei dipendenti, un organico a regime di 150 unità e investimenti per 2 miliardi, certezza del posto di lavoro fino al pensionamento.

Così non è andata, salvo la creazione di alcune cooperative per l'esternalizzazione del lavoro e la creazione di una fascia di lavoro nero e sottopagato. Nessun investimento per la Sapca, quindi, ma in compenso si alternano periodi di lavoro a mesi di cassa integrazione. Intanto la famiglia Stirpe comincia a cercare un compratore per la scomoda proprietà, e lo trova in Bartolo Bitritto, alla testa, insieme al socio Miani, di una cooperativa operante nel settore ecologico, la Ecocittà di Grumo Appula, nel barese. Ma nella compravendita sembrano svanire le liquidazioni maturate, la transazione societaria Sapca-Ecocittà fa accusare un deficit pari alla liquidazione del trattamento di fine rapporto, pure garantito dalla precedente vendita tra Magneti Marelli e Sapca. "Siamo di fronte a un gioco di scatole cinesi - commenta Stefano Netti di Alternativa Sindacale di Bari - Ci troviamo di fronte a prestanome della famiglia Stirpe, che hanno accettato che i proprietari della Sapca giocassero sulla produzione di cavi tra appalti e subappalti di prima e seconda mano, lavoro nero e cooperative fantasma".

In breve tempo Ecocittà cambia ragione sociale in Nuovaecocittà, a cui si affianca un giro di cooperative esterne che lavorano per il solerte duo Bitritto-Miani. Si lavora in nero, senza un minimo salariale, mentre i dipendenti vengono collocati in cassa integrazione, perdendo gradualmente, nel valzer di passaggi di proprietà, diritti acquisiti e consolidati. Giunge intanto un'altra notizia: una nuova commessa di 12.000 cavi elettrici per auto ordinata dallo stabilimento Fiat di Melfi, mentre più d'uno assicura che i macchinari e prezzi di produzione scomparsi a Bari sono già in funzione proprio in un'area compresa tra Melfi e Potenza. Anche qui spuntano i due imprenditori pugliesi e il loro giro di cooperative. Su una possibile via d'uscita, Netti è lapidario: "Bisogna insistere sul ruolo di quel Bilieri, che si fece garante del passaggio alla Sapca". 

 

  " 26 gennaio 1999"

 

NUOVO PIGNONE

I padroni della Nuovo Pignone, storica fabbrica toscana, si sono divisi negli ultimi 4 anni mille miliardi di utili, a fronte di 3100 dipendenti di cui mille a contratto a termine. La General Electric, cui era stata venduta dalla proprietà statale ENI la fabbrica oggi, per incrementare i suoi utili, mette in CI 400 lavoratori, non certo perché la Nuovo Pignone non e' redditizia, ma per far fronte alla crisi asiatica: l'internazionalizzazione dei capitali e' internazionalizzazione della lotta di classe, per chi non avesse capito.
Ieri a Firenze un corteo di lavoratori della Nuovo Pignone, della Gig (giocattoli), altre fabbriche e studenti hanno manifestato contro la politica padronale.
Il direttore del personale così spiega le "ragioni" dell'attacco ai lavoratori: "Sarebbe assurdo vergognarsi di ricevere una valanga di commesse." Ma e' meglio tagliare prima che arrivi la crisi, in sostanza, perché così spiega Piazzolla si potrà evitare di precipitare.
Quindi, lavoratori, impariamo che se la fabbrica tira, si viene licenziati per evitare che crolli, se va male si viene licenziati per la ripresa.

 

"29 gennaio 1999"

 

SENZA DIRITTI

Ancora una volta il governo D'Alema raccoglie gli elogi degli industriali, e non soddisfatto della prima battuta, si dilunga in particolari su come rendere più facile il profitto dei padroni. La questione della flessibilità dei lavoratori e' questione non solo di salari e di tempi ma anche di diritti.
D'Alema sa quel che dice, se Confindustria lo appoggia incondizionatamente: e' vero pero' che getta anche fumo in faccia ai lavoratori, con illusioni alimentate dalla stampa consenziente.
E così si sostiene come al solito che "uno degli obietti e' quello di aumentare l'occupazione non di licenziare": come non essere d'accordo. Ma questa frase e' lontana dall'essere essenziale: infatti il modo di operare di D'Alema e' ridurre i diritti di chi ce li ha per equipararli così a chi non li ha mai avuti.
Una perla: "quando io parlo di diritti dei lavoratori, parlo da uomo di sinistra... e credo che dobbiamo preoccuparci anche di chi non gode di questi diritti". Quindi, togliamoli a chi li ha, e siamo tutti pari.
Ma lo scopo neppure nascosto non e' quello di "tutelare" diritti inesistenti facendo scomparire quelli veri: e' aumentare in tutti i modi le possibilità di valorizzazione del capitale, in quella competizione internazionale, in quel mercato che tanto piace ai nostri sinistri governanti.
Per cui Bassolino, esperto in flessibilità napoletana aggiunge che e' necessario "incentivare forme di flessibilità del lavoro che consentono ancora di più di migliorare la competitività delle imprese". Ma quali diritti!
Continua perciò un attacco dispiegato e pluridirezionale alle condizioni di lavoro e di vita della classe operaia e dei lavoratori salariati, occupati o meno.
In questo gioco delle parti tra una sinistra di governo e una sinistra di finta opposizione, si rischia di rimanere impietriti, una volta da queste dichiarazioni, un'altra da quelle di Cofferati sulla riduzione del diritto di sciopero (ma non e' anche questo un diritto, tra quelli di cui Cofferati si erge a difensore di fronte a D'Alema?), un'altra ancora dai patti sociali cui tutti si piegano.
Non ci sono più spazi per mediazioni: i metalmeccanici possono essere un primo settore di classe che si misura su queste politiche, respingendole sia in funzione del proprio contratto sia più in generale, chiamando a raccolta altri settori e categorie.

 

ITALTEL

A Febbraio si terrà a Roma una manifestazione nazionale dei lavoratori Italtel, contro i 5000 esuberi proposti dai due proprietari, Telecom e Siemens. Il 18 e il 19 due giornate di sciopero per il contratto. La Telecom adduce a motivo di questo attacco all'occupazione il blocco degli aumenti tariffari.